Preghiera
La vita religiosa è connotata
dalla preghiera, tanto che, nell’organizzare la nuova sinodalità secondo la quale
si vorrebbe riorganizzare il nostro modo di essere e fare Chiesa, ci si vuole
ancorare alla liturgia, che è preghiera pubblica.
La preghiera ha forma di invocazione, ma, fin dall’antichità, la sua
pratica ha a che fare con l’interiorità ed è appunto questo che coinvolge nel
profondo. Lo si scoprì, molto prima della comparsa dei cristianesimi, nel lontano
Oriente e da laggiù, per vie non completamente note, arrivò fino a noi, in particolare attraverso le esperienze
dei primi nostri monachesimi. E negli ambienti monastici venne prevalentemente
confinata fino al Cinquecento. Fino ad allora la maggior parte della gente
praticava la preghiera vocale e pregare consisteva nel recitare formule, da
soli o nel corso di liturgie collettive. Nella preghiera interiore si cerca
invece di concentrarsi sul proprio organismo, a cominciare dal respiro e dal
battito del cuore, interrompendo o comunque influendo sul corso della generazione
dei pensieri. Le formule, in questa pratica, servono a concentrarsi sul proprio
corpo, evitando che la mente sia presa da altro. Questo genera un senso di pace
interiore e ha benefici effetti sull’organismo, osservati clinicamente. Se ne
può sapere di più leggendo di Emiliano Lambiase e Tonino Cantelmi, Psicologia
della compassione. Accogliere e affrontare le difficoltà della vita, San
Paolo Edizioni 2020.
Nella preghiera vocale serve solo imparare a memoria delle formule o
saperle leggere su testi di preghiera. Alla preghiera interiore si deve invece
essere introdotti da un maestro. La prima cosa che si insegna è come fare silenzio
in sé stessi: non significa solo tacere, ma, appunto, interrompere il flusso
della generazione dei pensieri. E’ importante anche assumere una posizione
fisica che favorisca ciò che viene definito spirito della preghiera. E’
ciò che accade, ad esempio, nelle pratiche di adorazione liturgica proposte
alla gente.
Certamente si si domanderà in che modo c’entri il soprannaturale in
tutto questo.
Bisogna dire che la pratica della meditazione interiore, della quale la
preghiera interiore è un tipo particolare, funziona anche senza riferimenti
religiosi al divino: lo si è visto nella pratica della mindfulness, che
ormai è una disciplina clinica diffusamente sperimentata e ampiamente utiizzata nella cura dei pazienti e che serve a far affrontare ai malati situazioni connotati da
forte stress senza il ricorso a farmaci. La disciplina si è sviluppata
ragionando sulle tecniche di tranquillizzazione interiore praticate nel
buddismo e nello Yoga indiano, depurandole delle valenze religiose. Se ne parla
diffusamente nel libro di John Kabat-zinn, Vivere momento per momento. Sconfiggere
il dolore, l’ansia e la malattia con la mindfulness, Corbaccio 2021, anche
in e-book e Kindle.
Tuttavia nella concezione cristiana il soprannaturale è profondamente
legato alla corporeità: da qui anche la dottrina dell’Incarnazione. Il corpo è
considerato come un tempio dello
spirito e questo ci è senz’altro confermato dalle scienze che studiano la nostra
psicologia. Così non si dà vera pace nello spirito senza prima realizzarla nel
corpo. E questo è possibile anche nelle situazioni estreme, anche in mezzo al
dolore del corpo. Il corpo, dal quale la mente è prodotta, è biologicamente strutturato anche per resistere in quelle difficili condizioni personali.
Le persone religiose sperimentano ispirazioni, nella loro vita interiore.
Difficile distinguere ciò che deriva dalle emozioni, generate dalla fisiologia, da
ciò che arriva dall’alto, quindi dal soprannaturale. La neurologia ci dice che
l’immagine del mondo come lo percepiamo viene generata dalla nostra mente, per
cui gli stati mentali vi influiscono molto, come tutti noi possiamo facilmente sperimentare. La nostra
tradizione religiosa, fondata sulle Scritture, ci dice che l’interiorità è il
luogo dell'incontro tra noi e il soprannaturale. Questo arricchisce molto l’esperienza interiore.
Pregare nell’interiorità, dunque, non solo fa sentire meglio, ma è molto
bello: questo ci fa migliori. Farlo insieme ad altri migliora il nostro modo di
stare insieme, ci rende meno disposti all’aggressione, alla violenza, all’intolleranza.
Inserire momenti di meditazione liturgica nelle assemblee sinodali, come si è
fatto organizzando quelle che abbiamo tenuto, anche in parrocchia, nel quadro
dei cammini sinodali sulla sinodalità, è stata sicuramente una scelta felice.
Ma fin dall’antichità i nostri
monachesimi hanno insegnato che la preghiera interiore non basta: deve essere
accompagnata da un impegno nel mondo. Ora et labora, prega e fatica,
l’esortazione al monaco che si trova nella regola dei Benedettini risalente all’alto
Medioevo, significa appunto questo. Legare la ricchezza interiore alla vita
del mondo per cambiarlo: questa la grande
sfida dei cristianesimi. A lungo però questo aspetto è stato trascurato nella
formazione religiosa dei più, concentrandosi sulle prospettive dell’oltretomba.
E vi è chi critica il corso attuale della nostra religiosità ecclesiale sostenendo
che ci si dovrebbe tornare a concentrare
solo su quello. Probabilmente ci deve entrare l’uno e l’altro. Se prendiamo
come riferimento l’esempio del Maestro, vediamo che non fu certamente solo un
contemplativo e che la spiritualità che propose significava anche solidarietà,
misericordia, compassione e conforto, era quindi una spiritualità fattiva. Certamente
aveva anche una prospettiva nell’aldilà. Ma senza lasciare nell’al di qua le come
stanno.
La sinodalità come la si sta riorganizzando significa anche produrre cambiamenti. La Chiesa sinodale è una struttura sociale che ammette il cambiamento e lo asseconda cordialmente, componendo i conflitti che potrebbero derivarne. I cambiamenti caratterizzano costantemente la vita dell’umanità e questo rientra nella
nostra natura di organismi. L’evoluzione delle culture segue quella dell’umanità
che le sostiene. Ciò che non evolve diventa inutile e viene abbandonato. Accade
anche nelle esperienze religiose. E’ un processo del quale nessuna singola persona
può pensare di vedere la fine: infatti la supera. E’ qui che una ricca interiorità con una prospettiva soprannaturale aiuta a orientarsi e conforta.
Mario Ardigò – Azione Cattolica
in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli