Votare in religione
È in
corso a Roma – Città del Vaticano, la
Prima sessione dell’Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi & C. (ci
saranno anche un certo numero di preti, religiosi e religiose e circa 15 persone
libere). Si discute su come organizzare la sinodalità nella vita ecclesiale. Si
dà per acquisito, per lunga tradizione, che si deve vivere l’appartenenza ecclesiale
in modo sinodale e che, tuttavia, questo in genere ora non accade. Sinodalità
significa un modo più partecipato di decidere e di fare collettivamente. Oggi
tutto è deciso da vescovi, preti e, in misura meno estesa anche da religiosi e
religiose. Tutta l’altra gente è lasciata ai margini o ridotta a folla di comparse
liturgiche. La sinodalità viene
praticata in alcune associazioni e movimenti e allora la si può chiamare per
quella che è, vale a dire democrazia. Il Magistero cattolico è ancora
profondamente sospettoso verso i valori e il
metodo democratici e assolutamente contrario a praticarli nelle realtà
ecclesiali. Quindi in questi ultimi ambiti la si chiama sinodalità, a
significare che è qualcosa di diverso e che, in particolare, occorre praticarla
senza mai dividersi.
Ma, già l’unanimità è piuttosto rara e non
sempre è un indice positivo, perché in
genere le dittature inscenano spesso assemblee unanimi e plaudenti, ma poi si
parte già profondamente divisi: in realtà nella nostra Chiesa convivono in
precario equilibrio modi molto diversi di fare Chiesa, tanto diversi da
sembrare espressione di Chiese diverse. Lo si vive anche in realtà di base come
le parrocchie, ad esempio nei rapporti con i movimenti fondamentalisti, che di
solito fanno vita loro e si vedono in giro solo in particolari occasioni, ad
esempio quando vengono in visita i vescovi.
Questo risale alle origini e, al più, si è
potuto silenziare il pluralismo con misure di polizia ecclesiastica, nel
processo, dispiegatosi per tutti il Secondo millennio, di costruzione di un’autocrazia
ecclesiastica intorno al Papato romano, rendendolo un organismo molto diverso
da ciò che c’era stato nel Millennio precedente. Il risultato è stato poi, appunto,
un modo non sinodale di vivere la Chiesa. Da qui un certo impoverimento della
religiosità, che, a forza di cercare di isolarla dal contesto sociale, è
divenuta piuttosto inutile, e allora la gente si allontana. Il processo non ha avuto le stesse
caratteristiche nelle varie parti del mondo, e si è particolarmente accentuato
in Europa occidentale, mentre è molto meno sensibile in Africa e Asia, e nelle
Americhe ha avuto evoluzioni diverse nel Nord America e nell’America Latina.
Questo si riflette anche sul modo di programmare la sinodalità, che dovrebbe
tener conto di questa realtà antropologica. Ma nello Strumento dei Lavoro proposto ai partecipanti all’Assemblea come
base di discussione questo non c’è e non c’è nemmeno la storia, mentre mi pare intriso
di inutile e stantia teologia, tesa, mi pare, a precostituire l’esito dei
lavori.
Lo sviluppo della sinodalità ecclesiale,
dismesso dal 1985 per volontà del Papato di allora, oggi ci viene riproposto
come lo si è vissuto, e probabilmente ancora lo si vive, in America Latina, ma così
non si adatta bene all’ambiente sociale dell’Europa occidentale, sede di
democrazie avanzate.
L’Assemblea ha un suo regolamento che prevede
che si voti e che lo si faccia in vari momenti, praticamente in tutto il corso dei lavori,
fino all’approvazione del documento finale, la Relazione di sintesi, che
stabilirà come procedere nell’ultima fase del processo sinodale che riguarda il
mondo, che si concluderà tra un anno di questi tempi, con la seconda sessione
dell’Assemblea generale.
E’ il
regolamento di questa sessione dell’Assemblea generale, elaborato dal
Segretario generale del Sinodo dei vescovi, a prevedere che si voti e,
all’art.19, che ciascun membro esprima il proprio parere e il proprio voto
secondo coscienza tenendo sempre presente il bene della Chiesa. I lavori, come accade sempre nelle assemblee
deliberative, si articolano in commissioni tematiche, che vengono chiamate Circoli
minori, e in adunanze generali chiamate Congregazioni generali. Le
decisioni saranno discusse e preparate nei Circoli minori, dove ci si
può realmente relazionare, però il
dibattito non sarà libero, ma intralciato da Esperti facilitatori con il
compito di costringere i partecipanti, in gran parte anziani gerarchi, a
praticare il metodo della conversazione spirituale, che appunto
impedisce un vero dialogo, come abbiamo potuto sperimentare in parrocchia
quando l’abbiamo praticato. Infatti la durata degli interventi durante le
Congregazioni generali sarà di solo tre minuti per ciascuno è dunque lì
principalmente si voterà. Durante i Circoli minori non è sia previsto molto più tempo.
I Circoli minori elaboreranno dei testi, in
Resoconti approvati a maggioranza assoluta dei loro membri, che però potranno essere rimaneggiati con grande libertà dal Segretario
generale, da Segretari speciali e dagli Esperti teologici, classificandoli e
valutandoli, decidendo quali accogliere, quali non accogliere e quali fondere
tra loro. In questa fase, con metodo veramente poco sinodale, verrà preparata
una bozza di Relazione di sintesi e, in tal modo, si orienteranno le
decisioni finali. Successivamente la bozza della Relazione di sintesi tornerà
all’esame del Circoli minori. Questi ultimi potranno approvare proposte di
emendamenti chiamati modi collettivi.
Lo scopo dei lavori di questa Prima sessione
dell’Assemblea generale del Sinodo dei vescovi è di approvare una Relazione di
sintesi che definisca il programma dei lavori fino alla Seconda sessione dell’Assemblea,
tra un anno. Verrà approvata prima, a maggioranza assoluta dei membri, dalla
Commissione per la Relazione di sintesi,
e poi, a maggioranza assoluta dei membri e a scrutinio segreto, dall’Assemblea,
in una Congregazione generale.
Poiché gli spazi di dibattito sono molto
limitati nelle occasioni ufficiali, Circoli minori e Congregazioni
generali, innanzi perché tutto rigidamente contingentati nei tempi, e poi soprattutto
perché nei Circoli minori si avranno
sempre, in mezzo a interferire, i cosiddetti Esperti facilitatori, penso
che, come del resto accadde durante le sessioni del Concilio Vaticano 2°, e,
come narrano le cronaca, anche in tutti i Concili precedenti, fin dall’antichità,
ci si confronterà in altre sedi, informali. Il flusso dei lavori in un’assemblea
è come un corso d’acqua: dove trova la
via sbarrata, si crea altre vie.
Il voto di solito fa paura alle minoranze che
governano e certamente la nostra Chiesa è dominata da una piccolissima
minoranza fatta di vescovi, preti, religiosi e religiose. Diciamo tutto ciò che
è integrato nell’idea di gerarchia, impersonata a vari livelli da
persone legate da particolari vincoli di ubbidienza, anche in relazione alla
loro condizione di vita. Dall’altra parte c’è tutta l’altra gente, libera, ma
della quale, proprio perché libera, e perché maggioranza, si diffida. La sinodalità
vorrebbe coinvolgerla in una più attiva partecipazione, che vada oltre le
semplici mansioni esecutive di decisioni altrui. Ma le resistenze sono molto
forti, in particolare perché si tratta di persone che non possono essere
tacitate come quelle che non lo sono, sono integrate nella gerarchia e che dipendono
dal beneplacito dei superiori sia per il loro sostentamento che per la loro dignità
sociale. E allora, mi pare, con il metodo della conversazione spirituale si
vorrebbe costringerle al silenzio e all’accettazione di ciò che si è deciso
dall’alto, proprio come oggi avviene. Dove sarebbe, allora, il cambiamento?
In realtà il vero dibattito e il voto possono
fare emergere degli orientamenti diversi, che altrimenti rimarrebbero attivi
nel sommerso come un magma, ma non dividono perché si parte dal principio che
si rimane comunque uniti, nel senso di solidali. E’ l’ABC della democrazia. Si
accetta di fare come la maggioranza
decide, perché sarebbe assurdo fare come vuole una minoranza, ma le decisioni
della maggioranza hanno dei limiti precisi, a tutela delle minoranze, perché la
vera democrazia deve impedire anche dittature delle maggioranza. Per questo non
si decide a maggioranza su tutto. Sui principi di base ci deve essere l’unanimità,
ad esempio, negli ordinamenti politici, sull’uguaglianza in dignità tra le persone
e sui diritti umani fondamentali, tra i quali la libertà religiosa, ma poi ci
sono sfere, come quelle dell’intimità della persona e altri aspetti relazionali
sui quali non si decide in quel modo, ma nella coscienza di ciascuna persona. Sinodalità
significa anche introdurre questi limiti al potere collettivo, che adesso non
ci sono, perché si pretende di legiferare addirittura sulle coscienze.
Essere
sinodali rafforza, perché ciascuno si impegna ad essere responsabile di ciò che
si è deciso in modo partecipato, mentre la non sinodalità rende ipocriti,
perché si fa mostra di ubbidire e poi si fa come pare meglio, ed è appunto la
situazione attuale.
Le minoranze
che governano nella nostra Chiesa pretendono di saper individuare la via giusta
per ausilio soprannaturale e che questa sia la via indicata dal Maestro. Non
sono e non voglio essere un teologo e lascio ai teologi di argomentare su
questo. Dall’analisi storica risulta tutt’altro: raro che, valutando con il
senno del poi, la gerarchia ne abbia imbroccata una giusta, e anche sulle questioni
fondamentali, sulle quali si riscontra un’evoluzione nel tempo. Ad esempio, a
metà Ottocento, si demonizzò la libertà di coscienza e un secolo dopo la si dichiarò
addirittura essenziale.
Recentemente alcuni cardinali reazionari
hanno chiesto al Papa se è possibile che il supremo Magistero muti sue definizioni
teologiche del passato, le cosiddette verità, e certamente, all’analisi storica, questo è avvenuto.
La consapevolezza storica spinge verso la riforma, ed è forse per questo che
nella formazione religiosa non c’è. Per cui, quando ci raccontano che nell’antichità
si fu sinodali e ora non lo si è più, alla gente non è chiaro perché ciò sia
avvenuto, ed è avvenuto fondamentalmente per questioni di potere ecclesiastico,
prendendo di volta in volta come riferimento i costumi dei potenti della
società in cui si era immersi. La spiegazione più che alle fantasie della
teologia deve essere chiesta alla sociologia e all’antropologia. E certamente,
ad esempio, i Papi del Novecento per
nostra buona sorte interpretano il papato in modi completamene diversi dai loro
tremendi predecessori del Quattrocento e del Cinquecento.
Dunque, nella sinodalità che volessimo
provare a esercitare in parrocchia, non dovremmo sentirci in colpa nel votare
per decidere la linea comune, sempre che lo si faccia senza poi voler impedire
alle minoranze di rimanere tali e di vivere la loro vita liberamente in ciò che
non è stato deciso con la votazione. Non bisogna demonizzare il dissenso,
secondo i tremendi costumi che storicamente le gerarchie ecclesiastiche
espressero, e ancora esprimono. E’ molto importante il rispetto delle procedure,
e, come si è visto, ce n’è una molto particolareggiata anche per i lavori dell’Assemblea
che è in corso. La trovate qui
ttps://www.synod.va/content/dam/synod/assembly/0410/XVI-AGO-2023---REGOLAMENTO-ITA.pdf
Il primo accordo unanime deve proprio essere
sulla procedura. Senza di questo nessuna assemblea può funzionare, nemmeno, ad
esempio, il nostro Consiglio Pastorale Parrocchiale, che da anni non si
riunisce più, violando un obbligo stabilito dalla Diocesi. Non ci si è riuniti
più perché, per ciò che mi è stato narrato, non si riusciva a raggiungere una accordo
sui fondamentali, in particolare sulle procedure. Non si capiva più chi aveva
diritto di partecipare e la discussione procedeva disordinatamente, perché non
ci si sopportava. Infatti si era, e si è ancora, profondamente divisi, in particolare
tra fondamentalisti e non e chi non è fondamentalista si sente demonizzato, mentre
ai fondamentalisti pare di essere perseguitati. La convivenza è piuttosto precaria
e si basa essenzialmente sul cercare di non incontrarsi. E, in questa condizioni,
non basta certamente la mediazione del povero parroco, che dovrebbe convocare e
presiedere quell’organismo. La sinodalità è una conquista culturale che richiede
un serio e faticoso impegno personale e
collettivo. Penso che si potrebbe
imparare dall’Assemblea del Sinodo dei Vescovi che ha iniziato facendo scrivere
un regolamento dal Segretario generale del Sinodo. Dalla Diocesi potrebbero
darci una mano? Non credo proprio, perché, anche lì come dappertutto, si è agli
esordi, dopo il triste inverno ecclesiale che si visse dagli anni ’80.
Concludo osservando che nell’Assemblea
sinodale in corso a Roma ci sono troppe poche persone libere e troppe espressione
della gerarchia perché possa uscirne una parola decisiva. Vedremo. Nel lavoro
assembleare ci possono essere delle soprese, come accadde al tempo del Concilio
Vaticano 2°. E’ invece proprio nelle realtà di base, secondo l’intuizione di papa
Francesco, che le novità potrebbero radicarsi.
Mario Ardigò – Azione Cattolica
in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.