Linee di riforma sinodale della vita parrocchiale
1
Storicamente le parrocchie iniziano a manifestarsi tra il 4º e il 5º secolo come articolazione della burocrazia ecclesiastica creata nel clero attorno all’ufficio del vescovo per il governo della popolazione che abitava in un certo territorio. Tra il Cinquecento e il Seicento, al tempo in cui il Papato riorganizzò il proprio potere pubblico, ad ogni livello, come quello di uno stato, se ne ebbe la compiuta strutturazione istituzionale che conserva tutt’oggi.
Chi volesse approfondire può leggere:
https://www.treccani.it/enciclopedia/parrocchia-e-parroco_%28Enciclopedia-Italiana%29/
La parrocchia, dunque, non nasce come organismo comunitario, ma come espressione di un potere ecclesiastico su un certo territorio e quindi sulla popolazione su di esso stanziata che viene esercitato in nome del vescovo. Nel diritto canonico, così chiamato quello espresso dalla nostra Chiesa, inizia ad essere definita come una comunità dal Codice di diritto canonico entrato in vigore nel 1983:
Can. 515 - §1. La parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell'àmbito di una Chiesa particolare, la cui cura pastorale è affidata, sotto l'autorità del Vescovo diocesano, ad un parroco quale suo proprio pastore.
Tuttavia le venne mantenuto, almeno nella disciplina giuridica, il carattere di organismo istituito, nel quale ci si ritrova inglobati per il fatto di abitare in un certo territorio.
Dagli scorsi anni ’70 nelle città italiane medie e grandi si è però manifestato il fenomeno della parrocchia d’elezione, per cui le persone hanno iniziato anche a scegliersi la parrocchia, in genere per partecipare a qualche particolare gruppo di movimento o di spiritualità non diffuso ovunque o per seguire la predicazione di qualche prete particolarmente carismatico. Questo costume è stato favorito a Roma dall’uso di affidare delle parrocchie a certi ordini religiosi o al clero formatosi in certi movimenti. Questo fenomeno è stato particolarmente sensibile nella nostra parrocchia che dal 1983 al 2015 è stata di fatto affidata al clero di un movimento fondamentalista, che ha cominciato ad attrarre parrocchiani d’elezione da altre altre parti della città e ha tentato di ristrutturare l’organizzazione della parrocchia secondo una sinodalità ispirata ai principi di quel movimento. A chi obiettava che, così facendo, si sarebbero create resistenze e incomprensioni con l’altra gente del quartiere veniva risposto che “La parrocchia è di chi ci va”, è appunto la gente del quartiere iniziò a non andarci più, trasferendosi nelle parrocchie vicine, quindi manifestando un’adesione parrocchiale alternativa per elezione. La situazione è iniziata a cambiare dall’autunno del 2015, con l’arrivo del nuovo parroco, ma la tensione persiste, con una certa insofferenza della gente del quartiere per gli usi di quel movimento. Fondamentalmente a causa di ciò da anni non si riesce più a far funzionare il Consiglio pastorale parrocchiale per cui la parrocchia ha un po’ l’aspetto di una comunità commissariata.
Si può stimare che la frequenza regolare alla parrocchia coinvolga un migliaio di persone, delle circa ottomila (stando alle statistiche nazionali sulla religiosità) che ancora articolano la fede religiosa secondo l’immaginario cattolico. La partecipazione a qualche attività diversa dalla mera liturgia è però più bassa, la stimo in un quattrocento \ cinquecento persone, delle quali duecento\trecento parrocchiani d’elezione di quel movimento, la gran parte dei quali non risiede nel quartiere e non frequenta altre attività che quelle del movimento di riferimento, salvo che nelle liturgie della Settimana Santa e in occasione della festa della parrocchia, il giorno della memoria liturgica di san Clemente romano. Essi, per ciò che ci hanno ripetutamente detto, negli incontri sinodali che abbiamo tenuto nella primavera del 2016 e di quest’anno, non hanno tempo che per la partecipazione alla piccola comunità di una trentina circa di persone in cui si è inseriti aderendo a quel movimento. Si partecipa quindi a comunità esclusive e molto esigenti in questa esclusività. La partecipazione agli altri gruppi vivi nella parrocchia non ha quella caratteristica e per questa viene considerata di livello inferiore, mentre l’adesione a quel movimento una sorta di rinascita o illuminazione descritta come un incontrare Gesù come non era mai accaduto prima. Questo, naturalmente, crea qualche incomprensione.
Dall’evidente fallimento della sinodalità totalitaria ed esclusiva proposta da quel movimento possiamo trarre insegnamento ora che sulla sinodalità siamo particolarmente impegnati come Chiesa nazionale e in dialogo con tutte le Chiese del mondo, nei processi sinodali ordinati nello scorso autunno da papà Francesco. Dobbiamo sforzarci di lasciarci un po’ di tempo per conoscere le altre persone e ciò stabilmente, non occasionalmente, vale a dire creando procedure e stili di convivenza sinodali.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli