Cambiare mentalità consapevoli dei problemi
Il
lavoro che vi propongo sulla sinodalità non è per tutti, ma solo per un piccolo
circolo di persone interessate a farlo leggendo e discutendo. Per progettare e
cominciare a fare esperienza del nuovo bisogna cominciare da qui, perché siamo
esseri viventi limitati e non lo dobbiamo mai dimenticare.
Non dobbiamo aspettarci la soluzione dal clero
e dai religiosi, perché loro sono parte del problema. Né dalla teologia, per lo
stesso motivo.
Dobbiamo renderci conto che, quando trattiamo
di Chiesa, dovremmo fare i conti con una letteratura immensa, in gran parte non
scritta nell’italiano corrente. Dunque,
inevitabilmente, dobbiamo servirci di sintesi, mantenendo comunque la consapevolezza
che sono tali e che dunque la maggior parte delle cose ci sfuggirà nei
dettagli. In quest’ottica, ho trovato molto interessante il libro di Giuseppe
Ruggieri Chiesa sinodale, edito nel 2017 da Laterza e disponibile anche
in e-book, in particolare per il linguaggio accessibile anche ai non
specialisti e per gli estesi riferimenti storici. In questo momento sto
affrontando il libro Sinodalità, a cura di Riccardo Battocchio e Livio
Tonello, pubblicato da Edizioni Messaggero Padova, che è un raccolta di
saggi basata su studi organizzati dalla Facoltà teologia del Trivento, anche
questo disponibile in e-book.
Affrontando la lettura del saggio di Gianfranco
Calabrese dal titolo Il ruolo del vescovo e del presbiterio nei processi
decisionali ecclesiali nel libro da ultimo citato, ci si rende conto dell’impatto
che la teologia cattolica corrente ha sulla costruzione di una reale
sinodalità. C’è una fortissima sacralizzazione del potere ecclesiastico, per
cui, in definitiva riesce difficile pensare di poter cambiare anche le minime
cose.
La sacralizzazione risale fondamentalmente
alla cristologia costruita a partire dal Quarto secolo proprio allo scopo di
organizzare un nuovo sistema di potere sacralizzato, che all’epoca si volle a
presidio del ruolo dell’imperatore romano visto come vicario di Cristo. Una teologia affascinante perché
congiunge Cielo e Terra. Il suo limite è di essere solo una teologia.
Sto anche leggendo due saggi sui
cristianesimi primitivi. La storia dei cristianesimi delle origini mi ha sempre
molto coinvolto, tanto che ho sposato una laureata in quella disciplina. Si
tratta di una materia in cui la teologia non la fa da padrona e che adotta i
criteri scientifici della storiografia corrente, basati fondamentalmente sul
ragionamento su fonti fededegne. Bene, io non sono un teologo naturalmente, ma
mi pare di capire a) che il Maestro, prima di concludere la sua vita tra noi
come uomo tra le altre persone, non costituì un sistema di potere territoriale
e che b) si dichiarò re precisando tuttavia che il suo regno non
era di questo mondo. Tantomeno volle fondare una nuova religione. Questo
rende assai problematica la teologia correntemente impiegata per sacralizzare
l’organizzazione ecclesiastica. Quest’ultima sembra che abbia iniziato ad
essere costruita molti decenni dopo la morte del Maestro senza un progetto
unitario.
La marcata clericalizzazione della nostra
Chiesa e il suo assolutismo risalgono fondamentalmente al secondo Millennio. L’assolutismo
del Papato romano è molto più recente: risale al Concilio Vaticano 1°, sospeso
nel 1870 e mai più ripreso.
Da questo processo è risultato che il sacerdozio
dei preti è ritenuto inferiore a
quello del vescovi, i quali ne avrebbero
la pienezza. Pensando ad una figura di prete come Lorenzo Milani non riesco
veramente a credere che il suo
sacerdozio sia stato in qualche cosa inferiore a quello del vescovo che lo
perseguitò. Ma, appunto, non sono un teologo. Accostandomi al problema usando
gli strumenti della logica giuridica, mi pare che ciò che differenzia il
sacerdozio del vescovo da quello del prete sia l’attribuzione al primo di un potere
autocratico, per cui nelle norme canoniche il vescovo è definito pomposamente unico
legislatore (canone 466 del Codice di diritto canonico del 1983). Naturalmente
questa qualifica di unico legislatore è incompatibile con qualsiasi
forma di sinodalità, che significa co-decisione. Essa è stata sacralizzata,
vale a dire resa teologicamente intangibile legandola alla volontà del Maestro.
Di fatto è obsoleta e non funziona più: in genere il vescovo unico legislatore
è anche un pessimo legislatore. Come fare a risolvere il problema da
punto di vista teologico è compito dei teologi, in ciò frenati dall’efferato
sistema di polizia ideologica ancora mantenuto nella nostra Chiesa, triste
retaggio di tempi orrendi. Da questa autocrazia noi persone laiche che vivono
in Italia, nell’Occidente democratico, ci siamo da tempo affrancati e ci riserviamo
di decidere che cosa, della legislazione episcopale, meriti di essere obbedito
e che cosa invece non lo meriti. Ciò ha di fatto modificato il modo in cui l’autocrazia
episcopale viene esercitata in Italia. Per cui dai vescovi vengono
dichiarazioni più concilianti in materia di co-decisione, ma rimane il fatto che,
finché loro rimangono unici legislatori, di sinodalità non si può
parlare.
Ma poi, l’essere legislatore, rientra
realmente nell’essenziale dell’episcopato? Su questo si può discutere, e quindi
si deve.
Di solito si richiama l’idea che il Maestro
fu re, sacerdote e profeta, per dire che ogni cristiano dovrebbe
esserlo, ma qualcuno di più perché ci vuole chi agisca al posto di Gesù. Questa concezione risale al
riformatore francese Giovanni Calvino, vissuto nel Cinquecento, il quale, in
particolare, oltre a occuparsi di teologia, fu riorganizzatore ecclesiale nella
città svizzera di Ginevra, con esiti tutto sommato non dissimili, quando a crudeltà nell'esercizio
della repressione, a quelli realizzati dai cattolici coevi. L’idea del re-sacerdote-profeta, recepita anche dai cattolici, è la
base del potere sacralizzato degli odierni gerarchi ecclesiali, in particolare
di quelli che ritengono di avere il sacerdozio nella sua pienezza. Mi pare che manchi del tutto un’opera che sicuramente il Maestro
svolse in questo mondo che è quella del medico-guaritore. Essa è
in linea con il suo insegnamento del potere
come servizio. Quando papa
Francesco parla di una Chiesa sinodale che esca dagli spazi liturgici per
costruire ospedali da campo, qualunque idea poi si abbia di questa ospedalizzazione d’emergenza, mi sembra che faccia riferimento a quello. Re-sacerdote-profeta è una
persona che guida le altre e questo fa capire perché quella concezione è stata
tanto importante nella costruzione del potere episcopale. Le democrazie contemporanee
hanno spezzato il nesso tra potere regio e sacerdozio: questa è la
desacralizzazione, altrimenti detta anche secolarizzazione del
potere. Non ci sarà vera sinodalità se non ci si muove su quella strada: nella
consapevolezza che l’essenziale non verrà toccato.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente
papa - Roma, Monte Sacro, Valli