Sinodalità
In questi giorni, e fino al 29 ottobre prossimo, si tiene a Roma – Città del Vaticano la Prima sessione dell’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla sinodalità, a cui partecipa anche altra gente oltre i vescovi, circa settanta persone che fanno altro nella vita. La Seconda sessione si terrà nell’ottobre del prossimo anno.
Gli specialisti avvertono che occuparsi della sinodalità è diverso dal farlo a proposito dei Sinodi celebrati nel passato, che ebbero numerose forme storiche, tutte in qualche modo riconducibili a espressione di sinodalità ma molto diverse tra loro.
Scrive Giuseppe Ruggieri in Chiesa sinodale, Laterza 2017, disponibile anche in e-book e Kindle:
In ogni caso resta molto probabile che non solo nella chiesa attuale postconciliare, ma già nel 2° secolo le singole chiese si siano dati degli strumenti sinodali per la creazione del consenso. Fare del sinodo della chiesa locale un fenomeno essenzialmente differente da quello dei sinodi ecumenici, generali e provinciali, è indebito. E indebito è teologicamente ogni discorso sulla sinodalità della chiesa che parta da un presupposto discutibile.
Ritengo che Corecco [Eugenio Corecco, vescovo e teologo svizzero – 1931-1995 – cfr Sinodalità e comunione, EDB 2023, che raccoglie vari scritti di Corecco sulla sinodalità – nota mia] al quale va attribuito il grande merito di aver collegato, da canonista [=studioso di diritto canonico, il diritto della Chiesa cattolica], la sinodalità alla comunione della Chiesa, abbia fatto un passo sbagliato ancorando la sinodalità in senso proprio solo alla comunione tra le chiese, e quindi tra i vescovi.
Vale quindi una prima conclusione: il discorso sulla sinodalità della chiesa non può essere ancorato ad uno soltanto dei «generi sinodali» registrati nella storia della chiesa, ma deve trovare qualcosa di comune in essi. Questo non significa il rifiuto della peculiarità di ogni evento sinodale, all’interno dello stesso genere: i sinodi provinciali dei primi secoli non sono equiparabili a quelli dell’età medievale e tanto meno a quelli dell’età moderna o alle conferenze episcopali attuali. Ma nemmeno i concili ecumenici sono stati tutti gli stessi. La differenza tra i concili ecumenici dell’antichità e quelli del secondo millennio, propri della chiesa cattolica, è abissale. E anche all’interno della chiesa cattolica non possono essere omologati concili come i primi quattro Lateranensi e quelli di Costanza e di Basilea-Firenze o al Tridentino, al Vaticano 1° e tanto meno al Vaticano 2°. […] E infine tra un concilio antimontanista (ammesso che sia stato di una sola chiesa locale) del 2° secolo, un sinodo diocesano della chiesa carolingia e un sinodo diocesano attuale sono più numerose le differenze che i punti comuni. Ma esistono punti comuni?
[pagg 221-224]
Ma che ci proponiamo cercando di riorganizzare la nostra vita collettiva di fede in senso sinodale?
La maggior parte delle persone mi paiono abituate a svolgere un ruolo prevalentemente passivo in chiesa, ma anche nella Chiesa. Lì comanda il clero. E’ fuori che esprimono il loro essere cristiane. Ma il clero non comanda anche là fuori? Non più. E’ questa la grande novità degli ultimi decenni, qualcosa che in Italia non si era sperimentato da oltre milleseicento anni. Ed è proprio per questo che si è tornati a parlare di sinodalità non come strumento di governo, ma come modo di essere e fare Chiesa.
C’è chi guarda sconsolato ai nostri tempi, perché non si è più gregge come si fu fino a un recente passato. Ma sotto la gran parte degli aspetti si è tanto migliori.
La storia delle nostre Chiese è lordata da una violenza indicibile. Nella formazione religiosa di solito ci si sorvola sopra o, al più, si propugnano tesi giustificazioniste. Questa violenza si è espressa anche nel corso degli eventi sinodali, nonostante il preteso aleggiare spirituale.
Nel corso di un concilio ecumenico molto importante, quello che si tenne a Costanza (in Germania) tra il 1415 e il 1418 per risolvere il problema creato dalla compresenza di ben tre Papi (tra i quali un Giovanni 23° eletto a Pisa), convocato dal Re dei Romani e re d’Ungheria ecc. Sigismondo (l’Imperatore germanico), al rettore dell’Università di Praga Jan Hus fu intimato di ritrattare certe sue idee sulla Chiesa, e, al suo rifiuto, fu condannato a morte e immediatamente assassinato sul rogo nel corso di una efferata e (per noi) scioccante liturgia sacra. Quel concilio approvò un decreto denominato Haec Sancta [Synodus] (Questo Santo Sinodo), dalle sue prime parole, con cui fu decisa la superiorità del Concilio ecumenico sul papa: un modo di interpretare la sinodalità nelle questioni di governo ecclesiastico. Questo consentì di deporre i tre Papi che erano stati eletti contemporaneamente e di eleggerne un altro, con più vasto consenso, e, in particolare, con quello dell’imperatore germanico. Questo orientamento conciliarista (nel senso che riteneva la preminenza del Concilio sul Papa) durò però solo qualche decennio.
In sostanza, ai nostri tempi cerchiamo di organizzare la sinodalità secondo quello che già di fatto si pratica, ma che è formalmente ignorato nell’organizzazione ecclesiastica. Questo è stato il senso della consultazione popolare che ha aperto i cammini sinodali. In questo lavoro, però, è necessario vagliare criticamente gli esempi storici in cui si è manifestata la sinodalità e che si prendono come riferimento. Temo che gran parte di quello che si fece nella storia non ci sarà utile, se non come modello da non seguire.
Un nodo tematico molto rilevante, sul quale riflettere, è quale sia precisamente il ruolo della gente nei processi sinodali. Gran parte dei sinodi del passato, centrati sul governo ecclesiastico, ritenevano di esercitare poteri non in base a una decisione collettiva della base o a un incarico da un’autorità ecclesiastica superiore, ma per virtù soprannaturale. Quando si dice che il Sinodo come è praticato attualmente nella Chiesa cattolica non è un Parlamento, è a questo che ci si riferisce. Infatti al Parlamento si è eletti dalla base. Si dovrebbe agire sotto l’influsso dello Spirito (è questo è un dato comune nella sinodalità come finora è stata praticata) e questo comporterebbe l’unanimità, il decidere come una sola persona, come lo Spirito è una Persona, ma anche come i Tre fanno unità. La Trinità è appunto proposta come modello per la sinodalità. Se non si raggiunge l’unanimità non sarebbe veramente percepibile l’azione dello Spirito. Però in tutte le forme di Sinodo praticate finora, tranne quelle organizzate semplicemente per diffondere gli ordini di un’autorità ecclesiastica superiore, si è votato, e diverse fasi di voto sono previste anche dal regolamento dell’Assemblea sinodale che è in corso in questi giorni. Lo si fece anche durante le sessioni del Concilio Vaticano 2°: alla fine il consenso fu molto vasto su tutti i documenti, ma vi furono dei dissenzienti che votarono contro. L’unanimità effettiva non è nelle possibilità umane, nemmeno sotto l’azione dello Spirito.
Che fare con i dissenzienti? Certo oggi non sarebbe più accettato il trattamento riservato a Hus.
Oggi, in una Chiesa certamente non sinodale, i dissenzienti sono semplicemente emarginati e silenziati. Anche nel recente passato. Lo furono anime nobili e di grande valore, Lorenzo Milani, ad esempio.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli