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La gerarchia cattolica, vale a dire il
ceto che dal punto di vista giuridico accentra il governo ecclesiale, reagì però
prontamente, celebrando un concilio dedicato proprio a questo tema, il Vaticano
2º, a Roma, dal 1962 al 1965, cercando di apportare variazioni all’apparato
mitologico che sacralizzava il governo ecclesiale secondo certi antichi canoni,
lavorando sulla teologia di riferimento. Il tentativo finora ha avuto scarso
successo, fondamentalmente limitato a certe prassi liturgiche. I suoi deliberati ebbero infatti una
rilevantissima importanza dogmatica, creando le basi teologiche della
riforma sinodale che però solo l'anno scorso, a quasi sessant’anni
dalla fine di quel Concilio, un Papa ha
ordinato, dopo averla annunciata praticamente fin dall'inizio del suo regno, ma
esplicitamente dal 2015. Tuttavia non si ottenne, in quella grande assemblea
dei vescovi del mondo, un consenso sufficiente per riorganizzare realmente il
governo ecclesiastico, sia a Roma, quello sinteticamente definito Santa
Sede, sia a livello locale, intorno alle Diocesi, ai Patriarcati nazionali
e alla Conferenze episcopali. Quindi fondamentalmente esso ancora riflette
l'impostazione datagli nel Cinquecento durante il Concilio di Trento,
sulla base di un processo ideologico iniziato nell'Undicesimo secolo e portato
alle estreme conseguenze nel 1870, con il travagliatissimo e incompiuto Concilio
Vaticano I, che diede un assetto autocratico e assolutistico al
primato papale.
Da qui, poi, una progressiva perdita di
attrazione, in Occidente, della Chiesa cattolica, che negli ultimi decenni si è
manifestata particolarmente tra i giovani, e anche tra i giovanissimi, e da
ultimo anche tra le donne, le quali erano rimaste la parte maggiore del
popolo praticante le liturgie.
Ciò che
allora si tentò di ottenere dall’alto per ordine gerarchico e per imposizione
di una nuova teologia di legittimazione del governo ecclesiale, si vorrebbe ora
ottenere dal basso, o meglio partendo da un’inculturazione nella popolazione
delle persone di fede.
In questo quadro parte del clero viene
affascinato da alcuni movimenti neo-tradizionalisti, che inscenano i costumi di
un tempo, nelle liturgie, nella formazione e nel vestiario dei preti, nella
mitologia di riferimento, ma si tratta solo di fatti effimeri e largamente minoritari,
sovrastimati da gerarchi ecclesiastici con un'età media molto alta ai quali
pare di riconoscere in quelle aggregazioni la Chiesa di una volta, la loro Chiesa.
L'abbaglio è accentuato dal costume dei neo-tradizionalisti di ammassarsi con
il ruolo di comparse nei grandi eventi organizzati dalla Santa Sede,
nell'illusione di recuperare in tal modo credito sociale che in realtà non ha
più. È l'effetto del popolo-gregge. A ben vedere, in
particolare in base ai risultati delle indagini demoscopiche sulla religiosità
si tratta di moti che coinvolgono piccole, ma rumorose, minoranze. Le quali
però non di rado, e replicando i tristi costumi di sempre delle nostre Chiese,
una vera e propria tradizione anche se deleteria, si
presentano come l'unica e vera Chiesa, cercando di attrarre
gente con quel l'argomento ingannevole e in tal modo pescando di
frodo, se appunto si pensa alla missione come
un pescare gli uomini, secondo l'immagine evangelica.
In qualche modo è simile la strategia
dei movimenti fondamentalisti, i quali, costruita una neo-mitologia religiosa
utilizzando liberamente elementi tradizionali insieme ad altri di nuova loro invenzione,
la propongono come un complesso di verità, vale a dire di
enunciati che devono essere condivisi e proclamati se si vuole essere inclusi,
non tanto in un movimento, ma nella Chiesa, altrimenti non lo si è. Qui
l'abuso è nell'esercitare un potere che, in base agli statuti vigenti, compete
solo alla gerarchia ecclesiastica. Quei movimenti cercano allora di formare un
proprio clero e di ottenergli l'elevazione all'episcopato e al cardinalato, per
portare la gerarchia dalla propria parte, e, alla fine, anche per conquistare
il papato. Nulla di nuovo, per altro. In passato però erano gli ordini
religiosi a fare così. La riforma imperiale del papato nel
Primo secolo fu progettata e cominciò ad essere attuata da un Papa che
nella sua formazione era stato fortemente influenzato, o addirittura proveniva.
dal potente ordine benedettino di osservanza cluniacense, la grande federazione
monastica che faceva riferimento all'abazia di Cluny, in Francia, rapidamente eclissatasi
dopo circa tre secoli e poi spazzata via definitivamente alla Rivoluzione francese,
secondo la legge sociale che ciò che non riesce a trasformarsi seguendo l’evoluzione
culturale del mondo di riferimento scompare.
La situazione attuale della Chiesa italiana
è ancora marcatamente caratterizzata dal vivo contrasto tra conciliari e anticonciliari, in
cui il discrimine sono il principi di libertà e dignità della persona umana del
Concilio Vaticano 2º: in questo contesto esprimono tendenze fortemente
anticonciliari i neotradizionalisti, moderatamente ma complessivamente anticonciliari i
fondamentalisti (sfruttano le libertà del nuovo
corso per affrancarsi dalla gerarchia ecclesiastica) e quelli del partito della gerarchia, che
vorrebbero ci si attenesse all'interpretazione riduttiva teologica e giuridica
data a quei principi dai papi Giovanni Paolo 2º e Benedetto 16º. La componente
più importante dei conciliari è costituita dall'Azione Cattolica, che ha fatto
dell’attuazione del Concilio il suo principale campo d’azione. Gli
anticonciliari ostacolano, criticandoli apertamente o esprimendo una specie di
resistenza passiva i processi di sinodalitá totale avviati
l'anno scorso in tutto il mondo da papa Francesco.
E’ bene
essere realisticamente consapevoli di tutto ciò, perché altrimenti non ci si riesce
a spiegare ciò che travaglia anche le nostre parrocchie. Esse hanno forza
sociale che il cosiddetto alto della struttura di potere ecclesiastico non
possiede, perché sono realtà sociali di base, le uniche veramente esistenti
come popolazione, mentre tutto il resto, compreso ciò a cui si allude quando
in senso giuridico si parla di Chiesa universale, è solo burocrazia
ecclesiastica, struttura di governo, per quanto struttura sacralizzata, vale
a dire espressa teologicamente in una mitologia che la vuole voluta dalle Potenze
superne e quindi sostanzialmente irriformabile. Prima della riforma del Concilio
Vaticano 2° quella popolazione la si pensava addirittura come appiccicata alla
Chiesa dall’esterno, non indispensabile.
Il
metodo ricorrente degli anticonciliari è di cercare di saturare le realtà di base, trasformandole secondo la
propria mitologia. Per i clericali il segno del successo è dato dalla partecipazione
della popolazione alle liturgie. Per i neotradizionalisti la partecipazione a
liturgie inscenate con i riti preconciliari e l’adozione di modi di esprimere la propria religiosità e le
relazioni nel clero e tra clero e persone laiche. Per i fondamentalisti è l’assoggettamento
della popolazione ai propri ordinamenti comunitari e l’assunzione della propria
neo-mitologia come linea guida per la fede. Avvenuta la saturazione di un ambiente religioso, le persone che non
si adeguano vengano spinte verso l’esterno.
I
conciliari cercano invece di produrre l’inculturazione dei nuovi principi
mediante la mediazione culturale. Si valgono del fatto che essi caratterizzano
già, in Occidente, le società in cui si vive immersi. Ciò che viene oggi
viene definito come sinodalità totale, vale a dire estesa a tutta la
popolazione di fede, è appunto ciò che si vuole ottenere. Un risultato che,
sotto certi aspetti, può essere espresso e vissuto come una liberazione.
E la libertà e dignità della persona umana è appunto al centro di questo movimento.
Nella nostra parrocchia mi pare che
prevalgano largamente gli anticonciliari fondamentalisti e clericali, mentre è
assente il neotradizionalismo. Ma questo tenendo conto di chi in
parrocchia ancora ci va con una certa assiduità. Come la
pensano le altre persone che si limitano a gravitarvi intorno?
Mantenendo la situazione attuale, è prevedibile un ulteriore declino
della partecipazione alle attività sociali, quelle che interessano la dottrina
sociale e che sono favorite dallo
sviluppo di atteggiamenti e organizzazioni
improntati alla sinodalità, che significa anche maggiore reale
partecipazione, anche nelle fasi decisionali, con conseguente maggiore assunzione
di responsabilità, mentre la parrocchia potrebbe continuare a
funzionare bene come semplice erogatrice di servizi religiosi, intesi
come formazione, liturgie e sostegno assistenziale. Almeno se non si deciderà
di affidare nuovamente la parrocchia a un movimento fondamentalista che, come a
lungo avvenuto, cercherà di saturare l’ambiente, il che potrebbe avvenire
incaricando un parroco che si è formato in uno di quei movimenti e ancora vi
aderisce. Nell’attuale situazione il peso del potere parrocchiale del parroco è
ancora rilevantissimo, specialmente da quando è caduto in desuetudine il nostro
Consiglio pastorale parrocchiale. In definitiva, nulla può pretendersi come
legittimato se non ha l’assenso del parroco, neppure nelle minime cose. Questa
è appunto la situazione che il movimento sinodale vorrebbe cambiare.
Se si
vuole tentare di sviluppare una qualche sinodalità parrocchiale, aderendo ai
processi sinodali in corso, anche in questa situazione oggettivamente sfavorevole,
una via è quella di cercare di mettere in secondo piano l’aspra controversia
tra conciliari e anticonciliari, e, in particolare, ogni autorità di fazione
che pretenda obbedienza gerarchica dai propri adepti. L’obbedienza è gerarchica
quando non può essere legittimamente messa in discussione se il gerarca di
riferimento impedisce la discussione, ciò che, ad esempio è avvenuto, nella deludente
fase di ascolto del povero Popolo
di Dio organizzata in Italia secondo le regole della Conferenza episcopale
nazionale e del Sinodo dei Vescovi. Si doveva parlare, dicendo la propria,
senza dialogare. Come ciò sia compatibile con l’obiettivo della
sinodalità è stato spiegato facendo ricorso alla teologia, che, come sempre
avvenuto nelle nostre Chiese fin da quando essa si è manifestata, può essere
piegata ad ogni cosa. Di fatto la mancanza di dialogo non è stata espressione
di consenso e tanto meno di comunione,
in particolare di quella che si vuole espressione del soprannaturale, ma solo
della mancanza di reale sinodalità, con il che ci si è vietati di raggiungere l’obiettivo
dichiarato.
Per
tentare la sinodalità parrocchiale, dunque, occorre costruire un organismo di
partecipazione paritaria in cui le gerarchie particolari vengano messe in
secondo piano e che, come primo atto, definisca due principi di coesistenza
pacifica (anche se non necessariamente armoniosa, questo sarà il risultato di
una sinodalità realmente attuata), vale a dire il vietarsi il controllo totale sui propri adepti, il vietarsi
il considerare la propria via alla
fede come l’unica legittima ed efficace e, soprattutto, il principio inclusivo “Non
senza di me, ma non solo da me”. Il controllo totale dei propri adepti da parte di una gerarchia di
movimento rende impossibile la partecipazione sinodale, così come il
considerare le via degli altri pretestuose, eretiche o addirittura dannose per lo
sviluppo della fede e il proporsi di fare tutto da sé, appunto saturando
l’ambiente parrocchiale.
Va
detto che probabilmente non si otterrà inizialmente neppure il consenso all’avvio
di un organismo di quella sorta, che potrebbe anche essere un ricostituito Consiglio
pastorale parrocchiale, ma che, se il parroco non ne è convinto, non può
essere riorganizzato, perché la sua attuale disciplina lo mette nelle sue mani.
Potrebbe allora pensarsi a qualcosa di diverso come una Conferenza sinodale
parrocchiale che si proponga di sperimentare la sinodalità, innanzi tutto
inculturandola, spiegandone le basi, secondo progetti limitati e obiettivi
precisi. Già il solo fatto di creare una nuova rete di relazioni ispirata alla sinodalità sarebbe un importante
passo avanti. Bisognerebbe che questo nuovo organismo fosse in qualche modo realmente
rappresentativo della popolazione
parrocchiale, sia per cultura, che per orientamento sessuale ed età, il che,
allo stato, non può essere ottenuto ancora con procedure elettorali, perché si
è ancora troppo indietro per organizzarle e si viene dalla storia che sappiamo,
ma può essere conseguito con un lavoro preliminare per coinvolgere le varie
fasce di popolazione che gravitano intorno alla parrocchia e che si dimostrino
anche disposte a un impegno continuativo (del quale, per la verità, la gente in
genere diffida, sempre per la storia a cui ho fatto riferimento).
Infine una
raccomandazione molto importante. Nella nostra situazione ai tentativi di saturazione
si può reagire allargando il processo sinodale alle parrocchie dei
dintorni, in particolare a San Frumenzio, al Redentore e agli Angeli Custodi,
cercando di avanzare insieme conoscendosi meglio. Qui potremmo incontrare difficoltà
nella radicata diffidenza reciproca, perché, anche se si è molto vicini, è come
se si vivesse in città diverse. Eppure, mai come nell’attuale situazione, è l’allargamento
della partecipazione che potrebbe
rafforzare i processi sinodali. E’ del resto una soluzione che si trova anche
nelle raccomandazioni dei vescovi per i processi sinodali in corso.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro Valli.