L’Italia, il Papato e noi
Quando fui liceale, qui a
Roma, negli anni ’70, la storia non era molto apprezzata. Sento dire che è
ancora così tra le ragazze e i ragazzi d’oggi. Nella formazione religiosa della
maggior parte della gente è completamente assente. E invece mi pare che più d’ogni
altra dovrebbe essere la materia da utilizzare per orientare le coscienze.
Naturalmente se solo si riuscisse a discuterne in modo realistico, senza cedere
alla fatale tentazione di piegarla alla propaganda, contraffacendola. Secondo
quel lavoro che Karol Wojtyla da Papa definì “purificazione della memoria”.
Un impegno che egli presentò come particolarmente necessario proprio in
religione, ma che dovrebbe estendersi anche oltre. La memoria storica dei fatti
religiosi, infatti, non è in genere molto affidabile.
Il particolare, in Italia non si ha sempre
consapevolezza del ruolo cruciale che ebbe il Papato romano in tutta la storia
nazionale, ma in particolare negli ultimi due secoli. Si tende ad identificare
con esso la Chiesa tutta, nelle espressioni che iniziano con “La Chiesa…”:
“La Chiesa dice”, “La Chiesa fa”, “La Chiesa vieta”, e via
dicendo. In realtà fu esso in primo piano e l’altra gente seguiva.
Il Papato s’è costruito addosso una teologia,
in un processo che va avanti da oltre un millennio, degli oltre due della storia
della nostra Chiesa, e che, dunque, non risale alle origini, sebbene lo si
presenti come tale. Su questo punto la consapevolezza storica non può giungere
ad altra conclusione, è incontrovertibile. Questo in genere disturba in
religione, dove si pretende che le cose più antiche siano più autorevoli, e
ormai questo è più o meno il solo ambito
in cui ciò accade nelle culture dell’Europa occidentale contemporanea. In qualche
misura, quindi, quella teologia si basa su un’alterazione della memoria storica:
lo scopo è di congiungere, nel Papato, il Cielo e la Terra. Una costruzione
culturale indubbiamente interessante, il cui fascino si avverte, ad esempio,
nell’ultimo capitolo, intitolato “L’epilogo” di un testo di grande autorevolezza
storica come “Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni”, dello
studioso di diritto ecclesiastico Arturo Carlo Jemolo, uscito nel 1948, rivisto
e aggiornato nel 1963, continuamente ripubblicato da allora dall’editore
Einaudi.
Dal 1978 non abbiamo più avuto Papi italiani.
Ero in piazza San Pietro la sera in cui fu
annunciata l’elezione a Papa del Wojtyla. Nelle riprese televisive e
cinematografiche dall’alto della piazza, mi riconosco in una macchiolina di colore
cammello sul lato destro della piazza: si era in un ottobre molto meno caldo di
quello dei nostri giorni e indossavo un cappotto. Molto cambiò da allora, ma
non la grande influenza del Papato sulle cose italiane.
Il Papato è un’istituzione, ricordiamolo
bene, non è questo o quel Papa. E’ un’istituzione
la cui funzione fondamentale è quella di
emanare leggi sulla vita religiosa, in essa compreso ogni aspetto delle società,
incluso naturalmente quello politico, e di cercare di dar loro attuazione nella
pratica sociale mediante un corpo gerarchico composto da circa 5.300 vescovi e
400.000 preti, coadiuvato da circa 650.000 monache e suore. Da qui storicamente
è stato prodotto parte rilevante dell’immaginario religioso cristiano negli
ultimi mille anni. La svolta che si è avuta più o meno dagli scorsi anni Cinquanta
nel mondo cattolico, e che è stata rilevantissima, è consistita nell’emergere sempre più sensibile di altri centri di
cultura religiosa, espressi da persone cristiane libere da particolari vincoli
ecclesiastici con quella gerarchia, da cui, ad esempio, l’esigenza di consultarle
che si è sentita durante il processo
di rinnovamento sinodale che è stato iniziato nell’ottobre del 2021. Un
processo culturale, e anche religioso, di grande spessore che ha avuto
espressione, ad esempio, durante il Concilio Vaticano 2°, svoltosi in varie sessioni
a Roma – Città del Vaticano tra il 1962 e il 1965, in leggi religiose molto
importanti che aprivano spazio alla partecipazione di tutta quest’altra gente,
in quello che venne definito Popolo di Dio, nel quale si pensò inclusa
la stessa gerarchia, che invece nelle concezioni precedenti lo fronteggiava,
come il sovrano i sudditi.
Il Papato ebbe fino al 1939 un ruolo molto
negativo riguardo all’affermarsi dei processi democratici nazionali, in particolare
all’epoca tra il 1870 (anno dell’abbattimento per conquista militare da parte
del Regno d’Italia dello Stato Pontificio, il regno dei Papi nell’Italia
centrale con capitale Roma) e il 1906, nel corso della quale il Papato contestò
la legittimità del nuovo stato nazionale italiano, costituito nel 1861 sulla
monarchia dei Savoia, vietando, a pena di severi interdetti religiosi, alle
persone di fede cattolica di partecipare in alcun modo alla politica nazionale,
sia come elettrici che come candidate o deputate.
L’istituzione della nostra Azione Cattolica,
nel 1906, segnò un cambio di strategia da parte del Papato e fu seguito, dopo
pochi anni, dall’attenuazione di quel divieto, che di fatto cadde del tutto
solo nel 1919, anno di fondazione, da parte del prete siciliano Luigi Sturzo ed
altre persone, del Partito Popolare Italiano, con ideologia ispirata alla
dottrina sociale cattolica, deliberata dal Papato, ma tuttavia non braccio
politico popolare del Papato, come invece era stata pensata l’Azione Cattolica.
Quest’ultima tuttavia, ben oltre la missione che le era stata assegnata in
origine dal Papato, fu storicamente, a parte il decennio della sua fascistizzazione
negli scorsi anni ’30, il principale strumento per l’assimilazione della
democrazia contemporanea da parte delle persone cattoliche italiane, gerarchia
ecclesiastica compresa. In essa, persone cristiane libere da particolari vincoli
gerarchici, quindi esterne alla gerarchia ecclesiastiche, poterono esercitare un
vero e proprio magistero democratico.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli