Di generazione in generazione
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Da:
https://www.avvenire.it/agora/pagine/gianfranco-ravasi-lectio-eternita-settimana-della-bellezza
Proponiamo alcuni passi della lectio magistralis “All’etterno dal tempo”
(«ïo, che al divino da l’umano,
a l’etterno dal tempo era venuto,
e di Fiorenza in popol giusto e sano,»
Paradiso, 31, 38) che il cardinale Gianfranco Ravasi ha tenuto in apertura della Settimana della Bellezza nel Duomo di Grosseto, sabato 21 ottobre 2023 alle ore 16.30
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Una caratteristica capitale della religione biblica e quindi del cristianesimo e dell’ebraismo è il loro legame proprio con la storia e, quindi, con la temporalità. Dio non rimane relegato nei cieli luminosi dell’infinito e dell’eterno, ma decide di incamminarsi per le strade polverose della storia umana e dello spazio terreno. Emblematica è la celebre frase che è incastonata in quel capolavoro teologico e letterario che è l’inno che funge da prologo al Vangelo di Giovanni: ho Lógos sárx eghéneto [il Verbo si fece carne, nota mia], il Verbo, la Parola divina che era «in principio», che era «presso Dio», anzi che era Dio, si intreccia intimamente con la sárx, cioè con la «carne», la fragilità, il limite temporale e spaziale dell’umanità. Non siamo, quindi, di fronte a una visione solo storicistica per cui tutto si esaurirà nel tempo.
La storia, invece, per la Bibbia è la sede delle epifanie divine: non per nulla il cosiddetto “Credo storico” di Israele è tutto ritmato non su definizioni astratte e “teo-logiche” di Dio ma sulle sue azioni sperimentabili nelle vicende del popolo ebraico: la chiamata dei Patriarchi, la liberazione nell’esodo dalla schiavitù faraonica, il dono della terra promessa (si leggano, ad esempio, il Salmo 136 o Giosuè 24). Come ha intuito Marc Chagall nei suoi famosi dipinti, si può incrociare Dio appena svoltato l’angolo della casa, all’interno del modesto villaggio ebraico; gli angeli entrano ed escono dai comignoli delle case e nell’amore di una coppia si intravedono i simbolismi celebrati dal Cantico dei cantici.
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Una volta, quando fui fanciullo, Prima comunione e Cresima si facevano a pochi giorni l’una dall’altra all’età della quarta elementare. A me toccò nel 1966, nella nostra parrocchia, quand’era parroco don Vincenzo Pezzella. Il catechismo di allora mi lasciò tra le mani un libretto di dottrina a domande e risposte e dovetti imparare queste ultime a memoria senza capirci granché. Anche nella catechetica si divenne poi gradualmente consapevoli che a quell’età non si ha capacità di pensiero astratto, ed era invece appunto quello che veniva somministrato con quel testo. La catechesi fu poi profondamente rinnovata negli anni Settanta e di questo potei giovarmi al tempo dell’Università, nel gruppo della FUCI, gli universitari cattolici, che frequentai dall’inizio del ’79. Usammo il primo nuovo Catechismo dei giovani, proposto all’epoca in via sperimentale. Lì conobbi mia moglie: per grazia di Dio, come si suol dire, ci è stato consentito di condividere la vita fino ad oggi.
Alle medie cominciai a pormi domande sulla religione. A quel tempo ero scout nel Riparto (come all’epoca si chiamava) del Gruppo della parrocchia degli Angeli Custodi, a piazza Sempione. Con gli scout andavo a messa la domenica, ma non si faceva formazione religiosa. Rimediarono mia mamma e le mie nonne. Mio padre, educato tra i Cappuccini di Modena e poi, anche lui, nella FUCI, mi dava l’esempio di una religiosità molto radicata, ma di poche parole. Quando fui negli anni del liceo, subentrò mio zio Achille, professore di sociologia a Bologna, mio padrino di Cresima. Un impegno, quello, a cui fu fedele fino all’ultimo. Fu un formatore eccezionale, ma lavorava su quello che già in famiglia avevo ricevuto.
Quello che mi creava problema era che la Rivelazione, e quindi la dottrina, fossero ormai definite per sempre. Ma come poteva essere? Non sarebbe stato anche un po’ noioso?
Capii gradualmente che la nostra religione non stava solo nelle definizioni.
Il nostro pensiero religioso si confronta costantemente con la storia, quindi con i cambiamenti che avvengono in società di generazione in generazione. La riflessione biblica, in particolare, ci consente di entrare in relazione vitale con le generazioni che ci hanno preceduto e di porre le basi per analoga relazione con quelle future. L’interrogativo di tutte ha riguardato, riguarda e riguarderà il senso della nostra vita, come singole persone e nelle società in cui si è immersə. Meditarci sopra con la mediazione degli scritti biblici non è come farlo usando qualsiasi altro testo: la differenza sta nella serietà e venerazione con cui ci si immerge nei primi.
Cominciando a praticare la religiosità biblica si capisce presto che la questione va molto oltre il rasserenamento interiore, ancor’oggi praticato ampiamente seguendo tradizioni sviluppate a partire dal lontano Oriente. E non si gioca solo sui miti, come nella gran parte degli altri culti del passato.
La riflessione storica è ampiamente coinvolta nella nostra religiosità e in questo le generazioni vengono poste in contatto vitale. È un’avventura straordinaria che arricchisce le persone che se ne lasciano coinvolgere. La teologia dogmatica, quella che utilizziamo per decidere chi è dentro e chi è fuori, la riduce spesso a diverbi su definizioni, da risolvere in base alla razionalità, ma è molto di più, e in particolare molto di più di un esercizio di logica. Per averlo sostenuto pubblicamente mio zio Achille fu duramente emarginato negli ultimi anni della sua vita. Ma ecco che Gianfranco Ravasi, uomo di eccezionale cultura e di grande spessore spirituale, ci torna sopra, nel brano che ho sopra trascritto.
Uno degli aspetti della nostra vita più difficili da assimilare è il succedersi delle generazioni, perché ciò implica confrontarsi con la propria, inevitabile, fine, ma anche con il costante cambiamento sociale. Cambiano le persone e quindi cambiano anche le società da loro espresse. Nessuna persona è mai uguale ad un’altra e questo vale anche tra genitori, figlie e figli e nipoti, di generazione in generazione. Il senso della vita va sempre riscoperto e attualizzato.
L’umanità, sotto questo aspetto, è unica nella biologia planetaria. Gli altri viventi, anche quelli più vicini a noi come i Primati, non manifestano propriamente una storia paragonabile alla nostra. Vivono e vivono anche in società, ma non intessono relazioni sociali tra generazioni. Vivono momento per momento, come raccomandano le antiche pratiche di tranquillizzazione interiore che ancora sono diffuse, con o senza miti religiosi.
Insomma, nella nostra religione non c’è da fare i conti solo con la storia cosiddetta sacra, perché ampiamente connotata dalla mitologia. L’altra storia, quella detta profana, ha un senso religioso che deve essere scoperto di generazione in generazione, e anche varia di generazione in generazione - ogni generazione vi apporta qualcosa di nuovo: la nostra è una religione in cui si pensa che ogni cosa sia fatta nuova -, si arricchisce dell’esperienza delle persone nuove che si aggiungono a quelle di prima. Prendere dimestichezza con questo aspetto, centrale nella nostra religiosità, dovrebbe essere oggetto anche della formazione religiosa, a partire da quegli anni delicati e fondamentali nei quali si passa dalla fanciullezza all’adolescenza, e poi anche dopo, in tutte le età della vita. Vi è implicata la nostra responsabilità personale. Si fatica, certo, non ci si limita ad andare a rimorchio, ma è tutto molto avvincente, come spesso la religione invece non appare.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli