Sinodalità
è codecisione
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da:
Gianfranco Calabrese, Il ruolo del vescovo e del presbiterio nei processi
decisionali ecclesiastici, in Riccardo
Battocchio – Livio Tonello (a cura di), Sinodalità. Dinamiche della
Chiesa, pratiche nella Chiesa, Edizioni Messaggero Padova, 2020, anche i
e-book e Kindle
Lo stile ecclesiale nella via della Chiesa e nell’agire
ministeriale dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi si fonda su una forma
ecclesiale presente nella rivelazione cristiana. Essa rimanda al mistero di Dio
e al ministero della Chiesa, alla comunione trinitaria, al mistero di Cristo,
vero Dio e vero uomo, Unigenito del Padre e Primogenito della nuova umanità al
dono dello Spirito Santo, anima dell’unità e della comunione in Dio e sorgente
di unità e di pace per l’intera umanità. Questo stile ecclesiale che in-forma,
con-forma e per-forma ogni realtà e ogni azione ministeriale
della Chiesa, si manifesta nelle sue diverse istituzioni e strutture e deve
animare soprattutto i processi decisionali oltre che la prassi pastorale,
missionaria ed evangelizzatrice, secondo lo Spirito del Signore risorto, che
agisce nella Chiesa e nel mondo. Non si tratta, infatti, semplicemente di
decidere, ma di conformare le decisioni all’identità originaria e singolare
della Chiesa, alla sua sorgente divina e trinitaria.
[…]
Il riferimento sacramentale ed ecclesiale al mistero
di Dio e di Cristo deve caratterizzare il soggetto chiamato, per vocazione e
per mandato, a decidere di agire secondo lo stile comunionale. In questa prospettiva
non può prescindere, nel processo decisionale, dall’ascolto della Chiesa, per
cercare il consenso della fede. Egli, come soggetto ecclesiale, deve decidere
in ragione della sua singolarità nella comunione e non può prescindere da essa,
che non è data dalla somma delle decisioni individuali né necessariamente dalla
maggioranza delle opinioni, ma dall’ascolto dello Spirito che agisce nella comunione
d’amore, nella verità condivisa, nell’armonia della carità e dell’unità
ricercata. Esso conduce la comunità a discernere la volontà di Dio e i segni
dei tempi, a cogliere i percorsi più opportuni e veri, per realizzare nella
storia il bene dell’umanità. L’ascolto deve essere attivo mai passivo, reale
non ideologico, religioso e non solo amministrativo, per determinare una
decisione che richiede l’assenso religioso e il consenso nella fede dell’intera comunità
ecclesiale. I processi decisionali nella Chiesa non possono seguire un semplice
stile individualistico o tecnico-operativo, non possono conformarsi e regolarsi
a partire da processi, leggi e metodi secolari, ma si devono caratterizzare per
la loro modalità evangelica, comunionale e profetica nell’ascolto degli ultimi
e di coloro che non hanno voce nel presbiterio diocesano. La comunità primitiva,
di fatto, ha scelto questo stile nel prendere decisioni fondamentali per la
propria vita e la propria missione. Questo stesso percorso decisionale ha caratterizzato
i primi secoli della Chiesa anche se tra difficoltà e ambivalenze […]
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Ho trascritto
questo lungo brano del saggio di Calabrese per rendere l’idea dei problemi che
la teologia crea nell’affrontare la progettazione e il tirocinio sulla
sinodalità ecclesiale. Semplicemente, i teologi pretendono troppo da noi. La Chiesa
su cui fantasticano non è fatta di esseri umani, ma di puri spiriti, che in natura non esistono. Di
fatto, al dunque, finiscono con il legittimare l’esistente, vale a dire il
dispotismo monocratico episcopale e, a seguire, quello del prete, lì dove è
preposto a una comunità. Ciò dovrebbe essere temperato dall’esigenza dell’ascolto,
innanzi tutto del vescovo rispetto ai preti e poi anche a tutti gli altri. Ma
che poi questo si realizzi effettivamente e, soprattutto, che serva a qualcosa, è un’altra fantasia teologica, anche se qualche
volta effettivamente può aver influito.
Che le
Chiese cristiane, fin dalle origini, abbiano deciso in quel modo non mi è molto
evidente, tutt’altro. Mi pare invece che agli inizi ci fossero tanti modi di
decidere, alcuni più partecipati, altri meno. Poi, sviluppandosi l’episcopato
monarchico dal Secondo secolo, la cosa sempre più divenne appannaggio di
gerarchi. Tuttavia per la scelta di questi ultimi a lungo fu necessario un
consenso popolare, oltre che l’imposizione delle mani da parte degli altri vescovi.
Di solito si ricorda il caso eclatante di Ambrogio di Milano, il quale, nel Quarto
secolo, fu scelto a furor di popolo, ancor prima di essere battezzato,
essendosi già distinto e fatto apprezzare come funzionario pubblico.
Se si vuole rendere la Chiesa, reale, non
quella fantasticata dai teologi, uno specchio della Trinità divina si punta ad
un obiettivo irraggiungibile. Così come quando si vorrebbe ottenere sulle
decisioni il consenso plenario: impossibile. Sia che si pretenda di convergere,
con esortazioni spirituali, sulla volontà del gerarca, sia che si voglia un
accordo generalizzato di base. Non sarà mai possibile ottenerlo, perché mai
lo si è ottenuto storicamente. In
questo la storia dei sinodi e dei concili mi appare più che altro un sequela di
tragiche prevaricazioni e di precari compromessi, dove questi ultimi erano sacralizzati
mediante gli anatemi che venivano lanciati contro i dissenzienti. Dovremmo
prendere esempio da questa poco commendevole esperienza? Di solito si ricorda
che il primo concilio ecumenico in cui
non furono lanciati anatemi è il Vaticano 2°.
Certo, in religione abbiamo a che fare con lo
Spirito e con la sofisticata teologia trinitaria. Lo leggeremo nel brano evangelico
di domenica prossima: ci è stato promesso uno spirito - pnèuma che ci
spiegherà ogni cosa, prendendola del Maestro e dal Padre. Ma ogni persona di
fede, poi, lo intende come vuole: questa è la situazione. E spesso ciò che intendiamo
in noi come azione dello spirito, è fatto più che altro di moti emotivi, governati dalla
nostra biochimica. La nostra vita relazionale ne dipende, come spiegato in
termini convincenti da Robin Dunbar, nel suo Amici, Einaudi 2022 (anche
in e-book e Kindle). Ciascuna persona di fede può credere di intendere la voce dello spirito, ma convincerne
altre persone è piuttosto difficile,
convincerle tutte impossibile, nonostante le belle fantasticherie dei teologi.
Di fronte all’ovvia realtà umana del
dissenso, e tuttavia considerando l’utilità pratica del consenso, perché agendo
collettivamente si ottiene di più, la teologia diventa efferata, condanna. Anche
questo fa parte della tradizione, una assai triste tradizione. Diffidano delle
procedure e dei diritti, vorrebbero lasciar fare allo spirito, ma così facendo,
poi, si lascia in realtà spazio a chi prevarica.
Se chi comanda non è costretto ad ascoltare, ascolta chi vuole e, se può, non
ascolta o fa solo finta. E’ appunto su questo che è naufragata finora la fase
dell’ascolto dei cammini sinodali
voluti da papa Francesco (e praticamente solo da lui tra i nostri gerarchi). Questo
è un dato di esperienza.
La sinodalità che si affida all’ascolto da
parte dei gerarchi non parte nemmeno.
Di fatto la sinodalità è divenuta plausibile
da poco anche in una Chiesa tristemente obsoleta come la nostra perché le persone
laiche, negli scorsi decenni e a partire dagli anni Sessanta, si sono presa la
libertà di decidere delle cose che le riguardavano, e anche in quelle di
rilevanza religiosa, e ciò profittando
anche degli spazi di partecipazione consentiti dalla democrazia e comunque
delle libertà democratiche. La prima occasione in cui questo avvenne su larga
scala fu, in Italia, in occasione del referendum del 1974 promosso dai clericali sulla legge che aveva introdotto il divorzio (e lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio cattolico concordatario). All’epoca si manifestò nella campagna referendaria un ampio fronte
del “NO” (per il mantenimento della legge) tra i cattolici, che poi risultò maggioritario
al voto, in una nazione che le statistiche davano ancora per cattolica in larga
maggioranza.
Se questa possibilità di co-decidere non troverà
spazio in procedure formali nella nostra Chiesa, quest’ultima progressivamente
svanirà, almeno in Italia, come si va scrivendo di questi tempi (ad esempio Andrea
Riccardi nel suo La Chiesa brucia. Crisi e futuro del cristianesimo, Laterza
2021, anche in e-book e Kindle).
Co-decidere significa anche limitare il
potere di chi finora ha avuto, almeno sulla carta, il potere di decidere ogni
cosa. E’ inevitabile. I teologi, poi, potranno trovarne le ragioni teologiche,
integrando le loro attuali idee. L’ascolto dei gerarchi non basta! Naturalmente,
come è stato osservato, ogni procedura dovrà essere calibrata sul tipo di
decisione da prendere, come accade in ogni campo delle società contemporanee. Perché
qui non si tratta semplicemente di votare, ma di co-decidere ragionando,
quindi dialogando, e questo indubbiamente serve ad allargare il consenso costruendo
una decisione condivisibile. Ma, e di questo bisognerà sempre prendere
atto, non sarà mai possibile ottenere un consenso plenario, perché così funzionano
le società umane e gli esseri umani, e
non ci sarà mai nessuna potenza celeste che potrà cambiare le cose, e infatti
finora non c’è stata. Se ci fosse stata non sarebbe stata necessaria tutta l’intensissima
ed estesa violenza politica che, in certe fasi storiche, è stata praticata per imporre certe decisioni
e per tappare la bocca ai dissenzienti. Bisogna prendere atto che è così che le
cose vanno in materia di fede: si può solo accettarlo pacificamente o passare a
vie di fatto, come in genere è accaduto. Se si sceglie la via della pace, però,
anche le differenze pian piano si stemperano
e si può riuscire a costruire una pace più intensa, come è accaduto tra noi e i
protestanti sulla travagliata e storicamente mortifera questione della dottrina
sulla giustificazione.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli