Strategie di governo parrocchiale
Come
è caratterizzata la nostra parrocchia tra i vari modelli che ho ieri sintetizzato?
E’ stata istituita dalla Diocesi come parrocchia
territoriale, ma questo dice poco, è solo la misura del potere
ecclesiastico relativo all’ufficio del parroco, ad esempio di quello di certificazione.
Ad un capo di via Val Padana sorge la chiesa
parrocchiale con i locali annessi e questi immobili sono diventati il punto di
riferimento per la religiosità della popolazione vicina che segue la fede cristiana
cattolica. Ci si va a messa e per confessarsi, per richiedere liturgie per i
fatti rilevanti della vita personale e di famiglia, per prepararsi ai
sacramenti di iniziazione cristiana. Ci si va anche per cercare aiuto nelle
difficoltà della vita. Tutte queste attività fanno capo ai preti, che, a volta,
chiedono la collaborazione, in ruoli meramente ausiliari, di persone laiche. Da
questo punto di vista la nostra parrocchia si presenta come un’istituzione per
rendere servizi religiosi e caritativi. Una specie di Asl religiosa.
I
preti non sentono la necessità reale di coinvolgere le altre persone nelle scelte
che si fanno, praticamente in nessuna, perché il coordinamento può farsi più
velocemente ed efficacemente nel presbiterio, quindi tra loro. Poi sono stati formati
a diffidare delle persone laiche. Trovo sorprendente la scarsa
dimestichezza con loro che manifestano anche i giovani preti e quelli che al sacerdozio
ancora si formano. Va detto che questi tipi di attività appaiono assorbire l’intero tempo dei preti destinato al loro
ministero e probabilmente i preti sono anche piuttosto affaticati, vicini, od
oltre, a una sindrome cosiddetta di burn out, che si ha quando si avverte la sensazione
psicologica di essere come sommersi dalle cose da fare senza mai riuscire ad esaurirle.
D’altra parte, effettivamente, i preti sono pochi in relazione alle esigenze
sia della popolazione praticante con regolarità, stimabile in circa un migliaio
di persone, stando alle statistiche nazionali, ma anche di quella che in
maniera più vaga fa riferimento alla religione cattolica per le sue esigenze
religiose, probabilmente, stando a quelle statistiche, ottomila persone circa. La
popolazione del territorio della parrocchia è stimabile in circa quindicimila
persone.
Dal 1983 al all’autunno 2015 il presbiterio mi
parve composto essenzialmente da preti che si erano formati in un movimento
fondamentalista di stampo comunitario, al quale in definitiva si decise di
affidare la parrocchia, quando cessò dal ministero di parroco don Vincenzo
Pezzella, che l’aveva esercitato fin dalla fondazione, nel 1956. La mia
famiglia si trasferì nel quartiere nel 1959, proveniente da Bologna, e da
allora non si è mai mossa da lì, salvo, per me, un biennio in Abruzzo e un anno
circa in cui abitai nel quartiere di mia moglie nel rione San Saba. Posso dire,
quindi, di conoscere bene la parrocchia, come anche, almeno fino all’inizio
degli anni ’70, quella vicina degli Angeli Custodi, dove fui scout.
Dal 1983 e fino all’arrivo del nuovo parroco
la vita, e finanche l’architettura, della parrocchia fu fortemente improntata
alla religiosità di quel movimento fondamentalista, che iniziò a richiamare
gente da altri quartieri, essenzialmente per partecipare ad essa, che è molto
esigente ed esclusiva. Gli adepti vengono inglobati in piccole comunità di una trentina di persone, le quali sono dirette
con piglio piuttosto autoritario da dei
formatori e sviluppano un programma di
perfezionamento per gradi: in queste comunità si è molto solidali come se
fossero una famiglia allargata, si deve esserlo pena l’esclusione. Questo posso dire
in base a un’osservazione dall’esterno, in quanto non mi è mai interessato
approfondire, perché si tratta di una via che non mi ha mai coinvolto anche per
dissensi specificamente di politica ecclesiastica e generale, che qui non
intendo esplicitare. La mia via, che risente dell’educazione dossettiana che ho ricevuto in famiglia, è più
caratterizzata dalla libertà di coscienza e sono sempre stato insofferente ad ogni
istituzione od organismo che abbia preteso di esercitare su di me un potere
analogo a quello dei miei genitori quand’ero ragazzo.
La riforma che si è tentata di attuare nel
periodo che dicevo è stata concomitante con gravi problemi con la gente del quartiere,
che ha cominciato a frequentare e praticare di meno, rivolgendosi, per i
servizi religiosi che le servivano, in particolare per la formazione religiosa di
base, alle parrocchie vicine. Da questo punto di vista, con l’impostazione data
dal 2015 dal nuovo parroco la situazione
è tornata più o meno quella di prima.
Nella parrocchia gravitano ancora, tuttavia, le piccole comunità di quel movimento fondamentalista, le quali fanno vita propria, con proprie liturgie, proprie attività sociali e via dicendo. D’altra parte, se l’obiettivo sono programmi di perfezionamento, mescolarsi con l’altra gente fa perdere tempo e può provocare un regresso su quella via. Tuttavia la formazione religiosa di base organizzata dalla parrocchia per tutti vede ancora la partecipazione di esponenti di quel movimento, che tendono, mi pare, a riproporne i metodi e la concettuologia, che mi sembrano fortemente invisi per la mentalità di molte persone più giovani. Ma, su questo, non posso essere più preciso. Non so se questo influisca sul fatto che in genere perdiamo le persone adolescenti all’età dei primi amori, perché mi pare un fenomeno generalizzato a Roma.Tuttavia mi pare anche che in alcuni settori altrove vada meglio, e questo anche in certe esperienze di Azione Cattolica o di altre associazioni o movimenti ecclesiali, come gli scout. D’altra parte non mi è mai stato chiesto di collaborare ad alcunché in parrocchia, e di fatto il mio contributo alla parrocchia si concentra sugli interventi su questo blog, per altro senza alcun segno di riconoscimento: è come se non esistesse. Nell’intestazione lo si precisa: il blog non è uno strumento informativo della parrocchia, né dell’Azione Cattolica, i preti non vi hanno alcun ruolo decisionale e ciò che vi si scrive va ascritto solo a chi scrive, anche se si scrive come ausilio e complemento per l’attività del gruppo parrocchiale di Azione Cattolica, che finora ha resistito in condizioni piuttosto avverse, molto meno avverse negli ultimi anni, nei quali però si è risentito del venir meno del ricambio generazionale per le scelte cosiddette pastorali degli anni precedenti, in cui in parrocchia non si indirizzarono più i giovani all’Azione Cattolica.
La presenza in parrocchia di una importante
componente fondamentalista, espressa da molta gente che non vive nel quartiere,
ha reso finora difficile intendersi in un organismo fatto proprio per cercare
di intendersi come il Consiglio
pastorale parrocchiale, che quindi da anni non si riunisce più. Indubbiamente
se io e un esponente di quel movimento ci mettiamo a discutere di
religione è facile che finisca male,
perché quelli mi pare abbiano l’anatema facile, accusando chi dissente da loro
di non essere di Cristo, e io ho veramente poca pazienza, perché in
mezzo a queste diatribe ci sono in mezzo da quand’ero liceale e me ne sono stufato.
Ora, l’assetto attuale della parrocchia ha
raggiunto però un certo equilibrio.
Un segno importante è stato in occasione della
scorsa Settimana Santa, nella quale, complice anche l’epidemia da Covid 19, si
sono evitate la aspre liti degli anni passati per il dominio liturgico sulla Pasqua, che quel movimento caratterizza
fortemente con proprie consuetudini liturgiche, in particolare con una veglia
che si vuole vada dal tramonto del Sabato santo all’alba del giorno dopo, che
la gente del quartiere in genere non sopporta e che per quegli altri, invece, è
irrinunciabile, per cui chi non vi si assoggetta sembra essere considerato come
un credente più tiepido. E qui non voglio
impelagarmi in alcun giudizio di valore, perché in religione si fanno, per
ottimi motivi dichiarati, le cose più strane e se cominciamo a voler distinguere
tra l’una e l’altra, almeno fin tanto che sia salva l’integrità fisica e psicologica
della gente, finisce che la si pianta
con la religione e amen.
Ma, certamente, nella nostra parrocchia non si
vive un’esperienza sinodale, innanzi tutto perché si è molto sospettosi gli uni
degli altri, e da un lato ci si disprezza e dall’altro ci si teme, un mix
micidiale.
Il nuovo presbiterio è riuscito, finora, solo
a ottenere quell’equilibrio di cui dicevo, che comunque è un risultato apprezzabile.
Se però si volesse prendere sul serio i
processi sinodali avviati dall’autunno dello scorso anno bisognerebbe pensare a
come andare oltre a questo.
I bla bla teologici non servono a nulla. In genere
ci si disprezza e ci si teme sulla base
di ottime ragioni teologiche. D’altra parte è sempre andata così nelle nostre
Chiese. E ancora oggi è così nella burocrazia ecclesiastica. Ordini religiosi e
movimenti hanno prodotto un proprio clero, con propri vescovi e cardinali, e cercano
di conquistare il Papato, da dove, almeno sulla carta, si può tutto, ma
comunque, anche se non tutto, nessun Papa è mai stato in grado di esercitare
tutto il potere che il diritto canonico gli attribuisce, si può molto,
ad esempio, quanto a papa Francesco, ordinare processi sinodali alle Chiese in Italia che in quel campo appaiono
molto riottose. La lotta per il potere ecclesiastico si fa sempre per salvare
la Chiesa, quindi per ottime ragioni,
ma in genere si fa cercando di tacitare ed escludere quelli che non ci stanno.
Per nostra buona sorte, le democrazie europee impediscono di ammazzare per
motivi religiosi e, al massimo, si emargina o si esclude, e questo talvolta,
soprattutto per chi della religione ha fatto una professione, equivale a una morte
civile. E per gli altri è comunque doloroso, non ce se ne riesce a infischiare
e basta.
Sulla base dell’esperienza pratica romana di questi
ultimi anni, mi pare che la parrocchia territoriale si dimostri più fragile di fronte al tentativo
di saturazione di movimenti fondamentalisti, perché vive isolata. Ogni
parrocchia è un mondo a sé e tra parrocchiani di parrocchie vicine ci si ignora,
salvo quando ci si trasferisce per diventare parrocchiani d’elezione in altre parrocchie. Dunque, un modo di
recuperare sinodalità lì dove il fenomeno dei parrocchiani d’elezione crei
problemi con la gente del quartiere, facendola sentire come straniera in casa
propria, potrebbe essere quello di costituire di fatto, con apposite procedure
sinodali partecipate e coordinate dai rispettivi Consigli pastorali
parrocchiali, ciò che in molte parti
d’Italia si sta cominciando a creare di diritto, vale a dire comunità più vaste
che comprendano più parrocchie vicine, e questo superando se occorra i confini
territoriali pensati essenzialmente per misurare i poteri ecclesiastici, ad
esempio il confine che ci divide dalla parrocchia degli Angeli Custodi. Una cosa
è infatti creare una convivenza religiosa pacificata in un migliaio di
praticanti, trecento dei quali seguono compatti una certa via, altra è organizzarla
in un gruppo sinodalizzato di tremila, in cui, di necessità, per gestire la varietà
di esperienza associative presenti, si debbono concordare certe regole per impedire
colpi di mano.
Bisogna ricordare che è regola delle società
umane che ogni potere che non trovi convenienza nella pace e non trovi una
sufficiente resistenza in altri poteri per il caso di colpi di mano sicuramente
li tenterà, esponendo a posteriori
ottime ragioni, anche teologiche, per averlo fatto. Quindi la base di ogni
sinodalità, su piccola e grande scala, è quella di rendere conveniente la
convivenza pacifica e creare un sistema di regole condivise che scoraggi i
colpi di mano: questo significa costituire una nuova cultura, anche giuridica. Su questa via lascerei da parte la teologia,
che si è sempre dimostrata
controproducente per fare pace, mentre, a pace fatta, senz’altro può essere
valida per colorarla religiosamente. Mi concentrerei invece sulle cose concrete
da fare, per le quali l’essere in molti di più è conveniente, perché consente
di arrivare lì dove quando si è di meno, ad esempio solo i preti, non si
arriva. La regola fondamentale, che è alla base di tutto, è di giurarsi reciprocamente
di vietarsi l’anatema, che, del resto, compete solo ai gerarchi religiosi, ed
anche da loro sarebbe meglio che fosse usato con molta cautela, considerata la
tremenda storia delle nostre Chiesa. L’altra regola fondamentale della
sinodalità è questa: “Non solo da me,
ma non senza di me”. Su queste basi
si può andare molto, molto lontano.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli