Perché la sinodalità
La sinodalità è, in
genere, apertamente osteggiata, tranne che in Azione Cattolica, nella FUCI (l’organizzazione
degli universitari cattolici) e nel MEIC – Movimento ecclesiale di impegno
culturale. Preti e religiosi, in particolare, non vi sono stati formati e ne diffidano,
pensando di avere tutto da perdere nell’accettare di parteciparvi. Purtroppo constato
che l’atteggiamento prevalente pare essere quello di attendere che la buriana
passi, con il successore di papa Francesco. L’organizzazione della fase di ascolto
da parte della Segreteria del Sinodo, della Conferenza episcopale italiana
e della nostra Diocesi è stata molto carente proprio nell’ascoltare. Non
si è lasciato praticamente nessuno spazio alle persone laiche e s’è fatto tutto
come per dovere d’ufficio. I pochi che hanno partecipato alle riunioni non
hanno potuto tirar fuori quello che veramente avevano nel cuore, anche perché è
stato scoraggiato il dialogo.
Non per
questo ci si deve perdere d’animo.
Scontiamo la pesante arretratezza e obsolescenza delle strutture e procedure
ecclesiastiche, ma noi, pur sempre, ci siamo, e molti non sono obsoleti, vivono
e partecipano nella società italiana, che è tra le più avanzate del mondo.
L’inadeguatezza
di come vanno le cose in chiesa è plateale proprio di questi tempi, dove la
predicazione va avanti stancamente ripetendo cose dette e stradette, le solite
cose di sempre, come se nulla fosse cambiato nel mondo, e invece siamo nel bel
mezzo di una crisi epocale, e di una guerra europea nella quale l’Italia è
pesantemente coinvolta e che minaccia di
degenerare in una nuova guerra mondiale. Un cristianesimo così non serve più a
nulla, se non a sacralizzare certe feste di famiglia o di paese.
In
chiesa non abbiamo un tempo dove confrontarci su questo e i preti hanno timore
di parlarne perché potrebbero manifestarsi posizioni contrapposte che non si
sentono pronti a fronteggiare. Nel programma di un corso on-line sulla sinodalità
c’è una conferenza sulla gestione dei conflitti. Preti e religiosi non sanno come
fare, se non possono usare lo strumento di disciplina del terrore sacro, che
oggi fa poca impressione ai più. Noi persone laiche, che viviamo in una società
libera, abbiamo più pratica in queste cose, ma non contiamo nulla, perché, si
dice, non sappiamo di teologia. Sotto certi profili questo però ci avvantaggia,
perché così non siamo soggetti alla sfiancante polizia ideologica ancora esercitata
dalla Curia vaticana. E la teologia su certi temi è un labirinto senza via d’uscita,
costruito a tavolino dai teologi che poi non sanno come tirarsene fuori. Costruiscono problemi insolubili per poi
dichiararli tali.
Ma il
centro dei cristianesimi, nonostante quello che molti pensano, non sta in
quelle sofisticate teologie. Perché,
altrimenti, il Maestro non avrebbe lasciato nulla di scritto? Nulla. Nelle narrazioni evangeliche quelli che lo attorniavano
e lo seguivano non ci vengono presentati nell’atto di prendere appunti. In
effetti la sua esortazione non era quella di imparare a ripetere una lezione,
ma di seguirlo, lo si sottolinea sempre nella predicazione anche se in genere
non se ne traggono tutte le conseguenze.
Ma, poi,
seguirlo dove?
C’è chi
pensa di udire la sua voce, non io. Non ho mai avuto esperienze spirituali
soprannaturali e non mi impressionano molto quando vengono narrate. Mi pare che
si tratti di emozioni, che dipendono dalla nostra chimica corporea. Ma amo il
vangelo perché mi dà felicità (anch’essa ha un correlato biochimico, fatto di endorfine)
e mi offre una via per liberarmi dalla routine imposta dalla società intorno (questo
è più reale). Anche le fantasiose creazioni dottrinali ancora correnti mi
lasciano piuttosto freddo, perché troppo immaginifiche rispetto al mondo in cui
sono abituato a vivere. Ma il vangelo del Samaritano misericordioso e
delle Beatitudini mi coinvolge molto. Sono cose che posso leggere,
ma anche cercare di mettere in pratica: la pratica mi pare molto importante nel
ragionare di vangelo. La maggiore pratica del vangelo nella mia vita l’ho fatta
in famiglia, in particolare come padre, ma anche nell’assistere mia madre nei
suoi ultimi dolorosi anni di malattia. Come pure nelle esperienze sinodali che
ho fatto, appunto, in Azione Cattolica, FUCI
e MEIC. La sinodalità è fatta di pratica del vangelo.
C’è chi
adesso ancora stravede per il vecchio catechismo fatto compilare dal papa Pio 10°
all’inizio del Novecento, anni bui, di tremenda e insensata persecuzione nella
nostra Chiesa. E’ un testo povero, volto principalmente a rafforzare il potere
della gerarchia ecclesiastica. Non dice praticamente nulla del mondo come realmente
è. La svolta del rinnovamento della catechesi negli anni ‘70 ha prodotto in
Italia catechismi molto più belli e completi, che però non richiedono solo uno
sforzo mnemonico, ma di iniziare a mettere in pratica l’essenziale per le
persone laiche: capire insieme, quindi sinodalmente, come vivere il vangelo tra la gente di
oggi. Segnalo, in particolare, per chi
volesse pervicacemente cercare di vivere la sinodalità, quello per gli adulti fatto
fare dalla Conferenza episcopale italiana, disponibile liberamente sul Web a
questo indirizzo http://www.educat.it/catechismo_degli_adulti/ . Negli ultimi
anni, seguendo le sollecitazioni di papa Francesco sono stati pubblicati molti libri
sulla sinodalità. In questo momento ho tra le mani un testo che può essere utile
per esservi introdotti, Sinodalità.Istruzioni per l’uso, a cura di Alberto
Melloni, con scritti di Alberigo, Dianich, Galli, Marmion, Ruggieri, Semeraro,
Theohald, edito da EDB nel 2021, pagine 138, purtroppo solo in edizione
cartacea.
Una
Chiesa crudele, quella governata da papa Pio 10°, che fece soffrire molto tanta
gente, comprese grandi anime, rovinando in particolare la vita a molti preti e
religiosi. Per nostra buona sorte, ad un certo punto, prima che nascessimo, si
girò pagina. Fu una dura maestra la Seconda guerra mondiale: nel mezzo del conflitto,
il papato ordinò di costruire una democrazia basata su valori umanitari. Se ci
fosse stata anche prima, forse la guerra sarebbe stata evitata, così fu detto
in uno dei radiomessaggi mediante i quali quell’ordine venne trasmesso.
Quella
lezione sembra essere stata dimenticata: accade così quando di certi eventi non
viene tramandata memoria realistica. L’importante ora sembra non essere come bloccare, e quindi non combattere, la guerra, ma da che parte schierarci. In un
lavoro sinodale su questo tema si potrebbe rievocare il tremendo passato che
sembra ritornare (solo che i pericoli sono enormemente aumentati).
Perché
andare in chiesa per sentirsi ripetere sempre le stesse cose, senza nessun aggancio
con la realtà e quindi inutili? E, quand’anche ci si va, si ascolta
distrattamente, perché, appunto, sono
sempre le stesse cose, dette e ridette,
senza alcuna capacità di mediazione. Sarebbe bello che si potesse sinodalmente,
settimana dopo settimana, discutere con i predicatori quali sono i temi che ci
angustiano, da portare al cospetto del vangelo per capire che fare. Si era
iniziato a farlo, da qualche parte, negli anni ’60 e ’70. Ma di noi persone
laiche preti e religiosi diffidano e noi li lasciamo fare, perché ci siamo
abituati ad andare in chiesa non per ascoltarli, così poi non ci sono problemi:
loro non ci conoscono e noi preferiamo così, perché qualcosa da rimproverarci
lo abbiamo sempre. La Chiesa, però, così sta svanendo. Non è più lievito, fermento.
Bastano poche persone, però, per ridiventarlo. Accadde alle origini, può
accadere di nuovo. E’ a questo che con determinazione e costanza dovremmo puntare.
Un piccolo gruppo di una decina di persone basta. L’importante è non rimanere soli, perché la nostra fede
non è per chi vuole fare tutto da sé.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli