L’essenza della nostra fede
Sto leggendo un libro di qualche anno fa nel
quale si cerca di individuare l’essenza della nostra fede, vale a dire quello
che non muta con il passare dei secoli e nel contatto con società di culture
diverse.
E’ diventato importante di questi tempi
chiarirsi su quel tema, perché si sta pensando a una riforma della nostra
Chiesa e si vuole, appunto, che non cambi l’essenza della nostra fede.
L’essenza è qualcosa di diverso
dall’essenziale, che sarebbe quel minimo che rende riconoscibile la nostra fede
come tale. L’essenza colora di sé tutto, non solo quel minimo.
L’autore del libro avverte che cercare
quell’essenza è un lavoro concettuale, ma che nella realtà essa non è distinta
da ciò che varia, le forme storiche che la nostra fede ha assunto nel tempo e
nelle diverse società che l’hanno recepita in qualche modo.
Cercare l’essenza è un lavoro da teologi, i
quali, appunto, lavorano sui concetti, con metodo e secondo criteri di
razionalità. A noi può essere utile averne l’idea per spiegare la nostra fede a
chi non la conosce o non la conosce abbastanza.
Bisogna dire che, in genere, si vive una
forma storica che la nostra fede ha assunto. Proprio lo studio della storia e
delle società contemporanee rende chiaro, però, che non è l’unico praticato. Un
tempo l’uniformità era molto più importante di oggi e, a lungo, hanno
predominato le forme storiche delle società europee.
Una risposta che sento dare spesso è che
l’essenza della nostra fede è Gesù di Nazaret, il Cristo dei cristiani, in
particolare nel rapporto personale con lui. Questo distinguerebbe la nostra
fede da altre religioni a sfondo mistico o basate su un sistema etico. La
nostra fede non sarebbe l’accettazione di un sistema di definizioni e di norme
di comportamento, ma l’incontro con Gesù. Questo è molto bello a dirsi e può effettivamente
orientare la spiritualità personale e comunitaria. Ma a me non soddisfa, per il
motivo che non posso dire di conoscere veramente Gesù, a prescindere da ciò che
saltuariamente penso di sentire verso di lui a
livello emotivo. E tuttavia il suo vangelo, il suo insegnamento, ci è stato tramandato
mediante narrazioni sulla sua vita. L’incontro con lui è visto, quindi, come
una sequela, un seguirlo. Il problema, certo, è che i racconti su Gesù derivano
da un accostamento di tradizioni che non costituiscono sempre una narrazione
coerente.
Molte delle convinzioni e quasi tutti i riti a
cui siamo abituati andando in chiesa non possono essere considerati l’essenza della
nostra fede. Lo stesso può dirsi di gran parte delle funzioni che riteniamo
sacre. Ma, anche, molto di ciò che intendiamo parlando di “Cristo” a proposito
di Gesù di Nazaret deriva da una complessa storia di idee che è durata fino ad
oggi e che ha visto un’epoca fondamentale tra il Quarto e l’Ottavo secolo.
Difficile andare oltre, anche se ciascuno lo
fa. Pochi hanno una adeguata consapevolezza della sofisticata cultura nella quale
la nostra fede è stata storicamente articolata. Per quanto non rientri né nell’essenza
né nell’essenziale della nostra fede è importante in quel complicato lavoro di
mettere in relazione vita personale, società e fede.
Dal principale comandamento di Gesù di
Nazaret, riportato nei Vangeli, possiamo tuttavia intuire l’essenza della
nostra fede: è il comandamento dell’agàpe, che traduciamo con amore,
anche se in italiano questa parole ha una prevalente valenza sentimentale che
nel greco evangelico non è tutto. Agàpe significa vivere le relazioni in
società prendendosi cura delle altre persone, in uno spirito di salvezza. Lo
possiamo considerare soprannaturale perché indubbiamente non corrisponde alla spietata
legge di natura, dove conta solo la forza e pesce grosso mangia pesce piccolo. L’agàpe è anche alla base dello sinodalità,
secondo la quale si vorrebbe riformare la nostra Chiesa. L’agàpe è un modo molto radicale di
trasformare il modo di vivere. E’ il motivo che rende inquieti gli spiriti cristiani
ed anche una forza che destabilizza ogni assetto istituzionale raggiunto dalla e
nella Chiesa.
Spesso al centro della nostra fede viene
messa la Chiesa, in particolare con la sua antica gerarchia. Negli scritti
neotestamentari, dai quali si ricavano le consuetudini del Maestro e dei suoi
discepoli alle origini, si capisce bene, però, che a quell’epoca quello che c’è adesso non c’era,
anche se si cerca di collegarlo a quei tempi. Non è quindi l’essenza che stiamo
cercando. E, certo, l’atteggiamento del Maestro e dei suoi primi discepoli nei
confronti delle autorità religiose del giudaismo della sua epoca era piuttosto
libero, tanto che veniva criticato per questo.
A molti vivere volendosi e facendosi bene non
basta. Ci aggiungono allora modi di vedere la divinità che appaiono la riproposizione
di costumi più antichi, quando il Cielo era popolato di tanti dei. Questo
teismo, però, al dunque lascia il tempo che trova, semplicemente perché non
funziona, e tutti lo possono constatare, quando non preferiscono farsi
illudere.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma Monte Sacro, Valli