Andare d’accordo
Com’è che in parrocchia non si va d’accordo tra cristiani? Non condividiamo l’Eucaristia, e via dicendo?
Non ci si dovrebbe stupire, perché tra cristiani, da quando ci si è cominciati a definire così, e sempre andata in quel modo.
Ma, come sappiamo, c’erano tensioni anche prima, tra i Dodici, è uno di loro tradì, consegnando il Maestro a coloro che poi decisero che dovesse morire.
Siamo esseri umani non angeli. Le nostre società, Chiese comprese, si trovano sempre in precario equilibrio. Per mantenerle in pace occorre una costante manutenzione delle relazioni sociali. E la religione, da sola, non sembra bastare.
Quando si parla di società è meglio stare con i piedi per terra, come si dice.
Ogni società si mantiene in pace a certe condizioni, che sono la risultante di molti elementi, in particolare nel mondo estremamente complesso in cui viviamo, nel quale molti centri di potere coesistono e si influenzano.
Sarebbe bello che la formula della pace sociale potesse leggersi nelle nostre Scritture. Di fatto non è così. Lo stesso nostro Maestro, che volle presentarsi come una persona mite e insegnò la misericordia, se ne rese conto:
«Non pensate che io sia venuto a portare pace nel mondo: io non sono venuto a portare la pace, ma la discordia» [dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 10, versetto 32 -Mt 10,32]
è scritto che abbia detto. Le novità che predicava avrebbero provocato delle divisioni sociali, avvertì, ed effettivamente andò in quel modo.
Schematicamente, la pace sociale dipende dall’assetto di tre fondamentali sistemi di relazioni sociali che fanno capo all’economia, alla politica e alla cultura, e la religione appartiene a quest’ultimo ambito. Contano molto, però, nelle relazioni di prossimità, l’età e la sessualità. Il pacificatore è un tessitore che deve essere abile a lavorare su tutti quei campi, in particolare cercando di intuire il punto di equilibrio. Va aggiunto che la teologia viene dopo.
La teologia divenne scienza in Europa dal Duecento circa, con lo sviluppo delle università. Come ogni scienza ha le sue regole e i suoi caposaldi e chi non ne è esperto non è riconosciuto come pari da chi esperto è, non ha quindi credibilità. Non basta chiacchierare scimiottando il gergo teologico. Ciò che bisogna conoscere è molto esteso: si tratta di un complesso letterario e di tradizioni imponente, espresso da molti popoli e in molte lingue fin dall’antichità. Bisogna poi essere consapevoli dei risultati scientifici raggiunti nei vari campi particolari, ad esempio nelle scienze bibliche. Gran parte del lavoro è costituito però anche dalla mediazione con gli altri settori del sapere profano. Studiando la teologia si devono abbandonare ben presto le certezze degli incolti. Ma non si studia per solo il piacere di studiare e di sapere di più, bensì anche per rispondere alla domanda su quale sia la via giusta nella vita personale e sociale. Anzi, la questione andrebbe posta meglio così: si lavora per giustificare la via che già è stata individuata come giusta. È per questo che il lavoro della teologia segue lo sviluppo delle società e non avrà mai fine.
Ne consegue che pacificare la società è condizione per pacificarne la teologia. A ben vedere è andata sempre così. Quando si è voluto veramente far pace, nessuna controversia teologica è risultata insolubile, e se ne è avuto un esempio eclatante in materia di dottrina della giustificazione, che divise sanguinosamente per secoli cattolici e protestanti: fu appianata nel 1999.
Così, per cercare di andare d’accordo è inutile cercare nelle Scritture o nella Tradizione l’alchimia della pace, questo lavoro servirà solo dopo, a pace raggiunta. Servono a poco anche le liturgie. Bisogna prima studiare se nella società di riferimento vi sono le condizioni per costruire la pace, il che avviene solo quando i gruppi dominanti trovano convenienza nella pace.
In una parrocchia questo comporta innanzi tutto di concordare di rinunciare a eliminare gli altri gruppi estromettendone i membri. Se a tutti è riconosciuta la cittadinanza parrocchiale tutti troveranno convenienza in questo ordine sociale e la pace si avvicinerà. Allora si potrà dire che si è deciso di seguire il comandamento evangelico della fratellanza solidale, che comporta la coesistenza. Così si darà una copertura teologica al nuovo assetto.
Attenzione, però, che la teologia può servire anche, e storicamente è servita, a lanciare anatemi, cioè maledizioni di esclusione. Su sola base teologica non se ne esce: la tremenda storia delle nostre Chiese dimostra che la teologia si piega benissimo a coprire l’ordine di sterminio in guerra.
Perché, oggi, coesistere in parrocchia? Fondamentalmente perché più si è e se si coesiste in modo pacifico questo dà una maggiore sicurezza, una maggiore forza sociale. Si possono fare più cose, raggiungere e includere più gente.
Mario Ardigó - Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli