Programma per una neo-parrocchia
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Tirando le fila di quanto s’è scritto in precedenza,
possiamo individuare gli elementi per progettare la costruzione di una neo-parrocchia
intesa come società organizzata in grado di replicarsi, quindi feconda.
Perché neo-parrocchia? Per il motivo
che non sarà la riproduzione di
qualcosa che già esiste altrove (modello conservatore) o la ricostituzione di qualcosa che è già esistito prima e
che aveva perso vigore o si era estinto (modello reazionario). Infatti i tempi
nuovi richiedono una diversa struttura
sociale.
L’esperienza ci insegna che è tempo perso
iniziare pasticciando con la teologia. Essa, infatti, funziona solo a
posteriori, per colorare un assetto che si è già consolidato, dandogli
legittimità. Di solito, invece, è proprio da lì che si inizia e quindi poi ci
si impantana. Lasciando da parte la teologia, inoltre, si scanseranno le
trappole delle accuse di eresia che i reazionari invariabilmente lanciano per
blindare sacralizzandolo arbitrariamente ciò che c’è e che, sebbene non funzioni
più, a loro sta bene per vari motivi.
Dunque, ciò a cui miriamo è una sinodalità
totale, vale a dire che tenda a coinvolgere ogni persona di fede che
gravita intorno alla parrocchia, a cominciare da quelle che vi abitano vicino.
Il concetto del gravitare ci
eviterà di impelagarci nei problemi che derivano dal considerare la parrocchia
come possesso di chi ci va (concezione condominiale). Come
mi fu insegnato da bambino, a religione, alle elementari, proprio da un prete
della nostra parrocchia, dobbiamo distinguere la parrocchia come complesso
immobiliare dalla parrocchia come ambiente sociale. Nel primo caso si può fare
questione di possesso e di proprietà, nell’altro si tratta di come si è
insieme agli altri. Le altre persone non devono cadere nelle mani di nessun altro,
come si può immaginare possibile se le si pensa, ad esempio, realmente come un gregge e quindi le si
disumanizza. Nella sinodalità totale devono invece diventare protagoniste di una
trasformazione sociale.
Una persona gravita intorno a un luogo
o ad un ambiente sociale se in qualche modo li include nel proprio immaginario,
vale a dire in una di quelle narrazioni che danno senso all’esistenza. Quindi ecco che gravita intorno
la parrocchia sia il parrocchiano d’elezione, che quindi la considera come luogo e come
ambiente sociale in cui già è o vuole essere incluso, sia il parrocchiano
per prossimità che vive nei
pressi della parrocchia e del suo ambiente sociale, vi passa accanto anche se
non entra e non cerca il contatto
sociale, ma sa che ci sono e non esclude di prendervi familiarità,
come invece un vegetariano accanito escluderà di servirsi di una macelleria e
aborre chi ci lavora e chi ne è cliente, oppure vi è già coinvolto in qualche modo, anche solo perché se si sposa
chiede al parroco, e lo stesso se gli
nasce un figlio e allora chiede che sia battezzato (pur potendo in questo caso,
come sappiamo, anche fare da sé).
Quindi già solo il suo pensare alla parrocchia come a una possibilità
rende interessante una persona per
il nostro lavoro, quindi ancor più chi vi è più coinvolto di così. Questo modo
di ragionare ci libera dal burocratismo canonistico che considera la parrocchia come creazione
di un gerarca e quindi di includere
o escludere a seconda dei criteri che egli, sempre con un certa arbitrarietà,
determina. Naturalmente essi sono utili per certi affari, ad esempio per
delimitare certi poteri di certificazione del parroco o i suoi poteri
nell’organizzazione del clero, ed anche nelle questioni riguardanti i beni
ecclesiastici, ma deve essere sempre chiaro che la comunità preesiste ed è
definita dalla sua forza di attrazione, per cui la gente vi gravita intorno.
Poiché la nostra parrocchia ha vissuto un
forte fenomeno di parrocchiani d’elezione questo è il solo modo di
costruire relazioni inclusive pacifiche e, inoltre, è anche il solo modo per
pensare non solo a chi in parrocchia già ci va, ma anche a tutti coloro che ci piacerebbe
ci venissero, perché appunto li vediamo gravitare intorno a noi o
che, comunque, sappiamo o immaginiamo che gravitino perché pensano a noi come a una possibilità.
Nel gergo teologhese questo viene definito missionarietà ecclesiale, ma
noi non abbiamo bisogno di usare quella terminologia perché si presta ad
equivoci, per come in passato è stata praticata la missionarietà, anche, per la
verità, in modi efferati. Diciamo invece così: sinodalità significa in primo luogo amicizia,
farsi amici e vivere da amici. Ad alcuni può sembrare poco. Ma non
leggiamo forse nel Vangelo:
Il mio comandamento è questo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici se fate quel che io vi comando. Io non vi chiamo più schiavi, perché lo schiavo non sa che cosa fa il suo padrone. Vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto sapere tutto quel che ho udito dal Padre mio. Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi, e vi ho destinati a portare molto frutto, un frutto duraturo. Allora il Padre vi darà tutto quel che chiederete nel nome mio. Questo io vi comando: amatevi gli uni gli altri.
[Dal Vangelo
secondo Giovanni, dal capitolo 15, versetti da 12 a 17 – Gv 15, 12-17 - versione in italiano TILC – Traduzione
interconfessionale in lingua corrente]
Αὕτη ἐστὶν ἡ ἐντολὴ ἡ ἐμὴ ἵνα ἀγαπᾶτε ἀλλήλους καθὼς ἠγάπησα ὑμᾶς· μείζονα ταύτης ἀγάπην οὐδεὶς ἔχει, ἵνα τις τὴν ψυχὴν αὐτοῦ θῇ ὑπὲρ τῶν φίλων αὐτοῦ. ὑμεῖς φίλοι μού ἐστε ἐὰν ποιῆτε ⸀ἃ ἐγὼ ἐντέλλομαι ὑμῖν. οὐκέτι ⸂λέγω ὑμᾶς⸃ δούλους, ὅτι ὁ δοῦλος οὐκ οἶδεν τί ποιεῖ αὐτοῦ ὁ κύριος· ὑμᾶς δὲ εἴρηκα φίλους, ὅτι πάντα ἃ ἤκουσα παρὰ τοῦ πατρός μου ἐγνώρισα ὑμῖν. οὐχ ὑμεῖς με ἐξελέξασθε, ἀλλ’ ἐγὼ ἐξελεξάμην ὑμᾶς, καὶ ἔθηκα ὑμᾶς ἵνα ὑμεῖς ὑπάγητε καὶ καρπὸν φέρητε καὶ ὁ καρπὸς ὑμῶν μένῃ, ἵνα ὅ τι ἂν αἰτήσητε τὸν πατέρα ἐν τῷ ὀνόματί μου δῷ ὑμῖν. ταῦτα ἐντέλλομαι ὑμῖν ἵνα ἀγαπᾶτε ἀλλήλους.
Dal Vangelo secondo Giovanni, dal
capitolo 15, versetti da 12 a 17 – Gv 15, 12-17
- testo in greco dagli antichi manoscritti proposto in Bibbiaedu.it]
L’amicizia, dunque la pace fra noi, è
addirittura il comandamento fondamentale del vangelo riguardo alla vita sociale.
Ma è anche un’esperienza profondamente umana e alla portata di tutti, colti e
incolti, sapienti e non. E poiché alla portata di tutti, è anche doverosa per
tutti: è infatti l’obbedienza a un comandamento, secondo quanto si
ritiene in religione.
Ogni società è caratterizzata da una forza d’attrazione,
che è appunto l’amicizia. E’ anche capace di violenza, in quanto è una
forza della natura e la natura è violenta. L’amicizia trasfigura la natura.
Probabilmente l’amicizia è riscontrabile anche, in qualche forma, nei viventi
non umani con un apparato neurologico più evoluto, ma negli umani assume un aspetto
particolare, caratteristico, che è poi quello
che ci permette di immaginare di organizzare la sopravvivenza degli ormai otto
miliardi di persone in cui consiste l’umanità,
che o è pacifica o non è. E’ densa di aspetti culturali e si è fatta tanto distante
dalla natura da cui emergiamo e di cui continuiamo ad essere fatti da
assumere i connotati del soprannaturale.
Certo, poi, ci costruiamo sopra mitologie appropriate e talvolta sembrano
proprio esse l’essenziale, ma non è così. Nei momenti di transizione culturale,
nell’eclissi delle mitologie del passato e nella genesi di nuove, è necessario
capire ciò che è essenziale nell’amicizia tra gli umani.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.