La questione della messa in latino
Sembra che il partito reazionario approfitterà
delle esequie di questi giorni per chiamare a raccolta la propria gente.
Uno dei fronti di attacco è quello della “messa in latino”.
Si tratta in realtà della messa in latino
secondo il rito organizzato dopo il Concilio di Trento, nel Cinquecento
(1545-1563). E’ una liturgia che mette in scena una Chiesa completamente dominata
da una gerarchia sacralizzata, nel quale il resto della popolazione di fede è
un elemento accessorio, appiccicato ma non indispensabile, tanto che non serve
che capisca ciò che si dice, che contrasta con il modello accolto, con forza di
dogma, durante il Concilio Vaticano 2°, quattro secoli dopo.
Il latino all’epoca era da circa tre secoli la lingua delle scienze, come oggi
è l’angloamericano e prima lo era stato il greco. Lo rimase fino all’inizio
dell’Ottocento. Lo era diventata nel processo di creazione delle grandi
organizzazioni universitarie europee, che aveva preso come modello i costumi dei
cultori delle discipline giuridiche, i quali , appunto, usavano il latino,
avendo come principale riferimento il diritto romano raccolto nell’insieme di
raccolte pubblicato nel Sesto secolo a Costantinopoli/Bisanzio con il nome di Corpus
Iuris civilis[trad.: La raccolta del diritto sui fatti e relazioni
rilevanti per l’ordinamento pubblico]. Il latino era quindi diventato, in
particolare, anche la lingua della teologia, negli ambienti universitari
europei. Da secoli, però, la gente comune non lo intendeva più. Per essa il
latino acquistò quindi un senso di magico, proprio perché incomprensibile, mentre
per i dotti, al contrario, era lo strumento per farsi capire dalla comunità dei
sapienti di dovunque fossero.
Perché papi e concili hanno ritenuto di
impicciarsi sui riti della messa e sulla lingua usata per celebrarla?
Dipende da come è organizzata quella
liturgia, considerata centrale per manifestare la Chiesa. Essa è dominata dal
clero, inquadrato nella gerarchia sacralizzata a cui s’è accennato: come tale è
strumento del suo potere, che, in quanto gerarchico, si ritiene che debba
essere sotto il dominio del vertice. Quest’ultimo, proprio dal Concilio di
Trento, venne configurato come un assolutismo autocratico, che venne rafforzato
in tal senso nel corso del Concilio Vaticano 1° (1870).
In questo quadro, il latino divenne lingua
della Chiesa cattolica in quanto
lingua dei sapienti e del potere ecclesiastico. Alle origini, naturalmente, il
latino non era tale. Infatti il Nuovo Testamento fu scritto in greco. Nel corso
del Primo millennio, le Chiese cristiane parlarono varie lingue -la prima di
tutte l’aramaico, la lingua del Maestro-, le più importanti delle quali divennero
il greco e il latino, ma il greco più di tutte. Nel Secondo Millennio, con la
costruzione del Papato romano come impero religioso, cominciò ad affermarsi in
Occidente il latino, rafforzato anche dall’essere divenuto lingua delle
scienze. Le nuove università dell’Europa occidentale costruirono poi, parlando
latino, la teologia come scienza pari ordinata alle scienze giuridiche e alla filosofia,
rivendicandone in seguito la primazia come scienza dell’assoluto accreditata da
un “Vicario” del Cielo.
A seguito del Concilio Vaticano 2° si volle
attuare un modo più partecipato di fare Chiesa. Ad oggi si è fatto molto poco
in questo senso. Il nuovo rito della messa, che può anche essere celebrato in
latino (è una messa in latino diversa però da come la vogliono i reazionari),
è manifestazione di questo intento: in
particolare ha reso comprensibili le formule liturgiche e ha organizzato una
partecipazione maggiore al rito, per altro, limitata al recitare certe formule
riservate ai fedeli. Anche l’architettura dei nuovi luoghi di culti (ad esempio
quella della nostra chiesa parrocchiale) e la posizione del celebrante rispetto
all’assemblea dei fedeli convenuti ne è espressione.
Perché gente che non intende più il latino ama
partecipare a un tipo di messa celebrata in quella lingua e secondo un rito che
la umilia? E’, credo, per il fascino delle cose incomprensibili: compreso
quello del potere di chi le media agli altri. Il mondo, a prescindere dal
latino, è in genere di difficile
comprensione per tutti, ma se si pensa che vi sia chi, per dono soprannaturale,
ha la capacità di trovare la via giusta, allora si è rassicurati, e così viene
soddisfatto un bisogno psicologico fondamentale.
Perché i reazionari che intendono il latino e
la liturgia di quel tipo di messa vogliono tornare al passato? È solo una questione
di potere ecclesiastico. Quella lingua e quella liturgia mettono la gran parte
dei fedeli nelle loro mani. C’è un proverbio che fa: “Chi sa è servo di chi
non sa”. Se ci si mette in condizione di non sapere, si decide di sottomettersi
a chi sa. Quest’ultimo accetta di sottomettere. Può osservarsi che questo non
sembra conforme allo spirito evangelico dell’esercizio del potere, che dovrebbe
essere quello di colui che serve. Ne è, anzi, un completo rovesciamento.
Mario Ardigò
- Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli