Mondi vitali e senso della vita
Nel 1980 uscì il libro di mio zio Achille, sociologo, Crisi di governabilità e mondi vitali. Perché la gente non si fidava più della classe dirigente? Per ottenerne il consenso bisognava comprarlo con elargizioni pubbliche a costi sempre maggiori. All’epoca lo stato aveva il controllo della moneta e così finanziava la spesa pubblica mettendone in circolazione di nuova anche oltre quella che serviva per gli scambi economici. A questo si aggiungeva il debito pubblico. Così si produsse una spirale inflazionistica. Gli italiani erano grandi risparmiatori, ma l’inflazione si mangiava rapidamente i loro risparmi.
Per mio zio Achille erano entrati in crisi i mondi vitali degli italiani, quei piccoli ma caldi ambienti sociali dai quali ogni persona ricava il senso della propria vita. In passato essi avevano sorretto l’azione dei grandi partiti di massa, e questi avevano espresso governi i quali, per quella via, avevano goduto di forte e costante legittimazione popolare. La nostra nuova Repubblica si era fondata su di essi.
Si era manifestata, ad un certo punto, nel corso degli anni ’70 del Novecento, un’insofferenza reciproca tra la gente e il ceto politico. Da una parte e dall’altra si voleva più libertà d’azione. Ma l’insofferenza riguardava anche le relazioni tra la gente e le grandi organizzazioni di massa che avevano costituito il tramite tra il micro e il macro, tra i mondi vitali e le funzioni di governo generale. Qui si era trattato di insofferenza convergente e speculare: da parte delle persone, alle quali livelli di benessere crescente prodotti dalle politiche pubbliche avevano iniziato ad offrire spazi di libertà e soddisfazione personale maggiore, e che si sentivano soffocare in quelle organizzazioni, e da parte del ceto politico, che non voleva più esserne dominato, cercandosi direttamente tra le persone i propri sostenitori. Quelle grandi organizzazioni, del resto, si erano dimostrate sostanzialmente irriformabili, in particolare la più potente di esse, la Chiesa cattolica.
La situazione si intensificò progressivamente nel corso degli anni ’80, coinvolgendo anche tutti i socialismi europei, ad Occidente e Oriente. Si consolidò quindi il modello politico attuale, basato fondamentalmente sulla ciclica fascinazione elettorale dei cittadini prodotta principalmente, in un primo tempo, mediante le reti televisive, e negli ultimi dieci anni utilizzando le reti telematiche su internet, gestite mediante sistemi di intelligenza artificiale. Non occorre più comprare il consenso elettorale, né disporre di organizzazioni politiche solide e diffuse capillarmente. L’importante è riuscire a controllare gli strumenti mediatici dei quali le persone sono divenute dipendenti, e dipendenti in modo molto più intenso e pervasivo dopo la diffusione degli smartphone, che sono fondamentalmente terminali di sistemi di intelligenza artificiale costruiti appunto per influenzare profondamente, conoscendoli sempre meglio, gli utilizzatori di quei dispositivi telematici.
E la Chiesa cattolica? Anch’essa, in Italia, seguì la corrente, cercando di fascinare la gente con un ingenuo e superficiale papismo mediatico. L’operazione si può dire riuscita: anche ora il Papato ha un impatto mediatico straordinario, lo si è visto recentemente in occasione delle esequie del papa emerito. Interviste al Papa regnante sono ospitate con grande risalto sulle prime pagine di quotidiani che negli anni ’70 avevano forte impostazione laicista. Questo nonostante che i mondi vitali ecclesiali stiano rapidamente svanendo, in linea con ciò che, molto più duramente, sta accadendo in nord Europa.
Rimane la burocrazia ecclesiastica arroccata dentro il suo patrimonio immobiliare ingente, finanziata largamente dallo Stato, con un sistema di ripartizione, contrattato nel 1984, che non è proporzionale al seguito, sempre più scarso, che la Chiesa realmente ha nel Paese, ma solo alle scelte espresse nelle dichiarazioni dei redditi. In questo modo la gerarchia si è resa indipendente dalle persone di fede, alle quali è precluso di partecipare alle decisioni sull’impiego di quei denari, di provenienza pubblica, e ne sono solo sommariamente informate.
La nostra vita è confinata in ambienti sociali molto limitati e questo non per cattiva volontà, ma per i limiti cognitivi della nostra specie. Il mondo vitale di ogni persona è di una quindicina di altre persone [si legga in merito di Robin Dunbar, Amici. Comprendere il potere delle nostre relazioni più importanti, Einaudi 2022, anche in eBook e Kindle]. Mito e diritto collegano i piccoli mondi vitali in una trama sociale. Emergono gruppi via via più grandi, con i quali tuttavia abbiamo solo relazioni mediate da miti e diritto. Lo stesso diritto, però, si fonda su miti, e insieme sull’effettività: possiamo definire il diritto come un insieme di miti dotato di effettività. La possiede perché le persone vi fanno affidamento per orientarsi nelle loro relazioni sociali. Questo accade finché il diritto funziona. Perché funzioni esso deve corrispondere alle esigenze di normazione della società di riferimento, e una volta che ciò accada esso viene considerato equo. L’equità fu la base della grande tradizione del diritto romano, ed anche del diritto canonico, che su di esso fu costruito.
Il principale problema delle nostre attuali istituzioni, comprese quelle ecclesiastiche, è che non sono più considerate eque. Questo ha determinato l’allontanamento da esse delle realtà di mondo vitale e il crollo della forza di miti e diritto sui quali era fondato il corpo sociale. Ma anche le realtà di mondo vitale ne hanno risentito, perché scollegate come stanno diventando, si immiseriscono.
In che senso le istituzioni ecclesiastiche non sarebbero eque, per mantenerci sui temi di cui principalmente ci si occupa su questo blog?
Ad esempio: un ceto di celibi per giuramento di stato pretende di dettare legge, senza ammettere alcun dialogo, sulla gente che ama e genera, imponendo stili di vita non sostenibili e facendone addirittura condizione di appartenenza ecclesiale. Poi si vede però che, nelle relazioni con le persone potenti, adotta altri atteggiamenti. Questo non è equo. Su amore e generazione le persone che all’amore e alla generazione non si negano devono contare, senza essere diffamate, emarginate o addirittura escluse.
Ma si potrebbe continuare.
Nelle comunità cristiane si ha bisogno di persone che svolgano le funzioni del pastore. Un ceto di gerarchi che ormai sono solo capi di burocrazie ecclesiastiche ostacola irragionevolmente, con pretesti teologici poco convincenti e ripudiati dalla mentalità corrente in genere tra le persone di fede, l’accesso a quella vocazione, per cui scarseggiano pastori nonostante che molte più persone vorrebbero prestare quel servizio, se solo potessero. Questo non è equo.
Mito e diritto sorgono per esigenze sociali e tramontano quando non sono più ad esse funzionali, quando non servono più.
Probabilmente, nonostante le gabbie teologiche in cui è ancora ristretta, la sinodalità come la intuisce papa Francesco, vorrebbe rimediarvi, cercando di capire le nuove esigenze di normazione. Le nostre chiese stanno trasformandosi in musei, è solito dire, ed è effettivamente così. Eppure la religiosità è costitutiva dell’animo umano e la vediamo ancora manifestarsi in forme nuove, anche se molto diverse da quelle istituzionalizzate nelle grandi denominazioni storiche. Le vecchie istituzioni passeranno, se non saranno capaci di riforma, e penso, tutto sommato, che sarà un bene, per tutto il grande male che hanno prodotto nel passato, ma probabilmente la nostra fede non passerà.
Mario Ardigó – Azione cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli