Fasciopapismo
Nel 1981, il politologo Gianni Baget Bozzo, uno dei grandi pretoni italiani con il genio della politica, nel saggio Dal sacro al mistico evidenziò i tratti comuni tra il fascismo mussoliniano e il papismo politico italiano sviluppato da inizio Novecento sulla base del populismo intransigente della seconda metà dell’Ottocento. L’Azione Cattolica italiana venne fondata nel 1906 proprio per essere il partito del Papa, nel quadro di quel papismo, vale a dire il suo braccio politico di massa.
Si era nel contesto dell’organizzazione dei totalitarismi europei, che sfociò nei fascismi, dei quali fu precursore e modello quello mussoliniano, e nello stalinismo sovietico. Quel papismo fu sostanzialmente un totalitarismo di impronta religiosa, innestato sull’ assolutismo della Chiesa romana allestito dalla metà dell’Ottocento, sotto il lungo regno del papa Pio 9º, strenuo oppositore dell’ irredentismo e del liberalismo democratico italiani.
Un regime politico è assolutistico quando ogni potere scende dall’alto e al vertice non ha limiti. Questo è ancora il regime di governo della Chiesa cattolica secondo il suo diritto vigente, il diritto canonico, minimamente scalfito nel processo di attuazione dei principi del Concilio Vaticano 2º. È totalitario quando propone e ottiene una tale identificazione interiore di massa con l’ideologia della propria organizzazione politica che da quell’ideologia e soprattutto dall’inclusione nei riti di quell’organizzazione politica le persone ricavino addirittura il senso della propria esistenza. Questo effetto fu storicamente ottenuto mediante miti, quello della stirpe nel nazionalsocialismo hitleriano, una sottospecie di fascismo, e quello del populismo arcaicizzante nei fascismi e nel papismo, i quali proponevano l’ideologia della liberazione del buon popolo fedele dalla tirannia dissoluta dei costumi liberali, espressi dalla classe della borghesia. Nello stalinismo il mito totalitario fu organizzato intorno al partito comunista, considerato non più come forza sociale e politica critica, secondo la sistemazione marxiana, ma come artefice assolutistico del mondo nuovo salvato. In tutti questi miti, l’adesione interiore della gente al totalitarismo venne presentata come patriottismo, e la principale manifestazione di quest’ultimo la lotta contro un nemico interno, vale a dire contro qualsiasi forma di dissenso. In tutti i totalitarismi sopra sintetizzati l’adesione popolare era presentata come a carattere mistico, vale a dire poco riflessa. Il buon popolo antico aveva una capacità intuitiva di adesione ai miti totalitari, si pensava: si aderiva in quanto si credeva.
Per la via dei totalitarismi si voleva recuperare quell’apparente unità popolare di massa attorno alle gerarchie politiche che era andata perduta con la Prima guerra mondiale, che determinò la crisi terminale degli assolutismi europei, nel quadro di un processo iniziato a fine Settecento, contro il quale il Papato romano aveva cercato strenuamente di reagire. Con la fine della Seconda guerra mondiale si avviò, anche nella Chiesa cattolica, il processo di superamento dei totalitarismi, che in Unione Sovietica fu indicato come destalinizzazione.
Nei totalitarismi l’unità visibile dei popoli era manifestata nella mistica del demiurgo, espressione prodigiosa dello spirito popolare. Da qui un neo-papismo totalitario, in cui il Papa era quel demiurgo. In questo quadro il modello etico-politico o etico-religioso proposto alla gente da quei regimi fu l’obbedire alla volontà del demiurgo, qualunque essa fosse, qualsiasi cosa comandasse, nel presupposto che essa rappresentasse l’orientamento manifestato nel mito fondativo del totalitarismo, al quale non era lecito opporsi pena la dissoluzione. Le parole d’ordine del patriota vennero icasticamente, quindi con alta efficacia rappresentativa, definite nei motti fascisti credere-obbedire-combattere e “Il Duce ha sempre ragione” (come tuttora si ritiene del Papa in materia di fede e morale), dove nel primo era indicato anche come dovere supremo scagliarsi contro il nemico interno.
Fin qui ho seguito il pensiero di Baget Bozzo.
Il tentativo di uscire dal papismo totalitario fu vissuto tra 1965, l’anno di conclusione del Concilio Vaticano 2º, e il 1985, quando, a vent’anni dalla conclusione di quel Concilio, si svolse la seconda assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi, nella quale si iniziò a darne una interpretazione fortemente restrittiva, secondo lo schema teologico proposto da Joseph Ratzinger, all’epoca a capo della struttura di polizia politica, ideologica e teologica del Papato romano, e accolto dal Papa regnante. Tuttavia il papismo totalitario da allora fu limitato all’organizzazione ecclesiastica, perché, per la realizzazione dei suoi obiettivi politici di liberazione dell’Europa orientale dagli assolutismi di impronta sovietica, il Papato dipendeva dalla N.A.T.O. e, in particolare, dagli Stati Uniti d’America, culla del liberalismo democratico contemporaneo. Questa la situazione fino all’inizio del regno di papa Francesco.
L’attuale Papa si è formato nell’ambiente culturale di quello che il professore dell’Università di Bologna Loris Zanatta chiama populismo gesuita [cfr Loris Zanatta, Il populismo gesuita. Peron, Fidel, Bergoglio, Laterza 2020, anche in e-book]. Il populismo gesuita condivide con il fascismo il mito arcaicizzante del buon popolo tradito dal dissoluto liberalismo borghese. In questa concezione il fattore unificante sarebbe quello religioso pre-razionale, basato sull’adesione intuitiva del popolo alle concezioni religiose. Difetta del tutto, tuttavia, il mito fascista del demiurgo. Non è quindi un fasciopapismo. Rimane però forte la polemica antidemocratica, in cui la democrazia liberale è vista un po’ come un imbroglio del liberalismo borghese.
Il buon popolo sarebbe capace di produrre spontaneamente una sorta di unità mistica di massa, una indeffettibilità nel credere, a prescindere da una struttura gerarchica assolutistica: occorrerebbe solo ascoltarlo. Da qui una proposta di sinodalità popolare basata sull’ascolto, ostacolata tuttavia dal persistente assolutismo ecclesiastico. Quel populismo non propone un patriottismo contro un nemico interno fonte di dissoluzione, come il fasciopapismo. Vede anzi il pluralismo come manifestazione positiva dei carismi del buon popolo. È tuttavia estraneo, in quanto populismo, al cattolicesimo democratico italiano, dal quale invece proviene in genere l’episcopato insediato dall’attuale Papato. Da qui una certa tensione ideologica. Il populismo religioso italiano è però ancora espresso prevalentemente dal residuo clericofascismo, manifestazione fasciopapistica mai sopita e rimasta tuttavia senza demiurgo.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.