Propositi
I programmi sono dei più giovani. Le persone anziane, diciamo passati i sessanta, tendono a vivere giorno per giorno, anche perché il tempo sembra scorrere più velocemente. Però è utile programmarlo per non sprecarlo. E questo vale anche per i gruppi.
Ci si trova in un gruppo di Azione Cattolica non per passare il tempo, ma per raggiungere altri obiettivi, per produrre, costruire. Il centro non siamo noi, ma il lavoro per quel fine.
Negli ultimi anni si è affermata l’idea dello stare in chiesa come via per il benessere personale. È un po’ limitata. Non corrisponde alla sequela e alla missione, che si sono sempre ritenute caratterizzare la vita nella nostra fede.
Il corso della liturgia, con il suo andamento ciclico, mi pare incoraggiare la routine. Ma viviamo invece in tempi caratterizzati da veloci cambiamenti. Se, ad esempio, penso al nostro quartiere al tempo della mia infanzia mi rendo conto di quanto sia cambiato. Parlo della metà degli anni Sessanta. Basti pensare che a quell’epoca un bambino delle elementari poteva girare da solo. Negli anni Settanta la situazione cominciò a peggiorare, in particolare con la diffusione della motorizzazione di massa e dell’uso degli stupefacenti. I contrasti civili divennero molto più intensi, in un modo che già un quarantenne di oggi difficilmente può immaginare. Da questo punto di vista si vivono tempi meno violenti, c’è un certo conformismo in giro. Si vuole essere lasciati in pace e chi sta peggio accetta la propria condizione. Dalla politica non si vogliono riforme, ma sicurezza. La criminalità è essenzialmente legata al traffico di stupefacenti, alla prostituzione, all’usura e all’imposizione di tangenti per essere lasciati in pace. I primi due settori sono legati alla soddisfazione individuale, gli altri due alla sicurezza: tutti danno risultati illusori, creano dipendenza e fanno finire male.
Abbiamo una efferata guerra non lontano da noi, ma sembra che sia combattuta in un altro mondo. Le superpotenze che la combattono si sono accordate di mantenerla a bassa intensità, niente di simile, ad esempio, ai bombardamenti sulle città nella Seconda guerra mondiale e agli esiti catastrofici che si temevano fino agli anni ’80 in un caso come questo, di guerra tra statunitensi e russi. E questo nonostante che tra i soldati, in entrambe le armate che si fronteggiano, ci siano state perdite umane enormi, stimate in duecentomila morti dal capo di stato maggiore statunitense, oltre alle persone rimaste invalide, e questo per la grande precisione degli armamenti moderni, che non lascia scampo, e per la brutalità dei combattimenti ravvicinati. Quindi il tema della pace non appassiona, ci fidiamo infarti nella capacità dei signori della guerra di non distruggere tutto, di non produrre quella catastrofe globale che, fini alla metà degli anni ‘80 fu il fondamento di quella deterrenza che generò l’equilibrio nel terrore. E, così, in definitiva ci chiamiamo fuori dall’impegno ad indurre il ritorno della pace e, anzi, parteggiamo per l’uno o per l’altro degli schieramenti, e, facendolo, costruiamo anche giustificazioni ideologiche in modo da apparire nel giusto: il nemico, così, è sempre l’aggressore. Il fatto che si combattano eserciti formati da persone cristiane non ci scandalizza più. In questo seguiamo ciò che era ritenuto giusto fino agli scorsi anni Cinquanta, quando si cominciò a ritenere che la pace rientrasse nella giustizia evangelica.
In Europa occidentale la nostra Chiesa sta svanendo, evaporando. In Germania e in Italia ne resistono gli apparati burocratici, in virtù delle imponenti risorse che vengono dal finanziamento pubblico. In Europa occidentale ci si sta legando ai neofascismi nazionalistici, illudendosi che ciò protegga la religione dalla dissoluzione. In Italia ancora no, benché abbia preso piede a livello nazionale una politica che esprime diversi elementi del nostro neofascismo. Da noi un vero nazionalismo non è mai riuscito ad affermarsi, in particolare per la strenua opposizione del Papato: l’unità nazionale si produsse contro di esso. Ma poi le differenze locali sono troppo intense.
Da conservatori e reazionari, il partito anticonciliare insomma, si sostiene che dagli anni Trenta le correnti religiose democratizzanti abbiano prodotto un minore accento sulla trascendenza e troppo interesse per le questioni umanitarie, e che a questo si debba la crisi. In realtà quello che ha perso credito è il potere ecclesiastico, sacralizzato secondo una certa mitologia religiosa. È successo perché quel potere si è rivelato inutile. Chiede sottomissione acritica senza dare nulla in cambio, né soddisfazione personale, né sicurezza. È divenuto autoreferenziale, vale a dire che opera più che altro per mantenersi, e in questo è pesantemente dipendente dal finanziamento pubblico, invece di esserlo dalla popolazione di fede, come accadrebbe se agisse con spirito di servizio.
Quanto alla trascendenza, senz’altro la gente vive ancora di miti, come sempre. E la mitologia cristiana ha ancora molto corso, ma più che altro con funzione consolatoria e cerimoniale. Forse in genere non se ne ha più un’immagine che i teologi ritengano corretta, come quando si imparavano a memoria le formule del catechismo capendone poco, ma, in fondo, quando mai la gente è riuscita ad assimilare i barocchi concetti delle teologie, espressi in asserti, in definizioni, molto complicati?
Il vangelo, però, a ben vedere, non è fatto principalmente di quello. Il Maestro non fu e non visse da studioso e la nostra religione consiste più che altro, si insegna, nel metterci alla sua sequela. Non si è nemmeno certi che sia stato in grado di leggere il greco antico, la lingua in cui furono scritti i Vangeli che si ritiene contengono veramente il suo insegnamento: è una congettura che sia stato in grado di intenderlo e di parlarlo, supponendo che il colloquio con Pilato, avvenuto senza interpreti (non se ne parla nei Vangeli), si sia svolto in quella lingua. L’antica cultura greca fu però fondamentale nella costruzione dei dogmi, quelle definizioni la cui accettazione è ritenuta essenziale per capire chi è dentro e chi fuori. In quel sistema concettuale, che è divenuto povero rispetto alla complessità del nostro mondo, si vuole però imbrigliare tutto. Dovremmo farcene solo ripetitori. Ma l’immaginario che c’è dietro, organizzato essenzialmente per sacralizzare la riforma dell’antico impero mediterraneo dal quale la nostra cultura discende, ci va ormai stretto. Si è sostenuto per secoli mediante una brutale ed estesa violenza, dalla quale le democrazie avanzate europee ci hanno liberato. La loro crisi la sta riportando in auge.
La sopravvivenza dei cristianesimi è storicamente dipesa dalla loro capacità di interpretare i tempi nuovi, non dalla strenua resistenza alle novità. Essi sono quindi cambiati continuamente. Per nostra buona sorte, non crediamo più al modo di come lo si faceva nel Cinquecento, e nemmeno come era costume tra il Quarto e il Settimo secolo, epoca a cui risale la nostra dogmatica. Tutta l’efferata violenza religiosa del passato scredita la nostra religione? Più che altro scredita i modi in cui la si è interpretata a quei tempi: il Maestro, alla cui sequela siamo esortati a metterci, non fu un violento e il suo insegnamento non comporta di esserlo. E l’episodio della cacciata dei mercanti dal Tempio? Ci dovette essere una bella confusione! Ma dove è scritto che disse di fare come lui? E poi non è nemmeno narrato che qualcuno sia rimasto ferito. È anche significativo che non se la sia presa con le autorità religiose che quel mercato avevano consentito. Difficile collegare al suo insegnamento la violenza estrema dei suoi sedicenti seguaci nei secoli successivi.
Dall’autunno del 2021 stiamo vivendo tempi importanti nella nostra Chiesa, perché si è dato avvio a un processo di riforma che si vorrebbe su base sinodale, quindi partecipata. Per la prima volta nella storia della nostra Chiesa, ancora organizzata come un’autocrazia assolutistica sacralizzata, si è voluto coinvolgervi tutta la popolazione, supponendo che abbia qualcosa da dire che meriti di essere ascoltato. Non lo si era fatto neanche in preparazione del Concilio Vaticano 2º. Questo ascolto non è solo una fase accessoria, rituale, essenzialmente volta a fini di propaganda religiosa, anche se finora è stata inscenata così. Significa ammettere che la gente è importante per vivere collettivamente la fede, non è solo una sovrastruttura appiccicata alla burocrazia ecclesiastica, la Chiesa per antonomasia, anzi addirittura la Chiesa universale, per dirne il dominio su tutto e tutte le altre persone. Questo fu uno degli asserti principali deliberati durante il Concilio Vaticano 2º, che dagli anni ’80 fu sostanzialmente rinnegato.
Qui io vedrei la materia per un proposito per l’anno che oggi inizia: prendere sul serio i processi sinodali in corso, impegnandocisi. Cercando di deritualizzarli, di dar loro un senso reale, riflettendo su come vivere la fede nel mondo di oggi, a partire dal nostro quartiere, una realtà popolare di base reale, in certa misura un aggregato di mondi vitali.
Non si tratta di ripetere stancamente le parole d’ordine della burocrazia ecclesiastica ma di provare a produrre qualcosa di nuovo e di buono, nella linea del vangelo. Risanare, soccorrere, consolare, includere, pacificare: un programma che in certo qual senso appare eversivo in un tempo in cui si soccorre aggredendo, rifiutando però la nomea di aggressori, e si è intolleranti verso le persone che obiettano, accusandole di intelligenza con il nemico. Qual è la verità? Anche i nostri gerarchi, che si arrogano di averne il monopolio, sono indecisi. Non sanno che pesci prendere di fronte a una guerra tra popolazioni cristianizzate. E di fronte a certi neofascismi di oggi sembrano volersi prendere una pausa per calcolare se vi potrebbero trovare una convenienza lasciando fare chi mette nella propria bandiera il motto Dio e Patria. Tutta qui la loro efferata sapienza teologica? E noi, che di teologia sappiamo poco o nulla, siamo veramente meglio di loro? Siamo veramente figli della pace, come dovremmo essere, nel senso inteso ad esempio in Lc 10, 5-6, “In qualunque casa entriate, prima dite: «Pace a questa casa!». Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi”?
Certo, in altri anni si era più aperti alla speranza, questo è un tempo duro, di guerra, di egoismi e violenza, in cui la fede sembra servire a poco. Questa la vera ragione della crisi, non nell’insufficiente affidamento ad antichi immaginari, che lasciano il tempo che trovano, perché la fede, sotto quel profilo, è sempre un salto nel buio, un’invocazione nella notte oscura.
Voglio terminare, augurandomi e augurandovi un anno operoso in linea con il vangelo, con le parole del salmo 85:
[8] Mostraci, Signore, la tua misericordia
e donaci la tua salvezza.
[9] Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annunzia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli,
per chi ritorna a lui con tutto il cuore.
[10] La sua salvezza è vicina a chi lo teme
e la sua gloria abiterà la nostra terra.
[11] Misericordia e verità s'incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
[12] La verità germoglierà dalla terra
e la giustizia si affaccerà dal cielo.
[13] Quando il Signore elargirà il suo bene,
la nostra terra darà il suo frutto.
[14] Davanti a lui camminerà la giustizia
e sulla via dei suoi passi la salvezza.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli