INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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lunedì 28 febbraio 2022

guerra immorale

 


Uno dei simboli pacifisti della mia generazione. Significa disarmo nucleare nell'alfabeto delle bandiere usato per le comunicazioni in marina


Guerra immorale


   La mia generazione impedì una nuova guerra mondiale. Lo fece non solo contro la politica di guerra, ma anche contro la teologia di guerra delle Chiese cristiane, quella che condusse lo stesso Montini, come ho letto, a dare dei vigliacchi agli obiettori di coscienza.

  Tuttora la teologia cattolica segue il principio che una guerra può talvolta essere giusta, obbliga le persone cristiane ad adoperarsi per   evitare  le guerre ma non ad impedirle  con l’azione politica. Segue il principio della presunzione, per cui presume  che i poteri politici istituiti siano i soli in grado di capire  quando vi sono le condizioni di una guerra giusta  e ritiene quindi che le persone loro soggette non siano in colpa personale lasciandosi inquadrare negli eserciti in guerra. Per questa via, nell’ultima guerra mondiale, combattuta in Europa tra il 1939 e il 1945, e dal Regno d’Italia dal 1940, ognuna delle nazioni europee in guerra pregò  per la vittoria del proprio stato. La mia generazione, nel complesso, ripudiò questa teologia, come anch’io ancora, profondamente, la ripudio.

  Due popoli cristiani, profondamente legati da etnia, cultura, storia, sono stati trascinati in guerra dai loro governi. Altri popoli cristiani lo sono proprio in queste ore. Da una parte e dall’altra si è preso a parlare di guerra mondiale  con impiego delle immonde armi nucleari, purtroppo piazzate anche in Italia. Nelle piazze vedo che si manifesta per una pace contro una delle parti in guerra. Non era così che fece la mia generazione: si manifestava e lottava politicamente contro  i progetti di guerra della propria  parte.

  In Italia, Aldo Capitini, l’ideatore della marcia della pace Perugia – Assisi, insegnò la nonviolenza secondo l’insegnamento di Mohāndās Karamchand Gāndhi, grande anima (Mahatma ): la lotta contro la prevaricazione sui popoli, che è sempre alla radice della guerra, è doverosa, ma è immorale se non è praticata in modo nonviolento. Con il metodo della nonviolenza Ghandi liberò l’India dalla pervicace dominazione europea, che aveva prevalso in ogni guerra. La nonviolenza non è vigliaccheria, perché ci si espone alla violenza altrui, ma ripudia la profonda ingiustizia della guerra, di ogni guerra. È l’unica compatibile con il vangelo dell’agàpe, che ordine di fare agàpe  anche con i propri nemici.

  Di fronte a qualsiasi teologia che giustifichi in qualsiasi modo la guerra, sento l’obbligo dell’ateismo. Il dio della guerra  è un’impostura, un inganno, e sono impostori i suoi sacerdoti, in particolari se si dicono cristiani.

  Nella Bibbia c’è tanta guerra? È perché essa  non è un libriccino devozionale. I paleoantropologi hanno trovato tracce di guerre in senso proprio, vale a dire ordinate  da poteri sociali costituiti non solo scatenate da istinti animaleschi, fin dalle prime società umane evolute in epoca preistorica. La guerra è un flagello connaturato alla socialità umana. Ma la Bibbia narra di tremende guerre antiche, aprendo però alla prospettiva della pace universale come destino dell’umanità. E’ storia di una religiosità che cambia il mondo liberandolo dalla guerra.

 

Alla fine il monte dove sorge il tempio del Signore

sarà il più alto di tutti e dominerà i colli.

Tutti i popoli si raduneranno ai suoi piedi e diranno:

«Saliamo sul monte del Signore,

andiamo al tempio del Dio d’Israele.

Egli c’insegnerà quel che dobbiamo fare;

noi impareremo come comportarci».

Gli insegnamenti del Signore

vengono da Gerusalemme;

da Sion proviene la sua parola.

Egli sarà il giudice delle genti, e l’arbitro dei popoli.

Trasformeranno le loro spade in aratri e le lance in falci.

Le nazioni non saranno più in lotta tra loro

e cesseranno di prepararsi alla guerra.

Ora, Israeliti, seguiamo il Signore.

Egli è la nostra luce.

[dal libro del profeta Isaia, capitolo 2, versetti da 2 a 5 – Is 2, 2-5]

 

  Giorgio La Pira, grande anima e grande politico, parlava dei tempi di Isaia riferendosi alla sua epoca, in cui una nuova guerra mondiale sembrava non più plausibile. Oggi lo è diventata nuovamente.

  Si è annunciato orgogliosamente di stare distribuendo armi letali  ad una delle parte in guerra. Noi ancora le produciamo. Questo è profondamente immorale.

  Scrisse il filosofo cristiano illuminista Immanuel Kant nell’opera Per la pace perpetua del  1795

 

«Non sarebbe male che un popolo, a guerra finita e dopo aver concluso il trattato di pace, dopo la festa del ringraziamento decretasse un giorno di espiazione per chiedere perdono al cielo, in nome dello Stato, per la grave colpa della quale il genere umano continua a macchiarsi, rifiutando di sottomettersi ad una costituzione legale che regoli i rapporti con gli altri popoli, e preferendo usare, fiero della sua indipendenza, il barbaro mezzo della guerra (mediante il quale tuttavia non si decide ciò che si cerca, vale a dire il diritto dello Stato). I festeggiamenti coi quali si rende grazie per una vittoria conseguita in guerra, gli inni cantati … al Signore degli eserciti, non contrastano meno nettamente con l’idea morale del padre degli uomini; infatti, a parte la già abbastanza triste indifferenza a riguardo dei mezzi coi quali i popoli perseguono il proprio reciproco diritto, esprimono per di più la soddisfazione d’avere annientato un bel numero di uomini, o distrutto la loro felicità».

 

 Aldo Capitini teorizzò il diritto della ribellione religiosa contro la società che ordina la guerra:

 

«La società non è un qualche cosa di staccato da me. E perciò come io, in quanto individuo, ho il dovere di interiorizzarla e di rendermi conto delle sue ragioni, ho anche il diritto di andare eventualmente oltre di essa. Non quando io fossi ribelle, disordinato, ex lege, per natura; ma se seguo le leggi che ritengo giuste, se attuo ciò che è ordine, se continuamente utilizzo l'esperienza tradizionale della società, posso bene, quando sia in gioco un valore, quando nel resto della mia vita sia solito a stare in guardia contro il gusto personale e l'originalità di proposito, innovare, prendere un'iniziativa, dare un contributo, e in questo caso sentire, vivere, e far vivere, che la vera società è oltre quella dell'ordine sociale, della difesa dei diritti, del mantenimento dei pubblici servizi; ma è oltre, nel regno degli spiriti, cioè dei soggetti, cioè dell'amore da instaurare subito a costo di sacrifici. Accanto ad una società che usa la guerra come via alla pace, la violenza come via all'amore, la dittatura come via alla libertà, la religione mi porta ad anticipare di colpo il fine nel mezzo; e ad attuare comunque, qui e subito, pace, amore, libertà. La religione è impazienza dell'attendere il fine; e oggi che l'universo, il tempo, lo spazio, non sono sentiti in dualismo stabile con l'infinito e l'eterno, porremo noi questo dualismo nella società tra il mezzo e il fine?» (da “Elementi di un’esperienza religiosa”, 1937)

 

 E ciò vale anche per la ribellione contro qualsiasi dottrina religiosa che giustifichi  in qualsiasi modo qualunque guerra. Dicono che lo si fa per realismo, ma una religione realista non vale nulla.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

 

domenica 27 febbraio 2022

Faremo e udremo

 

“Faremo e udremo”

 

 In uno degli incontri del Meic Lazio,  su Zoom , è stato  menzionato il Faremo e udremo  di cui si tratta di seguito.

  Esso spiega il senso del perché l’agàpe,  anche quella che nella potente inculturazione evangelica della democrazia che ancora stiamo vivendo in Europa occidentale, cercando di trascinarci dietro l’altra Europa, non viene messa ai voti, e fonda i diritti fondamentali di dignità umana sui quali abbiamo costruito la nostra attuale convivenza democratica, mentre altre democrazie del passato  e contemporanee, come quella statunitense, furono e sono molto violente.

  L’accettazione della convivenza con le altre persone precede ogni ragionamento sul suo perché e sulla sua convenienza.

  Questa è anche la ragione per cui non vi è alcun contrasto tra sinodalità e democrazia. Perché la nostra  democrazia è diventata una cosa nuova, mai vissuta prima nella storia dell’umanità.

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

 

Es 24, 1-7

 

  Il Signore disse a Mosè: "Sali verso il Signore tu e Aronne, Nadab e Abiu e settanta anziani d'Israele; voi vi prostrerete da lontano, solo Mosè si avvicinerà al Signore: gli altri non si avvicinino e il popolo non salga con lui".

  Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: "Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!". Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d'Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l'altra metà sull'altare. Quindi prese il libro dell'alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: "Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto".

 

 

κα λαβν τ βιβλον τς διαθκης νγνω ες τ τα το λαο κα επαν πντα σα λλησεν κριος ποισομεν κα κουσμεθα

 

 Talmùd, trattato “ Shabbath” (pp88a-88b):

 

«Insegnò Rav Simai: Quando gl’Israeliti s’impegnarono a fare prima  di udire, scesero seicentomila angeli e posero su ciascun Israelita due corone, una per il fare e l’altra per l’udire. Tosto che Israele ebbe peccato, scesero un milione duecentomila angeli sterminatori e si presero le corone, perché è detto (Esodo 33,6): “I figlioli d’Israele rinunziarono  ai loro ornamenti, a far tempo dal Monte Oreb”».

 

 

 

Disse Giuseppe Dossetti nella conferenza tenuta il 18-5-94 a Milano, presso la Fondazione G.Lazzati, in occasione dell’ottavo anniversario della morte di Giuseppe Lazzati, il cui testo, con il titolo “Sentinella, quanto resta della notte?”, è pubblicato in Giuseppe Dossetti, La Parola e il silenzio.Discorsi e scritti 1986-1995, Paoline 2005, pagine 369-383:

 

Così alla inappetenza diffusa dei valori – che realmente  possono liberare  e pienificare l’uomo – corrispondo appetiti crescenti di cose  che sempre più lo materializzano e lo cosifican e lo rendono schiavo.

  Questa è la notte, la notte delle persone: «la notte davvero impotente, uscita dai recessi impenetrabili dell’inferno impotente», nella quale la persona è «custodita rinchiusa in un carcere senza serrami» (Sap 17,13.15).

  In questa solitudine, che ciascuno  regala   a se stesso, si perde il senso del con-essere (il Mit-sein heideggeriano: pur esso, però, insufficiente, come cercherà di insistere Lévinas): e la comunità è fratturata  sotto un martello che la sbriciola in componenti sempre più piccole (di qui la fatale progressione localistica) sino alla riduzione al singolo individuo.

 […]

  C’è da chiedersi, a questo punto, se tali degenerazioni non siano insite nella decadenza del pensiero occidentale come sostiene Lévinas. A suo parere, possono essere evitate non con un semplice richiamo  all’altruismo e alla solidarietà, ma ribaltando tutta la impostazione occidentale, cioè ritornando alla impostazione ebraica originale nella quale si dissolve proprio questa partenza dalla libertà del soggetto. I figli di Israele  sul Sinai, nel momento più solenne e fondante di tutta la loro storia, quando Mosè propose la Legge, hanno detto: «Faremo e udremo» (cfr Es 24,7 secondo TM [Testo Masoretico] e LXX [antica traduzione in greco]).

  Cioè essi scelsero un’adesione al Bene, precedente alla scelta tra bene e male. Realizzarono così un’ida di pratica anteriore all’adesione volontaria: l’atto con il quale essi accettarono la Torah precede la conoscenza, anzi è mezzo e via della vera conoscenza. Questa accettazione è la nascita del senso, evento fondante di una responsabilità irrecusabile.

       

  Nella nota al testo pubblicato nel ’94, Dossetti scrisse, a proposito del Faremo e udremo, una citazione da Emmanuel Lévinas, Quattro letture talmudiche, Genova 1982, che commenta un testo del Talmud, del genere Aggadà  [apologhi e adagi che accompagnano l’Halakhà, ragionamenti sulla base delle regole concernenti la vita rituale, sociale, economica e lo statuto personale dei fedeli], contenuto nel trattato “ Shabbath” (pp88a-88b):

 

«Insegnò Rav Simai: Quando gl’Israeliti s’impegnarono a fare prima  di udire, scesero seicentomila angeli e posero su ciascun Israelita due corone, una per il fare e l’altra per l’udire. Tosto che Israele ebbe peccato, scesero un milione duecentomila angeli sterminatori e si presero le corone, perché è detto (Esodo 33,6): “I figlioli d’Israele rinunziarono  ai loro ornamenti, a far tempo dal Monte Oreb”».

 

 Ho le Quattro lezioni talmudiche  nel testo pubblicato da Il Melangolo nel 2000.

 Leggo:

       

  Ed eccoci alla terza parte – essenziale per il nostro assunto. Essa metterà in risalto il carattere impareggiabile di un avvenimento come la donazione della Torà: la si accetta, prima di conoscerla. Ciò ch’è motivo di scandalo per la logica può essere preso per fede cieca o per l’ingenuità della fiducia infantile.

[…]

  “Faremo e udremo” – Rav Simai fa notare lo straordinario che è in questo detto biblico. […] Com’è risaputo, la tradizione ebraica s’è compiaciuta di questa inversione dell’ordine normale, in cui  l’intendere precede sempre il fare. La tradizione non finirà mai di sfruttare tutto il partito che si può trarre da quest’errore di logica e tutto il merito che sta nell’agire prima di aver inteso.

[…]

 Il Talmùd, tuttavia, indicherà, qualche riga appresso, come un “mistero d’angeli” il paradosso di quest’inversione, e quindi sembra ben consapevole del problema. Martin Buber, nella sua traduzione della Bibbia, trova un’interpretazione ingegnosa: prende il vav  del testo come congiunzione finale, uso perfettamente legittimo. “Faremo e capiremo” diventa: “Faremo allo scopo  di capire”.

[…]

  L’ottima scelta di far passare il fare davanti all’udire non impedisce la caduta. Essa ci premunisce non dalla tentazione, ma dalla tentazione della tentazione. Neanche il peccato distrugge l’integrità, la Temimùth, che s’esprime  nell’ordine nel quale il “Faremo” precede l’ “Udremo”. Peccato che segue, è vero a una tentazione, ma non è tentato dalla tentazione: esso non mette in dubbio la certezza del bene e del male; resta un peccato triste senza corone, ignaro dei trionfi cui attingono le colpe scevre di scrupoli e rimorsi. Donde, per il peccatore, una via di ritorno. L’adesione al bene, per coloro che dissero “Faremo e udremo”, non è il risultato d’una scelta tra il bene e il male. Essa viene prima. Quell’adesione incondizionata al bene, il male la può scalfire, ma senza distruggerla. Essa esclude tutte le posizioni che stanno al di qua e al di là del bene, che siano l’immoralismo degli esteti e dei politici o il super-moralismo dei religiosi, tutta quell’extraterritorialità morale che s’apre dinanzi alla tentazione della tentazione.  Tutto ciò sta a indicare come il fare che ricorre nella formula commentata non sia semplicemente la prassi opposta alla teoria, ma una maniera di attualizzare senza incominciare dal possibile, di conoscere senz’esaminare, d’installarsi fuori della violenza, senza che ciò dipenda dal privilegio d’una libera scelta. Un patto col bene, antecedente all’alternativa tra bene e male.

[…]

  Per il nostro problema, che è quello della tentazione, è chiaro  che l’idea di un frutto anteriore alle foglie (e ai fiori) è affatto essenziale, l’ammissione della Torà prescinde da qualunque marcia esplorativa, da qualunque svolgimento progressivo. Il vero della Torà si dà senza precursore, senz’annunziarsi prima (come il Dio di Malebranche [Nicolàs Malebrànche, filosofo francese vissuto tra Seicento e Settecento: conosciamo Dio per illuminazione, non ragionandoci sopra] nella sua idea, senz’annunziarsi  “in prova” in un progetto d’approccio; e quel che si dà e si prende in tal modo è il frutto maturo, non quello che può offrirsi alla mano infantile che tasta ed esplora. Il vero che s’offre in questo modo è appunto il bene, che non lascia a chi l’accoglie il tempo di riflettere e d’esplorare; l’urgenza del quale, non solo non  è un limite imposto alla libertà, ma l’attesta, anzi, ancor più della libertà, ancor più del soggetto isolato ch’è costituito dalla libertà, una responsabilità irricusabile, al di là degli impegni presi, dove forse già si contesta l’io assolutamente separato, nella sua pretesa di detenere il segreto ultimo della soggettività.

[…]

 Ma il “faremo” non esclude “l’udremo”. La fedeltà preliminare non è ingenuità: tutto in lei può e deve diventar discorso e libro, discussioni.  L’innocenza […] è un’innocenza senza ingenuità, una rettitudine senza dabbenaggine, rettitudine assoluta, che è anche assoluta autocritica, rettitudine letta negli occhi di colui che ne è il termine e che, con suo sguardo, mi mette in discussione. Movimento verso l’altro che non torna al punto di partenza – come invece il divertimento, in capace di trascendenza. Movimento al di là della cura e più forte della morte.

  Rettitudine che ha nome Temimùth, essenza di Giacobbe.

  […]

   Non abbiamo per caso esaltato, in nome dell’integrità, l’attitudine antiscientifica […] Non abbiamo commesso l’imprudenza di affermare che la prima parola – quella che rende possibili tutte le altri e persino il no della negazione e il “né sì né no” della “tentazione della tentazione” – è un incondizionato sì?

  Incondizionato, è vero, ma non ingenuo. Un sì ingenuo   - come abbiamo fatto notare più volte – resterebbe indifeso contro il no e contro le tentazioni che dovessero nascere  nel suo seno per divorar quel seno stesso che le ha messe al mondo. È un sì più antico  dell’ingenua spontaneità.

[…]

  La rettitudine, fedeltà originaria a un’alleanza irresolubile, appartenenza, sta nel confermare quell’alleanza, non già nell’impegnarsi, a capofitto.

  Si vorrà dire che quell’alleanza preliminare  non era stata liberamente conclusa? Ma è ragionare come se l’io avesse assistito  alla creazione del mondo e come se il mondo fosse uscito dal suo libero arbitrio. Presunzione di filosofi? La Scrittura la rimprovera a Giacobbe.

  La distinzione  tra libero e non libero è forse l’ultima?  La Torà è un ordine da cui l’io dipende senza che sia dovuto entrarci, un ordine dell’al di là dell’essere e della scelta. Prima dell’io-che-si-decide, sta il suo uscire dall’essere. Non per un gioco di nessuna importanza, che s’apra in qualche cantucci dell’essere, dove la trama ontologica s’allenta; ma per il peso che esercita su un punto dell’essere il rimanente della sua sostanza. Quel peso si chiama responsabilità. Responsabilità per la creatura – essere di cui l’io non è stato l’autore – la quale istituisce l’io. Essere io vuol dire essere responsabili al di là di ciò che possiamo aver commesso. La Temimùth  sta nel sostituirsi agli altri.

[…]

 la responsabilità illimitata, che giustifica la cura della giustizia e di se stessi e della filosofia, può cadere in obli. Nell’oblio nasce l’egoismo. Ma l’egoismo non è né primo né ultimo. L’impossibilità di sfuggire a Dio – che almeno in questo non è un valore come gli altri è il “mistero degli angeli”

       

Disse Rabbì Eliezer: Quando gl’Israeliti s’impegnarono a “fare” prima d’ “udire” -esclamò una voce dal cielo: Chi ha rivelato ai miei figli il segreto di che si servono gli angeli, perché sta scritto (Salmi 103, 20): “Benedite l’Eterno, voi, suoi angeli, eroi possenti, che eseguite i suoi ordini, attenti al suono della sua parola”.

[nota Lévinas: «Eseguiscono prima d’aver udito! Segreto d’angeli, non coscienza infantile]

        

il “Faremo e udremo”. Esso sta nel profondo dell’io in quanto io, che non è solo nell’esser la possibilità della morte, la “possibilità dell’impossibile”, ma già la possibilità del sacrificio, nascita d’un senso nell’ottusità dell’essere, d’un “poter morire” subordinato al “sapersi sacrificare".

venerdì 25 febbraio 2022

Guerra e pace

 Ripubblico, perché tornato d'attualità


Guerra e pace

 

  Capire gli europei è difficile anche a loro stessi. Infatti gli europei immaginano di essere diversi da come realmente sono. Questo, in genere, accade anche agli altri popoli.

 Per cominciare a capire gli europei può essere utile leggere il romanzo Guerra e Pace dello scrittore russo Lev Tolstoj (1929-1910). Fu un’anima profondamente cristiana e un riformatore sociale, nei limiti consentiti dal regime assolutistico che dominava la Russia ai suoi tempi. Il romanzo fu pubblicato nel 1869, quando in Italia si stava per combattere l’ultima guerra per l’unità nazionale, quella contro lo Stato Pontificio, il piccolo regno dei Papi nell’Italia centrale con capitale Roma. E’ ambientato nel 1819, al tempo dell’invasione francese della Russia, guidata dal nuovo imperatore Napoleone Bonaparte (1769-1821). Rende evidente la realtà profondamente conflittuale dell’Europa e fa risaltare maggiormente la conquista di una lunga pace ottenuta dagli europei dopo il 1945 e finora. Ai tempi nostri si stanno progressivamente creando le condizioni di nuovi conflitti. Una delle linee di frattura tra gli europei corre tra l’Europa occidentale e i Russi, come ai tempi di Bonaparte. L’altra tra l’Europa continentale e la Gran Bretagna, e anche in questo caso come ai tempi del Bonaparte. Altre linee di frattura le stanno creando gli italiani, in particolare tra l’Italia e la Germania, come già accaduto per tutto il Secondo Millennio della nostra era, e tra l’Italia e la Francia, come accaduto ai tempi dell’invasione dello Stato Pontificio ad opera del nuovo Regno d’Italia, nel 1870. Nella chiesa di San Luigi dei Francesi, a Roma nei pressi di piazza Navona, una lapide ricorda i militari francesi caduti nella difesa della città dagli invasori. Il contrasto tra gli italiani, da una parte, e i francesi e i tedeschi dall’altra colpisce al cuore il processo di pacificazione europea, che proprio da quei  popoli iniziò nel 1951, pochi anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

  Il processo di pace attuato in Europa  non riuscì a coinvolgere i Russi, dopo la caduta del regime sovietico, nel 1991, e riuscì a coinvolgere solo parzialmente la Gran Bretagna dal 1973 fino a quest’anno, nel quale quel regno dovrebbe distaccarsene. La Gran Bretagna mantiene un proprio esteso sistema di integrazione economica in più continenti, in stati un tempo da essa dominati e che ora sono legati in un’organizzazione internazionale denominata Commonwealth, costituito nel 1920 e riformato nel 1931 e nel 1965. Questo, e la circostanza che dall’Europa continentale vennero storicamente le più gravi minacce per gli inglesi, trattiene la Gran Bretagna sulla via dell’integrazione europea, che anche negli anni dell’adesione alla Comunità Economica Europea e poi all’Unione Europea non è stata mai piena.  Per quanto riguarda i russi, l’impossibilità di adesione prima è dipesa dal vivissimo contrasto ideologico tra i sistemi politici liberali capitalisti degli europei occidentali e quelli comunisti degli europei occidentali, poi dagli anni 90, fondamentalmente, dal fatto che il processo di disgregazione e riaggregazione dell’Unione Sovietica ha mantenuto alla Russia la condizione di stato esteso su due continenti, l’Europa e l’Asia, e per tale motivo non integrabile nell’Unione Europea.

  L’Unione Europea è divenuta una realtà pacifica perché si è fortemente voluta renderla così. Se avesse preso come esempio gli Stati Uniti d’America non lo sarebbe diventata. L’Unione Europa è ancora una potenza pacifica sia all’interno che all’esterno: il mantenimento della pace è uno dei suoi principali obiettivi. Naturalmente alcuni stati europei sono stati impegnati in guerre, ma solo locali, circoscritte. In particolare lo sono state la Francia e la Gran Bretagna. Per il resto gli europei coinvolti nell’Unione Europea hanno fatto guerra, ma sempre su scala limitata, circoscritta, nel quadro dell’organizzazione militare della NATO, dominata dagli Stati Uniti d’America, che mantengono diverse basi militari in Italia e in Germania, dai tempi dell’abbattimento dei regimi fascisti che dominavano quelle nazioni. L’Unione Europea non ha un proprio esercito, anche se vi sono reparti militari integrati tra diverse nazionalità.

  La cultura di pace dell’Unione Europea dipende in gran parte da idealità cristiane. I cristiani sono stati protagonisti nella costruzione dell’Unione Europea, e atra essi i cattolici, ad esempio, agli inizi, un politico italiano come Alcide De Gasperi (1881-1954). Negli anni ’90, fondamentali per l’ultima fase del processo di integrazione europea, fu molto importante il lavoro del politico tedesco democristiano Helmut Kohl (1930-2017), che fu ininterrottamente  Cancelliere, vale a dire capo del governo, tra il 1982 e il 1998. Il papa Karol Wojtya - Giovanni Paolo 2° ha avuto un’influenza culturale notevole nella scelta di costruire un’Unione Europea che integrasse anche stati dell’Europa Orientale un tempo dominati dall’Unione Sovietica. Le ragioni di questo orientamento furono diverse tra gli europei occidentali e quelli orientali. Nei primi si pensò che lasciare fuori gli europei orientali, che pure aveva storie ed economie tanto di verse da quelle degli occidentali, avrebbe reso instabile l’Europa e, comunque, non gestibili gli imponenti flussi migratori verso Occidente, che avevano caratterizzato la fase di dissolvimento dei regimi comunisti dal 1989 e che era prevedibile che si intensificassero. Non si volevano riscostruire le barriere che, alla fine, gli stati dell’Europa orientale, nella fase di dissoluzione di loro regimi comunisti, avevano aperto. Tra gli europei orientali prevaleva l’esigenza di distaccarsi dall’influsso politico dei russi. In diversi casi il processo di integrazione europea passò per loro anche per l’integrazione nella NATO. Questo, e non l’integrazione nell’Unione Europa, fu considerata come una minaccia dalla nuova Russia, e non senza ragioni. Mentre l’integrazione degli orientali nell’Unione Europea fu condotta dagli europei, quella nella NATO fu dominata dagli statunitensi. La prima fu caratterizzata da finalità pacifiche, non così la seconda, del resto in linea con le storiche tendenze della NATO. Tutto ciò fu all’origine dell’ultima  cruenta fase della  crisi ucraina, nel 2014.

 La cultura della pace è attualmente ancora al centro della nostra dottrina sociale, ma tra i fedeli ve ne è sempre minore consapevolezza, mano a mano che vengono meno  più anziani, che ebbero esperienza personale della guerra. La realizzazione della pace, quindi dell’unità e della fraternità, è addirittura l’essenza  della nostra fede, come scritto  nell’appello dell’altro giorno  Restiamo umani:

«Nell’occasione in cui celebriamo il dono dell’unità e della fraternità fra i cristiani,  desideriamo spiegare a tutti che per noi aiutare chi ha bisogno non è un gesto buonista, di ingenuo altruismo o, peggio ancora, di convenienza: è l’essenza stessa della nostra fede».

  La pace inizia infatti quando invece di ammazzare per prevalere si decide di aiutare per integrare. Naturalmente, di fronte al Cielo, cerchiamo di giustificarci, quando ammazziamo, che facciamo sia colpendo che abbandonando: sosteniamo di essere stati costretti a farlo, per salvare le nostre vite. Si è sempre fatto così.

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli.

 

Traducciones en inglés y español hechas con la ayuda de Google Translator.

War and peace

 

 Understanding Europeans is difficult even for themselves. In fact, Europeans imagine they are different from how they really are. This, in general, also happens to other peoples.

 To begin to understand Europeans it may be useful to read the novel War and Peace by the Russian writer Lev Tolstoy (1929-1910). It was a deeply Christian soul and a social reformer, within the limits allowed by the absolutist regime that dominated Russia in its time. The novel was published in 1869, when Italy was about to fight the last war for national unity, that against the Papal State, the small kingdom of the Popes in central Italy with Rome capital. It is set in 1819, at the time of the French invasion of Russia, led by the new emperor Napoleon Bonaparte (1769-1821). It makes evident the deeply conflictive reality of Europe and highlights the conquest of a long peace achieved by the Europeans after 1945 and so far. In our times the conditions of new conflicts are progressively being created. One of the fracture lines between Europeans runs between Western Europe and the Russians, as in the days of Bonaparte. The other between continental Europe and Great Britain, and also in this case as in the days of the Bonaparte. Other lines of fracture are creating the Italians, particularly between Italy and Germany, as happened throughout the second millennium of our era, and between Italy and France, as happened at the time of the invasion of the state Pontifical by the new Kingdom of Italy, in 1870. In the church of San Luigi dei Francesi, in Rome near Piazza Navona, a plaque commemorates the French soldiers who fell in defense of the city from invaders. The contrast between the Italians, on the one hand, and the French and the Germans on the other, strikes at heart the process of European pacification, which began in 1951 just a few years after the end of the Second World War.

The peace process implemented in Europe failed to involve the Russians, after the fall of the Soviet regime, in 1991, and managed to only partially involve Britain from 1973 until this year, in which that kingdom should detach itself. Britain maintains its own extensive system of economic integration on several continents, in states once dominated by it and which are now linked in an international organization called the Commonwealth, established in 1920 and reformed in 1931 and 1965. This, and the fact that from continental Europe historically came the most serious threats to the British, it keeps Britain on the path of European integration, which even in the years of membership of the European Economic Community and then the European Union has never been full. As far as the Russians are concerned, the impossibility of accession before has depended on the very lively ideological contrast between the liberal capitalist political systems of Western Europeans and the communist Western Europeans, then since the 1990s, fundamentally, by the fact that the process of disintegration and re-aggregation of the Soviet Union has maintained Russia status extended on two continents, Europe and Asia, and for this reason it can not be integrated into the European Union.

  The European Union has become a peaceful reality because it was strongly desired to make it this way. If he took as an example the United States of America would not have become. The European Union is still a peaceful power both inside and outside: the maintenance of peace is one of its main objectives. Naturally some European states have been engaged in wars, but only local, circumscribed. In particular, it was France and Great Britain. For the rest, the Europeans involved in the European Union have made war, but always on a limited, circumscribed scale, within the framework of the NATO military organization, dominated by the United States of America, which maintain various military bases in Italy and Germany, from the times of the demolition of the fascist regimes that dominated those nations. The European Union does not have its own army, even if there are military units integrated between different nationalities.

The culture of peace of the European Union depends largely on Christian ideals. Christians have been protagonists in the construction of the European Union, and at first they Catholics, for example, at the beginning, an Italian politician like Alcide De Gasperi (1881-1954). In the 90s, fundamental for the last phase of the process of European integration, the work of the German Democrat politician Helmut Kohl (1930-2017) was very important. He was the unqualified Chancellor, that is, head of government, between 1982 and 1998. Pope Karol Wojtya - John Paul II had a significant cultural influence in the decision to build a European Union that would also integrate Eastern European states once dominated by the Soviet Union. The reasons for this orientation were different between Western and Eastern Europeans. In the former it was thought that leaving the Eastern Europeans out, who also had histories and economies that differed from those of the Westerners, would have made Europe unstable and, in any case, the massive migratory flows to the West that had characterized the phase of dissolution of the communist regimes since 1989 and it was foreseeable that they would intensify. They did not want to rebuild the barriers that, in the end, the states of Eastern Europe, in the phase of dissolution of their communist regimes, had opened up. Among Eastern Europeans, the need to detach from the political influence of the Russians prevailed. In many cases, the process of European integration also passed through them for integration into NATO. This, and not integration into the European Union, was regarded as a threat by the new Russia, and not without reason. While the integration of the Orientals into the European Union was conducted by the Europeans, that in NATO was dominated by the Americans. The first was characterized by peaceful purposes, not the latter, moreover in line with the historical tendencies of NATO. All this was the origin of the last bloody phase of the Ukrainian crisis, in 2014.

 The culture of peace is still at the center of our social doctrine, but among the faithful there is always less awareness, as they are less senior, who had personal experience of the war. The realization of peace, therefore of unity and fraternity, is even the essence of our faith, as written in the appeal of the other day Let's remain human:

"On the occasion when we celebrate the gift of unity and fraternity among Christians, we wish to explain to everyone that for us to help those in need is not a gesture of goodness, of naive altruism or, even worse, of convenience: it is the essence of our faith ".

  In fact, peace begins when instead of killing to prevail, it is decided to help to integrate. Naturally, in the face of Heaven, we try to justify ourselves, when we kill, what we do both by striking and by abandoning: we claim to have been forced to do so, to save our lives. It has always been this way.

Mario Ardigò - Catholic Action in San Clemente pope - Rome, Monte Sacro, Valli.

 

Guerra y paz

 

  Comprender a los europeos es difícil incluso para ellos mismos. De hecho, los europeos imaginan que son diferentes de cómo son realmente. Esto, en general, también le sucede a otros pueblos.

 Para comenzar a entender a los europeos, puede ser útil leer la novela Guerra y paz del escritor ruso Lev Tolstoy (1929-1910). Era un alma profundamente cristiana y un reformador social, dentro de los límites permitidos por el régimen absolutista que dominaba a Rusia en su tiempo. La novela se publicó en 1869, cuando Italia estaba a punto de librar la última guerra por la unidad nacional, contra el Estado papal, el pequeño reino de los Papas en Italia central con la capital de Roma. Está ambientada en 1819, en el momento de la invasión francesa de Rusia, dirigida por el nuevo emperador Napoleón Bonaparte (1769-1821). Hace evidente la realidad profundamente conflictiva de Europa y destaca la conquista de una larga paz lograda por los europeos después de 1945 y hasta ahora. En nuestros tiempos se están creando progresivamente las condiciones de nuevos conflictos. Una de las líneas de fractura entre los europeos se extiende entre Europa occidental y los rusos, como en los días de Bonaparte. La otra entre Europa continental y Gran Bretaña, y también en este caso como en los días del Bonaparte. Otras líneas de fractura están creando a los italianos, particularmente entre Italia y Alemania, como sucedió durante el segundo milenio de nuestra era, y entre Italia y Francia, como sucedió en el momento de la invasión del estado. Pontificia por el nuevo Reino de Italia, en 1870. En la iglesia de San Luigi dei Francesi, en Roma, cerca de Piazza Navona, una placa conmemora a los soldados franceses que cayeron en defensa de la ciudad de los invasores. El contraste entre los italianos, por un lado, y los franceses y los alemanes, por otro, llama la atención sobre el proceso de pacificación europea, que comenzó en 1951, pocos años después del final de la Segunda Guerra Mundial.

una vez estuvieron dominados por él y que ahora están vinculados en una organización internacional llamada Commonwealth, establecida en 1920 y reformada en 1931 y 1965. Esto, y El hecho de que, desde la Europa continental, vinieran históricamente las amenazas más graves para los británicos, mantiene a Gran Bretaña en el camino de la integración europea, que incluso en los años de pertenencia a la Comunidad Económica Europea y luego a la Unión Europea nunca ha estado completa. En lo que respecta a los rusos, la imposibilidad de acceder antes dependía del muy vivo contraste ideológico entre los sistemas políticos capitalistas liberales de los europeos occidentales y los comunistas europeos occidentales, desde entonces desde los años 90, fundamentalmente por el hecho de que el proceso de desintegración y agregación La Unión Soviética ha mantenido el estatus de Rusia extendido en dos continentes, Europa y Asia, y por esta razón no puede integrarse en la Unión Europea.

  La Unión Europea se ha convertido en una realidad pacífica porque se deseaba hacerlo de esta manera. Si tomara como ejemplo, los Estados Unidos de América no se habrían convertido. La Unión Europea sigue siendo una potencia pacífica tanto dentro como fuera: el mantenimiento de la paz es uno de sus principales objetivos. Naturalmente, algunos estados europeos han participado en guerras, pero solo locales, circunscritos. En particular, fue Francia y Gran Bretaña. Para el resto, los europeos que participan en la Unión Europea han hecho la guerra, pero siempre en una escala limitada y circunscrita, en el marco de la organización militar de la OTAN, dominada por los Estados Unidos de América, que mantienen varias bases militares en Italia y Alemania. desde los tiempos de la demolición de los regímenes fascistas que dominaron esas naciones. La Unión Europea no tiene su propio ejército, incluso si hay unidades militares integradas entre diferentes nacionalidades.

La cultura de paz de la Unión Europea depende en gran medida de los ideales cristianos. Los cristianos han sido protagonistas en la construcción de la Unión Europea, y al principio son católicos, por ejemplo, al principio, un político italiano como Alcide De Gasperi (1881-1954). En la década de los 90, fundamental para la última fase del proceso de integración europea, el trabajo del político demócrata alemán Helmut Kohl (1930-2017) fue muy importante: fue el Canciller no calificado, es decir, el jefe de gobierno, entre 1982 y 1998. Papa Karol Wojtya - Juan Pablo II tuvo una influencia cultural significativa en la decisión de construir una Unión Europea que también integraría estados de Europa del Este, una vez dominados por la Unión Soviética. Las razones de esta orientación fueron diferentes entre los europeos occidentales y orientales. En el primero se pensaba que excluir a los europeos del este, que también tenían historias y economías que diferían de las de los occidentales, habría hecho que Europa fuera inestable y, en cualquier caso, los flujos migratorios masivos hacia el oeste que caracterizaron la fase de Disolución de los regímenes comunistas desde 1989 y era previsible que se intensificarían. No querían reconstruir las barreras que, al final, los estados de Europa del Este, en la fase de disolución de sus regímenes comunistas, habían abierto. Entre los europeos del este, prevaleció la necesidad de desprenderse de la influencia política de los rusos. En muchos casos, el proceso de integración europea también pasó por ellos para integrarse en la OTAN. Esto, y no la integración en la Unión Europea, fue considerado como una amenaza por la nueva Rusia, y no sin razón. Mientras que la integración de los orientales en la Unión Europea fue llevada a cabo por los europeos, en la OTAN estuvo dominada por los estadounidenses. El primero se caracterizó por propósitos pacíficos, no el segundo, además de estar en línea con las tendencias históricas de la OTAN. Todo esto fue el origen de la última fase sangrienta de la crisis ucraniana, en 2014.

 La cultura de paz todavía está en el centro de nuestra doctrina social, pero entre los fieles siempre hay menos conciencia, ya que son menos veteranos, que tenían experiencia personal de la guerra. La realización de la paz, por lo tanto de la unidad y la fraternidad, es incluso la esencia de nuestra fe, como está escrito en el llamado del otro día: Seamos humanos:

"En la ocasión en que celebramos el don de la unidad y la fraternidad entre los cristianos, deseamos explicar a todos que ayudar a los necesitados no es un gesto de bondad, de altruismo ingenuo o, lo que es peor, de conveniencia: es el esencia de nuestra fe ".

  De hecho, la paz comienza cuando en lugar de matar para prevalecer, se decide ayudar a integrar. Naturalmente, frente al Cielo, tratamos de justificarnos, cuando matamos, lo que hacemos tanto al golpear como al abandonar: afirmamos que nos hemos visto obligados a hacerlo, a salvar nuestras vidas. Siempre ha sido así.

Mario Ardigò - Acción católica en la parroquia San Clemente Papa - Roma, Monte Sacro, Valli.

giovedì 24 febbraio 2022

Cittadini e sudditi

 

Cittadini e sudditi

 

[da De Giorgi Fulvio, Caneri Fabio ( a cura di), Ardigò. Educare le comunità politiche. Coscienza etica e impegno civile, Scholé 2021; pag. 123-124; dalla conferenza tenuta il 27 agosto 1988 alla scuola di formazione della Rosa Bianca a Brentonico sul tema “Cittadini o sudditi, ricchi e poveri di potere nella democrazia che cambia”]

 

  Se il potere politico-istituzionale è fondato (legittimato) sul codice binario di consenso e costrizione, ciò è dovuto al fatto che alla formazione e al controllo del medesimo concorrono cittadini e non sudditi. I cittadini sono gli abitanti di un Paese che posseggono ed esercitano diritti di cittadinanza […] che fondano il consenso al sistema politico e limitano la capacità di costrizione del medesimo. Un sistema politico-istituzionale ha sudditi e non cittadini che non posseggono, o di fatto non esercitano, diritti di cittadinanza sia nella formazione del consenso che nella limitazione della capacità costrittiva del suddetto sistema. «Sudditi – insegna Nicolò Tommaseo [ nella voce Sudditanza del suo Dizionario della lingua italiana, pubblicato a fine Ottocento e riedito da Rizzoli nel 1977 – è quegli che è sotto la signoria di Principi, di Repubbliche o di Signori». E con un’ironia amara da buon democratico aggiungeva: «Al presente, la parola Sudditanza dovrebbe non avere senso; ma io temo che Cittadinanza ne abbia ancor meno».

  Poiché i diritti di cittadinanza non sono distribuiti egualmente o non vengono esercitato e rivendicati da tutti gli abitanti, ogni società può essere sociologicamente composta in proporzioni mutevoli ed empiricamente accertabili, di cittadini e di sudditi. Per le considerazioni svolge sopra (per essere il sistema politico sempre meno il sistema centrale e gerarchico delle società complesse e sempre più un sistema parziale, sia pure di spicco, tra gli altri) la dicotomia cittadini-sudditi non può essere circoscritta al sistema politico. In tal senso, Ralf Dahrendorf in Per un nuovo liberalismo [Laterza 1988] presenta i diritti di cittadinanza  non solo giuridici, politici ma anche (sull’autorità di T.H. Marshall) diritti sociali di welfare state, come una sorta di terza dimensione. Una dimensione da incuneare nella società strappando spazio ai sistemi sociali centralizzati. «Con cittadinanza e diritti civili – scrive – si intende la quantità di diritti soggettivi, la quantità di diritti soggettivi, la quale deve essere uguale per tutti quelli che sono implicati sia nel mercato sia in una opinione pubblica politica democratica». «La cittadinanza – scrive ancora – Dahrendorf – è dunque la limitazione dei mercati e della politica». Sono i diritti di cittadinanza che insieme supportano e limitano sia lo stato che il mercato. Cittadinanza è infatti la precondizione di autonomia personale per l’esercizio del diritto di voto e di contratto, oltre che di uguaglianza di status (secondo la Costituzione) davanti alla legge. Il suo contrario, cioè l’invadenza senza difese e limiti dei sistemi politici ed economico, come di altri, su singoli e gruppi (alla base o ai margini della società) può dirsi sudditanza.

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  Fondamentalmente, il processo sinodale voluto da papa Francesco è diretto a trasformare profondamente il nostro modo di vivere la Chiesa in modo da farci partecipare realmente alla sua vita, non solo facendoci trascinare e nella misura in cui ci va di esserlo. E’ l’elevazione ad una condizione che possiamo definire di cittadinanza da quella di sudditi  in cui ora ci troviamo. Nel brano che ho trascritto sopra trovate una definizione efficace di cittadinanza e sudditanza che mio zio Achille, sociologo bolognese, dette nel 1988, tenendo una conferenza ad una scuola  di politica.

  Ora, parlare di cittadinanza  nella nostra Chiesa può sembrare fuori luogo, sconveniente addirittura. In genere si è assuefatti all’idea che la nostra Chiesa fu voluta  com’è ora, vale a dire come struttura politico-istituzionale totalitaria, che non tollera altro che sudditi. La teologia che potremmo definire  di corte, non in senso dispregiativo ma intendendo che si pone l’obiettivo di legittimare il potere ecclesiastico com’è ora, l’accredita. Eppure mi pare che il Maestro, nel suo girare per la Palestina insieme a un gruppo di discepoli quando fu tra noi, non la visse in quel modo. C’è chi, a proposito del suo atteggiamento politico, ne parla come di un blando anarchismo.  In particolare si muoveva con una certa libertà in mezzo alla classe sacerdotale e ai teologi del suo ambiente.  Mi ha sempre sorpreso, fin da piccolo, la mitezza con cui trattò la sedizione di Giuda iscariota, l’apostolo, tanto diversa dai costumi di sempre della nostra gerarchia, che pure del Maestro si presenta come vicaria.

  La nostra Chiesa, almeno fino all’inizio degli anni ’80, in Europa, fu integrata in quello che mio zio Achille definiva sistema EPC – Economia, Politica e Cultura, al vertice della gerarchia politico-istituzionale. Poi tutto cominciò a mutare molto rapidamente e sorsero molteplici centri di potere che iniziarono a muoversi autonomamente, relazionandosi in modo estemporaneo con gli altri. Questa è la caratteristica del mondo in cui ancora viviamo, che viene definito, per questo, post-moderno, dove la modernità  era l’epoca governata dal sistema EPC  ancora coeso. Anche la nostra Chiesa fu coinvolta in questo movimento.

  Tentò di recuperare l’autorevolezza perduta con la forza del numero  e restaurando il totalitarismo che aveva cominciato a dissolversi negli anni Sessanta e Settanta, sotto la spinta dei nuovi principi ecclesiali deliberati durante il Concilio Vaticano 2°. La gente, si pensava, sarebbe tornata ad aderire fascinata da quella immagine antica di potenza e affidabilità, come nelle epoche precedenti. In questa fase si cercò di compattare tutti intorno ad una ideologia di governo: fu l’epoca del cosiddetto Progetto culturale  tentato dai vescovi italiani.

  Nel contempo si svilupparono anche reazioni integraliste. In quest’ottica ci cerca di mettere al sicuro un piccolo nucleo di convinzioni e costumi sottraendolo alla contaminazione dell’ambiente sociale, in modo da blindare intorno ad essi le comunità che le condividono, per il resto lasciando molta libertà nelle transazioni sociali con gli altri centri di potere.

  Queste vie, tentate in Italia, richiedono sudditi che accettino di conformarsi a ciò che viene deciso per loro dall’alto.

  Esse non hanno funzionato, in particolare in Europa.

  Questo perché gli europei si sono lentamente assuefatti alla cittadinanza. L’esercizio di quest’ultima   è un limite  ad ogni potere sociale, non solo a quelli coinvolti nel vecchio sistema EPC, ma ad ogni potere sociale. Costruendo limiti  basati sulla partecipazione collettiva non al modo di sudditi, ma al modo di cittadini, si può costruire una coerenza etica nella società che al contempo dia anche senso  alla vita sociale.

  Una Chiesa realmente partecipata, non riservata a coloro i quali, anche solo in certi momenti della vita, accettano di farsi sudditi, può consentire una più positiva interazione sociale e la costruzione di senso che poi possono portare a una più efficace incidenza nella cose sociali, senza essere trascinati  e costretti nel mercato  delle influenze, quello basato sullo scambio, per cui, ad esempio, l’appoggio ecclesiastico ad un sistema di governo viene barattato con privilegi fiscali o di altra natura, esenzioni, finanziamenti, possibilità di influenza sociale, secondo il costume dei  concordati.

 La nostra Chiesa è totalitaria perché non concede libertà e, anzi, propone come virtù la libera rinuncia  alla libertà. Vorrebbe che tutti la pensassero in un solo modo, che è quello di obbedire  a tutto ciò che viene proposto dai suoi gerarchi. Questa sarebbe, poi, la sequela in senso teologico.  Teme la libertà ed è da secoli in dura polemica con essa, perché non riesce a concepirsi che come totalitaria  e questa  è la sua interpretazione dell’idea evangelica che  tutti siano una cosa sola.  Il problema è che questo nel vangelo non viene presentato come un obiettivo politico-istituzionale e, infatti, sotto questo profilo il Maestro mi pare che lasciasse fare in modo estemporaneo e arrivò a dire  che il suo regno non era di questo mondo. In particolare nel suo pellegrinare per la Palestina del suo tempo e intorno ad essa non mi pare che abbia lasciato plenipotenziari sul territorio, costruendo una  organizzazione propriamente politica.  Fin da piccolo mi è sempre riuscito difficile immaginare che questa complessa organizzazione che nei secoli costruimmo qui a Roma rimandasse realmente alla volontà del Maestro, il quale certamente non ordinò di trasferirvi suoi vicari e vi fece riferimento alla lontana stabilendo di  dare a Cesare quel che era di Cesare.

   Quando ci si impegna a pensare di organizzare la sinodalità nel senso richiesto dal Papa (e più o meno solo da lui), vale a dire dal basso,  a noi persone laiche  vengono fatte lunghe tirate spiritualistiche (nel gergo romanesco definite icasticamente pipponi) sostanzialmente per convincerci che siamo noi che non andiamo e non la struttura ecclesiastica com’è ora. Quest’ultima dal 1984, con l’8 per mille,  è collegata in presa diretta al bilancio dello stato ed è una grande proprietaria immobiliare e quindi può durare ancora a lungo facendo a meno dei fedeli. Alcuni, sociologi, teologi, storici, osservano che la Chiesa si sta dissolvendo, quanto a fedeli, ma in  genere la gerarchia non se ne fa una colpa, ma, appunto, sviluppa pipponi dando a noi la colpa, che siamo persone cattive e non facciamo quello che a noi viene raccomandato.

   Insomma dall’alto si guarda in basso con un certo evidente fastidio quando ci si accorge che laggiù qualcosa si muove.

 E’ veramente paradossale che, in questa fase di ascolto  di noi cosiddetto Popolo di Dio, tanto incensato a parole quanto disprezzato nei fatti, ci venga ingiunto di fare molto silenzio nei nostri incontri sinodali.

 La sinodalità dal basso  non potrà essere prodotta se non si costituiranno dei limiti a ciò che c’è in alto, che ora si presenta come un dispotismo totalitario, anacronistico, obsoleto, ma molto pervicace.

  Se sinodalità deve essere non si può ammettere che ci sia chi decide e chi deve limitarsi ad obbedire. Il principio deve essere quello della co-decisione, in modo che a nessuno sia consentito di escludere nessuno e che  nessuno possa silenziare del tutto nessuno. Nulla senza di me, ma nulla solo da me. Altrimenti si inscena una sinodalità finta (magari aspettando che passi la fissa per la sinodalità e riprende quella per il totalitarismo gerarchico).

 Vano è pensare di produrre al vertice della nostra Chiesa mutamenti sinodali pari a quelli che si stanno sperimentando nella Chiesa tedesca. Il peso del passato è troppo pesante. Ma in realtà di base come la parrocchia è diverso. Quest’ultima ha la peculiarità di essere destinata ad essere la casa di tutti, non di questo o quel gruppo di tendenza. E’ quindi il posto giusto per sperimentare la sinodalità, da un lato perché, salvo continuare a ricorre alla legione straniera del clero (con l’effetto di un clero che sa poco delle cose italiane, e in particolare della storia d’Italia, e quindi non sa indirizzare i fedeli nell’azione sociale), senza partecipazione reale  si chiude bottega perché preti e religiosi sono sempre meno, ad eccezione che nei posti di potere ecclesiastico, e dall’altro perché è sempre meno, in Europa,  la gente disposta a farsi umiliare dalla fantasiosa teologia di corte, secondo la quale, sostanzialmente, il Maestro volle la maggior parte dei credenti ridotta a gregge.

  Senza sinodalità reale si avrà il paradosso delle Chiese vuote e delle casse piene, veramente poco evangelico, direi.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli