Appunti dalla conversazione sul tema “Vocazione
all’impegno politico del cristiano” tenuta il 24-6-22, in video conferenza Zoom,
per il MEIC – Lazio dal prof. Roberto Regoli, docente di storia
contemporanea della Chiesa – a cura di Mario Ardigò – testo non rivisto dal
relatore
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0. Struttura
l’intervento in due momenti: una riflessione storica, come premessa, e una
riflessione sul tempo presente basata sulle considerazioni storiche.
L’argomento di oggi, la vocazione politica
del cristiano, può apparire ovvio per chi viene da un cammino come quello del
MEIC, quindi da un cammino cattolico che ha fatto dell’orizzonte del mondo un
impegno personale. Oggi non è più così. Parlando con fratelli nella fede che
sono deputati o senatori si viene a sapere che appena vengono eletti spesso sono
marginalizzati nelle comunità. Si sentono messi da parte, come se dovessero
giustificare la loro scelta, come se l’impegno politico non fosse più l’impegno
nobile di una volta. Questo viene detto da rappresentanti di diversi partiti,
senza distinzione tra destra e sinistra. La politica non è più percepita a
livello pratico come una vocazione. A livello pratico, tra di noi, ce la
raccontiamo in questa maniera, perché ci crediamo profondamente. Però a livello
di comunità più diffusa non è così.
Questa diversa lettura non è solamente del
tempo presente. L’abbiamo avuta anche nella storia del passato.
1. conferenziere introduce delle immagini tratte dall’arte, di
cui si dichiara appassionato, e dalla storia dell’arte.
Tante volte, nel vedere l’arte religiosa, noi
vediamo il rapporto che c’è tra il cristianesimo e il mondo, tra il credente e
la realtà mondana.
Le prime rappresentazioni artistiche di
Cristo sono quelle di Cristo imberbe. Viene presa una figura che precedeva il
cristianesimo, del pastore, senza barba. Come deve essere interpretata questa
scelta a livello della storia dell’arte? Il Cristo imberbe rappresenta in
qualche modo il disimpegno del cristianesimo di fronte all’impero [l’antico
impero romano, nota mia], quello che oggi potremmo chiamare il mondo,
la politica. C’è un contenuto teologico ma non di impegno [nel mondo
– nota mia]. Se consideriamo altre rappresentazioni successive di
Cristo, si nota che il connubio tra cristianesimo e politica è molto più
chiaro. Ad esempio quando Cristo viene rappresentato come imperatore. Ormai
l’impero è non solo l’orizzonte del cristianesimo, ma c’è una commistione
chiara: non si può pensare l’uno senza l’altro. E questo anche se abbiamo forme
di cristianesimo fuori dell’impero romano: il primo regno confessionale del
mondo, nel 4° secolo, è il regno di Armenia. Ci furono dei cristiani che
arrivarono fino all’India. Abbiamo però nell’impero romano un’evoluzione del
cristianesimo in rapporto alla politica che è tutta speciale, unica rispetto ad
altri mondi.
A volte il cristianesimo indica anche un
impegno nel mondo come predominio, per controllare la realtà. Pensate alle
raffigurazioni del Cristo nelle forme carolingie, un uomo forte, con
fisiognomica germanica, che controlla tutte le forze del male. E di questo
passo possiamo andare avanti fino ai nostri giorni. Partiamo da un disimpegno
del cristianesimo di fronte al politico, che
in qualche modo è anche una scelta politica diremmo noi con le categorie
di oggi: il politico non era l’impegno del credente alle origini. Arriviamo ad
altre forme in cui c’è un connubio e addirittura una sovrapposizione tra
politico e religioso. Pensiamo al medioevo, con la christianitas.
E’ interessante considerare gli imperatori
medievali perché, innanzi tutto, hanno un sacramento tutto loro, la famosa Cresima
dei re, che all’epoca non si sapeva se fosse un sacramentale o un sacramento, ma che dava loro
un’aura di potenza unica. Il re francese faceva miracoli dopo la sua
consacrazione.
Quella commistione tra politico e religioso si
ha nello stesso imperatore quando gli veniva consentito di abbigliarsi con
abiti liturgici, la stola, la dalmatica, il piviale. Pensate anche alla corona
imperiale: al suo interno ha una mitria, rigirato ma c’era, sia in Austria che
in Russia.
Insomma, ci sono delle forme nel tempo in cui
il politico e il religioso si vanno a sovrapporre. Detto in termini positivi: nel
mondo antico c’è unità profonda, che gradualmente salta nella modernità.
Quando
si produsse una spaccatura dentro il mondo cristiano occidentale tra il
cattolicesimo e i diversi mondi della protesta cristiana – e siamo quindi nel
Sedicesimo secolo – questo connubio venne ripensato. Si spezzò l’unità
religiosa e si ha una maggiore diversificazione tra il politico e il religioso,
tanto è vero che poi si parla di secolarizzazione. Va detto però che questa divisione condusse ad
esiti differenti. Se pensiamo alle Chiese protestanti o alle Chiese ortodosse,
lì c’è una stretta dipendenza del religioso dal politico. Non solo perché il
sovrano è anche capo religioso, ma perché il religioso e veramente il supporto
del politico. L’anomalia, dentro il cristianesimo, è quella del cattolicesimo,
che si pone sempre come un’istanza critica: ciò fu dovuto principalmente alla
presenza del Papato, che non permette ai diversi cattolicesimi nazionali di dipendere troppo dal sovrano.
Il modo di rapportarsi alla politica
dall’antichità fino ai nostri giorni è variato enormemente.
Nell’epoca della secolarizzazione, c’è un
altro passaggio importante per il nostro tema che tocca anche il cattolicesimo
che conosciamo oggi. Dopo che fu avviata, nel Sedicesimo secolo, la distinzione
di cui s’è detto prima, il fatto più rilevante fu quello della Rivoluzione
francese. Questo perché cambiò la politica. I termini Destra e Sinistra
nacquero a quell’epoca. Inizialmente per indicare dove alcuni politici,
rappresentanti del popolo, sedevano nell’assemblea: da quella collocazione
nello spazio si arrivò a una diversa collocazione di idee, a una diversa
collocazione politica. La distinzione binaria tra Destra e Sinistra,
Tradizionalista e Progressista, Liberale
e Conservatore, entrò nel linguaggio. E’ una semplificazione, certo, ma poi
quel linguaggio politico, se ci pensate bene, è entrato anche nel religioso. Questo
si nota benissimo anche nell’Ottocento, quindi nei primi anni dopo quella
rivoluzione. Pensate ai cattolici liberali, o pensate ai cattolici ultras:
si tratta di categorie politico-filosofiche che [vengono applicate in politica
ma anche nel mondo religioso – testo incerto – è un mia interpretazione].
Ciò alla lunga creò delle fratture che viviamo ancora oggi nel mondo cattolico,
e non solo cattolico religioso. Nei secoli passati c’è stata una certa
contrapposizione in base alle visioni teologiche e dottrinali, quindi da una
parte i cattolici e dall’altra i protestanti, da una parte i cristiani e
dall’altra gli ebrei, ormai le contrapposizioni non sono più di questa natura:
da una parte ci sono i Conservatori (cattolici, protestanti ed ebrei) e
dall’altra i Progressisti (cattolici, protestanti ed ebrei). L’elemento della
lettura del mondo da un punto di vista politico ha prevalso su
un’interpretazione teologica del mondo.
Noi oggi ci troviamo agli epigoni, o ai colpi
di coda, di questo mondo così strutturato.
Il sociale viene posto al centro del tutto.
Questo modo di procedere lo troviamo anche in
alcune istanze teologiche. Pensate alla teologia della liberazione: come
può essere interpretata? Ce ne sono di diverse possibili. In forza di una sorta
di eterogenesi dei fini, risponde ad un’istanza che fu portata avanti negli
anni ’20 dal papa Pio 11°, con la teologia del Cristo Re. Nel momento in cui si
riconosce Cristo come proprio Re, hai la pretesa di portare questo Regno di
Cristo su questa terra. Era anche la pretesa del cristianesimo medievale, con
l’idea di christianitas. D’altra parte la teologia della liberazione ha,
in ultimo, la stessa pretesa. Che cosa è successo, poi, nella teologia della
liberazione? E’ successo che alcuni suoi epigoni come sacerdoti hanno preso
le armi. Ci sono diversi studi su questo versante. E anche la figura del povero,
spesso messa al centro delle riflessioni cattoliche del Novecento, perde le
caratteristiche bibliche, il povero come colui che dipende dagli altri per cui si idealizza questa condizione per
il cristiano come colui che dipende da Dio, assumendo delle caratteristiche
propriamente sociali e poi politiche. Si pensi ad esempio, nella metà del
Novecento, al Peronismo e al cosiddetto Evitismo (da Evita Peron, la moglie di
Peron). Il Peronismo è un primo populismo.
Nel Novecento, a livello concettuale e poi a
livello di scelte politiche, pratiche e terminologiche, un mèlange [=mescolanza
– nota mia], una contaminazione tra il linguaggio politico e quello
religioso, che sotto certi aspetti era cominciata già prima. Si pensi,
nell’Ottocento, ciò che fu per noi italiani il Risorgimento, che significa
Risurrezione. Se si considerano certi discorsi risorgimentali di un Mazzini o
di un Garibaldi, uomini che fecero tutt’altre scelte rispetto a quelle del
mondo cattolico: adottarono tutto un linguaggio che si rifaceva all’immaginario
religioso. Questo modo di procedere si è intensificato nel Novecento. In questa
cornice troviamo l’impegno dei cattolici.
Sul versante italiano, c’era stato un divorzio tra il Paese e il
cattolicesimo per tutta la questione romana e solo alcuni gruppi di cattolici
si erano impegnati nella costruzione politica. Tuttavia nel sostenere il
processo di unificazione il cattolicesimo diede un contributo fondamentale. Si
pensi all’apporto delle scuole, ad esempio ai salesiani e alle salesiane, che
contribuivano a creare un’unità culturale: ad esempio in tutta Italia
rappresentavano gli stessi spettacoli teatrali. C’erano diversi modi per un
cattolico per rapportarsi alla politica, si pensi ad esempio all’intransigentismo.
Nel Novecento si sceglie l’impegno
politico, che già c’era, con il Partito popolare. Durante la Seconda guerra
mondiale si scelse la via del partito unico dei cattolici. Esso chiaramente non
era un partito cattolico, vale a dire confessionale. Tuttavia la
stragrande maggioranza dei cattolici vennero spinti in quella direzione, in un
contesto in cui, però si creavano sempre più frizioni fra gli stessi cattolici.
Questo perché era venuta meno una unità religiosa.
Quando parliamo della fine dell’unità
politica dei cattolici ci concentriamo sulle conseguenze di questo processo,
che sono state originate dal fatto che prima era finita l’unità culturale dei
cattolici, il prepolitico.
Qual è l’aspetto forte che si vive ai nostri
giorni, ma che era molto più presente negli ultimi vent’anni? Si tratta del
venir meno dell’unità religiosa tra gli stessi cattolici, ma anche dei
cristiani in quanto tali.
Abbiamo vissuto la perdita dell’unità
politica, prepolitica, culturale, ma anche di quella religiosa.
In questo contesto stiamo trattando la
questione della vocazione all’impegno politico del cristiano.
Questa chiamata alla politica, nel Magistero,
nell’associazionismo cattolico, e anche in altre forme di movimenti, ma non in
tutti, è un dato ovvio, costante, ma, ciononostante, c’è una difficoltà attuale
nell’impegno dei cattolici, in particolare dei giovani cattolici, nell’ambito
politico. Non solo perché il politico è stato deprezzato nel tempo, dall’epoca
di Tangentopoli in poi. Si pensi anche a tutte quelle discriminazioni che si
sono fatte nei discorsi pubblici di fronte al potere, che non viene più
considerato più come l’ambito e lo spazio del servizio, ma di altro,
considerato losco.
C’è stato un immaginario pubblico diffuso che
non era semplicemente socio-culturale, ma che è entrato anche nella Chiesa.
Anche un giovane credente che si vuole
impegnare nella politica si deve scontrare non solo con la cultura circostante,
ma anche con questo movimento che c’è stato nel tempo in cui il cattolicesimo
non ha parole, e neanche religiosità [per la politica -interpretazione mia].
In questo contesto si pone la vocazione
all’impegno politico del cristiano
Abbiamo avuto negli
anni passati degli interventi del Magistero, pensiamo alla Nota della
Congregazione per la dottrina della fede ai tempi del cardinale Ratzinger [ Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti
l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica -24-11-02 - https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20021124_politica_it.html
]
o agli interventi più recenti di papa Francesco, che in un incontro con
l’Azione Cattolica di qualche anno fa ricordò l’impegno nel politico (e nel
mondo cattolico si discusse della permanente attualità della scelta
religiosa, e come articolarla, questione
che al resto del mondo non interessava, e quale dovesse essere la scelta per
questo nuovo tempo).
L’excursus sul lungo periodo di cui sopra è
molto essenziale, conciso, ma a volte la
storia diviene anche un’ipoteca che ci lega a scelte di decenni passati, senza
riuscire ad essere originali nel tempo presente. Il rischio di tanto mondo
cattolico è quello di guardare più al passato che al futuro.
2. Il
conferenziere si dedica alla formazione dei giovani alla politica e sulla base
di questa esperienza passa al secondo momento dell’intervento.
Ci sono
due aspetti essenziali: il primo è
culturale. Di fronte ad un mondo sempre più parcellizzato, atomizzato, la prima
risposta che può dare il cattolicesimo è di far fare ai giovani una esperienza
di comunità. Proporre loro fortemente la comunità. Una comunità fondata su
esperienza di fede significative, quindi anche sul saper pregare e sul pregare
insieme. Saper adorare.
Ricorda che una volta quando i giovani della FUCI andavano a trovare qualche
vecchio politico, qualche membro della Corte Costituzionale, rimanevano
ammirati nel vedere che questi personaggi pubblici apprezzati tenevano sulla
loro scrivania di ufficio il breviario, il rosario e nell’apprendere che
andavano ogni giorno a messa. E non è che lo facessero per mostrarsi religiosi,
ma perché vivevano la fede in quel modo. Bisogna proporre una unità fondata
sulla fede. Tutte le divisioni che ci sono e di cui s’è parlato prima possono
essere superate, dentro la compagine cattolica, da un’unità di fede.
Fatto questo discorso di comunità, nel nostro
mondo parcellizzato e aggressivo, bisogna saper riproporre il dialogo,
cioè la capacità di accettare la diversità di opinioni.
Nella sua esperienza di formazione alla
politica dei giovani, vengono invitati personaggi politici che la pensano anche
molto diversamente. Esponenti anche di concezioni economiche divergenti fra
loro. Questo perché, in un mondo intollerante, va insegnato il sapersi
confrontare con tutti, rendendo ragione delle scelte compiute.
Al di là dei discorsi sulla società aperta e
sull’accoglienza, questo non accade nella vita reale.
Anche il discorso della cancel culture,
molto americana, ma che sta entrando anche in Europa e in Italia, indica
un’incapacità di accettazione e della storia e degli altri.
Il fatto di distruggere delle statue, di
rimuovere delle immagini, indica il voler riscrivere ciò che è stato e quindi
indica in fondo una intolleranza verso
l’altro o verso quella storia diversa da quella che si preferisce scrivere.
In questo momento è importante il fatto di
saper fare comunità vera, in cui il credente si scopre come l’altro credente,
e, in questa uguaglianza di fede, sapersi confrontare con il diverso. Quindi
anche in una comunità che ha membri di Destra, di Centro, di Sinistra, e si
usano le categorie politiche perché hanno influenzato il religioso, ritornare
sul religioso perché in quella comunità politica non si creino fratture così
gravi per cui uno poi si trova meglio con l’altro, totalmente diverso, che
con il fratello con cui divide lo stesso pane eucaristico. E’ bene sapersi
trovare a proprio agio con tutti e due! Ma riconoscendo le differenze.
Se si vuole arrivare a un vero discorso di
impegno democratico, questo richiede il dialogo. E il dialogo richiede due
punti di vista diversi. Per questo è molto importante aiutare anche i cattolici
ad avere una identità cattolica, perché solo in quel momento, con uno diverso
da sé, è possibile entrare in un dialogo, altrimenti c’è una uniformazione, una
uniformità che non serve. Infatti, se non c’è un’identità serena, si corrono
due rischi, o della rigidità, quindi alla contrapposizione che porta ad una
guerra costante, o un adeguarsi troppo all’altro che crea un problema, perché
non porta un contributo proprio.
In questo contesto sono necessarie comunità e
capacità di arrivare ad un’identità che sappia mettersi a confronto con le
altre nel dialogo.
Per quanto riguarda poi la democrazia, la
scelta chiara a favore del regime democratico si è avuta negli scorsi anni
Quaranta. C’erano state delle premesse già sotto il pontificato del papa Leone
13°, ma con movimento pendolare. I primi orientamenti chiari a favore della
democrazia si ebbero negli scorsi anni Quaranta durante il pontificato di Leone
13°. Era ritenuta una forma di governo auspicabile.
Il sistema democratico, che
responsabilizza il singolo cittadino, richiede la virtù dei cittadini. Il sistema democratico funziona
tanto quanto i cittadini sono virtuosi. Se vengono meno le virtù, il sistema
democratico diviene una maggioranza contro una minoranza, continuamente
fluttuante, con vincitori e vinti che cambiano a seconda degli umori. Il nostro
attuale contesto sociale è quello degli umori, dei sentimenti, degli affetti.
Il conferenziere si dichiara critico sul diritto basato sul sentimento, sul
fatto che come uno sente ciò diviene fonte del suo diritto [fa una
allusione al cosiddetto gender, che a suo avviso significa voler essere
riconosciuti come ci si sente- nota
mia]. In un contesto in cui il sentimento è più forte della ragione, e i
sentimenti possono essere orientati con una certa facilità da chi ha gli
strumenti adatti, il contributo cattolico in questo momento è quello di ridare
valore alla ragione, al lògos, del quale ci parla anche il Vangelo di
Giovanni fin dall’inizio, e in questa ragione entrare poi in un dialogo, per un
sistema democratico. Se viene meno questo, la democrazia viene meno.
Non a caso da tempo stiamo parlando di crisi
della democrazia liberale. E’ una crisi che è andata di pari passo con la crisi
del religioso e del cristianesimo stesso. Nel nostro contesto, del
cattolicesimo.
La democrazia come la conosciamo noi nacque in
un contesto di cultura cristiana, che presuppone le virtù cristiane. E’
esemplare il caso degli Stati Uniti d’America. La loro Costituzione dà per
ovvia un certo tipo di società. Una società religiosa. Una società religiosa
può sostenere meglio un discorso democratico sulle virtù.
Certamente ci sono anche etiche non religiose,
ma sono minoritarie. Il fattore religioso
è quello più diffuso al mondo.
Nel nostro Occidente abbiamo sacche
significative di non credenza, ma nel resto del
mondo non tanto, comunque molto di meno.
Là dove viene meno il religioso è più
difficile una tenuta alta di un sistema democratico che tenga conto anche dei
deboli.
Consideriamo tutta la questione
dell’eutanasia, anche sui bambini, anche con la possibilità di chiedere la
morte anche senza un vero motivo di non sopportazione del dolore, solo perché
una persona non se la sente di andare avanti.
Nel discorso pubblico non si parla più di
virtù, non si parla più dei doveri. In questo campo il cattolicesimo potrebbe
dare un contributo interessante.
Si dà come ovvio che ci sia una vocazione
politica del cristiano, il problema è come favorirla. Come generare questa
vocazione come Chiesa e come comunità credente.
Nel Novecento stiamo vivendo una crisi di
tutte le vocazioni, crisi sacerdotale, dei religiosi, matrimoniali e anche la
crisi della vocazione alla politica. Viviamo un momento di tante rotture o di
mancata fecondità in tanti ambiti. Questo ci provoca.
Tutto il discorso che precede vorrebbe
mettere in luce che c’è una mancanza e su di essa ci deve essere un confronto
di idee, di progetti, di persone, uomini e donne, che sono nutriti da una fede.
Sarà forse difficile
parlare di un pensiero cattolico mi può pensare che persone
profondamente credenti diano un contributo alla società italiana.