Parrocchia, miti del sacro e potere ecclesiastico
Il sacro viene definito come l’attribuzione a un mito,
a un rito, a una oggetto d’arte, a un luogo, a un edificio, a una persona, ad un’istituzione della qualità
di inglobare e di manifestare una potenza soprannaturale. L’idea di natura è molto variata nelle civiltà umane: fondamentalmente
si definisce natura tutto ciò che
in una cultura umana viene compreso e spiegato con il ricorso al principio di
causalità materiale che coinvolge oggetti sensibili e osservabili, e nella
misura in cui in cui in quella cultura si ritiene di comprenderlo e spiegarlo
in quel modo.
E’ intuitivo che l’area della natura si è immensamente allargata nell’attuale
cultura occidentale. Ma la produzione del sacro è continua anche in essa, come
in tutte le altre civiltà umane, di ogni tempo. Infatti la funzione
del sacro è del tutto indipendente da quella del conoscere la natura e riguarda invece quella del dare
senso all’esistenza umana, per cui accade che anche a ciò che viene
compreso come natura vengano attribuite connotazioni sacre. Tipicamente questo
accade nella nostra religione con i fenomeni fisiologici della riproduzione
umana, che da qualche decennio sono compresi fin nei minimi particolari dalle
scienze relative ma ai quali continua ad essere legato il sacro, per cui si
dice che la vita è sacra fin dalla produzione dello zigote, che dal punto
di vista biologico è una cellula osservabile solo al microscopio.
Ciò che è sacro diviene anche inviolabile.
C’è l’idea che la potenza soprannaturale in esso inglobata si vendicherà se
minacciata, oltraggiata, colpita nell’entità concreta che la manifesta. Essa si
ritrova in tutte le manifestazioni religiose finora note. L’inviolabilità rende evidente
del perché il sacro è stato sempre anche uno strumento di potere in tutte le
società umane note, anche di quelle dette etnografiche o preistoriche perché non sono riuscite
a tramandarci una narrazione esplicita di loro stesse, ad esempio attraverso la
tradizione di un loro mito fondativo, e le conosciamo solo mediante altre
tracce, ad esempio archeologiche. Ogni potere sogna infatti l’inviolabilità e
quindi strumentalizza il sacro al fine di ottenerla. Fino all’avvento delle
democrazie contemporanee, tutti i poteri pubblici in Europa erano sacralizzati.
Nei momenti di transizione tra le civiltà
umane, quelli in cui esse evolvono più rapidamente, si vive anche una crisi
del sacro perché si viene modificando il senso attribuito all’esistenza
umana. Nell’attuale Occidente, e in particolare in Europa molto più che in ogni
altra parte del mondo, stiamo vivendo uno di questi periodi, detti anche passaggi
di fase storica. Ogni forma di potere pubblico e privato ne è coinvolta,
perché ogni forma di potere aveva (e continuerà ad avere in altre forme) una
sua sacralizzazione. In particolare ciò riguarda il potere ecclesiastico,
che nella nostra confessione religiosa è molto articolato e antico, avendo
quindi, in particolare nei riti, un sostrato di sacralità molto intenso.
Tutti coloro che lamentano una scarsa
attenzione al soprannaturale nelle attuali consuetudini ecclesiali in realtà
lamentano la perdita del sacro del passato. Ecco quindi che certi movimenti
religiosi cercano di recuperarlo ad esempio nell’abbigliamento del clero e dei
religiosi e recuperando forme liturgiche più antiche.
Al centro dell’evoluzione sociale al quale la
crisi del sacro è collegata c’è il passaggio da una civiltà in cui l’ordine
sociale si otteneva sottoponendosi al potere assoluto di oligarchie sacralizzate ad altra in cui le oligarchie
che esercitano poteri sociali (e dati i nostri limiti biologici insuperabili di
specie non c’è altro modo per esercitarlo se
non mediante oligarchie, vale a dire piccoli gruppi) non sono più
sacralizzate e quindi possono essere criticate, per cui il loro potere non
è più assoluto e c’è la concreta possibilità
per tutti di influire in qualche modo, con procedure definite, nell’esercizio
del loro potere. Questa è la sostanza della democrazia, alla quale la desacralizzazione,
altrimenti detta anche secolarizzazione, è essenziale. Non può esistere
una democrazia in una struttura di
potere che mantenga una qualche sacralizzazione. Questo processo ha investito anche l’ordinamento ecclesiastico della
nostra confessione religiosa, strutturato intorno a quella che viene definita
significativamente Sacra
Gerarchia. I processi sinodali avviati l’autunno dello scorso anno riguardano proprio questo tipo di
organizzazione.
La ritrosia
evidente a praticare la sinodalità totale che viene proposta da papa Francesco, vale a dire una
sinodalità che riguardi tutte le persone di fede e ad ogni livello non solo la burocrazia
ecclesiale, ragione per cui i processi sinodali attualmente in corso sono
iniziati con una fase di ascolto del Popolo di Dio, dipende dal fatto che si
sta incidendo su prassi organizzative caratterizzate dal sacro, nel senso che ho sopra
definito, con tutto ciò che ne consegue. Fondamentalmente si è riluttanti per
timore della vendetta soprannaturale o che il soprannaturale ci abbandoni, come
si narra sia accaduto alla Presenza quando venne
violata la sacralità del Tempio di Gerusalemme, nel Primo secolo, e allora essa
se ne sarebbe volata nel più alto dei Cieli, là dove l’umanità di ogni tempo ha
sempre collocato gli Esseri supremi.
Lo sforzo
della teologia favorevole alla sinodalità è quello, allora, di desacralizzare
ciò che si vuole rendere sinodale, mantenendo
tuttavia una assetto sacrale dei poteri religiosi, sforzo che mi pare destinato
all’insuccesso, almeno stando ai risultati finora raggiunti. Credo che il
mutamento di mentalità debba essere molto più profondo, ma, non essendo un
teologo, non mi sento di dire di più.
Va detto
che la categoria del sacro è stata
storicamente un elemento culturale che i cristianesimi hanno recepito dai culti
precedenti e che non rientrava nelle concezioni delle loro origini, che
appaiono invece piuttosto desacralizzanti. A cavallo tra gli anni Settanta e
Ottanta questo fu un tema a cui ci si appassionava molto: gli eventi religiosi
che si vivevano allora venivano anche interpretati come un passaggio dal sacro al
mistico. Nell’aprile
1980, mio zio Achille sociologo accompagnò
mio cugino Sergio in un viaggio in Provenza – la destinazione finale era Avignone
e si rifletteva, appunto, sulla sacralizzazione del potere ecclesiastico – e ci
assegnò come libro di testo il libro “Il sacro oggi. Una svolta antropologica”, a
cura di Pino Mercuri, Edizioni dell’Apocalisse, Milano, 1980. Conteneva un
saggio di Sabino Acquaviva (“Mutazione antropologica”), e interviste allo zio (“Il
feticcio del sacro”), a Franco Ferrarotti (“Dopo il cristianesimo”) e Ida Magli
(“La cultura come sovranatura”). L’anno seguente Gianni Baget Bozzo pubblicò “Dal
sacro al mistico. Parlare del cristianesimo come se fosse la prima volta”.
In particolare l’Incarnazione è stata anche
interpretata come una desacralizzazione, come uno spogliarsi del sacro.
La svolta
cultura che stiamo vivendo è molto profonda e, in quanto tale, può rivelarsi
anche dolorosa per molti. Il sacro ha a che fare, infatti, con il senso della
vita e può
essere particolarmente disorientante cambiare quando ormai si interpretava la
propria vita secondo una certa concezione sacra.
Può aiutare
pensare che non sono in questione i fondamenti, ma una sacralizzazione che nei
secoli passati ha coperto forme di potere ecclesiastico che hanno avuto genesi
storica piuttosto distante dalle origini e che riflettono concezioni dell’esercizio
dei poteri in società che ora sono divenute non solo obsolete, ma anche pericolose.
Le oligarchie, anche se sacralizzate, hanno una visione limitata degli eventi e
appunto questo le rende pericolose, se si sottraggono alla critica sociale, in un’era come la nostra in cui la sopravvivenza
di ormai oltre otto miliardi di persone dipende dal capire a fondo ciò che
accade. E poi, attuando la sinodalità parrocchiale, non è in questione neppure
tutto ciò, perché si tratta di organizzare la vita di prossimità di una
collettività in cui ancora sono possibili relazioni faccia a faccia, per cui,
ad esempio, se nel decidere insieme gli orari delle messe domenicali si cerca
di considerare razionalmente le esigenze della gente, cercando di rendere le
liturgie accessibili ai più, senza tirare in ballo il sacro, senza imputarsi ad
esempio nel ritenere che la messa delle nove è voluta dal Cielo a quell’ora lì,
per cui se si volesse spostarla alle nove e trenta letteralmente cadrebbe il
mondo, non
si commette alcuna violazione di ciò che in religione deve rimanere immutato,
ma si muta un costume umiliante per la gente, per il quale decideva tutto, anche
nelle minime cose, una sola persona, il
gerarca, che è, come dice l’etimologia della parola, chi esercita un potere sacro.
E’ fuori luogo tirare fuori il sacro a questo livello. Che invece è proprio ciò
che si è fatto da parte dei nostri vescovi nell’organizzare la fase di ascolto del Popolo di Dio, che quindi, in realtà, non c’è stata, proprio per
il timore del sacro.
Mario Ardigò
- Azione Cattolica in San Clemente papa
- Roma, Monte Sacro, Valli