CULTURA RELIGIOSA
Sinodalità
significa partecipare, anche nella nostra
Chiesa, alle decisioni che ci riguardano. Alla base c’è il valore della libertà,
che significa, appunto, poter avere parte nelle decisioni che ci riguardano.
Nessuna persona, in società, decide tutto quello che la riguarda e, in quello che può
decidere, decide da sola. Questo perché la società intorno influenza
tutto ciò che facciamo e anche come ci presentiamo alle altre persone.
Definisce, in particolare, le scelte plausibili e, in genere, si decide solo
tra quelle. Per conquistare spazi più ampi di libertà, occorre trasferirsi in
un’altra società o estraniarsi, nella misura in cui è possibile, da quella in
cui si vive.
Decidere richiede di capire. Capire al fine di decidere è la cultura. Quest’ultima è sempre un
risultato collettivo e non è solo erudizione, vale a dire un sapere delle cose.
Il sapere diventa cultura quando riesce a dare un orientamento per decidere, cioè, in base a quello che ho osservato, per partecipare alla
decisione.
Da quando papa Francesco ha spinto per una trasformazione
sinodale delle nostre Chiese, e tra esse anche di quelle in Italia, gli esperti
in varie discipline religiose e gli antropologi e i sociologi che si occupavano
della religiosità popolare hanno prodotto vari lavori sul tema della sinodalità.
In genere sono d’accordo nell’osservare che le nostre Chiese non sono organizzate
sinodalmente: in particolare non sono libere, nel senso che ho sopra definito. Non
vi è nemmeno riconosciuta la libertà di espressione, che è alla base di ogni
cultura: in quanto risultato collettivo la cultura si basa infatti sul dialogo,
che non può esservi se non si può parlare liberamente. Clero e religiosi stanno
peggio delle persone laiche, le quali si valgono degli spazi di libertà
consentiti, almeno in Europa, dalle democrazie avanzate. Clero e religiosi sono
soggetti alle bizzarrie di un organismo di polizia teologica che oggi è definito
Dicastero e che ha la funzione di rovinare la vita ai teologi cattolici
di tutto il mondo, mediante una procedura opaca, in cui i diritti di libertà e
la dignità della persona sono umiliati. E’ la metamorfosi di un’istituzione
criminale denominata Inquisizione, che, dal Duecento all’inizio del
secolo scorso ha insozzato il potere dei Papi. Con la soppressione, per
conquista militare da parte del Regno d’Italia, essa perse il potere di
ammazzare, infierire sui corpi e incarcerare. Conservò il potere, come detto,
di cancellare il pensiero dei teologi appartenenti al clero e agli ordini religiosi,
che ancora ha. E certamente l’atto di pentimento collettivo a cui papa Giovanni
Paolo 2° ci guidò nel corso del Grande Giubileo dell’anno 2000 e che riguardò
anche quel dispotismo non fu sufficiente: mancò qualsiasi autocritica del
Papato, ed essa ancora manca.
In Italia le persone laiche di fede, dagli scorsi
anni ’70, hanno preso ad esprimersi anche su temi religiosi con gli strumenti
della democrazia. E’ stata un’importante scelta di libertà, di tipo sinodale in
quanto espressione anche di una cultura religiosa, ma la gerarchia ecclesiastica
la criminalizza, anche se non può più colpire i disobbedienti. All’interno
delle nostre comunità religiose, però, non è consentito di esprimersi. Questo
le ha progressivamente impoverite e, in particolare, ha contribuito ad
allontanare le persone giovani, che, almeno in Italia, vivono in una società
democratica e non sanno che farsene della sciocca autocrazia ancora praticata
in religione. La religione diventa inutile per loro e addirittura
controproducente. Non posso dar loro torto.
La vita in parrocchia è tutta centrata sulle
liturgie, vale a dire su ciò che il clero può controllare. La cultura religiosa
è di assai bassa qualità ed è ridotta in sostanza a favole bambinesche. Le persone
più giovani, però, ad un certo punto non tollerano più di essere trattate come i
bambini e se ne vanno. Da diversi anni i sociologi avvertono che sta accadendo
anche alle donne, oggetto nelle nostre Chiese di odiose discriminazioni.
Circoli di cultura religiosa esistono, ma
fuori delle parrocchie o da altre istituzioni ecclesiastiche simili. Ci sono
nell’associazionismo di impronta religiosa, come nella nostra Azione Cattolica
e nel MEIC - Movimento ecclesiale di impegno culturale.
Realizzarne uno in parrocchia potrebbe essere
un importante obiettivo di sinodalità: lo si potrebbe fare utilizzando le
possibilità di dialogo consentito dalle videoconferenza, di cui, in tempi di
COVID, alcune persone hanno potuto fare esperienza.
Innanzi tutto bisogna ricominciare a leggere e
a confrontarsi su ciò che si è letto. Di solito siamo abituati a dipendere in
tutto dal clero, ma da esso non ci verrà nulla di utile per la sinodalità
perché essa è palestra di libertà e clero e religiosi, per ciò che s’è detto
prima, non sono persone libere.
Per i più anziani si tratta forse di un
obiettivo irraggiungibile perché la persona anziana ha di solito difficoltà a
cambiare e finora religione tra le persone cattoliche ha significato più che
altro liturgia, vale a dire attività in cui non è richiesto di confrontarsi. Si
sta a sentire e si risponde come indicato nelle formule stampate sul foglietto. Ma molte persone anziane nella
loro vita hanno fatto esperienza di cultura e potrebbero addirittura esserci di
guida nella costruzione di una vera sinodalità.
Per il resto, bisogna considerare che, per
ragioni fisiologiche insuperabili, il dialogo è possibile realmente solo tra
persone della stessa fascia d’età, altrimenti non attira, e non ci si può fare
nulla. Senza l’emotività coinvolta nelle relazioni personali tra coetanei o quasi
non si fa realmente cultura. Quindi bisognerebbe pensare un sistema di circoli
per classi d’età, con momenti condivisi.
Tutto questo può sembrare irrealistico, in un
momento in cui la sinodalità sembra stare per essere messa in archivio: in parrocchia
da noi, ad esempio, non se ne parla più. Si è ricominciato come se nulla fosse accaduto.
Del resto il Papa, si vede, non sta bene, e probabilmente tra quelli che
avranno voce nella sua successione c’è chi pensa che non è il momento di spingere
sulla sinodalità, perché tra non molto potrebbe passare di moda. In un sistema
di potere di autocrazia assolutistica come quello del Papato romano in effetti
è così: il nuovo gerarca religioso potrebbe cancellare con pochi tratti di
penna tutto ciò che era stato disposto dal suo predecessore. Cambiare le nostre
Chiesa nella loro componente di popolo sarebbe però molto più difficile. E’
appunto questo il problema al quale papa Francesco vorrebbe rimediare: gerarchia
e popolo che vanno ciascuno per la propria strada, sostanzialmente ignorandosi
e diffidando reciprocamente, con il popolo che, duramente umiliato negli
ambienti religiosi, trova la sua rivalsa nella società democratica in cui le libertà
civili sono riconosciute e protette.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli