1° Tirocinio di conversazione spirituale nel nostro gruppo parrocchiale di Azione Cattolica
Ieri
sera, nella riunione del nostro gruppo parrocchiale di Azione Cattolica,
abbiamo fatto il primo tirocinio di conversazione spirituale su un tema
d’attualità sul quale è necessario orientarsi in coscienza: la guerra tra il
movimento irredentista palestinese Hamas,
che ha una forza militare nel territorio autonomo di Gaza, e lo Stato di
Israele, iniziata con l’invasione stragista di Hamas del 7 ottobre scorso in zone israeliane
limitrofe ai confini di quel territorio palestinese. Quest’ultima è stata un’efferata
azione militare stragista condotta con metodi terroristici in gran parte contro
civili inermi, brutalizzati con incredibile ferocia, palesemente diretta a
suscitare una violentissima reazione israeliana, che infatti vi è stata ed è
tuttora in corso, che determinasse poi gli alleati internazionali di Hamas ad
entrare in guerra con lo Stato di Israele. La guerra infatti, nella Palestina contemporanea, sembra a molta
gente di laggiù l’unica soluzione ai problemi di convivenza tra israeliani e
palestinesi.
L’Italia
è ancora organizzata come uno stato democratico, in cui l’opinione pubblica
conta.
I
governi Italiani hanno sempre preso posizione in occasione dei conflitti
combattuti nel Vicino Oriente. L’Italia è stata cobelligerante nelle due “Guerre
del Golfo”, combattute contro l’Iraq dal 1990 al 1991 e nel 2003. Partecipa alla
forza militare delle Nazioni Unite nel Sud del Libano, sul confine con lo Stato
di Israele, e a programmi di aiuto in favore delle popolazioni palestinesi.
Mantiene cordiali rapporti di amicizia con lo Stato d’ Israele. Seguendo le
determinazioni delle Nazioni Unite e la posizione dell’Unione Europea non
riconosce Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele, pur riconoscendo l’aspirazione di Israeliani e palestinesi ad avere la
propria capitale a Gerusalemme. Il nostro Governo ha condannato duramente
l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, ma sta adoperandosi per un
cessate il fuoco nel territorio di Gaza, in considerazione delle tremende
sofferenze subite dalle popolazioni che vi sono insediate.
In occasione della
prima Guerra del Golfo, le imponenti manifestazioni pacifiste inscenate in
Italia, come anche in tutta l’Europa occidentale, contribuirono certamente a
limitare la portata del nostro impegno
militare nella guerra.
Le guerre hanno anche
una rilevanza specificamente sul piano dell’etica religiosa e dunque occorre
cercare di darsi un orientamento su di esse. Che fare?
Quel tema di
attualità è stato lo spunto per provare a praticare il metodo della conversazione
spirituale raccomandato per le
assemblee che si tengono nei cammini sinodali per il Sinodo dei vescovi sulla
sinodalità, che prevede processi di ascolto del Popolo di Dio, vale a dire noi: la
prima Sessione della sua Assemblea generale ordinaria si è chiusa ieri a Roma,
Città del Vaticano, con la votazione sul documento finale, che espone il
programma organizzativo del prossimo anno, fino alla seconda Sessione che si
terrà nell’ottobre del 2024.
All’inizio sono stato
piuttosto scettico su quel metodo, ma poi, riflettendoci meglio e soprattutto
considerando i risultati della sua messa in pratica, mi sono ricreduto. Vale la
pena di adottarlo per vedere come va. Ha diversi pregi. Il primo è di consentire a tutte le persone di
un’assemblea di esprimersi. Poi tiene conto del contesto liturgico in cui è
opportuno che sia inquadrata un’assemblea ecclesiale, del resto sulla base di
una tradizione molto antica. Infine ci si propone di raggiungere sui risultati
il maggior consenso possibile, in modo
che tutte le persone si sentano rappresentate, cercando di lenire le
contrapposizioni frontali. E questo è conforme allo spirito dell’agàpe evangelica.
Qui sopra trovate lo
schema del metodo della conversazione spirituale che ho tratto dallo Strumento
di lavoro della Sessione dell’Assemblea sinodale che si è svolta in questo
mese.
Chi ha partecipato
alla riunione di ieri ha avuto tra le mani lo schema del metodo della
conversazione spirituale con sole poche
ore di anticipo, via email e WA, e poi, in un documento cartaceo, all’inizio
dell’incontro. Non ci eravamo molto preparati. Ho introdotto io per pochi
minuti. Ho visto che tutti poi si sono sforzati di collegarsi a quello che
avevano detto gli altri. Ma non siamo riusciti ancor a praticare la divisione
del lavoro in due fasi, inframezzate da uno spazio di silenzio e preghiera: il
primo in cui ogni persona parla per pochi minuti e l’altro in cui si parla
ancora cercando di sottolineare quello che nei discorsi altrui ha più colpito.
Non abbiamo avuto il tempo di dialogare per fare sintesi e, d’altronde, non ci
proponevamo ancora di elaborare una relazione finale.
Qualche volta ci si è
accavallati nel parlare e si è ripresa la parola subito dopo aver parlato,
perché non si è resistito alla tentazione di replicare subito a qualcosa che si
era ascoltato.
Una cosa positiva che
ho notato è che non si è entrati in
polemica. Il lavoro è stato costruttivo e arricchente.
Si è parlato di
nonviolenza, della necessità di pregare, della necessità di confrontarsi sul
tema della guerra cercando di ricostruire gli specifici insegnamenti cristiani,
delle iniziative dell’Azione Cattolica in Palestina, in particolare a Betlemme.
Si è ricordato che il nostro parroco, che svolge anche una funzione molto
importante nell’Opera Romana Pellegrinaggi,
è un profondo conoscitore di quella regione ora in guerra.
Sarebbe utile riprendere
programmaticamente il tirocinio sul metodo della conversazione spirituale, in
modo che ci venga spontaneo praticarlo. Si adatta molto bene al nostro contesto
di un gruppo non molto numeroso, in cui le relazioni faccia a faccia
predominano e in cui ci si conosce e ci si stima.