INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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giovedì 31 ottobre 2019

Note per un tirocinio di democrazia 10.1


Note per un tirocinio di democrazia 10.1

 In genere la democrazia viene presentata ai più giovani come:
        a)un sistema di norme di comportamento di 
           buona  creanza  civica;
         b) che devono essere obbedite;
c) in quanto deliberate da maggioranze di rappresentanti dei cittadini maggiorenni e non interdetti dai pubblici uffici eletti con procedure  di voto libero affidabili, quindi non compromesse dolosamente da chi raccoglie e conta i voti.
 In realtà questo modo di spiegare la democrazia non ne coglie il suo aspetto essenziale che è la critica sociale, regole comprese, sulla base di valori. La democrazia come attualmente la intendiamo, e la intendiamo in modo molto diverso da ogni esperienza che si definì democratica o in cui noi riconosciamo elementi democratici attuata prima del Settecento, nacque come rivoluzionaria, per rovesciare regole vigenti, in base alle quali veniva valuta l’onestà dei sudditi, sulla base di valori di giustizia sociale. Sono appunto questi  valori  l’essenziale dei processi democratici contemporanei e le democrazie contemporanee ci appaiono come sistemi politici per realizzare in modo incruento cambiamenti sociali, per adeguare le regole vigenti a quei valori. Ma questi ultimi sono un prodotto sociale e, come tali, poiché le società umane sono, tutte, nessuna esclusa, soggette a mutamenti nel tempo, sono una conquista da rinnovare di generazione in generazione, ma non solo, anche da ripensare in ogni loro tratto secondo le condizioni esistenti, per cui certamente ogni società esprime un complesso di valori, per cui questi ultimi variano da società a società, ma accade anche che i valori cambino nel trascorrere del tempo e delle generazioni, e nel rimescolamento sociale, entro ogni società. A questo lavoro di inculturazione dei valori partecipano tutti gli attori sociali, quindi non solo gli adulti e/o il loro rappresentanti istituzionali, ma veramente  tutti, compresi bambini e ragazzi, e compresi anche coloro che, pur interagendo con una società in cui sono immersi, non hanno ancora avuto riconosciuta la condizione di cittadini e quindi il diritto di voto e di candidarsi a cariche pubbliche. Questo complesso di individui, se considerati nella loro partecipazione alla costruzione dei valori, vengono pensati come persone: persona è appunto l’individuo nelle sue relazioni sociali, e in una concezione religiosa anche con il Cielo. La parola persona  ci viene direttamente dal latino, senza alcuna modifica, e nel latino era la traduzione della parola del greco antico ipostasi,  usato nella teologia antica che pensò i dogmi sulla nostra concezione della divinità per indicare la vita divina nelle sue relazioni e distinzioni. La persona umana  è l’individuo, ogni individuo, visto nella sua socialità e, insieme, nella sua irriducibile unicità, per cui egli non solo vive socialmente  ma ha anche una  dignità sociale, definita inviolabile  nelle concezioni democratiche contemporanee, e inviolabile  dalla società intorno e da ogni suo potere. Questa  inviolabilità  della persona umana le consente di partecipare al processo di costruzione, critica, ricostruzione dei valori, con influssi sulle corrispondenti regole. Questa concezione è il risultato dell’inculturazione di importanti valori  cristiani  in quelli democratici: lavoro che si è fatto dalla fine del Settecento, non da epoca più antica, e che si è fatto, purtroppo, subendo il durissimo contrasto della gerarchia cattolica, fino, praticamente, all’altro ieri  in una prospettiva storica. Ciò che il card. Walter Kasper ha definito nell’intervento che ho citato, come tragedia  e  fallimento.  Quella concezione della democrazia venne infatti legittimata nella nostra confessione religiosa solo con l’enciclica Il Centenario - Centesimus annus,  diffusa nel 1991 dal papa Karol Wojtyla, in occasione del centesimo anniversario dalla prima enciclica della dottrina sociale moderna, la Le Novità – Rerum Novarum  del papa Vincenzo Gioacchino Pecci - Leone 13°. Il motivo di questo contrasto è la millenaria pretesa del Papato di monopolizzare la creazione e custodia dei valori. Essa è stata in qualche modo attenuata solo a seguito della deliberazione della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le Genti – Lumen Gentium, avvenuta durante il Concilio Vaticano 2° (1962-1965).
  A quegli anni risale la riscoperta del dibattito religioso anche tra i  non specialisti  del documento A Diogneto, scritto che si ritiene risalente al 2° secolo della nostra era, che ha al centro della sua esposizione i valori sociali manifestati dai cristiani di quell’epoca e della cultura di riferimento dell’autore (ignoto) del testo (che si ritiene vivesse in Alessandria d’Egitto). I cristiani vengono definiti anima  della società in cui erano immersi e partecipi, non separati al modo di una setta. Questo modo di presentare le comunità cristiane contiene anche un’aspra e generalizzata critica della rimanente società intorno, vista come corpo, dedita alla tirannia della carne, quindi a vizi e piaceri, dissoluta. L’autore, che per altro viveva in tempi di cicliche persecuzioni anti-cristiane, si manifesta incapace di praticare l’arte evangelica del riconoscere anche i valori degli altri, e cito come esempio di ciò che intendo la parabola del Samaritano misericordioso. Possibile che il mondo intorno fosse tutto dissolutezza? Il documento al capitolo 10° contiene chiari elementi di critica sociale, che ci consentono di immaginare i contraddittori della comunità cristiana alla quale era indirizzato:
«Infatti la felicità non sta nell’opprimere il proprio prossimo, nel voler prevalere su più deboli, nell’essere ricchi e fare violenza agli inferiori, né con un simile comportamento si può imitare Dio, anzi tali azioni sono estranee alla sua maestà.»
  Un sistema di valori e una critica sociale che appare scaturire direttamente dalla comunità dei fedeli, senza la mediazione di un’autorità religiosa, che pure, all’epoca di verosimile redazione del documento, era già strutturata intorno ad un episcopato monarchico, sebbene in un clima sociale che ci appare molto più vivace e libero rispetto ai secoli seguenti, nei quali la nostra fede divenne (anche) un affare di stato.
Mario Ardigò  - Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli



mercoledì 30 ottobre 2019

Note per un tirocinio di democrazia 9


Note per un tirocinio di democrazia 9

  La democrazia, come ai tempi nostri la si intende, è un sistema di valori che rende possibili mutamenti incruenti degli ordinamenti delle società umane, in particolare il cambiamento delle loro regole istituzionali e di convivenza, in modo da assecondare gli sviluppi culturali che si producono inevitabilmente nelle popolazioni e le esigenze collettive. Va precisato che, quando in discorsi del genere si parla di cultura, non ci si riferisce a quella erudita, intesa come complesso di conoscenze letterarie e scientifiche ma:

 Secondo la definizione di Edward Burnett Taylor in "Primitive Culture" (=la cultura dei primitivi), Murray, Londra, 1871):
         "Cultura o civiltà è un insieme complesso che include la conoscenza, le          credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e          abitudine acquisita dall'uomo come membro della società".
Se ne trova un'altra definizione al n.53 della costituzione  Gaudium et spes, del Concilio Vaticano 2°:
    Con il termine generico di « cultura » si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l'uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l'andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano.
  Di conseguenza la cultura presenta necessariamente un aspetto storico e sociale e la voce « cultura » assume spesso un significato sociologico ed etnologico. In questo senso si parla di pluralità delle culture. Infatti dal diverso modo di far uso delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la religione e di formare i costumi, di fare le leggi e creare gli istituti giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltivare il bello, hanno origine i diversi stili di vita e le diverse scale di valori. Cosi dalle usanze tradizionali si forma il patrimonio proprio di ciascun gruppo umano. Così pure si costituisce l'ambiente storicamente definito in cui ogni uomo, di qualsiasi stirpe ed epoca, si inserisce, e da cui attinge i beni che gli consentono di promuovere la civiltà.

 Quindi: cultura come modo di far uso delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la religione e di formare i costumi, di fare le leggi e creare gli istituti giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltivare il bello, hanno origine i diversi stili di vita e le diverse scale di valori.
  L’antropologia e la storia ci insegnano che le società umane sono costantemente cambiate, e piuttosto velocemente, dal punto di vista delle loro culture. Molto più lenti sono stati i cambiamenti  fisiologici degli esseri umani. E tutto sommato, da questo punto di vista, non differiamo molto dagli altri mammiferi, ancor meno dai primati, e pochissimo dagli esseri umani di 200.000 anni fa.  Gli aspetti culturali più duraturi sono stati certamente quelli legati alla nostra fisiologia. Sotto questo aspetto, le differenze che ci separano dalle origini delle nostre collettività di fede, ad esempio in materia di alimentazione e di riproduzione sono minime; sono rilevantissime quelle che invece riguardano altri aspetti culturali, anche molto importanti.
 I cambiamenti delle società umane sono innanzi tutto legati alla nostra fisiologia, per la quale il tempo della nostra vita è limitato e le generazioni si susseguono. Tutte le culture umane si sono confrontate con questo aspetto della nostra vita e ne hanno elaborato spiegazioni, che in vario modo sono entrate a far parte del patrimonio culturale delle società di riferimento. L’idea del cambiamento come caratteristica delle nostre società è tra le più durature, in quanto appunto legata alla nostra fisiologia. Anche nell’immaginare le potenze soprannaturali che si ritiene determinino in vario modo la nostra vita si è trasposta questa idea del cambiamento, per cui, in sostanza, anche gli dei sono stati raffigurati, pensati, con una loro storia. Essi, in particolare, nelle narrazioni che li riguardano, agiscono, producono degli effetti, dei cambiamenti, interagiscono tra loro e con gli umani. L’idea di una divinità immota, una e assolutamente stabile nella sua perfezione, che ad un certo punto si affacciò nell’antica filosofia greca, è di difficile gestione pratica, e, in definitiva, ci riesce difficile anche solo pensarla, perché è completamente estranea alla nostra esperienza. Ciò che rientra nella sapienza pratica comune a tutti è stato per ora confermato anche nell’ambito delle scienze naturali, che si sono sempre trovate, finora, ad osservare oggetti che mutano.
  L’agire collettivo, per collaborare per superare i nostri limiti individuali fisiologici, che è uno degli aspetti fondamentali, naturali, delle nostre vite, perché siamo viventi sociali, che quindi organizzano e governano società, richiede però una certa stabilità delle organizzazioni sociali: a ciò servono le regole sociali. Esse scaturiscono dalle società come loro prodotto culturale  e solo in parte sono progettate e imposte da un’autorità superiore; sono moltissime quelle che derivano da consuetudini o accordi. Sono di quest’ultimo tipo quelle, piuttosto rigide, che osserviamo spontaneamente nel vestire e quelle altre, anch’esse piuttosto rigide, della lingua. Non c’è nessuna legge dello stato che prescriva come parlare e scrivere in una certa lingua. Eppure il linguaggio ha regole, di tipo consuetudinario, che derivano dalla sua pratica, che vengono anche riassunte nelle grammatiche  e allora assumono sembianza di leggi. “Come si scrive?”, “Come si dice?”, “Non si scrive così!”: sono espressioni che ci sono familiari. Proprio l’osservazione degli sviluppi storici del linguaggio, ci consente di capire l’evoluzione culturale, i cambiamenti culturali / Observationis iustus ex historico processu ad lingua, efficit ut probe intellegatur ex theoria evolutionis culturalis, culturae mutationes. Con l’aiuto del traduttore Google ho scritto la stessa frase in italiano moderno e in latino standard. A Roma parliamo italiano moderno e ai tempi  di quando gli apostoli Pietro e Paolo vi arrivarono si parlava il latino di quell’epoca: il primo è l’evoluzione del secondo. L’italiano può essere definito latino moderno e il latino italiano antico. La relazione tra le due lingue consente a chi sa l'italiano di intendere qualcosa della frase latina che ha lo stesso senso di quella in italiano, anche se non sa di latino. L’uso ha cambiato le regole del linguaggio nel tempo, trasformando il latino in italiano. Le regole del linguaggio sono state modellate dall’uso e quest’ultimo è un elemento culturale che ha seguito i cambiamenti sociali. L’italiano moderno ingloba anche lasciti culturali di altre società, ad esempio di quelle germaniche e di quelle arabe. Derivano dall’arabo le parole algebra, cifra, zucchero. In latino zucchero (in arabo  sokkar) si diceva saccharum, da cui diverse parole in italiano, tra le quali le più frequentemente ricorrenti nel linguaggio comune mi paiono essere saccarina, saccarosio,  perché saccaride, saccarifero, saccarificare, saccarimetro, saccaroide, saccarometria ecc. appartengono a gerghi specialistici. Com’è che ora usiamo l’arabo  zucchero invece di un’evoluzione del latino saccharum? In realtà la faccenda è più complessa e mostra lasciti culturali interessanti, perché saccharum  deriva dal greco antico sàccaron, che deriva anch'esso dall’arabo sokkar, che a sua volta deriva dal persiano shakar  e dal sanscrito (un’antica lingua indiana) sarkara. L'italiano moderno zucchero non deriva dal latino saccharum, ma entrambe hanno come progenitrici l'arabo sokkar e un'antichissima parola indiana, sarkara, attraverso il persiano shakar. E' una traccia della compenetrazione tra la nostra cultura e quelle greca, persiana e indiana, e quindi di antiche e prolungate interrelazioni culturali (i cambiamenti culturali richiedono tempo, generazioni, per prodursi).  Ecco dunque che i cambiamenti che ci si aspetta nelle società umane non derivano solo dal succedersi delle generazioni nel trascorrere del tempo, ma anche dalle relazioni interculturali tra società diverse che si accostano, si conoscono e fanno pratica l’una dell’altra, acquisendo l’una dall’altra ciò che appare utile, funzionale alla vita sociale.
  Ebbene, la questione del valore delle regole sociali, della loro interpretazione e corretta attuazione, del loro rapporto reciproco  e di quello  con i valori sociali di riferimento è di quelle centrali nelle narrazioni evangeliche, come anche nelle democrazie come oggi le intendiamo, secondo le quali le regole sono funzionali a valori umanitari, e questo è appunto il principale lascito politico del cristianesimo che inglobano. Essa è strettamente connessa a processi di evoluzione culturale, quindi ai cambiamenti che si sono prodotti nel tempo e nell'interazione tra diverse culture. L’evoluzione culturale del cristianesimo e la sua inculturazione nelle democrazie contemporanee, come in precedenza nelle monarchie sovrane europee,  sono  infatti il risultato di uno spettacolare processo di molteplici fusioni culturali e anche di stirpe, a seguito di intense correnti migratorie, per il quale noi europei siamo oggi come siamo, con l’aspetto fisico che abbiamo, parliamo come parliamo e pensiamo come pensiamo. 
  Sciogliere questo complesso risultato umano e sociale di interrelazioni è impossibile: non è possibile retrocedere nella storia, né fermarla. E' possibile solo, con l'azione sociale, influire sui suoi sviluppi futuri. 
  Dal passato possiamo trarre ispirazione, ma non possiamo inscenarlo nuovamente: sarebbe comunque un passato nuovo, un passato alternativo, immaginato oggi come passato, ma sostanzialmente nuovo. I cambiamenti sociali sono irreversibili, quando sono profondi come quelli che ci hanno prodotti. 
  Questo vale anche in religione, ad esempio per coloro che vorrebbero immaginare di rivivere i tempi apostolici, di vivere la fede come nel Primo secolo, ritenendo che le regole più antiche siano quelle più autorevoli e, in tal modo, vorrebbero superare, e in definitiva rifiutare,  oltre duemila anni della nostra fede. 
  Il problema centrale, nella nostra fede come in democrazia, è invece quello della relazione tra regole  e valori, nei veloci mutamenti culturali e sociali dei nostri tempi. Su di esso il cristianesimo ha ancora molto da dire, in un ambiente sociale che manifesta incertezze  nell'affrontarlo e che, in particolare, appare non riuscire a tramandare alle nuove generazioni i valori della democrazia, per cui anche le sue regole sembrano essere divenute obsolete.  
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

lunedì 28 ottobre 2019

Riunione di AC del 29-10-19 - I cristiani nelle città - testi di riflessione


Riunione dell’AC parrocchiale in San Clemente papa  - 29-10-19
I cristiani nelle città - tra il 1° e il 2° Secolo
testi di riflessione

Dalla Lettera a Diogneto

  Testo ritrovato nel Quattrocento a Costantinopoli da un chierico su un banco di un pescivendolo, destinato ad incartare il pesce, andò bruciato nell’incendio della biblioteca di Strasburgo nel 1870: ne erano state fatte copie. Ne è ignoto l’autore. Non si sa chi fosse Diogneto, il suo destinatario. Si pensa che sia stato scritto ad Alessandria d’Egitto nel Secondo secolo. Venne definito lettera dal suo primo editore, e così è rimasto noto, ma si preferisce definirlo discorso. Si presenta come una spiegazione sul Dio dei cristiani e sulla loro fede religiosa data a un uomo chiamato Diogneto, animato da una viva sollecitudine di istruirsi sui quei temi. E’ scritto in greco antico. E’ considerato parte della letteratura patristica, quindi dei Padri della Chiesa, autori di testi ritenuti fondamentali per la nostra teologia tra il Secondo e il Settimo secolo.

capitoli 5 e 6 [traduzione in italiano da Didaché, Lettere di Ignazio di Antiochia, A Diogneto, Figlie di San Paolo, 1998]

cap.5
1. I cristiani infatti non si distinguono dagli altri uomini né per il territorio, né per la lingua, né per il modo di vestire.
2. Non abitano in un qualche luogo, città proprie, né si servono di un qualche dialetto strano, né praticano un genere di vita particolare.
3. Non è certo per una qualche invenzione  o pensata di uomini irrequieti che questa loro conoscenza è stata trovata, né essi si fanno campioni di una dottrina umana, come certuni.
4. Invece, mentre abitano città greche o barbare, secondo quel che ciascuno ha ricevuto in sorte, e seguono le usanze locali quanto agli abiti, al cibo e al modo di vivere, manifestano come mirabile e, a detta di tutti, paradossale, il sistema delle loro istituzioni,
5. Abitano ciascuno la propria patria, ma come stranieri residenti; a tutto partecipano attivamente come cittadini, a tutto assistono passivamente come stranieri; ogni terra straniera è la loro patria, e ogni patria terra straniera.
6. Si sposano come tutti e generano figli, ma non abbandonano la loro prole.
7. Mettono in comune la mensa, ma non il letto.
8. Si trovano nella carne, ma non vivono secondo la carne.
9. Passano la vita sulla terra, ma sono cittadini del cielo.
10. Obbediscono alle leggi stabilite, eppure con la loro vita superano le leggi.
11. Amano tutti, eppure da tutti sono perseguitati.
12. Non sono conosciuti, eppure sono condannati; sono messi a morte, eppure ricevono la vita.
13. Sono poveri, eppure rendono ricchi molti; sono privi di tutto, eppure abbondano in tutto.
14. Sono disprezzati, eppure nel disprezzo sono glorificati; sono calunniati, eppure sono giustificati.
15. Insultati, benedicono; offesi rendono onore.
16. Fanno il bene, e sono castigati come malfattori; castigati si rallegrano come se ricevessero la vita.
17. Dai giudei sono combattuti come stranieri e dai greci sono perseguitati; e quanto li odiano non sanno dire la ragione della propria ostilità

capitolo 6

1.In una parola, ciò che l’anima è nel corpo, i cristiani sono nel mondo.
2. L’anima è disseminata per tutte le membra del corpo, e i cristiani per le città del mondo.
3. L’anima abita il corpo, ma non è del corpo; così pure i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo.
4. invisibile, l’anima è tenuta prigioniera nel corpo visibile; così pure, dei cristiani si sa che  sono nel mondo, ma la loro religione rimane invisibile.
5. La carne odia l’anima e le fa guerra, benché non ne riceva alcun torto, perché ne viene ostacolata nel godimento dei piaceri:  così pure, il mondo odia i cristiani pur senza riceverne alcun torto, perché fanno fronte contro il piaceri.
6. L’anima ama la carne che la odia, e le membra: così pure i cristiani amano coloro che li odiano.
7. L’anima è racchiusa nel corpo, ma è lei  che tiene insieme il corpo: così pure i cristiani sono trattenuti nel mondo  come in un carcere, ma sono loro che tengono insieme il mondo.
8. Immortale, l’anima abita in un tenda mortale: così pure i cristiani soggiornano tra le cose corruttibili, attendendo l’incorruttibilità che è nel cielo.
9. Provata dalla fame e dalla sete, l’anima diventa migliore: così pure i cristiani, castigati, fioriscono ogni giorno di più.
10. Dio li ha assegnati a una posizione tanto importante che non è loro lecito sottrarvisi.

  Come giunse praticamente lo Stato romano ad assumere contro i cristiani un atteggiamento tanto ostile? Noi conosciamo lo sviluppo del diritto romano, civile e amministrativo.  Sappiamo che l’Impero romano fu sempre estremamente tollerante verso culti e convinzioni religiose d’ogni sorta. In esso si poteva adorare Giove o Iside egiziana o Artemide di Efeso, ci si poteva iniziare ai misteri eleusini o al culto di Mitra, era lecito essere filosofo epicureo o scettico o anche non credere in nulla, adorare il sole o essere giudeo: nessuno veniva molestato. Come si spiega ciò? […] [Alcuni storici] pensano innanzi tutto al delitto di lesa maestà, strettamente legato al culto dell’imperatore.[…] Peraltro, c’è il fatto che nei processi abbastanza numerosi contro i cristiani, che noi conosciamo, non si parla mai di delitto di lesa  maestà. Sappiamo inoltre che questa legge fu adoperata dagli imperatori contro il loro nemici personali, contro senatori ed altre persone altolocate, che essi volevano togliere di mezzo. La gente di basso ceto non venne mai colpita, nemmeno  dalla più arbitraria applicazione di questa legge. I martiri cristiani furono però, nella loro stragrande maggioranza, povera gente. Traiano in particolare venne lodato perché, contrariamente al suo predecessore Domiziano, non volle mai saperne della legge di lesa maestà. Traiano fu colui che diede ai processi contro i cristiani la loro forma giuridica. […] Per quanto riguarda il culto degli imperatori, è chiaro che il rifiuto di simile culto poteva essere considerato delitto di lesa maestà. Non dobbiamo però immaginare il culto degli imperatori come una religione o cuna forma di culto con cadenze regolari, a cui tutti fossero obbligato. Il singolo uomo privato si trovava rispetto ai culti romani all’incirca nella posizione in cui può trovarsi oggi un cittadino di fronte ad alcune cerimonie civili […] Sappiamo però che le persecuzioni, specialmente nel II secolo, spesso non venivano mosse minimamente dal governo, ma piuttosto dalla popolazione. I funzionari vi si facevano trascinare quasi con riluttanza. […] Nessuno crede che i cristiani avessero commesso realmente tutte le efferatezza che venivano loro ascritte dalla pubblica opinione. Ma essi facevano cose che potevano irritare il grande pubblico. […] Così pure era causa di irritazione il silenzioso diffondersi del cristianesimo.
[Ludwig Hertling, Storia della Chiesa, 1974, Città Nuova]

 . 1Ognuno sia sottomesso a chi ha ricevuto autorità, perché non c’è autorità che non venga da Dio, e quelle che esistono sono stabilite da Dio. 2 Perciò, chi si oppone all’autorità si oppone all’ordine stabilito da Dio, e attirerà su di sé un castigo. 3 Infatti chi agisce bene non ha paura di chi comanda; chi invece agisce male ha paura. Vuoi non aver paura delle autorità? Fa’ il bene, e le autorità ti loderanno, 4 perché sono al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora devi temere perché le autorità hanno realmente il potere di punire: esse sono al servizio di Dio per manifestare la sua collera verso chi fa il male. 5 Ecco perché bisogna stare sottomessi alle autorità: non soltanto per paura delle punizioni, ma anche per una ragione di coscienza. 6 È la stessa ragione per cui pagate loro le tasse: difatti, mentre assolvono il loro incarico sono al servizio di Dio. 7 Date a ciascuno quel che gli è dovuto: l’imposta, le tasse, il timore, il rispetto: a ciascuno quel che gli dovete dare.8 Non abbiate debiti con nessuno, salvo quello dell’amore vicendevole: perché chi ama il prossimo, ha ubbidito a tutta la *legge di Dio. 9 La Legge dice: Ama il tuo prossimo come te stesso. In questo comandamento sono contenuti tutti gli altri, come: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare. 10 Chi ama il suo prossimo, non gli fa del male. Quindi, chi ama compie tutta la Legge.
[San Paolo apostolo, Lettera ai Romani 13, 1-10 - scritta a Corinto tra il 57 e il 58]

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Lettera a Diogneto -  note mie
  Il testo conosciuto come Lettera a Diogneto  fu riscoperto in Italia negli scorsi anni ’60, quando si cercò di impersonare un nuovo modello di laico e di cambiare il modo di essere e operare in società dei laici.
  Il documento è molto antico, risale al Secondo secolo e si ritiene che sia stato scritto in Alessandria d’Egitto, che all’epoca era una provincia dell’Impero Romano.  A quei tempi le organizzazioni ecclesiastiche dei cristiani andavano strutturandosi intorno a vescovi monarchici e a un clero di preti e diaconi, ma ancora in maniera molto diversa da quella della Chiesa cattolica contemporanea, che fu progettata e attuata tra l’Undicesimo e il Sedicesimo secolo, e da ultimo riformata nel corso del Concilio Vaticano 2° (1962-1965).  Nel documento A Diogneto non si ne fa menzione di un clero. Probabilmente a un fedele di oggi questo appare strano. Ma interessò particolarmente negli scorsi anni Sessanta, quando si cercò di realizzare quell’autonomia dei laici [dal clero] nel trattare delle cose sociali che era stata richiesta dai saggi del Concilio:

Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità.
[dalla Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le genti, n.31, deliberata durante il Concilio Vaticano 2°]

I laici devono assumere il rinnovamento dell'ordine temporale come compito proprio e in esso, guidati dalla luce del Vangelo e dal pensiero della Chiesa e mossi dalla carità cristiana, operare direttamente e in modo concreto; come cittadini devono cooperare con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità; dappertutto e in ogni cosa devono cercare la giustizia del regno di Dio.
L'ordine temporale deve essere rinnovato in modo che, nel rispetto integrale delle leggi sue proprie, sia reso più conforme ai principi superiori della vita. cristiana e adattato alle svariate condizioni di luogo di tempo e di popoli. Tra le opere di simile apostolato si distingue eminentemente l'azione sociale dei cristiani. Il Concilio desidera oggi che essa si estenda a tutto l'ambito dell'ordine temporale, anche a quello della cultura.
[dal Decreto sull’apostolato dei laici L’apostolato –  deliberato  nel corso del Concilio Vaticano 2°]

«I cristiani infatti non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per modo di vestire […] seguono le usanze locali quanto agli abiti, al cibo e al modo di vivere, manifestano come mirabile e, a detta di tutti, paradossale il sistema delle loro istituzioni. [Passano la vita sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, eppure con la loro vita superano le leggi.», si legge nel documento A Diogneto nel brano che ho trascritto prima.
 In che cosa consisteva quel superamento  delle leggi? Ne possiamo avere un’idea in quest’altro passo del documento, al capitolo 10:
«1.       Se anche tu brami questa fede, otterrai in primo luogo la conoscenza del Padre.
3. E quando l’avrai conosciuto, di quale gioia credi che sarai pieno. O come amerai colui che così ti ha amato per primo.
4. Quando avrai cominciato ad amarlo, sarai imitatore della sua bontà. E non stupirti che un uomo possa diventare imitatore  di Dio: lo può, se egli lo vuole.
5. Infatti la felicità non sta nell’opprimere il proprio prossimo, nel voler prevalere su più deboli, nell’essere ricchi e fare violenza agli inferiori, né con un simile comportamento si può imitare Dio, anzi tali azioni sono estranee alla sua maestà.»
Insomma: una fede religiosa che generava un’etica sociale diversa da quella corrente. Le società degli antichi erano veramente molto religiose, ma in modo radicalmente diverso da quello dei cristiani. Gli dei degli antichi venivano immaginati con i difetti e le passioni degli umani, non erano onnipotenti, occorreva accattivarsene il favore con riti e sacrifici rituali, consistenti nella distruzione rituale di risorse come offerta a un dio, costumi aspramente criticati nel documento A Diogneto che, seguendo le concezioni dell’antico ebraismo, li disprezza, arrivando a definire roba  gli dei non cristiani.
 In definitiva il documento interessa ancora perché indica una via di azione sociale non legata alla partecipazione a riti, ma alla benevolenza sociale, alla portata di tutti i fedeli.
  Nel documento  si menziona l’odio verso i cristiani e persecuzioni in loro danno. Ho riportato alcuni brani di una testo sulla storia della Chiesa che negli anni ’70 era molto diffuso, scritto dal gesuita Ludwig Hertling, a lungo professore di Storia della Chiesa antica  nella Pontificia Università Gregoriana. Egli analizza le varie motivazione che si sono date per le persecuzioni dei cristiani e le ha giudicate tutte non verosimili tranne quella dell’odio diffuso verso di loro nelle popolazioni in cui vivevano. Insomma, i cristiani avevano una pessima fama sociale, irritavano la gente intorno per il loro modo di vivere, e non solo in materia di fede religiosa. All’inizio le autorità assecondarono di mala voglia le denunce che venivano loro presentate contro cristiani. Un esempio di ciò lo abbiamo nel processo a Gesù, nell’atteggiamento del Procuratore romano Ponzio Pilato, che ci appare riottoso a dar seguito alle mormorazioni dei sacerdoti del Tempio di Gerusalemme e di parte della popolazione della città. Un altro esempio di ostilità verso i cristiani lo troviamo negli Atti degli apostoli, quando Paolo dovette fuggire dalla città di Efeso, per l’ostilità dei commercianti di oggetti religiosi per il culto della dea Artemide Madre universale, protettrice delle forze generatrici e alimentatrici della natura e quindi del parto, al quale era dedicato un magnifico tempio in quel luogo.
   Fino Terzo / inizio Quarto secolo il pensiero cristiano non sviluppò orientamenti specificamente politici, salvo che nella politica ecclesiastica, nei rapporti, spesso travagliati, tra episcopati e tra fedeli e vescovi (“Considerare il vescovo come il Signore stesso”, prescriveva Ignazio, vescovo di Antiochia, in Siria, all’inizio del Secondo secolo. L’atteggiamento prevalentemente consigliato era  quello indicato nel brano della Lettera ai Romani  dell’apostolo Paolo che ho prima trascritto: rimanere sottomessi alle autorità, salvo la partecipazione a rituali religiosi non cristiani, in particolare pagando i tributi da esse pretese, e, per il resto, amarsi gli uni gli altri.  E’ dal Quarto secolo che i cristiani iniziarono a ragionare di politica generale, sotto l’urgenza del tempo: nel giro di pochi decenni, in un processo che rimane ancora non del tutto spiegato, l’ideologia dell’Impero romano fu infatti cristianizzata. I cristiani assunsero quindi la responsabilità del governo pubblico nel quadro di un’organizzazione accentrata di tipo imperiale.   I documento A Diogneto  si situa  però un’epoca precedente a quello sviluppo. Negli anni Sessanta il problema in Italia era quello della sacralizzazione  del partito cristiano  al governo dalla caduta del fascismo, per la quale si veniva indotti a votarlo quasi, e spesso senza quasi, per obbedienza canonica, quindi per obbedienza al Papa e ai vescovi, senza reale possibilità di critica. Quel partito si era storicamente collocato su posizioni moderate e favorevoli all’organizzazione capitalistica dell’economia, pur con un marcato intervento pubblico. Il documento A Diogneto, molto autorevole per la sua antichità consentiva di immaginare, ragionandoci sopra, un altro modo di praticare la politica, superando  certi costumi in nome dei valori  sociali della fede.
  Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

Note per un tirocinio di democrazia 8


Note per un tirocinio di democrazia  8


1. Valori  e  regole: la democrazia li ha. Quali valori hanno radici  cristiane e quali regole? Bisognerebbe saperli individuare, perché, altrimenti, come si può fare ad esercitare uno dei compiti della persona di fede, in particolare del laico, vale a dire quello di cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio, questa è appunto l’espressione che troviamo nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa  Luce per le genti – Lumen gentium, deliberata durante il Concilio Vaticano 2° (1962-1965), al n.31.

Natura e missione dei laici
31. Col nome di laici si intende qui l'insieme dei cristiani ad esclusione dei membri dell'ordine sacro e dello stato religioso sancito nella Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col battesimo e costituiti popolo di Dio e, nella loro misura, resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano.
Il carattere secolare è proprio e peculiare dei laici. Infatti, i membri dell'ordine sacro, sebbene talora possano essere impegnati nelle cose del secolo, anche esercitando una professione secolare, tuttavia per la loro speciale vocazione sono destinati principalmente e propriamente al sacro ministero, mentre i religiosi col loro stato testimoniano in modo splendido ed esimio che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini. Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità. A loro quindi particolarmente spetta di illuminare e ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente legati, in modo che siano fatte e crescano costantemente secondo il Cristo e siano di lode al Creatore e Redentore.

  Spesso si intende che, poiché le cose temporali, vale a dire del tempo, mutevoli, che riguardano le società degli esseri umani e la loro storia,  contrapposte a quelle eterne, che non cambiano perché riguardano direttamente il fondamento beato di tutto ciò che c’è, dipendono  da quelle eterne, e a spiegare queste ultime è preposta la gerarchia del clero, allora, per sapere che fare in società, in fin dei conti bisogna aspettare che ce lo dicano il Papa e i vescovi. Questa era appunto l’orientamento che con il Concilio Vaticano 2° si deliberò di superare. Questo perché le cose temporali hanno una loro autonomia. Ecco come viene presentato l’argomento nel decreto sull’apostolato dei laici L’apostolato – Apostolicam actuositatem, anch’esso deliberato nel corso del Concilio Vaticano 2°.

L'animazione cristiana dell'ordine temporale
7. Quanto al mondo, è questo il disegno di Dio: che gli uomini, con animo concorde, instaurino e perfezionino sempre più l'ordine delle realtà temporali.
Tutto ciò che compone l'ordine temporale, cioè i beni della vita e della famiglia, la cultura, l'economia, le arti e le professioni, le istituzioni della comunità politica, le relazioni internazionali e così via, la loro evoluzione e il loro progresso, non sono soltanto mezzi con cui l'uomo può raggiungere il suo fine ultimo, ma hanno un valore proprio, riposto in essi da Dio, sia considerati in se stessi, sia considerati come parti di tutto l'ordine temporale: « E Dio vide tutte le cose che aveva fatto, ed erano assai buone » (Gen 1,31). Questa loro bontà naturale riceve una speciale dignità dal rapporto che essi hanno con la persona umana a servizio della quale sono stati creati. Infine piacque a Dio unificare in Cristo Gesù tutte le cose naturali e soprannaturali, « affinché egli abbia il primato sopra tutte le cose» (Col 1,18). Questa destinazione, tuttavia, non solo non priva l'ordine delle realtà temporali della sua autonomia, dei suoi propri fini, delle sue proprie leggi, dei suoi propri mezzi, della sua importanza per il bene dell'uomo, ma anzi ne perfeziona la forza e il valore e nello stesso tempo lo adegua alla vocazione totale dell'uomo sulla terra.
Nel corso della storia, l'uso delle cose temporali è stato macchiato da gravi manchevolezze, perché gli uomini, in conseguenza del peccato originale, spesso sono caduti in moltissimi errori intorno al vero Dio, alla natura dell'uomo e ai principi della legge morale: allora i costumi e le istituzioni umane sono stati corrotti e non di rado conculcata la stessa persona umana. Anche ai nostri giorni, non pochi, ponendo un'eccessiva fiducia nel progresso delle scienze naturali e della tecnica inclinano verso una specie di idolatria delle cose temporali, fattisi piuttosto schiavi che padroni di esse.
È compito di tutta la Chiesa aiutare gli uomini affinché siano resi capaci di ben costruire tutto l'ordine temporale e di ordinarlo a Dio per mezzo di Cristo.
È compito dei pastori enunciare con chiarezza i principi circa il fine della creazione e l'uso del mondo, dare gli aiuti morali e spirituali affinché l'ordine temporale venga instaurato in Cristo.
I laici devono assumere il rinnovamento dell'ordine temporale come compito proprio e in esso, guidati dalla luce del Vangelo e dal pensiero della Chiesa e mossi dalla carità cristiana, operare direttamente e in modo concreto; come cittadini devono cooperare con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità; dappertutto e in ogni cosa devono cercare la giustizia del regno di Dio.
L'ordine temporale deve essere rinnovato in modo che, nel rispetto integrale delle leggi sue proprie, sia reso più conforme ai principi superiori della vita. cristiana e adattato alle svariate condizioni di luogo di tempo e di popoli. Tra le opere di simile apostolato si distingue eminentemente l'azione sociale dei cristiani. Il Concilio desidera oggi che essa si estenda a tutto l'ambito dell'ordine temporale, anche a quello della cultura.

 Questo significa che, per capire il mondo e le società umane, non basta la teologia, che è il campo proprio di preti e religiosi e, quindi, del Papa e dei vescovi, che, ai tempi nostri sono scelti tra preti e religiosi. Oggi la gerarchia ritiene che nella democrazia siano individuabili valori con radici cristiane, ma se poi le si chiede di andare nel dettaglio, ha problemi. Certamente i processi democratici si sono svolti a lungo contro  gli orientamenti della gerarchia cattolica. In Italia parliamo addirittura dell’unità nazionale. Fino al 1941, quando il papa Eugenio Pacelli – Pio 12° inaugurò una nuova dottrina sociale sulla democrazia e i suoi valori, la democrazia non era apprezzata e, al più, veniva tollerata. Addirittura, agli inizi del Novecento, a parlare di radici cristiane  della democrazia, ad esempio di democrazia cristiana, si rischiava la scomunica. E, insomma, in realtà il tema dei valori democratici della democrazia è ancora tutta da scrivere, nonostante che da noi in Italia dal 1945 al 1994 la politica a tutti i livelli sia stata egemonizzata da un  partito democratico cristiano, che in effetti mancava di una propria ideologia, salvo che su questioni molto circoscritte, tanto che, ad esempio, le coalizioni di governo erano di fatto soggette all’approvazione del Papato. Per tutta la sua vita quel partito non riuscì mai a emanciparsi dalle ingerenze della gerarchia cattolica, che comunque gli procuravano il vantaggio elettorale di un  consenso elettorale di massa indotto dalla potente organizzazione della Chiesa cattolica sul territorio, l’unità dei cattolici alle elezioni. Ma è appunto una maggiore autonomia nelle questioni sociali che i saggi del Concilio chiesero ai fedeli cattolica, senza tuttavia organizzare sistematicamente una formazione per quel lavoro.
2.  Ora, per carenze formative, l’argomento sulle radici cristiane  dei valori democratici ci giunge ostico. E, ad un certo punto, si ha la tentazione di lasciar perdere, osservando che il Maestro non fece mai politica, non organizzò un partito suo, o anche solo una sua fazione, non polemizzò con la politica del suo tempo, e nemmeno, per la verità, organizzò una nuova religione, né una classe sacerdotale, ne diede regole specifiche per ordinare per lo meno le comunità di fede, se non quella di amarsi l’uno l’altro come egli aveva amato, e naturalmente Dio sopra ogni cosa.
   La storia del cristianesimo ci dice però che esso fu un potentissimo fattore di riforma politica, che esplose tutto sommato inaspettatamente e in modo eclatante nel giro più o meno di un secolo e mezzo, intorno al Quarto secolo, dopo aver subito ciclicamente efferate azioni di repressione su larga scala da parte dell’autorità pubblica dell’Impero romano. Questo processo rimane in parte ancora misterioso, per carenza di fonti affidabili, e non ci si può fare nulla: lo rimarrà. Ed è anche da osservare che nei primi tre secoli della sua storia, l’agitazione sociale riconducibile alla nostra fede, nel contatto con l’ellenismo, la cultura greca, costruì un sistema ideologico che presenta elementi di novità rispetto alle origini, ad esempio dotandosi di una vera e propria burocrazia sacerdotale organizzata intorno a patriarcati. Ma alcuni dei principi politici, vale a dire relativi al governo delle società, risalgono effettivamente alle origini, al vangelo, e, con spirito evangelico  come richiesto dalla Luce per le genti, possono essere individuati.  
  Uno di essi è espresso nel detto evangelico  Il sabato è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato”[Vangelo di Marco 2, 27], vale a dire che le regole vanno interpretate  secondo valori umanitari, fino ad arrivare a disapplicare se con essi contrastano. Nel brano evangelico si trattava della legge di santità del riposo nel giorno di sabato, data da Dio; tanto più quel principio vale riguardo alle regole deliberate da autorità sociali, comprese quelle religiose, con le quali infatti il Maestro ebbe i problemi che lo condussero sulla Croce. Ma è molto importante anche il detto che segue quello che ho sopra citato: “Per questo il Figlio dell’uomo è padrone anche del sabato.” Il vangelo è legge suprema. Nessuna autorità sociale può sottrarsi a questo vaglio critico ed esso limita molto il potere sugli altri esseri umani, e, innanzi tutto, li libera da una soggezione senza limiti. La democrazia, come oggi la si intende, è appunto innanzi tutto un sistema politico che ripudia e contrasta ogni potere senza limiti, fosse anche quello del popolo. Questa ideologia politica con radici evangeliche permeò tutto il Medioevo europeo, profondamente inculturato dal cristianesimo, anche al di fuori delle esperienze repubblicane dei Comuni medievali: i sovrani cristiani, per quanto dispotici e dissoluti arrivassero ad essere, per quanto crudeli si manifestassero verso i loro nemici, non pretendevano di sovrastare il Cielo, ma al più si presentavano come suoi luogotenenti  o vicari. L’evoluzione dall’ordine medievale alla modernità si ebbe quando, dal Quattrocento, venne progressivamente  affermandosi il valore della dignità del singolo essere umano, e quindi anche la richiesta di libertà individuale, definendo un sistema di limiti ancora più esteso, che finì per riguardare anche la libertà di coscienza individuale. A quel punto però, la nostra Chiesa era molto integrata nel sistema di potere di stampo feudale che esercitava il dominio sugli europei, nel quale otteneva rispetto ed esercitava una certa supremazia generalizzata sui poteri civili, e che, in particolare, riguardava proprio le  coscienze individuali. Quindi l’uscita dall’ordine medievale fu spinosa e non poté ottenersi che con una drammatica separazione, per attuare una Riforma: lesione che è stata sanata, quanto al tema principale, solo con la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione sottoscritta nel 1999 ad Augusta da Cattolici e Luterani, alla quale successivamente hanno aderito molte chieste protestanti. Per la Chiesa cattolica essa fu firmata dal card. Walter Kasper.
  Essa si conclude così:

43. Il nostro consenso su verità fondamentali della dottrina della giustificazione deve avere degli effetti e trovare un riscontro nella vita e nell’insegnamento delle Chiese. Al riguardo permangono ancora questioni, di importanza diversa, che esigono ulteriori chiarificazioni. Esse riguardano, tra l’altro, la relazione esistente tra Parola di Dio e insegnamento della Chiesa, l’ecclesiologia, l’autorità nella Chiesa e la sua unità, il ministero e i sacramenti, ed infine la relazione tra giustificazione e etica sociale. Siamo convinti che la comprensione comune da noi raggiunta offra la base solida per detta chiarificazione. Le Chiese luterane e la Chiesa cattolica si adopereranno ad approfondire la comprensione comune esistente affinché essa possa dare i suoi frutti nell’insegnamento e nella vita ecclesiale.
44. Ringraziamo il Signore per questo passo decisivo verso il superamento della divisione ecclesiale. Preghiamo lo Spirito Santo affinché egli continui a guidarci verso quell’unità visibile che è la volontà di Cristo.

 In nome del vangelo, dei suoi valori, sono state così superate regole efferate che dal Cinquecento furono la causa di sanguinosi e interminabili conflitti e, quando le democrazie finalmente ebbero ragione della violenza religiosa, di acuta inimicizia tra le Chiese.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.