Lavoro da fare
Nei gruppi parrocchiali si riprendono le
attività dopo la pausa estiva, dove c’è stata.
Ad esempio, nel mio gruppo del Meic -
Movimento Ecclesiale di impegno culturale, quello del Lazio, abbiamo
continuato a riunirci e a lavorare in videoconferenza Zoom anche a luglio e
agosto.
Potrebbe essere utile programmare attività di
riflessione e autoformazione negli affari sociali anche in una parrocchia come
la nostra, San Clemente ai Prati fiscali, nella zona delle Valli del quartiere
Monte Sacro, nel Nord Est della Capitale.
Nel blog https://acvivearomavalli.blogspot.com/
ho pubblicato diverso materiale che può essere utilizzato in quell’ambito.
Tra pochi giorni, ad ottobre, dovrebbe
iniziare la seconda sessione della 16° Assemblea del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità,
che dovrebbe tirare le fila del lavoro svolto in tutto il mondo dall’ottobre
del 2021. Le informazioni su questa assise dovrebbero essere pubblicata qui
Lo strumento di lavoro preparato per la
sessione di ottobre può essere scaricato dal Web a questo indirizzo
Lo allego, comunque, qui in fondo.
La comprensione del testo è ostacolata dallo
stile omiletico, che, in particolare, rende più difficile capire le questioni
controverse, che senz’altro vi sono, perché attraversano la vita ecclesiale.
In particolare il documento è appesantito da
troppa teologia, materia che risulta ostica ai più e che, tra la gente
cattolica, è duramente segnata dall’autoritarismo gerarchico.
Si vorrebbe una vita ecclesiale più partecipata,
in questo consiste la sinodalità, ma la gran parte della gente è stata
poco coinvolta nei lavori, che mi sembrano essere appannaggio di chi in qualche
modo è già inserito negli apparati ecclesiastici.
Certamente l’efficacia dell’azione nel campo
degli affari sociali è condizionata dal livello di sinodalità che si è disposti ad ammettere.
In un gruppo parrocchiale se ne potrebbe fare
tirocinio: la partecipazione si impara partecipando e, all’occorrenza, correggendosi.
Si basa sempre su intese da prendere nel corso delle attività, tenendo conto
delle situazioni che si presentano e delle persone coinvolte.
In genere i parroci non sono favorevoli a questo
tipo di attività, temendo di perderne il controllo e, quand’anche le attivano,
le mettono nelle mani di persone ritenute esperte, le quali, se non sono
esperte anche di sinodalità, risultano nel tempo insopportabili a chi pensava
di essere chiamato a partecipare e invece si trova confinato, come sempre, nel
ruolo umiliante di chi semplicemente deve ascoltare.
Come è stato rilevato nel corso dei lavori
sinodali, nella nostra Chiesa c’è un problema di libertà di pensiero e della
sua espressione pubblica, quindi di libertà di parola. Semplicemente, questa
libertà non è riconosciuta. Chi si prova a praticarla viene emarginato, e già
questo è meglio di un tempo, in cui si veniva condannati.
Una sinodalità senza libertà di pensiero e di
parola non è veramente tale.
D’altra parte, si ricorda spesso che il
pensiero sociale cattolico italiano ha ancora qualcosa da dire. In particolare
è portatore di una sapienza specifica molto sofisticata, e non potrebbe essere
che così tenendo conto del ruolo del cattolicesimo democratico italiano nella costruzione
della nostra Repubblica.
Però, per
amore di pace ecclesiale, che in realtà non si è veramente ottenuta perché le
divisioni sono semplicemente taciute, si è preferito trascurare questo ambito,
in particolare nel mondo, ancora assai vitale, delle parrocchie. Avrebbero dovuto
parlare solo i vescovi e noi seguirli. Così, naturalmente, l’influenza sociale,
e in particolare politica, del cattolicesimo sociale e di quello democratico
(non sono la stessa cosa), è sembrata ridursi molto, e quanto al cattolicesimo
democratico addirittura essere annientata.
Nella storia del cattolicesimo democratico, i vescovi
e gli stessi Papi, sono venuti al seguito, non l’inverso.
Ad esempio, i radiomessaggi sulla democrazia
diffusi tra il 1942 e il 1944 sotto l’autorità del papa Eugenio Pacelli - Pio 12°, il quale nel luglio
1933 aveva rappresentato la Santa Sede nel concludere un concordato con il Terzo
Reich tedesco, già caduto nel dominio del nazismo hitleriano dal precedente
gennaio
CONCORDATO
FRA LA
SANTA SEDE
ED IL
REICH GERMANICO
Sua Santità il Sommo Pontefice Pio XI e il Presidente del Reich
Germanico,
concordi nel desiderio di consolidare e sviluppare le relazioni
amichevoli esistenti fra la Santa Sede e il Reich Germanico,
volendo regolare i rapporti fra la Chiesa Cattolica e lo Stato per
tutto il territorio del Reich Germanico in modo stabile e soddisfacente per
entrambe le parti,
hanno risoluto di concludere una solenne Convenzione, che completi
i Concordati conclusi con alcuni Stati particolari (Laender) della
Germania ed assicuri per gli altri un criterio uniforme nel trattamento delle
relative questioni.
A tale effetto, Sua Santità il Sommo Pontefice Pio XI ha nominato
Suo Plenipotenziario
Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Eugenio Pacelli,
Suo Segretario di Stato,
e il Presidente del Reich Germanico ha nominato Suo
Plenipotenziario il Vice-Cancelliere del Reich Germanico, Signor Franz Von
Papen,
i quali, scambiati i loro relativi pieni poteri e trovatili in
buona e dovuta forma, hanno convenuto gli articoli seguenti:
[…]
Città del Vaticano, 20
Luglio 1933.
Conventione inter Apostolicam Sedem et Rem Germanorum
publicam rata habita, die 10 Septembris 1933 in Palatio Apostolico
Vaticano Ratihabitionis Instrumenta accepta et reddita mutuo tuerunt. Exinde,
i. e. a die 10 Septembris 1933, quo die huiusmodi Instrumenta permutata
tuerunt, Conventio inter Ss.mum Dominum Nostrum Pium PP. XI et Supremum
Reipublicae Germanicae Praesidem (Deutsche Reichspraesident) icta una simul cum
Protocollo finali, vigere et valere coepit ad normam art. 34 comm. 1
eiusdem Pactionis.
non furono certamente frutto solo dei consulenti di corte e nemmeno solo
del Pacelli, visto l’inveterato atteggiamento antidemocratico nel passato del
Papato, ma dell’interlocuzione anche con esponenti del cattolicesimo democratico, in
particolare di quello italiano espresso nel Movimento Laureati di Azione Cattolica,
con il quale Giovanni Battista Montini, all’epoca influente funzionario della Segreteria
di Stato Vaticana, aveva avuto grande dimestichezza.
Se si ritiene utile un’esperienza
parrocchiale come quella a cui ho accennato, è necessario che essa sia svolta in
un contesto in cui ci si riconosca reciprocamente libertà di pensiero e di
parola, rinunciando a silenziare le persone che partecipano, in un contesto in
cui il dialogo sia effettivo e possa svolgersi ordinatamente e nel rispetto
reciproco. In questo, almeno inizialmente, nelle prime fasi, si può seguire il
metodo della conversazione spirituale che è stato utilizzato nei lavori sinodali.
Ma poi bisognerà provare a fare tirocinio delle pratiche assembleari
democratiche, quelle correnti nei luoghi della democrazia in ambito civile,
perché altrimenti, quando si cercherà di parteciparvi prendendo la parola, ci
si troverà spiazzati.
L’attività dovrebbe essere assentita dal
Consiglio pastorale parrocchiale, che dovrebbe incaricare, come consentito dallo
Statuto attualmente in vigore, un comitato organizzatore, composto anche da
persone non facenti parte del Consiglio, ma comunque con la partecipazione di membri
del Consiglio. Il Comitato dovrebbe predisporre
un programma di massima, che dovrebbe poi essere approvato dal Consiglio.
E’
molto importante che nel corso delle sessioni di lavoro non si parta da tesi
precostituite, anche se proposte in documenti del Magistero, ci si arricchisca di conoscenze storiche
affidabili e il dialogo sia libero, anche se ordinato, impedendo prevaricazioni
(è la funzione di una presidenza di assemblea).
Come libri di testo proporrei i manuali di
storia dei tre ultimi anni delle scuole superiori, il testo del cosiddetto Codice
di Camaldoli [Per la comunità cristiana. Principi
dell’ordinamento sociale a cura di un gruppo di studiosi amici di Camaldoli.
https://giuseppecapograssi.wordpress.com/wp-content/uploads/2012/12/codice_di_camaldoli1.pdf], il testo della
Costituzione della Repubblica italiana, quello della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione Europea [https://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf],
e due testi classici del cattolicesimo
democratico italiano, I
promessi sposi di
Alessandro Manzoni (di solito il romanzo non è presentato come un testo politico,
ma
lo è] e Le mie prigioni di Silvio Pellico
(entrambi disponibili anche in formato e-book e Kindle).
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Come essere
Chiesa sinodale missionaria
per la Seconda Sessione (ottobre 2024)
-
09 luglio 2024 -
Introduzione................................................................................................ I
Tre
anni di cammino........................................................................................ III
Uno
strumento di lavoro per la Seconda Sessione........................................ VIII
Fondamenti................................................................................................... 1
La
Chiesa Popolo di Dio, sacramento di unità.................................................. 1
Il
significato condiviso di sinodalità.................................................................. 3
L’unità
come armonia nelle differenze.............................................................. 5
Sorelle
e fratelli in Cristo: una rinnovata reciprocità........................................ 6
Chiamata
alla conversione e alla riforma.......................................................... 9
Parte I –
Relazioni.................................................................................. 11
In
Cristo e nello Spirito: l’iniziazione cristiana............................................... 11
Per
il Popolo di Dio: carismi e ministeri......................................................... 13
Con
i Ministri ordinati: a servizio dell’armonia.............................................. 17
Tra
le Chiese e nel mondo: la concretezza della comunione.......................... 19
Parte II –
Percorsi................................................................................... 23
Una
formazione integrale e condivisa............................................................. 23
Il
discernimento ecclesiale per la missione..................................................... 26
L’articolazione
dei processi decisionali.......................................................... 29
Trasparenza,
rendiconto, valutazione.............................................................. 31
Parte III –
Luoghi...................................................................................... 34
Territori
in cui camminare insieme................................................................. 34
Le
Chiese locali nell’una e unica Chiesa Cattolica......................................... 37
I
legami che danno forma all’unità della Chiesa............................................. 40
Il
servizio all’unità del Vescovo di Roma....................................................... 41
Conclusione – La
Chiesa sinodale nel mondo...................... 45
Sommario...................................................................................................... 47
SIGLE
AG Concilio
Vaticano II, Decr. Ad gentes (7
dicembre 1965)
CD Concilio
Vaticano II, Decr. Christus
Dominus (28 ottobre 1965)
CIC Codex
iuris canonici (25 gennaio 1983)
CTI Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione
della Chiesa (2 marzo 2018)
DTC Segreteria Generale del Sinodo,
Documento per la Tappa Continentale (27 ottobre 2022)
DV Concilio Vaticano II, Cost. Dogm. Dei Verbum (18 novembre 1965)
EG Francesco, Esort. Ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013)
GS Concilio Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes (7 dicembre 1965)
LG Concilio Vaticano II, Cost. Dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964)
LS Francesco,
Lett. Enc. Laudato si’ (24
maggio 2015)
PE Francesco,
Cost. Ap. Praedicate Evangelium (19
marzo 2022)
RdS XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei
Vescovi, Relazione di Sintesi
(28 ottobre 2023)
SC Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963)
UR Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio (21 novembre
1964)
UUS S. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint (25 maggio 1995)
Preparerà il Signore dell’universo per tutti i
popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande, un banchetto
di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte il velo che
copriva la faccia di tutti i popoli
l'ignominia del suo popolo farà scomparire da
tutta la terra,
poiché il Signore ha parlato.
Is 25,6-8
Il profeta Isaia presenta l’immagine di un banchetto
sovrabbondante e prelibato preparato dal Signore sulla cima del monte, simbolo
di convivialità e di comunione, destinato a tutti i popoli. Al momento di
tornare al Padre, il Signore Gesù affida ai suoi discepoli il compito di
raggiungere tutti i popoli, per servire loro un banchetto fatto di un cibo che
dona pienezza di vita e di gioia. Attraverso la sua Chiesa, guidata dal suo
Spirito, il Signore vuole riaccendere la speranza nel cuore dell’umanità, restituire
la gioia e salvare tutti, in particolare coloro che hanno il volto rigato di
lacrime e verso di Lui gridano nell’angoscia. Le loro grida giungono alle
orecchie di tutti i discepoli di Cristo, uomini e donne che camminano nelle
profondità delle vicende umane. Il loro stridore è ancora più forte in questo tempo
in cui il cammino sinodale è stato accompagnato dallo scoppio di nuove guerre e
conflitti armati, che si sono aggiunti ai troppi che continuano a insanguinare
il mondo.
Al cuore del Sinodo 2021-2024. Per una Chiesa
sinodale. Comunione, partecipazione, missione c’è una chiamata alla gioia e
al rinnovamento del Popolo di Dio nella sequela del Signore e nell’impegno al
servizio della sua missione. La chiamata a essere discepoli missionari si fonda
sulla comune identità battesimale, si radica nella diversità di contesti in cui
la Chiesa[1] è
presente e trova unità nell’unico Padre, nell’unico Signore e nell’unico
Spirito. Essa interpella tutti i Battezzati, senza eccezioni: «Tutto il Popolo
di Dio è il soggetto dell’annuncio del Vangelo. In esso, ogni Battezzato è convocato
per essere protagonista della missione poiché tutti siamo discepoli missionari»
(CTI, n. 53). Questo rinnovamento trova espressione in una Chiesa che, radunata
dallo Spirito mediante la Parola e il Sacramento (cfr. CD 11), annuncia la
salvezza che continuamente sperimenta a un mondo affamato di senso e assetato
di comunione e solidarietà. È per questo mondo che il Signore prepara un
banchetto sul suo monte.
Praticare la sinodalità è il modo attraverso cui
rinnoviamo oggi il nostro impegno per questa missione ed è espressione della
natura della Chiesa. Crescere come discepoli missionari vuol dire, innanzi
tutto, rispondere alla chiamata di Gesù a seguirlo, corrispondendo al dono
ricevuto quando siamo stati battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo; e poi vuol dire imparare ad accompagnarci a vicenda come Popolo
di pellegrini in cammino nella storia verso una destinazione comune, la Città
celeste. Percorrendo questo cammino, spezzando il pane della Parola e
dell’Eucarestia, veniamo trasformati in ciò che riceviamo. Comprendiamo così
che la nostra identità di Popolo salvato e reso santo ha una imprescindibile
dimensione comunitaria che abbraccia tutte le generazioni di credenti che ci
hanno preceduto e ci seguiranno: la salvezza da ricevere e da testimoniare è
relazionale, poiché nessuno si salva da solo. O meglio, usando le parole del
contributo di una Conferenza Episcopale asiatica, cresciamo pian piano in
questa consapevolezza: «La sinodalità non è semplicemente un obiettivo, ma un
cammino di tutti i Fedeli, da compiere insieme mano nella mano. Per questo
comprenderne appieno il senso richiede tempo»[2]. Sant’Agostino
parla della vita cristiana come di un pellegrinaggio solidale, un camminare
insieme «verso Dio non a passi, ma con gli affetti» (Discorso 306
B, 1), condividendo una vita fatta di preghiera, annuncio e amore per il
prossimo.
Il Concilio Vaticano II insegna che «a questa unione
con Cristo luce del mondo sono chiamati tutti gli uomini: da lui veniamo, per
lui viviamo, verso di lui tendiamo» (LG 3). Al cuore del cammino sinodale sta
il desiderio, antico e sempre nuovo, di comunicare a tutti la promessa e l’invito
del Signore, custoditi nella tradizione viva della Chiesa, di riconoscere la
presenza del Risorto in mezzo a noi e di accogliere i molti frutti dell’azione
del suo Spirito. La visione della Chiesa, Popolo di pellegrini, che in ogni
parte della terra è alla ricerca della conversione sinodale per amore della
propria missione, ci guida mentre con gioia e speranza avanziamo nel percorso
del Sinodo. Questa visione contrasta duramente con la realtà di un mondo in
crisi, le cui ferite e scandalose disuguaglianze risuonano dolorosamente nel
cuore di tutti i discepoli di Cristo, spingendoci a pregare per tutte le
vittime della violenza e dell’ingiustizia e a rinnovare il nostro impegno a
fianco delle donne e degli uomini che in ogni parte del mondo si adoperano come
artigiani di giustizia e di pace.
Dopo l’apertura del processo sinodale il 9-10 ottobre
2021, le Chiese locali di tutto il mondo, con ritmi diversi ed espressioni
multiformi, si sono impegnate in una prima fase di ascolto. Appartenere alla
Chiesa significa essere inseriti nell’unico Popolo di Dio, costituito da
persone e comunità che vivono in tempi e luoghi concreti: da queste comunità è
partito l’ascolto sinodale, passando poi per le tappe diocesane, nazionali e
continentali, in un continuo dialogo rilanciato dalla Segreteria Generale del
Sinodo attraverso documenti di sintesi e di lavoro. La circolarità del processo
sinodale è un modo per riconoscere e valorizzare il radicamento della Chiesa in
una varietà di contesti, a servizio dei legami che li uniscono.
La novità di questa prima fase è stata l’esperienza
delle Assemblee continentali, che hanno riunito le Chiese locali della medesima
macroregione, invitandole a imparare ad ascoltarsi, ad accompagnarsi a vicenda
nel cammino e a discernere insieme le sfide principali che il contesto in cui
si trovano pone alla realizzazione della missione.
La Prima Sessione della XVI Assemblea Generale
Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2023) ha aperto la seconda fase,
accogliendo i frutti di questo ascolto per discernere, nella preghiera e nel
dialogo, i passi che lo Spirito chiede di compiere. Tale fase prosegue fino
alla conclusione della Seconda Sessione (ottobre 2024), che offrirà al Santo
Padre il frutto del proprio lavoro, in vista di una più intensa attuazione concreta
da parte di tutte le Chiese locali.
La preparazione della Seconda Sessione si fonda
necessariamente sui risultati della Prima, raccolti nella RdS. Sulla sua base,
in linea con la circolarità che contraddistingue l’intero processo sinodale e
in vista di una precisa focalizzazione dei lavori della Seconda Sessione, è
stata avviata una ulteriore consultazione delle Chiese locali di tutto il
mondo, a partire da una domanda guida: «Come
essere Chiesa sinodale in missione?». Come spiega il documento Verso ottobre 2024[3],
l’obiettivo della consultazione era «identificare le vie da percorrere e gli
strumenti da adottare nei diversi contesti e nelle diverse circostanze, così da
valorizzare l’originalità di ogni Chiesa locale e di ogni Battezzato nell’unica
missione di annunciare il Signore risorto e il suo Vangelo al mondo di oggi.
Non si tratta dunque di limitarsi al piano dei miglioramenti tecnici o
procedurali che rendano più efficienti le strutture della Chiesa, ma di
lavorare sulle forme concrete dell’impegno missionario a cui siamo chiamati,
nel dinamismo tra unità e diversità proprio di una Chiesa sinodale».
Le risposte alla domanda guida inviate dalla gran
parte delle Conferenze Episcopali e dai loro raggruppamenti continentali, dalle
Chiese Orientali Cattoliche, dalle Diocesi che non fanno parte di una
Conferenza Episcopale, dai Dicasteri della Curia Romana, dall’Unione Superiori
Generali e dall’Unione Internazionale delle Superiore Generali in
rappresentanza della vita consacrata, così come le testimonianze di esperienze
e buone pratiche giunte da ogni parte del mondo e le osservazioni di quasi
duecento realtà internazionali, facoltà universitarie, associazioni di Fedeli,
comunità e singole persone, hanno costituito la base per la redazione di questo
Instrumentum laboris per la Seconda
Sessione, radicandolo nella vita del Popolo di Dio di tutto il mondo.
Queste voci hanno dato espressione alla gratitudine
per il cammino fatto, alle fatiche che esso talvolta richiede, ma soprattutto
al desiderio di muovere passi in avanti. Così si esprime una Conferenza Episcopale
dell’America settentrionale: «La gratitudine per il cammino sinodale è profonda
[…] Rimangono anche tensioni, che richiederanno di proseguire nella riflessione
e nel dialogo, traendo ispirazione dall’idea di cultura dell’incontro proposta
da Papa Francesco. Ma queste tensioni non rompono la comunione della carità
nella Chiesa». Ricordano anche che la strada da fare è ancora lunga.
Come già nelle fasi precedenti, vengono riaffermati i
frutti dell’adozione del metodo della conversazione nello Spirito. Segnala ad
esempio una federazione di Conferenze Episcopali: «Molte sintesi provenienti da
tutta l’Asia esprimono un incredibile entusiasmo per la metodologia sinodale,
che usa la conversazione nello Spirito come punto di partenza del cammino.
Molte Diocesi e Conferenze Episcopali hanno introdotto questo metodo nelle loro
strutture, con grande successo». Questo entusiasmo si è già tradotto in passi
concreti di sperimentazione di un modo di procedere più sinodale. In una
Conferenza Episcopale europea «si è deciso di avviare una fase di
sperimentazione sinodale di cinque anni. A livello nazionale si tratta di
sviluppare, valutare e perfezionare forme di consultazione sinodale, di
dialogo, di discernimento, così come processi decisionali che articolino la
fase dell’elaborazione (decision-making) con la presa della decisione (decision-taking).
Si prenderanno in considerazione le esperienze delle Diocesi, così come gli
sviluppi sinodali nelle altre parti del mondo e nella Chiesa universale. Siamo
all’inizio di un percorso di apprendimento esigente ma importante». Grande è la
consapevolezza del valore delle Chiese locali e del loro cammino, della
ricchezza di cui sono portatrici e della necessità che le loro voci siano
ascoltate. Secondo la sintesi inviata da una Conferenza Episcopale africana «non
si possono più considerare e trattare le Chiese locali semplicemente come
destinatarie dell’annuncio del Vangelo, che hanno poco o nulla con cui
contribuire».
A questi contributi si sono aggiunti i frutti dell’Incontro
internazionale “I Parroci per il Sinodo” (Sacrofano [Roma], 28 aprile – 2
maggio 2024), che ha consentito di dare ascolto ai Presbiteri impegnati nel
ministero parrocchiale. Le sintesi dei gruppi di lavoro esprimono innanzi tutto
«la gioia per la possibilità di ascoltarsi a vicenda: una esperienza
arricchente, che ha alimentato un profondo senso di comprensione e di rispetto
per le specificità del contesto di provenienza di ciascuno». Esprimono «il
bisogno di una nuova comprensione del ruolo del Parroco in una Chiesa sinodale,
nel rispetto della varietà delle tradizioni nella Chiesa» e la preoccupazione
di non riuscire a raggiungere le periferie e coloro che vivono ai margini: «Se
la Chiesa vuole essere sinodale, deve ascoltare queste persone».
Ugualmente hanno offerto materiali per la redazione di
questo Instrumentum laboris i cinque
Gruppi di lavoro costituiti dalla Segreteria Generale del Sinodo, composti da
esperti di diversa provenienza geografica, genere e condizione ecclesiale, che
hanno lavorato con metodo sinodale in vista di un approfondimento teologico e
canonistico della nozione di sinodalità e delle sue implicazioni per la vita
della Chiesa[4].
A un gruppo di esperti, composto da Vescovi, Presbiteri,
Consacrati, Laici, uomini e donne, teologi, canonisti e biblisti, di tutti i
continenti e di diversa condizione ecclesiale, è stato affidato il compito di
leggere tutti i contributi e materiali pervenuti, articolando le risposte date
alla domanda fondamentale in vista della redazione di questo Instrumentum
laboris. Le riflessioni di questo gruppo, così come quelle dei cinque
Gruppi di lavoro sopra menzionati, si affiancheranno agli altri contributi e
documenti che accompagnano il cammino sinodale.
A fianco al lavoro di preparazione della Seconda
Sessione, ha preso il via quello dei dieci Gruppi di studio[5],
incaricati di approfondire altrettante tematiche[6] emergenti
dalla RdS, identificate dal Santo Padre al termine di una consultazione
internazionale. Questi Gruppi di studio, formati da Pastori ed esperti di tutti
i continenti, seguono un metodo di lavoro sinodale, sono «costituiti di comune
accordo tra i Dicasteri della Curia Romana competenti per i diversi temi e la
Segreteria Generale del Sinodo, a cui è affidato il coordinamento», in base al Chirografo firmato da Papa Francesco il
16 febbraio 2024 e nello spirito della Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium (art. 33).
Dovranno completare l’approfondimento entro giugno 2025, se possibile, ma
offriranno all’Assemblea di ottobre 2024 una relazione sullo stato di avanzamento
dei lavori. In questo modo, senza aspettare la conclusione della Seconda
Sessione, Papa Francesco ha già recepito alcune indicazioni della Prima e
avviato i lavori della fase di attuazione, nella forma prevista dalla
Costituzione Apostolica Episcopalis Communio: «Insieme al Dicastero
della Curia Romana competente, nonché, secondo il tema e le circostanze, agli
altri Dicasteri in vario modo interessati, la Segreteria Generale del Sinodo
promuove per la propria parte l’attuazione degli orientamenti sinodali
approvati dal Romano Pontefice» (art. 20, c. 1). Inoltre, d’intesa con il
Dicastero per i Testi Legislativi, al servizio del Sinodo è stata istituita una
Commissione canonistica. Infine, in attuazione dell’indicazione data dalla
Prima Sessione (cfr. RdS 16q), il 25 aprile 2024 il SECAM (Simposio delle
Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar) ha annunciato la
costituzione di una Commissione speciale per il discernimento delle
implicazioni teologiche e pastorali della poligamia per la Chiesa in Africa.
Uno strumento di
lavoro per la Seconda Sessione
Attraverso un cammino intessuto di silenzio,
preghiera, ascolto della Parola di Dio, dialogo fraterno e incontri gioiosi, a volte
non privi di fatiche, come Popolo di Dio abbiamo maturato una più profonda
consapevolezza della nostra relazione di fratelli e sorelle in Cristo, con la
comune responsabilità di essere una comunità di salvati che con la parola e con
la vita annuncia al mondo intero la bellezza del Regno di Dio. Questa identità
non è una idea astratta, ma una esperienza vissuta, intessuta di nomi e volti.
Nella preparazione alla Seconda Sessione, e durante i suoi lavori, continuiamo
ad affrontare questa domanda: come l’identità
di Popolo di Dio sinodale in missione può prendere forma concreta nelle
relazioni, percorsi e luoghi nel cui intreccio si svolge la vita della Chiesa?
A questo scopo deve servire il presente Instrumentum
laboris, per cui vale quanto già si affermava di quello per la Prima
Sessione: «non è un documento del Magistero della Chiesa, né il report di una
indagine sociologica; non offre la formulazione di indicazioni operative, di
traguardi e obiettivi, né la compiuta elaborazione di una visione teologica» (n.
10; cfr. DTC n. 8). Per comprenderlo è fondamentale collocarlo all’interno del
processo sinodale nel suo insieme, in quanto è intessuto della circolarità del
dialogo tra le Chiese, animato e sostenuto dal lavoro della Segreteria Generale
del Sinodo. La Prima Sessione dell’Assemblea (2023) aveva raccolto i frutti della
doppia consultazione locale e continentale alla ricerca sui «segni
caratteristici di una Chiesa sinodale e sulle dinamiche di comunione, missione
e partecipazione che la abitano» (RdS, Introduzione). Attraverso la preghiera, il
dialogo e il discernimento ha raccolto ed espresso nella RdS le convergenze, le
questioni da affrontare e le proposte emerse dal lavoro comune. Ne emerge
quella che possiamo descrivere come una prima risposta alla domanda «Chiesa sinodale,
che dici di te stessa?». La Seconda Sessione non ripercorre gli stessi passi,
ma è chiamata ad andare oltre, focalizzandosi sulla sua domanda guida: «Come
essere Chiesa sinodale in missione?». Su altre questioni emerse durante il
cammino il lavoro sta proseguendo con altre modalità, a livello delle Chiese
locali così come nei dieci Gruppi di studio. Le due Sessioni non possono essere
separate, né tantomeno opposte: sono in continuità, e soprattutto fanno parte
di un processo più ampio che, sulla base di quanto indicato dalla Costituzione
Apostolica Episcopalis communio, non terminerà alla fine di ottobre
2024.
Concretamente questo Instrumentum laboris si
apre con una sezione dedicata ai Fondamenti della comprensione della
sinodalità, che ripropone la consapevolezza maturata lungo il percorso e
sancita dalla Prima Sessione. Seguono tre Parti strettamente intrecciate, che
illuminano da prospettive diverse la vita sinodale missionaria della Chiesa: I)
la prospettiva delle Relazioni – con il Signore, tra i fratelli e le sorelle e
tra le Chiese – che sostengono la vitalità della Chiesa ben più radicalmente
delle sue strutture; II) la prospettiva dei Percorsi che sorreggono e
alimentano nella concretezza il dinamismo delle relazioni; III) la prospettiva dei
Luoghi che, contro la tentazione di un universalismo astratto, parlano della
concretezza dei contesti in cui si incarnano le relazioni, con la loro varietà,
pluralità e interconnessione, e con il loro radicamento nel fondamento sorgivo
della professione di fede. Ciascuna di queste Sezioni sarà oggetto della
preghiera, dello scambio e del discernimento in uno dei moduli che scandiranno
i lavori della Seconda Sessione, in cui ciascuno sarà invitato a «offrire il
proprio contributo come un dono per gli altri e non come una certezza assoluta»
(RdS, Introduzione), in un percorso che i membri dell’Assemblea sono chiamati a
scrivere insieme. Su questa base sarà elaborato un Documento Finale, relativo a
tutto il processo finora compiuto, che offrirà al Santo Padre orientamenti sui
passi da compiere e sulle modalità concrete per farlo.
Possiamo aspettarci un approfondimento della
comprensione condivisa della sinodalità, una migliore messa a fuoco delle
pratiche di una Chiesa sinodale e anche la proposta di qualche cambiamento nel
diritto canonico (altri, più significativi, ce ne potranno essere dopo aver
meglio assimilato e vivificato la proposta di fondo), ma certo non la risposta
ad ogni domanda. Anche perché altre ne emergeranno lungo il cammino di
conversione e di riforma che la Seconda Sessione inviterà la Chiesa tutta a
compiere. Tra i guadagni del processo fin qui svolto possiamo certamente
annoverare l’aver sperimentato e appreso un metodo con cui affrontare insieme
le questioni, nel dialogo e nel discernimento. Stiamo ancora imparando come
essere Chiesa sinodale missionaria, ma è un compito che abbiamo sperimentato di
poter intraprendere con gioia.
Questa sezione
dell’Instrumentum laboris cerca di delineare i fondamenti della
visione di una Chiesa sinodale missionaria, invitandoci ad approfondire la
comprensione del mistero della Chiesa. Lo fa senza pretendere di offrire un
trattato completo di ecclesiologia, ma ponendosi a servizio del percorso di
discernimento dell’Assemblea sinodale di ottobre 2024. Rispondere alla domanda
«Come essere Chiesa sinodale in missione?» richiede un orizzonte entro cui inserire
le riflessioni e le proposte pastorali e teologiche, orientando un percorso che
è fondamentalmente un cammino di conversione e riforma. A loro volta, i passi
concreti che la Chiesa intraprenderà consentiranno di mettere meglio a fuoco
l’orizzonte e approfondire la comprensione dei fondamenti, in una circolarità
che segna tutta la storia della Chiesa.
In Cristo, luce
di tutte le genti, siamo un unico Popolo di Dio, chiamato a essere segno e
strumento dell’unione con Dio e dell’unità del genere umano. Lo facciamo
camminando insieme nella storia, vivendo la comunione che si alimenta alla vita
trinitaria, promovendo la partecipazione di tutti, in vista della comune missione.
Questa visione è ben radicata nella tradizione viva della Chiesa. Il processo
sinodale ha permesso di maturarne una rinnovata consapevolezza, che si esprime nelle
convergenze emerse durante il cammino iniziato nel 2021. La Prima Sessione
dell’Assemblea sinodale (ottobre 2023) le ha riconosciute e raccolte nella RdS,
che le ha rilanciate alla Chiesa intera in vista del discernimento che completerà
la Seconda Sessione.
La Chiesa Popolo di Dio,
sacramento di unità
1. Dal Battesimo nel nome del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo scaturisce l’identità mistica, dinamica e comunitaria del
Popolo di Dio, orientata alla pienezza della vita in cui il Signore Gesù ci
precede e alla missione di invitare ogni uomo e ogni donna ad accogliere nella
libertà il dono della salvezza (cfr. Mt 28,18-19). Nel Battesimo Gesù ci
riveste di sé, condivide con noi la sua identità e la sua missione (cfr. Gal
3,27).
2. «È piaciuto a Dio di santificare e salvare gli
uomini non separatamente e senza alcun legame fra di loro, ma ha voluto
costituirli in un Popolo che lo riconoscesse nella verità e lo servisse nella
santità» (LG 9), partecipando della comunione della Trinità. Nel suo Popolo e
attraverso di esso, Dio realizza e manifesta la salvezza che ci dona in Cristo.
La sinodalità è radicata in questa visione dinamica di Popolo di Dio con una
vocazione universale alla santità e alla missione, in pellegrinaggio verso il
Padre sulle orme di Gesù Cristo e animato dallo Spirito Santo. Nei diversi
contesti nei quali vive e cammina, questo Popolo di Dio sinodale e missionario
annuncia e testimonia la Buona Notizia della salvezza; camminando insieme a
tutti i popoli della terra, con le loro culture e le loro religioni, dialoga
con loro e li accompagna.
3. Il processo sinodale ha sviluppato la
consapevolezza di che cosa significa essere Popolo di Dio riunito come «Chiesa
da ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (RdS 5), che vive il suo cammino verso
il Regno in contesti e culture diverse. Il Popolo di Dio è il soggetto
comunitario che attraversa le tappe della storia della salvezza, in cammino
verso la pienezza. Il Popolo di Dio non è mai la somma dei Battezzati, ma il
“noi” della Chiesa, soggetto comunitario e storico della sinodalità e della
missione, perché tutti possano ricevere la salvezza preparata da Dio.
Incorporati in questo Popolo per la fede e il Battesimo, siamo accompagnati dalla
Vergine Maria, «segno di sicura speranza e di consolazione per il Popolo di Dio
che è in cammino fino a quando arriverà il giorno del Signore (cfr. 2Pt 3,10)»
(LG 68), dagli Apostoli, da coloro che hanno testimoniato la loro fede fino a
dare la vita, dai santi riconosciuti e dai santi “della porta accanto”.
4. «La luce delle genti è Cristo» (LG 1) e questa luce
risplende sul volto della Chiesa, che «è, in Cristo, come sacramento, cioè
segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere
umano» (ibid.). Come la luna, la Chiesa brilla di luce riflessa: non può
quindi intendere la propria missione in senso autoreferenziale, ma riceve la
responsabilità di essere il sacramento dei legami, delle relazioni e della
comunione in vista dell’unità di tutto il genere umano, anche nel nostro tempo
così dominato dalla crisi della partecipazione, cioè del sentirsi parte di un
destino comune, e da una concezione troppo spesso individualista della felicità
e quindi della salvezza. Nella missione la Chiesa comunica al mondo il progetto
di Dio di unire a sé tutta l’umanità nella salvezza. Nel farlo non annuncia sé
stessa, «ma Cristo Gesù Signore» (2Cor 4,5). Se così non fosse, smarrirebbe il
suo essere, in Cristo, «come sacramento» (cfr. LG 1) e dunque la propria
identità e ragion d’essere. Nella via verso la pienezza, la Chiesa è il
sacramento del Regno di Dio nel mondo.
Il significato condiviso
di sinodalità
5. I termini sinodalità e sinodale,
derivati dall’antica e costante pratica ecclesiale del radunarsi in sinodo[7],
grazie all’esperienza degli ultimi anni sono stati maggiormente compresi e più
ancora vissuti. Sempre più essi sono stati associati al «desiderio di una
Chiesa più vicina alle persone, meno burocratica e più relazionale» (RdS 1b),
che sia casa e famiglia di Dio. Nel corso della sua Prima Sessione, l’Assemblea
ha maturato una convergenza sul significato di “sinodalità” che sta alla base
di questo Instrumentum laboris. I diversi percorsi di approfondimento
attualmente in corso puntano a mettere meglio a fuoco la prospettiva cattolica su
questa dimensione costitutiva della Chiesa, in un dialogo con le altre tradizioni
cristiane rispettoso delle differenze e delle peculiarità di ciascuna. Nel suo
senso più ampio, «la sinodalità è il camminare insieme dei cristiani con Cristo
e verso il Regno, in unione a tutta l’umanità; orientata alla missione, essa
comporta il riunirsi in assemblea ai diversi livelli della vita ecclesiale,
l’ascolto reciproco, il dialogo, il discernimento comunitario, la creazione del
consenso come espressione del rendersi presente di Cristo vivo nello Spirito e
l’assunzione di una decisione in una corresponsabilità differenziata» (RdS 1h).
6. Sinodalità designa pertanto «lo stile peculiare che
qualifica la vita e la missione della Chiesa» (CTI, n. 70), uno stile che parte
dall’ascolto come primo atto della Chiesa. La fede, che nasce dall’ascolto dell’annuncio
della Buona Notizia (cfr. Rm 10,17), dell’ascolto vive: ascolto della Parola di
Dio, ascolto dello Spirito Santo, ascolto gli uni degli altri, ascolto della
tradizione viva della Chiesa e del suo magistero. Nelle tappe del processo
sinodale, ancora una volta la Chiesa ha sperimentato ciò che le Scritture
insegnano: è possibile annunciare solo ciò che si è ascoltato.
7. La sinodalità «deve esprimersi nel modo ordinario
di vivere e operare della Chiesa […e] si realizza attraverso l’ascolto
comunitario della Parola e la celebrazione dell’Eucaristia, la fraternità della
comunione e la corresponsabilità e partecipazione di tutto il Popolo di Dio, ai
suoi vari livelli e nella distinzione dei diversi ministeri e ruoli, alla sua
vita e alla sua missione» (ibid.). Il termine indica poi le strutture e
i processi ecclesiali in cui la natura sinodale della Chiesa si esprime a
livello istituzionale, e infine designa quegli eventi particolari in cui la
Chiesa è convocata dall’autorità competente (cfr. ibid.). Nel suo
riferirsi alla realtà della Chiesa, la categoria di sinodalità non si pone come
alternativa a quella di comunione. Infatti, nel contesto dell’ecclesiologia del
Popolo di Dio illustrata dal Concilio Vaticano II, il concetto di comunione esprime
la sostanza profonda del mistero e della missione della Chiesa, che ha nella
celebrazione dell’Eucaristia la sua fonte e il suo culmine, ossia l’unione con
Dio Trinità e l’unità tra le persone umane che si realizza in Cristo mediante
lo Spirito Santo. La sinodalità,
nello stesso contesto, «indica lo specifico modo di vivere e operare della
Chiesa Popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere
comunione nel “camminare insieme”, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare
attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice» (CTI, n.
6).
8. La sinodalità non comporta in alcun modo la svalutazione
della particolare autorità e lo specifico compito che Cristo stesso affida ai Pastori:
i Vescovi con i Presbiteri, loro collaboratori, e il Romano Pontefice quale «perpetuo
e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della
moltitudine dei Fedeli» (LG 23). Piuttosto, offre «la cornice interpretativa
più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico» (Francesco, Discorso
in commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi,
17 ottobre 2015), invitando tutta la Chiesa, compresi quanti esercitano un’autorità,
a una vera conversione e riforma.
9. La sinodalità non è fine a sé stessa. In quanto
offre la possibilità di esprimere la natura della Chiesa e in quanto permette
di valorizzare tutti carismi, le vocazioni e i ministeri nella Chiesa, essa
consente alla comunità di coloro che «credono e guardano a Gesù» (LG 9) di
annunciare nel modo più adeguato il Vangelo alle donne e agli uomini di ogni
luogo e di ogni tempo, e di essere «sacramento visibile» (ibid.) dell’unità
salvifica voluta da Dio. Sinodalità e missione sono dunque intimamente
congiunte. Se la Seconda Sessione mette a fuoco alcuni aspetti della vita sinodale,
lo fa in vista di una maggiore efficacia nella missione. Allo stesso tempo, la
sinodalità è la condizione per proseguire il cammino ecumenico verso l’unità
visibile di tutti i cristiani. Della recezione dei frutti del cammino ecumenico
nelle prassi ecclesiali si occupa il Gruppo di studio n. 10.
L’unità come armonia
nelle differenze
10. Il dinamismo della comunione ecclesiale e quindi
della vita sinodale della Chiesa trova nella liturgia eucaristica il proprio
modello e il proprio compimento. In essa la comunione dei Fedeli (communio Fidelium) è al tempo stesso la
comunione delle Chiese (communio
Ecclesiarum), che si
manifesta nella comunione dei Vescovi (communio
Episcoporum), in ragione del principio antichissimo
che «la Chiesa è nel Vescovo e il Vescovo è nella Chiesa» (S. Cipriano, Epistola 66, 8). Al servizio della
comunione il Signore ha posto l’apostolo Pietro (cfr. Mt 16,18) e i suoi
successori. In forza del ministero petrino, il Vescovo di Roma è «il perpetuo e
visibile principio e il fondamento» (LG 23) dell’unità della Chiesa, espressa
nella comunione di tutti i Fedeli, di tutte le Chiese, di tutti i Vescovi. Si
manifesta così l’armonia che lo Spirito opera nella Chiesa, Lui che è l’armonia
in persona (cfr. S. Basilio, Sul Salmo 29,
1)
11. Lungo il processo sinodale, il desiderio di unità
della Chiesa è cresciuto di pari passo con la consapevolezza delle diversità di
cui è portatrice. Proprio la condivisione tra le Chiese ha ricordato che non c’è
missione senza contesto, ossia senza una chiara consapevolezza che il dono del
Vangelo è offerto a persone e comunità che vivono in tempi e luoghi
particolari, non chiusi in sé stessi ma portatori di storie che vanno
riconosciute, rispettate, invitate ad aprirsi a più ampi orizzonti. Uno dei
doni più grandi ricevuti lungo il cammino è stata la possibilità di incontrare
e celebrare la bellezza del «volto pluriforme della Chiesa» (S. Giovanni Paolo
II, Novo Millennio Ineunte, 40). Il rinnovamento sinodale favorisce
la valorizzazione dei contesti come luogo in cui si rende presente e si
realizza l’universale chiamata di Dio a far parte del suo Popolo, di quel Regno
di Dio che è «giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17). In
questo modo, culture diverse sono in grado di cogliere l’unità che sottende e
completa la loro vibrante pluralità. La valorizzazione dei contesti, delle
culture e delle diversità è una chiave per crescere come Chiesa sinodale
missionaria.
12. Ugualmente è cresciuta la consapevolezza della
varietà di carismi e vocazioni che lo Spirito Santo costantemente suscita nel Popolo
di Dio. Nasce così il desiderio di crescere nella capacità di discernerli, di
comprenderne le relazioni all’interno della vita concreta di ciascuna Chiesa e
della Chiesa tutta, e soprattutto di articolarli per il bene della missione. Questo
significa anche riflettere più profondamente sulla questione della
partecipazione in rapporto con la comunione e la missione. In ogni fase del
processo è emerso il desiderio di ampliare le possibilità di partecipazione e di
esercizio della corresponsabilità di tutti i Battezzati, uomini e donne, nella
varietà dei loro carismi, vocazioni e ministeri. Questo desiderio punta in tre direzioni.
La prima è la necessità di “aggiornare” la capacità di annuncio e trasmissione
della fede con modalità e mezzi appropriati al contesto attuale. La seconda è il
rinnovamento della vita liturgica e sacramentale, a partire da celebrazioni
belle, dignitose, accessibili, pienamente partecipative, ben inculturate e
capaci di alimentare lo slancio verso la missione. La terza direzione muove
dalla tristezza provocata dalla mancata partecipazione di tanti membri del
Popolo di Dio a questo cammino di rinnovamento ecclesiale e dalla fatica della
Chiesa nel vivere pienamente una sana relazionalità tra uomini e donne, tra
generazioni e tra persone e gruppi di diverse identità culturali e condizioni
sociali, in particolare i poveri e gli esclusi. Questa debolezza nella
reciprocità, nella partecipazione e nella comunione rimane un ostacolo a un
pieno rinnovamento della Chiesa in senso sinodale missionario.
Sorelle e fratelli in
Cristo: una rinnovata reciprocità
13. La prima differenza che incontriamo come persone
umane è quella tra uomini e donne. La nostra vocazione di cristiani è quella di
onorare questa differenza donata da Dio vivendo all’interno della Chiesa una
dinamica reciprocità relazionale come segno per il mondo. Nel riflettere su
questa visione in chiave sinodale, i contributi raccolti in tutte le fasi hanno
evidenziato la necessità di dare un riconoscimento più pieno ai carismi, alla
vocazione e al ruolo delle donne in tutti gli ambiti della vita della Chiesa
come passo indispensabile per promuovere questa reciprocità relazionale. La
prospettiva sinodale evidenzia tre punti di riferimento teologici come guida per
il discernimento: a) la partecipazione si radica nelle implicazioni
ecclesiologiche del Battesimo; b) in quanto Popolo di Battezzati siamo chiamati
a non sotterrare i nostri talenti, ma a riconoscere i doni che lo Spirito
effonde su ciascuno per il bene della comunità e del mondo; c) nel rispetto
della vocazione di ciascuno, i doni che lo Spirito concede ai Fedeli sono
ordinati l’uno all’altro e la collaborazione di tutti i Battezzati va praticata
nella chiave della corresponsabilità. A guidarci nella riflessione è la
testimonianza delle Sacre Scritture: Dio ha scelto alcune donne come prime
testimoni e annunciatrici della risurrezione. In forza del Battesimo sono in
condizione di piena uguaglianza, ricevono la medesima effusione di doni da
parte dello Spirito e sono chiamate al servizio della missione di Cristo.
14. In questo senso, il primo cambiamento da operare è
quello della mentalità: una conversione a una visione di relazionalità,
interdipendenza e reciprocità tra donne e uomini, che sono sorelle e fratelli in
Cristo, in vista della comune missione. Sono la comunione, la partecipazione e
la missione della Chiesa a soffrire le conseguenze di una mancata conversione
delle relazioni e delle strutture. Come afferma il contributo di una Conferenza
Episcopale latinoamericana: «una Chiesa in cui tutti i membri posso sentirsi
corresponsabili è anche un luogo attraente e credibile».
15. I contributi delle Conferenze Episcopali
riconoscono che sono numerosi gli ambiti della vita della Chiesa aperti alla partecipazione
delle donne. Tuttavia notano anche che queste possibilità di partecipazione
rimangono spesso inutilizzate. Per questo suggeriscono che la Seconda Sessione
ne promuova la consapevolezza e ne incoraggi l’ulteriore sviluppo nell’ambito delle
Parrocchie, delle Diocesi e delle altre realtà ecclesiali, compresi gli
incarichi di responsabilità. Chiedono inoltre di esplorare ulteriori forme
ministeriali e pastorali che dare migliore espressione ai carismi che lo
Spirito effonde sulle donne in risposta alle esigenze pastorali del nostro
tempo. Così si esprime una Conferenza Episcopale latinoamericana: «Nella nostra
cultura permane forte la presenza del maschilismo, mentre è necessaria una
partecipazione più attiva delle donne in tutti gli ambiti ecclesiali. Come
afferma Papa Francesco, la loro prospettiva è indispensabile nei processi
decisionali e nell’assunzione di ruoli nelle diverse forme di pastorale e di
missione».
16. Dai contributi delle Conferenze Episcopali
emergono richieste concrete da sottoporre all’esame della Seconda Sessione, tra
cui: a) la promozione di spazi di dialogo nella Chiesa, in modo che le donne
possano condividere esperienze, carismi, competenze, intuizioni spirituali,
teologiche e pastorali per il bene di tutta la Chiesa; b) una più ampia
partecipazione delle donne nei processi di discernimento ecclesiale e a tutte
le fasi dei processi decisionali (elaborazione e presa delle decisioni); c) un
più ampio accesso a posizioni di responsabilità nelle Diocesi e nelle
istituzioni ecclesiastiche, in linea con le disposizioni già esistenti; d) un
maggiore riconoscimento e un più deciso sostegno alla vita e ai carismi delle Consacrate
e il loro impiego in posizioni di responsabilità; e) l’accesso delle donne a posizioni
di responsabilità nei Seminari, negli Istituti e nelle Facoltà teologiche; f)
l’aumento del numero delle donne che svolgono il ruolo di giudice nei processi
canonici. I contributi continuano inoltre a chiedere attenzione all’uso del
linguaggio e di una serie di immagini tratte dalle Scritture e dalla tradizione
nella predicazione, nell’insegnamento, nella catechesi e nella redazione dei
documenti ufficiali della Chiesa.
17. Mentre alcune Chiese locali chiedono che le donne
siano ammesse al ministero diaconale, altre ribadiscono la loro contrarietà. Su
questo tema, che non sarà oggetto dei lavori della Seconda Sessione, è bene che
prosegua la riflessione teologica, con tempi e modalità adeguati. Alla sua
maturazione contribuiranno i frutti del Gruppo di studio n. 5, il quale
prenderà in considerazione i risultati delle due Commissioni che si sono
occupate della questione in passato.
18. Molte delle richieste sopra espresse valgono anche
per gli uomini laici, di cui si lamenta spesso la scarsa partecipazione alla vita
della Chiesa. In generale, la riflessione sul ruolo delle donne spesso
evidenzia il desiderio di un rafforzamento di tutti i ministeri esercitati dai
Laici (uomini e donne). Si chiede inoltre che Fedeli laici, uomini e donne, adeguatamente
formati possano contribuire alla predicazione della Parola di Dio anche durante
la celebrazione dell’Eucaristia.
Chiamata alla
conversione e alla riforma
19. Gesù iniziò il suo ministero pubblico con una
chiamata alla conversione (cfr. Mc 1,15). È un invito a ripensare il modo di
vivere personale e comunitario e a lasciarsi trasformare dallo Spirito. Nessuna
riforma potrebbe limitarsi alle sole strutture, ma deve radicarsi in una
trasformazione interiore secondo i «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5). Per
una Chiesa sinodale, la prima conversione è quella dell’ascolto, la cui
riscoperta è stato uno dei frutti maggiori del percorso compiuto sino a oggi:
innanzitutto l’ascolto dello Spirito Santo, che del Sinodo è il vero
protagonista, e poi l’ascolto reciproco come disposizione fondamentale per la
missione.
20. Lo stile sinodale della Chiesa offre molti spunti
importanti per l’umanità. In un’epoca segnata da disuguaglianze sempre più
marcate, da una crescente disillusione nei confronti dei modelli tradizionali di
governo, dal disincanto per il funzionamento della democrazia e dal predominio
del modello di mercato nelle relazioni interumane, dalla tentazione di
risolvere i conflitti con la forza e non con il dialogo, la sinodalità potrebbe
offrire una ispirazione per il futuro delle nostre società. La sua attrattiva
deriva dal fatto che non è una strategia gestionale, ma una pratica da vivere e
celebrare nella gratitudine. Il modo sinodale di vivere le relazioni è una
testimonianza sociale che risponde al profondo bisogno umano di essere accolti
e sentirsi riconosciuti all’interno di una comunità concreta. È una sfida al
crescente isolamento delle persone e all’individualismo culturale, che anche la
Chiesa ha spesso assorbito, e ci richiama alla cura reciproca, all’interdipendenza
e alla corresponsabilità per il bene comune. Ma è anche una sfida a un
comunitarismo sociale esagerato che soffoca le persone e non permette loro di
essere soggetti liberi del proprio sviluppo. La disponibilità all’ascolto di
tutti, specialmente dei poveri, che lo stile di vita sinodale promuove, si pone
in netto contrasto con un mondo in cui la concentrazione del potere taglia
fuori i poveri, gli emarginati e le minoranze. La concretezza del processo
sinodale ha dimostrato quanto la Chiesa stessa abbia bisogno di crescere in
questa dimensione: su questo tema lavora il Gruppo di studio n. 2.
21. In ogni fase del processo sinodale è risuonato con
forza il bisogno di guarigione, riconciliazione e ripristino della fiducia
all’interno della Chiesa e della società. Si tratta di una direttrice
fondamentale dell’impegno missionario del Popolo di Dio nel nostro mondo, e al
tempo stesso di un dono che dobbiamo invocare dall’alto. Il desiderio di
camminare su questa strada è esso stesso un frutto del rinnovamento sinodale.
Lungo tutto il processo
sinodale e a tutte le latitudini è emersa la richiesta di una Chiesa non
burocratica, ma capace di nutrire le relazioni: con il Signore, tra uomini e
donne, nella famiglia, nella comunità, tra gruppi sociali. Solo una trama di
relazioni che intrecci la molteplicità delle appartenenze è in grado di sostenere
le persone e le comunità, offrendo loro punti di riferimento e di orientamento
e mostrando la bellezza della vita secondo il Vangelo: è nelle relazioni – con
Cristo, con gli altri, nella comunità – che si trasmette la fede.
In quanto
esigenza della missione, la sinodalità non va pensata come un espediente
organizzativo, ma vissuta e coltivata come l’insieme dei modi in cui i
discepoli di Gesù intessono relazioni solidali, capaci di corrispondere
all’amore divino che continuamente li raggiunge e che essi sono chiamati a testimoniare
nei contesti concreti in cui si trovano. Capire come essere Chiesa sinodale in
missione passa dunque da una conversione relazionale, che riorienti le priorità
e l’azione di ciascuno, in particolare di coloro che hanno il compito di animare
le relazioni a servizio dell’unità, nella concretezza di uno scambio di doni
che libera e arricchisce tutti.
In Cristo e nello
Spirito: l’iniziazione cristiana
22. «La Chiesa pellegrinante è missionaria per sua
natura, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione
dello Spirito Santo secondo il progetto di Dio Padre» (AG 2). L’incontro con
Gesù, l’adesione di fede alla sua persona, l’iniziazione cristiana introducono
nella vita stessa della Trinità. Donando lo Spirito Santo, il Signore Gesù rende
partecipi della sua relazione con il Padre coloro che ricevono il Battesimo. Lo
Spirito di cui Gesù era pieno e che lo guidava (cfr. Lc 4,1), che lo ha
consacrato con l’unzione e inviato a proclamare il Vangelo (cfr. Lc 4,18), che
lo ha risuscitato dai morti (cfr. Rm 8,11), è lo stesso Spirito che consacra
con l’unzione i membri del Popolo di Dio. Questo Spirito ci rende figli ed
eredi di Dio e per mezzo suo ci rivolgiamo a Dio chiamandolo «Abbà! Padre!»
(Gal 4,6; Rm 8,15).
23. Per comprendere la natura di una Chiesa sinodale
in missione è indispensabile coglierne il fondamento trinitario, e in
particolare il legame tra l’opera di Cristo e l’opera dello Spirito Santo nella
storia umana e nella Chiesa: «Lo Spirito Santo, che abita nei credenti e
riempie e regge tutta la Chiesa, produce quella meravigliosa comunione dei Fedeli
e tanto intimamente tutti unisce in Cristo, da essere il principio dell’unità
della Chiesa» (UR 2). Per questo il cammino dell’iniziazione cristiana dell’adulto
è un contesto privilegiato per comprendere la vita sinodale della Chiesa. Ne
mette in luce l’origine e il fondamento: le relazioni che uniscono e
distinguono le tre divine Persone. Con i doni battesimali lo Spirito Santo ci conforma
a Cristo re, sacerdote e profeta, ci rende membra del suo corpo, che è la
Chiesa, e ci fa figli dell’unico Padre. Riceviamo così la chiamata alla
missione e alla corresponsabilità per ciò che ci unisce nell’una e unica Chiesa.
Quei doni hanno un triplice e inscindibile orientamento: personale, comunitario
e missionario. Essi abilitano e impegnano ogni Battezzato, uomo o donna: alla
costruzione di relazioni fraterne nella propria comunità ecclesiale; alla
ricerca di una comunione sempre più visibile e profonda con tutti coloro con
cui condividono lo stesso Battesimo; all’annuncio e alla testimonianza del
Vangelo.
24. Se da un lato la sinodalità missionaria si radica
nell’iniziazione cristiana, dall’altro essa deve illuminare il modo in cui il
Popolo di Dio vive concretamente l’itinerario dell’iniziazione e lo assume,
facendolo proprio per quello che realmente significa, superando una sua visione
statica e individualista, non sufficientemente legata alla sequela di Cristo e
alla vita nello Spirito, per recuperarne il valore dinamico e trasformativo.
Nei primi secoli, leggendo nella Genesi che al sesto giorno Dio disse:
«Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza» (Gen 1,26), i
cristiani scorsero come il dinamismo relazionale fosse inscritto
nell’antropologia della creazione. Videro nell’immagine quella del Figlio
incarnato e nella somiglianza la possibilità graduale della conformazione, il
manifestarsi dell’avventura benefica della libertà di scegliere di essere con e
come Cristo. Questa avventura inizia con l’ascolto della Parola di Dio, grazie
a cui il catecumeno entra progressivamente nella sequela di Cristo Gesù. Il
Battesimo è a servizio del dinamismo della somiglianza, e per questo non è un
atto puntuale chiuso nel momento della sua celebrazione, ma un dono che deve
essere confermato, alimentato e messo a frutto attraverso l’impegno alla
conversione, al servizio della missione e alla partecipazione alla vita della
comunità. L’iniziazione cristiana culmina infatti nell’Eucarestia domenicale,
che si ripete ogni settimana, segno del dono incessante della grazia che ci
conforma a Cristo e ci rende membra del suo corpo e alimento che ci sostiene
nel cammino di conversione e nella missione.
25. In questo senso, l’assemblea eucaristica manifesta
e alimenta la vita sinodale missionaria della Chiesa. Nella partecipazione di
tutti i cristiani, nella presenza di diversi ministeri e nella presidenza da
parte del Vescovo o del Presbitero, si rende visibile la comunità cristiana,
nella quale si realizza una corresponsabilità differenziata di tutti per la
missione. La liturgia, come «culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e
insieme fonte da cui promana tutto il suo vigore» (SC 10), è contemporaneamente
la fonte della vita sinodale della Chiesa e il prototipo di ogni evento
sinodale, facendo apparire «come in uno specchio» (1Cor 13,12; cfr. DV 7) il
mistero della Trinità.
26. Occorre che proposte pastorali e pratiche
liturgiche custodiscano e rendano sempre più evidente il legame tra l’itinerario
dell’iniziazione cristiana e la vita sinodale e missionaria della Chiesa,
evitandone la riduzione a strumento meramente pedagogico o a indicatore di
un’appartenenza puramente sociale, e promuovendo invece l’accoglienza del dono
personale orientato alla missione e all’edificazione della comunità. Gli
opportuni accorgimenti pastorali e liturgici andranno elaborati nella pluralità
delle situazioni storiche e delle culture in cui sono immerse le diverse Chiese
locali, anche tenendo conto della differenza fra quelle in cui l’iniziazione
cristiana coinvolge soprattutto i giovani o gli adulti, e quelle in cui
riguarda soprattutto, se non esclusivamente, i bambini.
Per il Popolo di
Dio: carismi e ministeri
27. «Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo
Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse
attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una
manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune» (1Cor 12,4-7). All’origine
della varietà dei carismi (doni di grazia) e dei ministeri (forme di servizio
nella Chiesa in vista della sua missione) c’è la libertà dello Spirito Santo:
li concede e opera incessantemente perché manifestino l’unità della fede e l’appartenenza
alla Chiesa una e unica nella varietà delle persone, delle culture, dei luoghi.
I carismi, anche i più semplici e più diffusi, sono destinati a rispondere alle
necessità della Chiesa e della sua missione (cfr. LG 12). Allo stesso tempo
contribuiscono efficacemente alla vita della società, nei suoi diversi aspetti.
I carismi sono spesso condivisi e danno origine alle diverse forme della vita
consacrata e al pluralismo delle aggregazioni ecclesiali.
28. L’ambito primario in cui i carismi di cui ciascun
Battezzato è portatore sono chiamati a manifestarsi non è l’organizzazione
delle attività o delle strutture ecclesiali: è nella vita quotidiana, nelle
relazioni familiari e sociali, nelle più disparate situazioni in cui i
cristiani, singolarmente o in forma associata, sono chiamati a far fiorire i
doni di grazia ricevuti per il bene di tutti. La fecondità dei carismi, come
quella dei ministeri, dipende dall’azione di Dio, dalla vocazione che Egli
rivolge a ciascuno, dalla generosa e sapiente accoglienza dei Battezzati, e dal
riconoscimento e accompagnamento da parte dell’autorità. In nessun modo possono
quindi essere interpretati come proprietà di coloro che li ricevono e li
esercitano, né destinati a loro esclusivo vantaggio.
29. Quale espressione della libertà dello Spirito nel
concedere i suoi doni, e quale risposta alle necessità delle singole comunità,
vi è nella Chiesa una varietà di ministeri che possono essere esercitati da
qualsiasi Battezzato, uomo o donna. Si tratta di servizi non occasionali,
riconosciuti dalla comunità e da chi ha il compito di guidarla. Possono essere
chiamati ministeri battesimali, per indicare la loro radice comune (il Battesimo)
e per distinguerli dai ministeri ordinati, radicati nel sacramento dell’Ordine.
Ci sono, ad esempio, uomini e donne che esercitano il ministero del
coordinamento di una piccola comunità ecclesiale, il ministero di guida di
momenti di preghiera (in occasione dei Funerali o altro), il ministero
straordinario della comunione, o altri servizi, non necessariamente di
carattere liturgico. Gli ordinamenti canonici latino e orientale già prevedono
che, in alcuni casi, anche Fedeli laici, uomini o donne, possano essere
ministri straordinari del Battesimo. Nell’ordinamento latino, il Vescovo può
delegare a Fedeli laici, uomini o donne, il compito di assistere ai Matrimoni. È
utile continuare a riflettere su come affidare questi ministeri ai Laici in
forma più stabile. Questa riflessione va accompagnata da quella sulla
promozione di forme più numerose di ministerialità laicale, anche al di fuori
dell’ambito liturgico.
30. In tempi recenti alcune modalità di servizio da
tempo presenti nella vita della Chiesa hanno ricevuto una nuova configurazione
come ministeri istituiti: il ministero dei lettori e quello degli accoliti
(cfr. Lettera Apostolica in forma di Motu
Proprio Spiritus Domini, 10 gennaio 2021). Ha preso forma anche
il ministero istituito dei catechisti (cfr. Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio Antiquum ministerium,
10 maggio 2021). I ministeri istituiti sono conferiti dal Vescovo a uomini e
donne, una sola volta nella vita, con un apposito rito, dopo appropriato
discernimento e adeguata formazione. I tempi e modi del loro esercizio devono
essere definiti da un mandato della legittima autorità. Di alcune questioni
teologiche e canonistiche intorno a specifiche forme di ministerialità
ecclesiale – in particolare la questione della necessaria partecipazione delle
donne alla vita e alla guida della Chiesa – è stato affidato l’approfondimento
al Dicastero per la Dottrina della Fede, in dialogo con la Segreteria Generale del
Sinodo (Gruppo di studio n. 5).
31. Se non tutti i carismi assumono una configurazione
propriamente ministeriale, tutti i ministeri sono fondati su carismi donati ad
alcuni membri del Popolo di Dio, i quali sono chiamati ad agire in modi diversi
affinché ciascuno nella comunità possa partecipare all’edificazione del corpo
di Cristo (cfr. Ef 4,12), nel servizio reciproco. Come i carismi, anche i
ministeri vanno riconosciuti, promossi e valorizzati. Il processo sinodale ha
evidenziato a più riprese come il discernimento e la promozione dei carismi e
dei ministeri, così come l’individuazione dei bisogni delle comunità e della
società a cui si intende rispondere, sia un aspetto su cui le Chiese locali hanno
bisogno di crescere, dandosi adeguati criteri, strumenti e procedure. Il
Concilio Vaticano II insegna che è compito dei Pastori riconoscere i ministeri
e i carismi «in modo tale che tutti cooperino concordemente all’opera comune
nel modo che è loro proprio» (LG 30). Il discernimento dei carismi e dei
ministeri è un atto propriamente ecclesiale: per riconoscerli e promuoverli, il
Vescovo è tenuto ad ascoltare la voce di quanti sono coinvolti: singoli Fedeli,
comunità, organismi di partecipazione. A tale scopo si dovranno individuare
procedure adatte ai diversi contesti, sempre però avendo cura di rendere
possibile un reale consenso sui criteri e sugli esiti del discernimento. I
risultati dell’Incontro “I Parroci per il Sinodo” sottolineano con forza queste
esigenze.
32. Emerge inoltre l’invito a una maggiore fiducia
nell’azione dello Spirito e a un maggiore coraggio e creatività nel discernere come
mettere i doni ricevuti e accolti a servizio della missione della Chiesa in
modo adeguato ai diversi contesti locali. È proprio la varietà dei contesti, e
quindi dei bisogni delle comunità, a suggerire che le Chiese locali, sotto la
guida dei loro Pastori, e i loro raggruppamenti «in ogni vasto territorio
socio-culturale» (AG 22), intraprendano con umiltà e fiducia un discernimento
creativo sui ministeri che devono riconoscere, affidare o istituire per
rispondere alle esigenze pastorali e della società. Occorre perciò definire i
criteri e i modi per portare a termine questo discernimento. Va anche avviata
una riflessione su come affidare i ministeri battesimali (non istituiti e
istituiti) in un tempo in cui le persone si spostano da un luogo a un altro con
crescente facilità, precisando tempi e ambiti del loro esercizio.
33. Il percorso fin qui compiuto ha condotto a
riconoscere che una Chiesa sinodale è una Chiesa che ascolta, capace di
accogliere e accompagnare, di essere percepita come casa e famiglia. Si tratta
di un bisogno che emerge in tutti i continenti e riguarda persone che, per
ragioni diverse, sono o si sentono escluse o ai margini della comunità
ecclesiale, o faticano a trovare al suo interno un pieno riconoscimento della
loro dignità e dei loro doni. Questa mancanza di accoglienza le respinge,
ostacola il loro cammino di fede e di incontro con il Signore, e priva la
Chiesa del loro contributo alla missione.
34. Appare quindi sommamente opportuno dar vita a un ministero
dell’ascolto e dell’accompagnamento riconosciuto ed eventualmente istituito, che
renda concretamente sperimentabile un tratto così caratteristico di una Chiesa
sinodale. Serve una “porta aperta” della comunità, attraverso cui le persone
possano entrare senza sentirsi minacciate o giudicate. Le forme dell’esercizio di
questo ministero dovranno essere adattate alle circostanze locali, in base alla
diversità di esperienze, strutture, contesti sociali e risorse disponibili. Si
apre quindi uno spazio di discernimento da articolare a livello locale, anche
con il coinvolgimento delle Conferenze Episcopali nazionali o continentali. La
presenza di uno specifico ministero non significa però riservare l’impegno dell’ascolto
ai soli ministri. Anzi, esso riveste un carattere profetico. Da un lato evidenzia
che ascolto e accompagnamento sono una dimensione ordinaria della vita di una
Chiesa sinodale, che con modalità diverse impegna tutti i Battezzati e in cui
tutte le comunità sono invitate a crescere; dall’altro ricorda che ascolto e
accompagnamento sono un servizio ecclesiale, non una iniziativa personale, il
cui valore viene così riconosciuto. Questa consapevolezza è un frutto maturo
del processo sinodale.
Con i Ministri
ordinati: a servizio dell’armonia
35. Dal processo sinodale sono emersi dati
contrastanti riguardo all’esercizio del Ministero ordinato all’interno del
Popolo di Dio. Da un lato è sottolineata la gioia, l’impegno e la dedizione dei
Vescovi, dei Presbiteri e dei Diaconi nello svolgere il proprio servizio;
dall’altro essi hanno manifestato una certa fatica, legata soprattutto a un
senso di isolamento, di solitudine, di essere tagliati fuori da relazioni sane
e sostenibili, e di essere sopraffatti dalla richiesta di fornire risposte a
ogni necessità. Può essere uno degli effetti tossici del clericalismo. In
particolare, la figura del Vescovo risulta di frequente esposta a un eccesso di
attribuzioni, il che alimenta attese irrealistiche rispetto a quanto può
ragionevolmente realizzare una singola persona.
36. L’incontro “I Parroci per il Sinodo” ha collegato
questa fatica alla difficoltà di Vescovi e Presbiteri di camminare davvero
insieme nel loro ministero condiviso. Una ricomprensione del Ministero ordinato
nell’orizzonte della Chiesa sinodale missionaria rappresenta così non solo una
esigenza di coerenza, ma anche una opportunità di liberazione da queste
fatiche, a condizione che sia accompagnata da una effettiva conversione delle
pratiche, che renda percepibile, ai Ministri ordinati e agli altri Fedeli, il
cambiamento e i benefici che ne derivano. Oltre che sul livello della vita
personale dei singoli Ministri, questo percorso di conversione comporterà un
nuovo modo di pensare e organizzare l’azione pastorale, che tenga conto della
partecipazione di tutti i Battezzati, uomini e donne, alla missione della
Chiesa, puntando in particolare a far emergere, riconoscere e animare i diversi
carismi e ministeri battesimali. La domanda «Come essere Chiesa sinodale in missione?» ci spinge a riflettere
concretamente sulle relazioni, le strutture e i processi che possono favorire
una rinnovata visione del Ministero ordinato, passando da un modo piramidale di
esercitare l’autorità a un modo sinodale. Nel quadro della promozione dei
carismi e ministeri battesimali, si può dare corso a una riallocazione dei
compiti il cui svolgimento non richiede il sacramento dell’Ordine. Una più
articolata ripartizione delle responsabilità potrà indubbiamente favorire anche
processi decisionali improntati a uno stile più chiaramente sinodale.
37. Nei testi conciliari, il Ministero ordinato è
concepito in termini molto precisi come servizio alla Chiesa e per l’esistenza
della Chiesa. Con la sua autorità, il Concilio ha restituito la forma del Ministero
ordinato usuale nella Chiesa antica, Ministero che «viene esercitato in diversi
ordini da coloro che già dall’antichità sono chiamati Vescovi, Presbiteri, Diaconi»
(LG 28). In questa articolazione, Episcopato e Presbiterato corrispondono a una
speciale partecipazione al sacerdozio di Cristo Pastore e Capo della comunità
ecclesiale, mentre il Diaconato è «non per il sacerdozio, ma per il servizio»
(LG 29). I diversi ordini sono organicamente in relazione l’uno all’altro, in
una interdipendenza reciproca, nella specificità di ciascuno. Nessun Ministro
può pensarsi come individuo isolato a cui sono stati conferiti dei poteri; egli
deve, piuttosto, concepirsi ma come partecipe dei doni (munera) di
Cristo, conferiti dall’Ordinazione, insieme agli altri Ministri, in un legame
organico con il Popolo di Dio di cui fa parte e che, pur in modo diverso,
partecipa di quegli stessi doni di Cristo nel sacerdozio comune fondato sul Battesimo.
38. Il Vescovo ha il compito di presiedere una Chiesa,
essendo principio visibile di unità al suo interno e vincolo di comunione con
tutte le Chiese. La singolarità del suo ministero comporta una potestà che è
propria, ordinaria e immediata, potestà che ciascun Vescovo esercita
personalmente in nome di Cristo (cfr. LG 27) nell’annuncio della Parola, nella
presidenza della celebrazione eucaristica e degli altri sacramenti, nella guida
pastorale. Questo non comporta la sua indipendenza dalla porzione di Popolo di
Dio che gli è affidata (cfr. CD 11), e che è chiamato a servire in nome di
Cristo Buon Pastore. Il fatto che «con la Consacrazione episcopale viene
conferita la pienezza del sacramento dell’Ordine» (LG 21) non è la
giustificazione di un ministero episcopale tendenzialmente “monarchico”,
concepito come cumulo di prerogative da cui deriva ogni altro carisma e
ministero. È invece l’affermazione della capacità e del dovere di raccogliere e
comporre in unità ogni dono che lo Spirito effonde sui Battezzati, uomini e
donne, e sulle diverse comunità. Di alcuni aspetti del ministero episcopale,
tra cui i criteri di selezione dei candidati all’Episcopato, si occupa il
Gruppo di studio n. 7.
39. Anche il ministero dei Presbiteri va concepito e
vissuto in senso sinodale. In particolare, i Presbiteri «costituiscono insieme col
loro Vescovo un unico Presbiterio» (LG 28) a servizio di quella porzione di
Popolo di Dio che è la Chiesa locale (cfr. CD 11). Questo richiede di non
considerare il Vescovo come esterno al Presbiterio, ma come colui che presiede
una Chiesa locale anzitutto presiedendone il Presbiterio, di cui fa parte con
peculiare singolarità, essendo chiamato a esercitare nei confronti dei Presbiteri
una cura particolare.
40. Vescovo e Presbiteri sono coadiuvati dai Diaconi,
in un legame di mutua interdipendenza dei due tipi di ministero per l’attuarsi
del servizio apostolico. Vescovo e Presbiteri non sono autosufficienti rispetto
ai Diaconi, e viceversa. Dal momento che le funzioni dei Diaconi sono
molteplici – come mostra la tradizione, la preghiera liturgica e la prassi
successiva al Vaticano II – esse vanno rintracciate nella concretezza di ogni
singola Chiesa locale. Il servizio di ciascun Diacono va in ogni caso pensato
in armonia e in comunione con quello di tutti gli altri Diaconi, in accordo con
la natura del ministero diaconale e all’interno del quadro di riferimento della
missione in una Chiesa sinodale.
41. Oltre alla promozione dell’unità nella Chiesa
locale, il Vescovo diocesano o eparchiale, coadiuvato da Presbiteri e Diaconi,
è responsabile anche delle relazioni con le altre Chiese locali e con la Chiesa
intera attorno al Vescovo di Roma, in un reciproco scambio di doni. Sembra
importante ristabilire il tradizionale legame tra essere Vescovo e presiedere
una Chiesa locale, ripristinando la corrispondenza tra comunione dei Vescovi (communio Episcoporum) e comunione delle
Chiese (communio Ecclesiarum).
Tra le Chiese e
nel mondo: la concretezza della comunione
42. La sinodalità si attua
attraverso reti di persone, comunità, organismi e un insieme di processi che
consentono un effettivo scambio di doni tra le Chiese e il dialogo
evangelizzatore con il mondo. Camminare insieme come Battezzati nella
diversità dei carismi, delle vocazioni e dei ministeri, così come nello scambio
di doni tra le Chiese, è un importante segno sacramentale per il mondo di oggi,
che da una parte sperimenta forme di interconnessione sempre più intense, e
dall’altra è immerso in una cultura mercantile che emargina la gratuità.
43. Secondo il Concilio, è in virtù della cattolicità
della Chiesa che «le singole parti offrono i loro propri doni alle altre parti
e alla Chiesa intera» (LG 13). Da essa «derivano, tra le diverse parti della
Chiesa, vincoli di intima comunione circa le ricchezze spirituali, gli operai
apostolici e gli aiuti materiali. I membri del Popolo di Dio sono chiamati
infatti a condividere i beni, e valgono anche delle singole Chiese le parole
dell’Apostolo: “Da bravi amministratori della multiforme grazia di Dio, ognuno
di voi, come ha ricevuto un dono, così lo metta a servizio degli altri” (1Pt
4,10)» (ibid.).
44. Le
Conferenze Episcopali auspicano che i beni siano condivisi in spirito di
solidarietà tra le Chiese che costituiscono l’una e unica Chiesa Cattolica, senza
alcun desiderio di dominio o pretesa di superiorità: l’esistenza di Chiese
ricche e di Chiese che vivono in condizioni di grandi ristrettezze è uno
scandalo. Si suggerisce pertanto di prendere accordi per promuovere
legami reciproci e formare reti di sostegno anche a livello dei raggruppamenti
di Chiese.
45. Tutte le Chiese locali ricevono e danno nella
comunione dell’unica Chiesa. Ci sono Chiese che hanno bisogno del sostegno di
risorse finanziarie e materiali; altre che sono arricchite dalla testimonianza
della fede viva e dal servizio amorevole ai più poveri; altre ancora hanno
bisogno, soprattutto, dell’aiuto di evangelizzatori che condividono la loro
vita per comunicare il Vangelo ad altri popoli. In particolare, si riconosce e
si sollecita la generosità di Presbiteri, Diaconi, Consacrate e Consacrati,
Laici e Laiche impegnati nella missione ad gentes.
46. Le Chiese locali esprimono il desiderio di uno
scambio di doni spirituali, liturgici e teologici, e anche di una maggiore
testimonianza condivisa su questioni sociali di rilevanza globale, quali la
cura della casa comune e i movimenti migratori. A questo riguardo, una Chiesa
sinodale potrà testimoniare l’importanza che le soluzioni ai problemi comuni
siano elaborate sulla base dell’ascolto della voce di tutti, anche e
soprattutto di quei gruppi, comunità e Paesi che restano di solito ai margini
dei grandi processi globali. Un orizzonte oggi particolarmente promettente in
cui realizzare forme di scambio di doni e di impegno coordinato è quello dei grandi
ambiti geografici sovranazionali, quali l’Amazzonia, il bacino del Congo, il
Mediterraneo o altri simili.
47. In particolare, una Chiesa sinodale è invitata a
leggere nella prospettiva dello scambio di doni anche la realtà della mobilità
umana, che diventa occasione di incontro tra le Chiese nella concretezza della
vita quotidiana delle città e dei quartieri, delle Parrocchie e delle Diocesi o
Eparchie, contribuendo così a radicare il cammino sinodale nel vissuto delle
comunità. Un’attenzione del tutto particolare va riservata alla possibilità d’incontro
e scambio di doni tra le Chiese di tradizione latina e le Chiese Orientali Cattoliche
in diaspora, tema su cui sta lavorando il Gruppo di studio n. 1.
48. Lo scambio di doni tra le Chiese avviene in
contesti segnati dalla violenza, dalla persecuzione e dalla mancanza di libertà
religiosa; anzi, alcune Chiese lottano per la loro stessa sopravvivenza e
invocano la solidarietà delle altre Chiese, mentre continuano a condividere le
proprie ricchezze, frutto del continuo misurarsi con l’opposizione al Vangelo e
la persecuzione che nella storia colpisce i discepoli del Signore. Inoltre, lo
scambio di doni avviene in un contesto che risente ancora del colonialismo e
del neocolonialismo, che non sono finiti. Una Chiesa che cresce nella pratica
della sinodalità è invitata a comprendere l’impatto di queste dinamiche sociali
sullo scambio di doni, e a cercarne la trasformazione. Fa parte di questo
impegno anche il riconoscimento che molte Chiese sono portatrici di una memoria
ferita e che c’è bisogno di promuovere cammini concreti di riconciliazione.
49. L’espressione “scambio di doni” ha una importante
valenza nei rapporti con le altre Chiese e Comunità Ecclesiali. San Giovanni
Paolo II applicò questa idea al dialogo ecumenico: «Il dialogo non è soltanto
uno scambio di idee. In qualche modo esso è sempre uno “scambio di doni”» (UUS
28). Oltre al dialogo teologico, lo scambio di doni avviene nella condivisione
della preghiera, con cui ci apriamo a ricevere i doni di tradizioni spirituali
diverse dalla nostra. Pure l’esempio di donne e uomini santi di altre Chiese e Comunità
Ecclesiali è un dono che possiamo ricevere, anche inserendone la memoria nel
nostro calendario liturgico, in particolare per quanto riguarda i martiri. In
questo spirito dobbiamo essere generosi, offrendo agli altri cristiani la
possibilità di venire in pellegrinaggio e pregare nei santuari e nei luoghi
santi custoditi dalla Chiesa Cattolica.
50. Il dialogo tra le religioni e con le culture non è
esterno al cammino sinodale, ma fa parte della sua chiamata a vivere relazioni
più intense, in ragione del fatto che «è gradito a Dio chiunque lo teme e
pratica la giustizia, a qualunque tempo e nazione egli appartenga» (LG 9; cfr.
At 10,35). Perciò lo scambio di doni non si limita alle altre Chiese e Comunità
Ecclesiali, perché un’autentica cattolicità allarga l’orizzonte e chiede la
disponibilità di accogliere anche quei fattori di promozione della vita, della
pace, della giustizia e dello sviluppo umano integrale presenti in altre
culture e tradizioni religiose.
Una Chiesa
sinodale è una Chiesa relazionale, in cui le dinamiche interpersonali formano
il tessuto della vita di una comunità in missione, in un contesto di crescente
complessità. Questa prospettiva non separa, ma coglie i nessi tra le
esperienze, consentendo di apprendere dalla realtà riletta alla luce della
Parola, dalla tradizione, dalle testimonianze esemplari, ma anche dagli errori
compiuti.
La Parte II
mette in luce i processi che assicurano la cura e lo sviluppo delle relazioni,
in particolare l’unione a Cristo in vista della missione e l’armonia della vita
comunitaria, grazie alla capacità di affrontare insieme conflitti e difficoltà.
Mette a fuoco quattro ambiti distinti, ma profondamente intrecciati nella vita
della Chiesa sinodale missionaria: la formazione, in particolar modo
all’ascolto (della Parola di Dio, dei fratelli e delle sorelle, e della voce
dello Spirito) e al discernimento, che conduce a sviluppare modalità
partecipate di decisione nel rispetto dei diversi ruoli, con una circolarità
che approda alla trasparenza, al rendiconto delle responsabilità ricevute e a
una valutazione che rilancia il discernimento per la missione.
Fonte e culmine
di questo dinamismo è l’Eucaristia, che pone alla radice delle relazioni la
gratuità dell’amore del Padre, attraverso il Figlio nello Spirito. L’alimento
che sostiene una Chiesa sinodale missionaria è anche il contenuto del suo
annuncio al mondo.
Una formazione integrale e condivisa
51. «Prendersi cura della propria formazione è la
risposta che ogni Battezzato è chiamato a dare ai doni del Signore, per far
fruttificare i talenti ricevuti e metterli a servizio di tutti» (RdS 14a).
Queste parole della Relazione di Sintesi della Prima Sessione spiegano il
motivo per cui il bisogno di formazione è stato uno dei temi emersi con
maggiore forza e universalità in tutte le fasi del processo sinodale.
Rispondere alla domanda «Come essere
Chiesa sinodale in missione?» richiede dunque di dare priorità alla
predisposizione di percorsi formativi coerenti, con particolare attenzione alla
formazione permanente per tutti.
52. Per molti, la partecipazione agli incontri sinodali
è stata una occasione di formazione alla comprensione e alla pratica della
sinodalità che ha fatto emergere con forza il desiderio di una migliore
comprensione del significato della dignità battesimale o di quel «senso
soprannaturale della fede» (LG 12) di cui lo Spirito fa dono al Popolo di Dio.
La prima necessità è dunque di una più approfondita formazione alla conoscenza
del modo in cui lo Spirito agisce nella Chiesa e la guida nella storia.
53. Non c’è missione senza contesto, non c’è Chiesa
senza radicamento in un luogo preciso, con le sue specificità culturali e le
sue contingenze storiche. Per questo non è possibile predisporre piani
formativi in astratto. La loro definizione spetta alla Chiese locali e ai loro
raggruppamenti. In questa sede ci si limita perciò a indicare alcune direttrici
e caratteristiche fondamentali della formazione nella prospettiva della
sinodalità, che andranno poi concretizzate tenendo conto dei contesti, delle
culture e delle tradizioni dei diversi luoghi.
54. Una Chiesa sinodale missionaria si fonda sulla
capacità di ascolto, che richiede di riconoscere che nessuno è autosufficiente
nell’esercizio della propria missione e che ciascuno ha un contributo da
offrire e qualcosa da imparare dagli altri. La formazione all’ascolto è dunque
una prima esigenza irrinunciabile. La pratica della conversazione nello Spirito
ha consentito di sperimentare in che modo si può intrecciare l’ascolto della
Parola di Dio e quello dei fratelli e delle sorelle, e come questa dinamica
apra pian piano all’ascolto della voce dello Spirito: molti contributi ricevuti
insistono sull’importanza di una formazione a questo metodo. Nella Chiesa
esiste una gamma diversificata di metodi di ascolto, dialogo e discernimento,
in funzione della diversità delle culture e delle tradizioni spirituali.
Promuovere la formazione a questa pluralità di metodi e il dialogo tra di loro
nei contesti locali è un obiettivo di grande rilevanza. Un punto
particolarmente qualificante in questa direzione è l’ascolto delle persone che
sperimentano vari tipi di povertà ed emarginazione. Molte Chiese segnalano di
sentirsi impreparate a questo compito e manifestano il bisogno di una
formazione specifica. È uno dei punti affidati al lavoro del Gruppo di studio
n. 2.
55. Lo scopo della formazione nella prospettiva della
sinodalità missionaria è che ci siano testimoni, uomini e donne capaci di
assumere la missione della Chiesa in corresponsabilità e in cooperazione con la
potenza dello Spirito (cfr. At 1,8). La formazione assumerà quindi come base il
dinamismo dell’iniziazione cristiana, puntando a promuovere l’esperienza
personale di incontro con il Signore e di conseguenza un processo di
conversione continua di atteggiamenti, relazioni, mentalità e strutture. Il
soggetto della missione è sempre la Chiesa, e ogni suo membro è testimone e
annunciatore della salvezza in ragione di questa appartenenza. L’Eucaristia,
«fonte e culmine di tutta la vita cristiana» (LG 11), è il luogo fondamentale
della formazione alla sinodalità. La famiglia, in quanto comunità di vita e di
amore, è un luogo privilegiato di educazione alla fede e alla pratica cristiana.
Nell’intreccio delle generazioni è scuola di sinodalità, invitando ciascuno a
prendersi cura degli altri, e rendendo visibile che tutti – i deboli e i forti,
i bambini, i giovani e gli anziani – hanno molto da ricevere e molto da dare.
56. In una Chiesa sinodale la formazione deve essere
integrale. Non punta infatti solo all’acquisizione di nozioni o di competenze,
ma a promuovere la capacità di incontro, di condivisione e cooperazione, di
discernimento in comune. Deve perciò interpellare tutte le dimensioni della
persona: intellettuale, affettiva e spirituale. Non può essere una formazione
unicamente teorica, ma comprende esperienze concrete opportunamente
accompagnate. Ugualmente è importante favorire una conoscenza delle culture in
cui le Chiese vivono e operano, compresa la cultura digitale, oggi così
pervasiva, soprattutto in ambito giovanile. Alla cultura digitale e alla
promozione di una formazione adeguata in questo campo è dedicato il lavoro del
Gruppo di studio n. 3.
57. Infine, assai marcata è stata l’insistenza sulla
necessità di una formazione comune e condivisa, a cui prendano parte insieme
uomini e donne, Laici, Consacrati, Ministri ordinati e Candidati al Ministero
ordinato, permettendo così di crescere nella conoscenza e nella stima reciproca
e nella capacità di collaborare. Ugualmente, si richiede di prestare
particolare attenzione alla promozione della partecipazione delle donne ai
programmi di formazione, a fianco di Seminaristi, Sacerdoti, Religiosi e Laici.
Di importanza cruciale è anche il loro accesso ai ruoli di docente e formatore
nelle Facoltà e Istituti teologici e nei Seminari. Si suggerisce ancora di
offrire a Vescovi, Presbiteri e Laici una formazione su quali compiti le donne
possono già svolgere nella Chiesa e di promuovere una valutazione
dell’effettivo ricorso a queste opportunità in tutti gli ambiti della vita della
Chiesa: Parrocchie, Diocesi, associazioni laicali, movimenti ecclesiali, nuove comunità,
vita consacrata, istituzioni ecclesiastiche, fino alla Curia Romana. Alla
revisione della formazione dei Candidati al Ministero ordinato (Ratio Fundamentalis Institutionis
Sacerdotalis) in
prospettiva sinodale missionaria è dedicato il lavoro del Gruppo di studio n. 4.
Una richiesta proveniente da tutti i continenti è quella di curare la
formazione alla predicazione. Infine emerge il bisogno di una formazione
condivisa, teorica e pratica, al discernimento comunitario all’interno dei
diversi contesti locali.
Il discernimento ecclesiale per la missione
58. L’unico Spirito, che suscita una grande varietà di
carismi, guida la Chiesa verso la pienezza della vita e della verità divina
(cfr. Gv 10,10; 16,13). Per la sua presenza e azione continua, la «tradizione,
che viene dagli apostoli, progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello
Spirito Santo» (DV 8). Grazie alla guida dello Spirito, il Popolo di Dio, in
quanto partecipe della funzione profetica di Cristo (cfr. LG 12), «cerca di discernere negli
avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con
gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o
del disegno di Dio» (GS 11). Questo compito ecclesiale di discernimento si
radica nel sensus fidei, animato
dallo Spirito Santo, che può essere descritto come quel “fiuto” o
capacità istintiva del Popolo di Dio, sotto la guida dei Pastori (cfr. LG 12), di
«discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa» (Francesco, Discorso
in occasione della commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del
Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015).
59. Il discernimento impegna coloro che vi partecipano
a livello personale e tutti insieme a livello comunitario, chiedendo di
coltivare le disposizioni di libertà interiore, apertura alla novità e
abbandono fiducioso alla volontà di Dio, e di mettersi in ascolto gli uni degli
altri per ascoltare «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7). Maria, con
la sua presenza orante al cuore della comunità apostolica nel cenacolo (cfr. At
1,14), è per tutti modello vivo e guida generativa di un’autentica spiritualità
sinodale: in ascolto perseverante e responsabile della Parola e nel discernimento
meditativo degli eventi (cfr. Lc 1,26-38; 2,19.51), in generosa apertura
all’azione dello Spirito Santo (cfr. Lc 1,35), nella condivisione del
rendimento di grazie per l’opera del Signore (cfr. Lc 1,39-56) e nel servizio concreto
e puntuale a ciascuna e ciascuno (cfr. Gv 2,1-12) che Gesù ha affidato alla sua
cura materna (cfr. Gv 19,25-27).
60. Proprio in quanto richiede a ciascuno di
condividere il proprio punto di vista nella prospettiva della missione comune,
un processo di discernimento articola concretamente comunione, missione e
partecipazione. In altre parole, è un modo per camminare insieme. Per questo è
fondamentale promuovere un’ampia partecipazione ai processi di discernimento,
con una particolare cura per il coinvolgimento di coloro che si trovano ai
margini della comunità cristiana e della società.
61. Il punto di partenza e il criterio di riferimento di
ogni discernimento ecclesiale è l’ascolto della Parola di Dio. Le Sacre
Scritture costituiscono la testimonianza per eccellenza della comunicazione di
Dio con l’umanità. Attestano che Dio ha parlato al suo Popolo e continua a
farlo, e presentano diversi canali attraverso cui questa comunicazione avviene.
Dio parla attraverso la meditazione personale della Scrittura, nella quale risuona
“qualcosa” del testo biblico su cui si prega. Dio parla alla comunità nella
liturgia, luogo ermeneutico per eccellenza di ciò che il Signore dice alla sua
Chiesa. Dio parla attraverso la Chiesa, che è madre e maestra, attraverso la
sua tradizione viva e le sue pratiche, comprese quelle della pietà popolare. Dio
continua a parlare attraverso gli avvenimenti che hanno luogo nello spazio e
nel tempo, a condizione di saperne discernere il significato. Ancora, Dio
comunica con il suo Popolo attraverso gli elementi del cosmo, la cui stessa
esistenza rimanda all’azione del Creatore e che è riempito dalla presenza dello
Spirito Santo “che dà la vita”. Infine, Dio parla nella coscienza personale di
ciascuno, che «è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si
trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria» (GS 16). Un
autentico discernimento non può trascurare nessuno di questi canali di
comunicazione.
62. Il discernimento comunitario non è una tecnica
organizzativa, ma una pratica esigente che qualifica la vita e la missione
della Chiesa vissuta in Cristo e nello Spirito Santo. Per questo va sempre
realizzato con la consapevolezza e la volontà di essere radunati nel nome del
Signore Gesù (cfr. Mt 18,20) in ascolto della voce dello Spirito Santo. Come ha
promesso Gesù, solo lo Spirito Santo può guidare la Chiesa sulla via della
pienezza della verità (cfr. Gv 16,13) e della vita, da dispensare a un mondo
assetato di senso. Si radica qui il metodo con cui il Popolo di Dio vive il suo
cammino di annuncio e testimonianza del Vangelo. È dunque prioritario imparare
a praticare a tutti i livelli quell’arte evangelica che ha permesso alla
comunità apostolica di Gerusalemme di sigillare il risultato del primo evento
sinodale della storia della Chiesa con le parole: «È
parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi» (At 15,28). In questo
spirito si deve ricomprendere e riorientare la pratica della vita sinodale
missionaria della Chiesa in luoghi, organismi ed eventi concreti.
63. Le
concrete opzioni procedurali, nella loro varietà, devono essere coerenti
con le esigenze di metodologia teologica di fondo. Anche sulla base
dell’esperienza del processo sinodale, è possibile identificare alcuni elementi
chiave per il disegno di qualsiasi procedura: a) una vita di preghiera
personale e comunitaria, che includa la partecipazione all’Eucaristia; b) un’adeguata
preparazione personale e comunitaria, fondata sull’ascolto della Parola di Dio
e della realtà; c) un ascolto rispettoso e profondo della parola di ciascuno; d)
la ricerca di un consenso il più ampio possibile non per intersezione (dunque
al ribasso), ma per traboccamento, puntando a evidenziare quello che più “fa
ardere i cuori” (cfr. Lc 24,32); e) la formulazione del consenso da parte di
chi conduce il processo e la sua restituzione a tutti i partecipanti, a cui
spetta confermare o meno di sentirsi riconosciuti in quella formulazione.
64. Il discernimento si svolge sempre “con i piedi per
terra”, cioè all’interno di un contesto concreto, di cui occorre conoscere il
meglio possibile le complessità e le peculiarità. Non potrà quindi che giovarsi
del contributo dell’analisi delle diverse scienze umane, sociali e
amministrative rilevanti rispetto alla questione di cui si tratta. Alla
competenza tecnica e scientifica non spetta l’ultima parola – significherebbe
cadere in una deriva tecnocratica – ma «dare una base di concretezza al
percorso etico e spirituale che segue» (LS 15). Occorrerà quindi garantire che
possa offrire il suo apporto, di cui non si può fare a meno, senza acquisire un
ruolo dominante su altre prospettive.
65. Nella Chiesa esiste una grande varietà di approcci
al discernimento e di metodologie consolidate. Questa varietà è una ricchezza:
con gli opportuni adattamenti ai diversi contesti, tutti gli approcci possono
rivelarsi fecondi. In vista del bene comune, è importante che entrino in un
dialogo cordiale, senza disperdere le specificità di ciascuna e senza
arroccamenti identitari. La fecondità della conversazione nello Spirito, emersa
in tutte le tappe del processo sinodale, invita a ritenere questa forma
peculiare di discernimento ecclesiale come particolarmente consona
all’esercizio della sinodalità.
66. Nelle Chiese locali è fondamentale offrire
opportunità di formazione che diffondano e alimentino una cultura del discernimento,
in particolare tra quanti ricoprono ruoli di responsabilità. Altrettanto
importante è curare la formazione di figure di accompagnatori o facilitatori,
il cui apporto si rivela assai spesso cruciale nello svolgimento dei processi
di discernimento. In questa linea si pone anche il lavoro del Gruppo di studio
n. 9, dedicato alla predisposizione di criteri teologici e metodologie sinodali
per un discernimento condiviso di questioni dottrinali, pastorali ed etiche
controverse.
L’articolazione
dei processi decisionali
67. «Nella Chiesa sinodale tutta la comunità, nella
libera e ricca diversità dei suoi membri, è convocata per pregare, ascoltare,
analizzare, dialogare, discernere e consigliare nel prendere le decisioni
pastorali più conformi al volere di Dio» (CTI, n. 68). Più che di un
approfondimento, questa affermazione ha bisogno di essere attuata. È difficile
immaginare un modo per promuovere una Chiesa sinodale più efficace della
partecipazione di tutti ai processi decisionali. Questa partecipazione avviene
sulla base di una responsabilità differenziata che rispetta ogni membro della
comunità e ne valorizza le capacità e i doni in vista della decisione
condivisa.
68. Per favorire la sua attuazione, pare opportuna una
riflessione sull’articolazione dei processi decisionali. Quest’ultima
d’abitudine prevede una fase di elaborazione o istruzione (decision-making,
secondo la terminologia inglese usata anche in altre lingue), «attraverso un
lavoro comune di discernimento, consultazione e cooperazione» (CTI, n. 69), che
informa e sostiene la successiva presa di decisione (decision-taking),
che spetta all’autorità competente (ad esempio, in una Diocesi o Eparchia al Vescovo).
Fra le due fasi non vi è competizione o contrasto, ma con la loro articolazione
concorrono a che le decisioni prese siano quanto più possibile conformi al
volere di Dio: «L’elaborazione è un compito sinodale, la decisione è una
responsabilità ministeriale» (ibid.).
69. In numerosi casi già il diritto vigente prescrive
che, prima di prendere una decisione, l’autorità è obbligata a procedere a una
consultazione. Questa consultazione ecclesiale non può non essere fatta e va
ben oltre l’ascolto, perché impegna a non procedere come se essa non avesse
avuto luogo. L’autorità rimane libera dal punto di vista giuridico, in quanto
il parere consultivo non è vincolante, ma, se esso è concorde, non se ne
discosterà senza un motivo convincente («sine praevalenti ratione; CIC,
can. 127, § 2, 2°). Se lo facesse, si isolerebbe dal gruppo di coloro
che sono stati consultati, configurando una lesione al legame che li unisce.
Nella Chiesa l’esercizio dell’autorità non consiste nella imposizione di una
volontà arbitraria, ma, in quanto ministero a servizio dell’unità del Popolo di
Dio, costituisce una forza moderatrice della comune ricerca di ciò che lo
Spirito richiede.
70. In una Chiesa sinodale, la competenza decisionale
del Vescovo, del Collegio Episcopale e del Romano Pontefice è inalienabile, in
quanto radicata nella struttura gerarchica della Chiesa stabilita da Cristo.
Tuttavia, non è incondizionata: un orientamento che emerga nel processo
consultivo come esito di un corretto discernimento, soprattutto se compiuto
dagli organismi di partecipazione della Chiesa locale, non può essere ignorato.
L’obiettivo del discernimento ecclesiale sinodale non è far obbedire i Vescovi
alla voce del Popolo, subordinando i primi al secondo, né offrire ai Vescovi un
espediente per rendere accettabili decisioni già prese, ma condurre a una
decisione condivisa in obbedienza allo Spirito Santo. Risulta dunque inadeguata
una contrapposizione tra consultazione e deliberazione: nella Chiesa la
deliberazione avviene con l’aiuto di tutti, mai senza l’autorità pastorale che
decide in virtù del suo ufficio. Per questa ragione la formula ricorrente nel
CIC, che parla di “voto solamente consultivo” (tantum consultivum),
sminuisce il valore della consultazione e va corretta.
71. Spetta alle Chiese locali dare crescente
attuazione a tutte le possibilità di dare vita a processi decisionali
autenticamente sinodali, appropriati alle specificità dei diversi contesti. Si
tratta di un compito di grande importanza e urgenza, in quanto da esso dipende
largamente il buon esito della fase attuativa del Sinodo. Senza cambiamenti
concreti, la visione di una Chiesa sinodale non sarà credibile e questo
allontanerà quei membri del Popolo di Dio che dal cammino sinodale hanno tratto
forza e speranza. Questo vale in modo ancora più speciale per quanto riguarda
l’effettiva partecipazione delle donne ai processi di elaborazione e alla presa
di decisioni, come richiesto in molti dei contributi ricevuti dalle Conferenze
Episcopali.
72. Infine, non bisogna dimenticare che processi di
consultazione, discernimento comunitario o elaborazione sinodale delle
decisioni esigono che quanti vi partecipano abbiano effettivo accesso a tutte
le informazioni rilevanti, in modo da poter formulare il proprio parere a ragion
veduta. È responsabilità dell’autorità che indice il processo fare in modo che
questo accada. Processi decisionali sinodali sani richiedono un adeguato
livello di trasparenza. Ugualmente è bene sottolineare la delicatezza del
compito e la particolare responsabilità di coloro che esprimono il proprio
parere in una consultazione.
Trasparenza,
rendiconto, valutazione
73. Una Chiesa sinodale ha bisogno di cultura e
pratica della trasparenza e del rendiconto (accountability, un termine
inglese usato anche in altre lingue), che sono indispensabili per promuovere la
fiducia reciproca necessaria per camminare insieme ed esercitare la
corresponsabilità per la comune missione. Nella Chiesa l’esercizio del
rendiconto non risponde in primo luogo a esigenze di carattere sociale e
organizzativo. Il suo fondamento è piuttosto da ricercarsi nella natura della
Chiesa quale mistero di comunione.
74. Nel Nuovo Testamento possiamo trovare pratiche di
rendiconto nella vita della Chiesa primitiva, significativamente legate proprio
alla custodia della comunione. Ce ne offre un esempio il cap. 11 degli Atti
degli apostoli: quando Pietro rientra a Gerusalemme dopo aver battezzato
Cornelio, un pagano, «i fedeli circoncisi lo rimproveravano dicendo: “Sei
entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato insieme con loro!”» (At
11,2-3). Pietro risponde con un racconto che rende conto delle ragioni del suo
operato. Il rendere conto del proprio ministero alla comunità appartiene alla
tradizione più antica, risalendo alla Chiesa apostolica. La teologia cristiana
del servizio (stewardship) offre un quadro di riferimento al cui interno
comprendere l’esercizio dell’autorità e situare la riflessione su trasparenza e
rendiconto.
75. Nel nostro tempo, la richiesta di trasparenza e rendiconto
nella Chiesa e da parte della Chiesa si è imposta a seguito della perdita di
credibilità dovuta agli scandali finanziari e soprattutto agli abusi sessuali e
di altro genere su minori e persone vulnerabili. La mancanza di trasparenza e
di forme di rendiconto alimenta il clericalismo, che si fonda sull’assunto
implicito che i Ministri ordinati non debbano rendere conto a nessuno
dell’esercizio dell’autorità loro conferita.
76. Se la Chiesa sinodale vuole essere accogliente,
allora rendiconto e trasparenza devono essere al centro della sua azione a
tutti i livelli e non solo al livello dell’autorità. Tuttavia, chi ricopre
ruoli di autorità ha una responsabilità maggiore a riguardo. Trasparenza e rendiconto
non si limitano all’ambito degli abusi sessuali e finanziari. Devono riguardare
anche i piani pastorali, i metodi di evangelizzazione e le modalità con cui la
Chiesa rispetta la dignità della persona umana, ad esempio per quanto riguarda
le condizioni di lavoro all’interno delle sue istituzioni.
77. Se nel corso dei secoli si è conservata la pratica
del rendere conto ai superiori, va recuperata la dimensione del rendiconto
dell’autorità nei confronti della comunità. La trasparenza deve essere una
caratteristica dell’esercizio dell’autorità nella Chiesa. Oggi appaiono
necessarie strutture e forme di valutazione regolare del modo in cui sono
esercitate le responsabilità ministeriali di ogni genere. La valutazione,
intesa in senso non moralistico, permette ai Ministri di apportare
tempestivamente eventuali aggiustamenti, e favorisce la loro crescita e
capacità di svolgere un servizio migliore.
78. Oltre a osservare quanto già previsto dalle norme
canoniche in materia di criteri e meccanismi di controllo, compete alle Chiese
locali e soprattutto ai loro raggruppamenti (Conferenze Episcopali e Strutture
Gerarchiche Orientali) costruire forme e procedure efficaci di trasparenza e
rendiconto, appropriate alla varietà dei contesti, a partire dal quadro
normativo civile, dalle attese della società e dalle effettive disponibilità di
competenze in materia. Tuttavia, anche laddove le risorse siano scarse, la Chiesa
opererà per una evoluzione del proprio operato e della mentalità comune nella
direzione della trasparenza e della cultura del rendiconto.
79. In particolare, in forme appropriate ai diversi
contesti, pare necessario garantire quanto meno: a) un effettivo funzionamento
dei Consigli degli affari economici; b) il coinvolgimento effettivo del Popolo
di Dio, in particolare dei membri più competenti, nella pianificazione
pastorale ed economica; c) la predisposizione e la pubblicazione (effettiva
accessibilità) di un rendiconto economico annuale, per quanto possibile
certificato da revisori esterni, che renda trasparente la gestione dei beni e
delle risorse finanziarie della Chiesa e delle sue istituzioni; d) un
rendiconto annuale sullo svolgimento della missione, che comprenda una
illustrazione delle iniziative intraprese in materia di safeguarding
(tutela dei minori e delle persone vulnerabili) e di promozione dell’accesso
delle donne a posizioni di autorità e della loro partecipazione ai processi
decisionali; e) procedure di valutazione periodica dello svolgimento di tutti i
ministeri e incarichi all’interno della Chiesa. Anche in questo caso, si tratta
di un punto di grande importanza e urgenza per la credibilità del processo
sinodale e della sua attuazione.
La vita sinodale
missionaria della Chiesa, le relazioni di cui è intessuta e i percorsi che ne
assicurano lo sviluppo, non possono mai prescindere dalla concretezza di un
“luogo”, cioè di un contesto e di una cultura. Questa Parte III ci invita a
superare una visione statica dei luoghi, che li ordina per livelli o gradi
successivi (Parrocchia, zona, Diocesi o Eparchia, Provincia Ecclesiastica,
Conferenza Episcopale o Struttura Gerarchica Orientale, Chiesa universale) secondo
un modello piramidale. In realtà non è mai stato così: la rete dei rapporti e
dello scambio di doni tra le Chiese ha sempre avuto una forma reticolare più
che lineare, nel vincolo dell’unità di cui il Romano Pontefice è perpetuo e
visibile principio e fondamento, e la cattolicità della Chiesa non è mai
coincisa con un universalismo astratto. Inoltre, nel quadro di una concezione
dello spazio in rapido cambiamento, costringere l’azione della Chiesa entro
confini puramente spaziali la imprigionerebbe in un fatale immobilismo e in una
preoccupante ripetitività pastorale, incapace di intercettare la parte più
dinamica della popolazione, in particolare i giovani. I luoghi vanno invece
collocati in una prospettiva di mutua interiorità, da concretizzare anche nei
rapporti tra Chiese e in loro raggruppamenti dotati di un’unità di senso. Il
servizio dell’unità che compete al Vescovo di Roma e al Collegio dei Vescovi in
comunione con lui deve parimenti misurarsi con questo scenario, elaborando le
opportune forme istituzionali del proprio esercizio.
Territori in cui
camminare insieme
80. «Alla Chiesa di Dio che è in Corinto…»
(1Cor 1,2). L’annuncio del Vangelo, suscitando la fede nel cuore degli uomini e
delle donne, fa sì che in un luogo si costituisca una Chiesa. La Chiesa non si
può comprendere senza il radicamento in un luogo e in una cultura e senza le
relazioni che si instaurano tra luoghi e culture. Sottolineare l’importanza del
luogo non significa cedere al particolarismo o al relativismo, ma valorizzare
la concretezza in cui, nello spazio e nel tempo, prende forma un’esperienza condivisa
di adesione alla manifestazione di Dio che salva. La dimensione del luogo
custodisce la sorgiva pluralità delle configurazioni di questa esperienza e il
loro radicarsi in contesti culturali e storici specifici. La varietà delle
tradizioni liturgiche, teologiche, spirituali e disciplinari, è la più evidente
dimostrazione di quanto questa pluralità arricchisca e renda bella la Chiesa. È
la comunione delle Chiese, ciascuna con la sua concretezza locale, a manifestare
la comunione dei Fedeli nella Chiesa una e unica, evitandone l’evaporazione in
un universalismo astratto e omogeneizzante.
81. L’esperienza del pluralismo delle culture e della
fecondità dell’incontro e del dialogo tra di loro, è condizione di vita della
Chiesa, non una minaccia alla sua cattolicità. Il messaggio salvifico resta uno
e unico: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla
quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una
sola fede, un solo Battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra
di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,4-6). Questo
messaggio assume una forma plurale, espressa nella diversità di popoli,
culture, tradizioni e lingue. Prendere sul serio questa pluralità di forme
scongiura pretese egemoniche e il rischio di ridurre il messaggio salvifico a
un’unica comprensione della vita ecclesiale e delle espressioni liturgiche,
pastorali o morali. La trama delle relazioni all’interno di una Chiesa
sinodale, resa visibile nello scambio di doni tra le Chiese e garantita
dall’unità del Collegio dei Vescovi con a capo il Vescovo di Roma, è presidio
dinamico di una unità che non può mai diventare uniformità.
82. Tutto questo è chiamato oggi a misurarsi con
condizioni socioculturali che modificano profondamente l’esperienza vissuta del
radicamento territoriale. Il luogo non può più essere inteso in termini
puramente geografici e spaziali, ma richiama piuttosto l’appartenenza a una
trama di relazioni e a una cultura con un ancoraggio territoriale più dinamico
ed elastico che in passato. Questo non può non interrogare le forme
organizzative della Chiesa che si sono strutturate sulla base di una diversa
concezione di luogo e richiede anche di assumere criteri differenziati,
ovviamente non contraddittori, per incarnare l’unica verità nella vita delle
persone.
83. Tra i fattori di questo cambiamento vi è certamente
il fenomeno dell’urbanizzazione: oggi, per la prima volta nella storia umana,
la maggioranza dell’umanità vive in contesti urbani e non rurali.
L’appartenenza territoriale si configura in modo diverso in contesto urbano, dove
i confini tra le parti hanno un carattere più evidentemente convenzionale.
Nelle grandi megalopoli bastano poche fermate di metropolitana per attraversare
i confini non della Parrocchia, ma della Diocesi: uno spostamento che molte
persone compiono più volte nell’arco della stessa giornata. La loro vita si
svolge ordinariamente in luoghi ecclesiali diversi.
84. Un secondo fattore è l’accresciuta mobilità umana,
per differenti ragioni, all’interno di un mondo globalizzato. Rifugiati e
migranti costituiscono spesso comunità vivaci, anche per quanto riguarda la
pratica della fede, rendendo così plurale il luogo in cui si stabiliscono. Al
tempo stesso, mantengono, anche grazie ai mezzi di comunicazione digitale,
legami e relazioni con il Paese di provenienza. Vivono dunque una molteplice
appartenenza locale, culturale e linguistica. Anche le comunità di origine
sperimentano da un lato la riduzione dei propri membri, fino al rischio di
scomparire, dall’altro un ampliamento del proprio tessuto relazionale a scala
globale. Come ha notato la Prima Sessione, emblematica a questo riguardo è la
situazione di alcune Chiese Orientali Cattoliche: con gli attuali ritmi dei
flussi migratori, i loro membri in diaspora potrebbero diventare più numerosi
di quelli che vivono nei territori canonici (cfr. RdS 6c). In ogni caso,
diventerà sempre più anacronistico definire il loro luogo in termini puramente
geografici. Sulle sfide che questo pone nei rapporti con la Chiesa latina è
chiamato a riflettere il Gruppo di studio n. 1.
85. Infine, non possiamo trascurare la diffusione
della cultura dell’ambiente digitale, specialmente tra i giovani. Essa impatta
in modo radicale sull’esperienza e sulla concezione dello spazio e del tempo,
così come sul modo di vivere le attività di ogni genere, le comunicazioni e le
relazioni, e anche la fede. Non a caso, la Prima Sessione afferma che «la
cultura digitale non è tanto un’area distinta della missione, quanto una
dimensione cruciale della testimonianza della Chiesa» (RdS 17b). A questa sfida
è dedicato il lavoro del terzo dei dieci Gruppi di studio.
86. Queste dinamiche della società e della cultura
chiedono alla Chiesa di tornare a pensare al senso della propria dimensione
locale, in vista del bene della missione. Senza dimenticare che la vita si
svolge sempre in contesti fisici e in culture concrete, dai quali non si può
mai prescindere, occorre uscire da una interpretazione unicamente spaziale del
luogo: i luoghi, anche e soprattutto quelli della Chiesa, non sono soltanto
spazi, ma ambiti e reti in cui le relazioni possono svilupparsi, offrendo alle
persone una opportunità di radicamento e una base per la missione, che
porteranno avanti ovunque si svolga la loro vita. La conversione sinodale delle
menti e dei cuori deve essere accompagnata da una riforma sinodale dei luoghi
ecclesiali, chiamati a essere strade su cui camminare insieme. Questo non
significa rinchiudere in appartenenze elettive l’azione pastorale, che deve poter
incontrare ogni uomo e ogni donna.
87. Questa riforma va condotta sulla base della
comprensione della Chiesa come Popolo santo di Dio, articolata nella comunione
delle Chiese (communio Ecclesiarum).
L’esperienza vissuta ci ha mostrato che avviare il processo sinodale dalle Chiese
locali non compromette l’unità della Chiesa tutta, ma esprime la varietà e
l’universalità del Popolo di Dio (cfr. LG 22), né pregiudica l’esercizio del
ministero di unità del Vescovo di Roma, ma lo valorizza. Non bisogna pensare la
Chiesa a partire dalle sue istituzioni, ma queste, anche le più importanti,
vanno ripensate nella logica del servizio della missione.
88. In ragione del servizio del Vescovo di Roma come
principio visibile di unità della Chiesa tutta e di ogni Vescovo come principio
visibile di unità nella sua Chiesa, il Concilio ha potuto dire che la Chiesa,
corpo mistico di Cristo, è anche un corpo di Chiese, nelle quali e a partire
dalle quali esiste l’una e unica Chiesa Cattolica (cfr. LG 23). Questo corpo si
articola: a) nelle singole Chiese come porzioni del Popolo di Dio, ciascuna
affidata a un Vescovo; b) nei raggruppamenti di Chiese, dove le istanze della
comunione sono rappresentate soprattutto dagli organismi gerarchici; c) nella Chiesa
intera (Ecclesia tota), dove la Chiesa come comunione di Chiese
è espressa dal Collegio dei Vescovi raccolto intorno al Vescovo di Roma nel
vincolo della comunione episcopale (cum
Petro) e gerarchica (sub Petro). La riforma delle
istituzioni ecclesiali non può che seguire questa ordinata articolazione della
Chiesa.
Le Chiese locali nell’una e unica Chiesa Cattolica
89. La Chiesa locale, nella sua articolazione, è il
luogo in cui possiamo sperimentare più immediatamente la vita sinodale
missionaria della Chiesa tutta. I contributi delle Conferenze Episcopali
parlano di Parrocchie, comunità di base e piccole comunità come di ambiti di
comunione e di partecipazione nella missione. Come hanno affermato i Parroci
riuniti a Sacrofano, «i membri delle Parrocchie sono e diventano discepoli
missionari di Gesù riuniti nel suo nome per la preghiera e il culto, il
servizio e la testimonianza in tempi di gioia e di dolore, di speranza e di
lotta». Dio è all’opera in queste realtà ecclesiali. Al tempo stesso, siamo
consapevoli che dobbiamo fare di più per mettere a frutto la grande plasticità
della Parrocchia, compresa come comunità di comunità, a servizio della creatività
missionaria.
90. Oggi le Chiese locali sono composte anche da realtà
associative e comunitarie che sono espressioni antiche e nuove della vita
cristiana. In particolare, gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita
apostolica contribuiscono molto alla vita delle Chiese locali e alla vivacità dell’azione
missionaria. Lo stesso vale per le associazioni laicali, i movimenti ecclesiali
e le Nuove Comunità. L’appartenenza alla Chiesa si esprime oggi con un numero
crescente di forme che non fanno riferimento a una base geograficamente
definita, ma a legami di tipo associativo. Questa varietà di forme va promossa,
tenendo sempre presente la prospettiva missionaria e il discernimento
ecclesiale di ciò che il Signore chiede in ogni particolare contesto.
L’animazione di questa molteplice varietà e la cura dei legami di unità sono
competenza specifica del Vescovo diocesano o eparchiale. Al Gruppo di studio n.
6 è stato affidato il compito di approfondire questi aspetti.
91. Come già nelle fasi precedenti del processo
sinodale, anche in occasione della consultazione in vista della redazione del
presente Instrumentum laboris, molti
dei contributi pervenuti considerano i diversi tipi di Consigli (parrocchiali,
zonali, diocesani o eparchiali) come strumenti essenziali per la
pianificazione, l’organizzazione, l’esecuzione e la valutazione delle attività
pastorali, e segnalano la necessità di valorizzarli. Si tratta infatti di
strutture già previste dal vigente diritto. Con gli opportuni adattamenti
potrebbero rivelarsi ancora più adatti a dare forma concreta ad alcuni aspetti
di uno stile sinodale: possono diventare soggetti di processi di discernimento
ecclesiale e di processi decisionali sinodali e luoghi della pratica del
rendiconto e della valutazione di coloro che ricoprono ruoli di autorità, senza
dimenticare che dovranno a loro volta rendere conto del modo in cui svolgono i
propri compiti. Si tratta quindi di uno degli ambiti più promettenti su cui
agire per una rapida attuazione degli orientamenti sinodali, che conduca a
cambiamenti percepibili in modo rapido.
92. Per procedere in questa direzione, molti
contributi segnalano la necessità di intervenire sul profilo e le modalità di
funzionamento di questi organi. Tra gli aspetti più significativi a cui
prestare attenzione si segnala la modalità di designazione dei membri, puntando
a che la loro composizione rifletta quella della comunità di riferimento (Parrocchia
o Diocesi/Eparchia), così da contribuire credibilmente alla promozione di una
cultura della trasparenza e del rendiconto. Occorre perciò che la maggioranza
dei membri non sia indicata dall’autorità (Vescovo o Parroco), ma designata in
altro modo, esprimendo effettivamente la realtà della comunità o della Chiesa
locale.
93. Uguale attenzione richiede la composizione di
questi organismi, in modo da favorire un maggiore coinvolgimento delle donne,
dei giovani e di coloro che vivono in condizioni di povertà o emarginazione.
Inoltre, come ha sottolineato anche la Prima Sessione, è fondamentale che in
questi organi siedano uomini e donne impegnati nella testimonianza della fede
nelle ordinarie realtà della vita e nelle dinamiche sociali, con una
riconosciuta disposizione apostolica e missionaria (cfr. RdS 18d), e non solo
persone impegnate nell’organizzazione della vita e dei servizi interni alla
comunità. In questo modo il discernimento ecclesiale realizzato da questi
organismi beneficerà di una maggiore apertura, capacità di analisi della realtà
e pluralità di prospettive. Infine, molti contributi segnalano l’opportunità di
rendere obbligatori quei Consigli la cui istituzione è discrezionale nel
diritto attualmente vigente.
94. Alcune Conferenze Episcopali condividono anche
esperienze di riforma e buone pratiche già in atto, come la creazione di reti
di Consigli pastorali a livello di comunità di base, Parrocchie e zone, fino al
Consiglio pastorale diocesano. Come modello di consultazione e ascolto, si
propone lo svolgimento di assemblee ecclesiali a tutti i livelli, cercando di
non limitare la consultazione all’interno della Chiesa Cattolica, ma aprendosi
al contributo di altre Chiese e Comunità Ecclesiali e di altre religioni
presenti sul territorio e alla società, insieme a cui la comunità cristiana
cammina.
I legami che
danno forma all’unità della Chiesa
95. L’orizzonte comunionale dello scambio di doni,
esplicitato nella Parte I, costituisce il criterio ispirativo della relazione
tra le Chiese. Esso combina l’enfasi sui legami che danno forma all’unità della
Chiesa con la valorizzazione delle peculiarità legate al contesto in cui vive
ciascuna Chiesa locale, con la sua storia e la sua tradizione. Adottare uno
stile sinodale permette di non pensare che su ogni questione tutte le Chiese
debbano muoversi per forza con lo stesso passo. Al contrario, le differenze di
ritmo possono essere valorizzate come espressione di una legittima diversità e
come occasione per uno scambio di doni e mutuo arricchimento. Per potersi
realizzare, questo orizzonte ha bisogno di incarnarsi in strutture e prassi
concrete. Rispondere alla domanda «Come
essere Chiesa sinodale in missione?» richiede di identificarle e promuoverle.
96. Strutture Gerarchiche Orientali e Conferenze Episcopali
sono uno strumento fondamentale di creazione di legami e condivisione di
esperienze tra le Chiese, oltre che di decentramento del governo e della
pianificazione pastorale. «Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo
analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Conferenze Episcopali possono
“portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità
si realizzi concretamente” (LG 23). Ma questo auspicio non si è pienamente
realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto
delle Conferenze Episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni
concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale» (EG 32).
Cercare il modo per essere Chiesa sinodale in missione richiede di affrontare
questa questione.
97. A partire da quanto emerso lungo il processo
sinodale, si propone di: a) riconoscere le Conferenze Episcopali come soggetti
ecclesiali dotati di autorità dottrinale, assumendo la diversità socioculturale
nel quadro di una Chiesa poliedrica e favorendo la valorizzazione delle
espressioni liturgiche, disciplinari, teologiche e spirituali appropriate ai
diversi contesti socio-culturali; b) procedere a una valutazione
dell’esperienza vissuta del funzionamento delle Conferenze Episcopali e delle Strutture
Gerarchiche Orientali, delle relazioni tra gli Episcopati e con la Santa Sede,
per identificare le riforme concrete da attuare; le visite ad limina, che rientrano nell’ambito del Gruppo di studio n. 7, potrebbero
costituire una occasione propizia per questa valutazione; c) assicurare che
tutte le Diocesi o Eparchie siano assegnate a una Provincia Ecclesiastica e a
una Conferenza Episcopale o Struttura Gerarchica Orientale (cfr. CD 40).
98. L’esperienza delle Assemblee continentali è stata
la novità della prima fase del processo sinodale, dando in modo più coerente
attuazione all’indicazione conciliare di prendere sul serio la peculiarità di
«di ogni vasto territorio socio-culturale» alla ricerca di «un più profondo
adattamento in tutto l’ambito della vita cristiana» (AG 22). Questa esperienza,
così come il cammino delle Chiese di alcune regioni, solleva la questione
dell’articolazione del dinamismo sinodale e collegiale attraverso appropriate
espressioni istituzionali, ad esempio assemblee ecclesiali e Conferenze Episcopali
a cui affidare compiti coordinati di elaborazione e presa di decisioni in ambito
continentale o regionale. Si possono anche attuare metodi di discernimento che
includano una diversità di soggetti ecclesiali nella redazione dei documenti e nei processi decisionali. Inoltre, si
propone che per il discernimento si possano prevedere, in forme adeguate alla
diversità dei contesti, anche spazi di ascolto e dialogo con istituzioni
civili, rappresentanti di altre religioni, organizzazioni non cattoliche e la
società in generale.
99. Il desiderio che il dialogo sinodale locale non si
concluda, ma continui nel tempo e la necessità di una effettiva inculturazione
della fede in ambiti territoriali significativi spinge a una nuova
valorizzazione dell’istituto dei Concili Particolari, sia Provinciali sia Plenari,
la cui periodica celebrazione è stata un obbligo per larga parte della storia
della Chiesa. Sulla base dell’esperienza maturata lungo il percorso sinodale,
si possono pensare forme che articolino un’assemblea di soli Vescovi e
un’assemblea ecclesiale composta anche da altri Fedeli (Presbiteri, Diaconi,
Consacrati e Consacrate, Laici e Laiche), delegati dai Consigli pastorali delle
Diocesi o Eparchie coinvolte, o designati in altro modo così da riflettere la
varietà della Chiesa nella regione. In questa linea, andrebbe riformata la
procedura della recognitio delle conclusioni dei Concili Particolari, in
modo da favorirne una tempestiva pubblicazione.
Il servizio all’unità del
Vescovo di Roma
100. Rispondere alla domanda «Come essere Chiesa sinodale in missione?» richiede anche di
rivisitare la dinamica che unisce sinodalità, collegialità e primato, perché
possa innervare i rapporti tra le istituzioni attraverso cui trova concreta
espressione.
101. Il processo sinodale ha mostrato la verità
dell’affermazione conciliare, che «nella comunione ecclesiale esistono
legittimamente le Chiese particolari, che godono di tradizioni proprie, salvo
restando il primato della cattedra di Pietro che presiede alla comunione
universale della carità, garantisce le legittime diversità e insieme vigila
perché il particolare non solo non nuoccia all’unità, ma anzi ne sia al
servizio» (LG 13). In forza di questa funzione, il Vescovo di Roma, in quanto
principio visibile di unità della Chiesa tutta (cfr. LG 23), è il garante della
sinodalità: spetta a lui chiamare la Chiesa tutta all’azione sinodale,
convocando, presiedendo e confermando i risultati dei Sinodi dei Vescovi;
dovrebbe essere sua cura vigilare perché la Chiesa cresca in uno stile e in una
forma sinodale.
102. La riflessione in merito alle forme di esercizio
del ministero petrino va condotta anche nella prospettiva della «salutare
decentralizzazione» (EG 16), sollecitata da Papa Francesco e richiesta da molte
Conferenze Episcopali. Nella formulazione che ne dà la Costituzione Apostolica Praedicate
Evangelium, essa comporta «di lasciare alla competenza dei Pastori la
facoltà di risolvere nell’esercizio del “loro proprio compito di maestri” e di
Pastori le questioni che conoscono bene e che non toccano l’unità di dottrina, di disciplina e di
comunione della Chiesa, sempre agendo con quella corresponsabilità che è frutto
ed espressione di quello specifico mysterium communionis
che è la Chiesa» (PE II, 2).
103. Per procedere in questa direzione, si potrebbe
proseguire nella linea del recente Motu Proprio Competentias quasdam
decernere (15 febbraio 2022), che assegna «alcune competenze, circa
disposizioni codiciali volte a garantire l’unità della disciplina della Chiesa
universale, alla potestà esecutiva delle Chiese e delle istituzioni ecclesiali
locali» sulla base della «dinamica ecclesiale della comunione» (proemio).
104. Inoltre, anche l’elaborazione della norma canonica
può essere luogo di esercizio di uno stile sinodale. L’azione normativa non è
limitata all’esercizio di una potestà riconosciuta in capo all’autorità, ma va
considerata come vero e proprio discernimento ecclesiale. Anche se da sola gode
di tutte le prerogative per legiferare, nel farlo l’autorità potrebbe e
dovrebbe agire con metodo sinodale, al fine di promulgare una norma che sia
frutto di un ascolto nello Spirito di una esigenza di giustizia.
105. La citata Costituzione Apostolica Praedicate
Evangelium ha configurato in senso sinodale e missionario il servizio che
la Curia Romana presta al Vescovo di Roma e al Collegio dei Vescovi. Nella
logica della trasparenza e del rendiconto, andranno previste forme di valutazione
periodica del suo operato, affidate a un organo indipendente (quale potrebbe
essere il Consiglio dei Cardinali e/o un consiglio di Vescovi eletto dal
Sinodo). Al ruolo dei Rappresentanti pontifici in prospettiva sinodale
missionaria e alle modalità di valutazione del loro operato è dedicato il
Gruppo di studio n. 8.
106. La stessa Assemblea di ottobre 2023 indicava la
necessità di procedere a una valutazione dei frutti della Prima Sessione (cfr.
RdS 20j), valutazione che non può prescindere dallo sviluppo impresso dalla
Costituzione Apostolica Episcopalis communio, che trasforma il Sinodo da
evento puntuale a processo ecclesiale che si distende nello spazio e nel tempo.
Tra i luoghi per praticare la sinodalità e la collegialità a livello della
Chiesa tutta spicca certamente il Sinodo dei Vescovi. Istituito da San Paolo VI
come un’assemblea di Vescovi convocata per partecipare, mediante il consiglio,
alla sollecitudine del Romano Pontefice per tutta la Chiesa, è ora, nella forma
del processo per fasi, l’ambito in cui si realizza e può essere incentivata la
relazione dinamica tra sinodalità, collegialità e primato. L’intero Popolo
santo di Dio, i Vescovi a cui sono affidate le sue singole porzioni e il
Vescovo di Roma in quanto principio di unità della Chiesa, partecipano a pieno
titolo al processo sinodale, ciascuno secondo la propria funzione. Questa
partecipazione è resa manifesta dall’Assemblea sinodale riunita intorno al
Vescovo di Roma, che, nella sua composizione, mostra la varietà e
l’universalità della Chiesa quale «“sacramento di unità”, cioè Popolo santo
radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi» (SC 26).
107. Tra i frutti più significativi del Sinodo
2021-2024 vi è l’intensità dello slancio e della promessa ecumenica che lo
contraddistingue. Può essere utile affrontare in questa luce anche la questione
dell’esercizio del ministero petrino, affinché possa aprirsi «a una situazione
nuova» (UUS 95). Il recente documento del Dicastero per la Promozione
dell’Unità dei Cristiani Il Vescovo di Roma. Primato e sinodalità nei
dialoghi ecumenici e nelle risposte all’enciclica “Ut unum sint” offre
spunti per un ulteriore approfondimento. Il tema rientra nell’ambito del Gruppo
di studio n. 10, dedicato alla recezione dei frutti del cammino ecumenico nelle
prassi ecclesiali.
108. La ricchezza rappresentata dalla partecipazione
alla Prima Sessione dei Delegati fraterni, provenienti da altre Chiese e
Comunità Ecclesiali, ci invita a crescere nell’attenzione a come la sinodalità
si realizza nei nostri partner ecumenici, tanto in Oriente come in Occidente.
Il dialogo ecumenico è fondamentale per sviluppare la comprensione della
sinodalità e dell’unità della Chiesa. Ma soprattutto ci spinge a immaginare
pratiche sinodali autenticamente ecumeniche, fino a forme di consultazione e
discernimento su questioni di interesse condiviso e urgente. Alla radice di
questa possibilità vi è il fatto che siamo uniti nell’unico Battesimo, da cui
scaturiscono l’identità del Popolo di Dio e il dinamismo di comunione,
partecipazione e missione.
Conclusione – La Chiesa
sinodale nel mondo
109. In questo mondo ogni cosa è connessa ed è segnata
da un desiderio dell’altro che non viene mai meno. Tutto è un appello alla
relazione e una testimonianza di non autosufficienza. Il mondo intero, quando
lo si contempla con lo sguardo educato dalla Rivelazione cristiana, è segno
sacramentale di una presenza che lo trascende e lo anima, conducendolo
all’incontro con Dio, che si compirà definitivamente nella convivialità delle
differenze, le quali troveranno piena composizione al banchetto escatologico
preparato da Dio sul suo monte.
110. Trasformata dall’annuncio della Risurrezione, la
Chiesa cerca di diventare un luogo dove si respira e si vive la visione di
Isaia, così da essere «sostegno al misero, sostegno
al povero nella sua angoscia, riparo dalla tempesta, ombra contro il caldo» (Is
25,4). In questo modo apre il suo cuore al Regno. Quando i membri della Chiesa
si lasciano condurre dallo Spirito del Signore verso orizzonti che prima non
avevano intravisto, sperimentano una gioia incommensurabile. Nella sua
bellezza, umiltà e semplicità, è questa la conversione continua dello stile
della Chiesa che il processo sinodale ci invita a intraprendere.
111. L’Enciclica Fratelli tutti ci presenta la
chiamata a riconoscerci come sorelle e fratelli in Cristo risorto, proponendolo
non come uno status, ma come uno stile di vita. L’Enciclica sottolinea il
contrasto tra il tempo in cui viviamo e la visione di convivialità preparata da
Dio. Il velo, la coltre e le lacrime dei nostri tempi sono il risultato del
crescente isolamento reciproco, della crescente violenza e polarizzazione del
nostro mondo e dello sradicamento dalle sorgenti della vita. Questo Instrumentum
laboris si interroga e ci interroga su come essere una Chiesa sinodale missionaria;
come impegnarci in un ascolto e in un dialogo profondi; come essere
corresponsabili alla luce del dinamismo della nostra vocazione battesimale
personale e comunitaria; come trasformare strutture e processi in modo che
tutti possano partecipare e condividere i carismi che lo Spirito riversa su
ciascuno per l’utilità comune; come esercitare potere e autorità come servizio.
Ognuna di queste domande è un servizio alla Chiesa e, attraverso la sua azione,
alla possibilità di guarire le ferite più profonde del nostro tempo.
112. Il profeta Isaia termina il suo oracolo con un
inno di lode da riprendere in coro: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato
perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci,
esultiamo per la sua salvezza» (Is 25,9). Come Popolo di Dio uniamoci a questa
lode, mentre come pellegrini di speranza continuiamo ad avanzare lungo il
cammino sinodale verso coloro che ancora attendono l’annuncio della Buona Notizia
della salvezza!
[1] A
meno di diversa indicazione o dove risulti chiaro dal contesto che non è così,
nel testo dell’Instrumentum laboris il termine “Chiesa” indica «l’una e
unica Chiesa Cattolica» (LG 23), mentre il plurale “Chiese” indica le Chiese
locali in cui e a partire da cui essa esiste.
[2]
Qui, come di seguito, le citazioni delle Conferenze Episcopali e dei loro
raggruppamenti continentali provengono dalle sintesi trasmesse alla Segreteria
Generale del Sinodo al termine della consultazione delle Chiese locali che ha
avuto luogo tra la fine del 2023 e la prima metà del 2024.
[3]
Diffuso dalla Segreteria Generale del Sinodo l’11 dicembre 2023 e disponibile
sul sito www.synod.va.
[4] A
riguardo, si rinvia al documento Come essere Chiesa sinodale in missione?
Cinque prospettive da approfondire teologicamente in vista della Seconda
Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi,
diffuso dalla Segreteria Generale del Sinodo il 14 marzo 2024 e disponibile sul
sito www.synod.va.
[5] A
riguardo, si rinvia al documento Gruppi di studio su questioni emerse nella
Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi da
approfondire in collaborazione con i Dicasteri della Curia Romana. Traccia di
lavoro, pure diffuso il 14 marzo 2024 e disponibile sul sito www.synod.va.
[6] Le
tematiche emergenti nella Relazione di Sintesi della Prima Sessione e affidate
ai dieci Gruppi di studio sono:
1.
Alcuni aspetti delle relazioni tra Chiese Orientali
Cattoliche e Chiesa latina (RdS 6).
2.
L’ascolto del grido dei poveri (RdS 4 e 16).
3.
La missione nell’ambiente digitale (RdS 17).
4.
La revisione della Ratio
Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis in prospettiva sinodale missionaria
(RdS 11).
5.
Alcune questioni teologiche e canonistiche intorno a
specifiche forme ministeriali (RdS 8 e 9).
6.
La revisione, in prospettiva sinodale e missionaria,
dei documenti che disciplinano le relazioni fra Vescovi, Religiosi,
Aggregazioni ecclesiali (RdS 10).
7.
Alcuni aspetti della figura e del ministero del Vescovo
(in particolare: criteri di selezione dei candidati all’Episcopato, funzione
giudiziale del Vescovo, natura e svolgimento delle visite ad limina Apostolorum) in prospettiva sinodale missionaria (RdS 12
e 13).
8.
Il ruolo dei Rappresentanti pontifici in prospettiva
sinodale missionaria (RdS 13).
9.
Criteri teologici e metodologie sinodali per un
discernimento condiviso di questioni dottrinali, pastorali ed etiche
controverse (RdS 15).
10.
La recezione dei frutti del cammino ecumenico nel
Popolo di Dio (RdS 7).
[7] Il
termine “sinodo” nelle tradizioni delle Chiese d’Oriente e d’Occidente si
riferisce a istituzioni ed eventi che nel tempo hanno assunto forme diverse,
coinvolgendo una pluralità di soggetti. Nella loro varietà, tutte queste forme
sono accomunate dal radunarsi insieme per dialogare, discernere e decidere.