La pace come conquista culturale recente per i cristiani
La Preghiera semplice è
una lirica francescana molto bella nella quale si indicano le vie per costruire
la pace a partire da sé stessi.
Signore, fa' di me uno strumento della tua pace:
Dove c'è odio io porti l'amore.
Dove c'è offesa io porti il perdono.
Dove c'è discordia io porti l'unione.
Dove c'è errore io porti la verità.
Dove c'è dubbio io porti la fede.
Dove c'è disperazione io porti la speranza.
Dove ci sono le tenebre io porti la tua luce.
Dove c'è tristezza io porti la gioia.
O Divino Maestro, che io non cerchi tanto
di essere consolato quanto di consolare,
Di essere compreso quanto di comprendere,
Di essere amato quanto di amare.
Infatti: dando si riceve.
Dimenticandosi si trova comprensione.
Perdonando si è perdonati.
Morendo si risuscita alla vita eterna.
Tuttavia non fu scritta da Francesco d’Assisi.
Era cosa risaputa, nulla di nuovo.
All’inizio
dello scorso ottobre su Famiglia Cristiana è
stato pubblicato un articolo di Arnaldo Casali in cui se ne sintetizza la storia
Leggiamo:
Vale la pena di ricordare che persino la
preghiera più citata del Poverello di Assisi in realtà non è sua, ma è stata
scritta addirittura nel Novecento e in francese e poi tradotta in italiano
antico per spacciarla come scritto medievale: “O Signore, fa di me uno
strumento della tua pace: dove è odio, ch’io porti amore, dove è offesa ch’io
porti il perdono, dov’è discordia ch’io porti l’Unione…”.
In questi casi, però, più che di bufale
dovremmo parlare di apocrifi, perché se è vero che il segreto del successo
delle fake news è quello di non essere mai vere ma sempre verosimili, questi
aforismi, pur non essendo stati detti o scritti da Francesco d’Assisi,
sicuramente ne riflettono il pensiero. E possono riservare più di una sorpresa
ai politici che se ne appropriano.
Il caso della Preghiera semplice è
particolarmente significativo e anche attuale, perché si tratta di una
preghiera pacifista divulgata durante la Prima guerra mondiale, quando –
proprio come in questi mesi – solo la Chiesa Cattolica si opponeva apertamente
al conflitto.
Anche essa ha avuto divulgatori illustri:
basti pensare che è stata cantata al funerale di Lady Diana, incisa da Claudio
Baglioni e citata – tra gli altri – da Madre Teresa di Calcutta, Bill Clinton,
Giovanni Paolo II e persino durante la conferenza di San Francisco con cui
venne costituito l’Onu.
Tutto inizia nel 1912, quando il testo viene
pubblicato per la prima volta in Francia, nella rivista ecclesiastica La
Clochette, con il titolo Bella preghiera da fare durante la messa. Il 20
gennaio 1916 è pubblicata in italiano su L’Osservatore Romano insieme ad altre
preghiere per la pace. Ed è proprio sul fronte della Grande Guerra che
cominciano a circolare dei volantini con il testo affiancato all’immagine del
santo di Assisi. Nelle prime immaginette viene scritto che questa preghiera
“riassume meravigliosamente la fisionomia esteriore del vero seguace di san
Francesco” mentre dopo il 1920 si diffonde anche in ambito protestante, dove
viene attribuita allo stesso santo.
Se Francesco non c’entra nulla, va detto però
che le parole sembrano riecheggiare una fonte francescana come i Detti del
beato Egidio: “Beato colui che ama e non desidera essere amato, beato colui che
teme e non vuole essere temuto, beato chi si cura degli altri e non vuole cure
per sé”.
È stata adottata, nel senso di praticata
perché amata e interiorizzata, durante la Prima Guerra Mondiale (1914-1918), la
prima guerra totale della storia dell’umanità. Viene definita totale la
guerra in cui tutta la popolazione viene coinvolta, innanzi tutto con il
servizio militare obbligatorio di massa e poi come obiettivo bellico e in varie
attività di supporto ai combattenti. In precedenza potevano esserci perdite tra
i civili, ad esempio nel caso di bombardamenti contro centri abitati, ma le guerre
erano essenzialmente cose di soldati.
La guerra
con l’impiego delle armi nucleari è un tipo di guerra totale che può condurre alla
distruzione dell’intera umanità. La possibilità di un conflitto di questa
portata ha mutato gli orientamenti politici sulla guerra: fino alla recente guerra
in Ucraina si conveniva infatti che una guerra di quelle dimensioni non potesse
essere combattuta, essenzialmente perché non poteva essere vinta. Ora invece si pensa
di poterla combattere impiegando bombe nucleari di teatro, di minore forza
distruttiva o, come la bomba al neutrone, in grado di ammazzare contenendo le
distruzioni materiali. E infatti le potenze nucleari da decenni hanno iniziato
a costruire armi nucleari di quel tipo. Ma nessuna ha ancora osato iniziare ad
utilizzarle. Essenzialmente perché non si è certi che, qualora lo si faccia, il
nemico non deciderebbe di utilizzare armi nucleari della massima potenza.
Da
quando le armi nucleari sono entrate negli arsenali delle superpotenze, nel
1945 per gli Stati Uniti d’America, nel 1949 per l’Unione Sovietica, nel 1964 per
la Repubblica popolare cinese, ma anche di molti altri stati del mondo, sebbene
in numero molto minore, ci si è posti il problema, ma veramente affrontato
prima, di come prevenire le guerre.
Stati
Uniti d’America e Unione Sovietica si erano dotati di migliaia di bombe
atomiche, sia a fissione, sia a fusione, le bombe all’idrogeno, enormemente più
potenti delle prime, ed erano così in grado di annientare l’umanità sulla
Terra. Tra loro si determinò una situazione
di stallo, perché nessuna di quelle superpotenze osava iniziare una guerra totale
temendo di essere annientata dalla
ritorsione. Era il cosiddetto equilibrio del terrore, che qualcuno ha
anche ritenuto provvidenziale. Gli stati europei che si sono dotati dall’arma
nucleare, la Francia e la Gran Bretagna, l’hanno fatto essenzialmente per essere più considerati dalle superpotenze. Gli altri stati del mondo se ne sono dotati
al solo fine, finora, di rendere intangibili i propri confini. E’ il caso, ad
esempio, della Corea del Nord. Ma anche
dello Stato di Israele, che viene accreditato come potenza nucleare anche se
non ammette di avere l’arma atomica. Ed effettivamente nessuna potenza nucleare
era mai stata invasa, a parte scaramucce di confine tra Pakistan e India e Cina e India. Almeno fino ai giorni scorsi: la Federazione Russa, erede dell’apparato
bellico nucleare dell’Unione sovietica, è stata attaccata sul proprio
territorio da reparti ucraini.
Il Magistero,
dinanzi al problema di come prevenire le guerre, ha finora raccomandato due
vie: intensificare la cooperazione internazionale e costituire un’autorità sovranazionale in grado
di impedire i conflitti armati. Un’organizzazione di quest’ultimo tipo c’è già,
dal 1945, ma si è rivelata inefficace quando sono in ballo gli interessi degli
stati che nel Consiglio di sicurezza, l’organismo che può decidere iniziative
per contrastare i conflitti armati, hanno diritto di veto e che sono, non a
caso, tutti potenze nucleari: Cina,
Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti d’America. Sono gli stati che vinsero
la Seconda Guerra Mondiale, ma ora la loro privilegiata posizione in quell’organismo
è stata mantenuta sia per la loro potenza economica, sia per il fatto che sono,
appunto, potenze nucleari.
L’attuale
problema di prevenire guerre totali catastrofiche con l’impiego delle armi nucleari, tali da
poter portare all’annientamento dell’umanità, non si era mai presentato all’umanità prima del
1945. E quello di prevenire guerre totali prima del 1914. Quello di prevenire le guerre tra stati fu
affrontato dal Settecento, con lo sviluppo in Europa del movimento dell’Illuminismo. Da allora la guerra è stata considerata anche come un modo irragionevole è irrazionale di regolare le controversie tra gli stati.
Qualche
giorno fa, papa Francesco, nel ricevere il Presidente della Repubblica Francese
Macron, gli ha regalato una copia di un’opera dell’illuminista tedesco Immanuel
Kant, Per la pace perpetua, pubblicato nel 1795.
Potete
leggerne il testo sul Web qui:
https://btfp.sp.unipi.it/dida/kant_7/ar01s10.xhtml
Vi troverete
molte idee che ancora oggi sono correnti sul quel tema.
Come cristiani abbiamo un problema di più:
nella Bibbia c’è qualcosa del genere? Il Maestro ne ha parlato?
La
risposta è negativa ad entrambe le domande.
Questo perché si tratta di una questione che solo di recente è emersa come
problema di sopravvivenza dell’intera umanità.
Nell’antichità, ma fino ad epoca molto recente, le guerre erano messe
nel conto delle cose, come le tempeste atmosferiche, quelle sul mare e i
terremoti. Addirittura erano considerate il campo per dimostrare le virtù virili: così fu nei fascismi europei storici, il primo dei quali fu quello mussoliniano, preso a modello da tutti gli altri. Anche nell’antica Grecia e nella mentalità degli antichi romani era così.
Anche per Francesco d’Assisi, in tutto un uomo del Medioevo, la guerra fu una specie di accidente naturale, che conseguiva, certo, alla cattiveria umana, ma contro il quale c’era poco da fare. Ad esempio, durante
una Crociata passò la linea del fronte e riuscì a parlare con il sovrano
islamico d’Egitto. Ma non mise in questione quella guerra come tale, in particolare
la sua liceità dal punto di vista evangelico (la Crociata era stata indetta dal
papa Onorio 3°). La stessa cosa può
dirsi anche del Maestro. Egli certamente condannò la violenza, ma non prese
posizione sulla guerra, anche perché durante il suo ministero pubblico non ne
incontrò nella Palestina del suo tempo. Ma ve n’erano narrazioni nelle Scritture sacre che,
anche per lui, erano normative. Non condannò le guerre stragiste degli antichi
Israeliti. Nei Vangeli secondo Matteo e secondo Luca ci viene presentato come
discendente del re Davide, per accreditarne l’autorità. Davide nella Bibbia ci
viene presentato come un feroce condottiero. Nelle tradizioni bibliche non gli si addebita come colpa l’aver ordinato delle guerre.
Detto questo, la teologia cristiana oggi corrente considera perseguire la pace come una virtù cristiana, basandosi sull’idea evangelica di paternità divina universale e quindi di fratellanza universale. Non è sempre stato così. Altrimenti i papi, responsabili del supremo Magistero per il cattolici, non si sarebbero resi corresponsabili di tante sanguinosissime guerre. L’ultimo ad esserlo fu il papa Pio 9°, che addirittura è stato proclamato beato, strenuo oppositore dell’unità nazionale italiana, il quale non esotò a invocare l’intervento dei suoi alleati europei per massacrare i nazionalisti mazziniani che avevano fondato a Roma una repubblica, intimandogli di occuparsi solo di religione e di rinunciare ad essere il sovrano della città. Questo non toglie che forme di pacifismo abbiano percorso il pensiero sociale cristiano. Ma la dottrina etica della cosiddetta guerra giusta dimostra quanto si era distanti dalla situazione in cui noi oggi ci troviamo. Essa, per altro, è ancora insegnata dal Magistero, anche se, in concreto, si tende a ritenere che nessuna guerra possa realmente essere giusta, per le immani distruzioni che potrebbero conseguirne.
Una
estesa e interessante riflessione sulla guerra
e sulle sue cause, con riferimenti puntuali alla storia europea recente (cosa non comune nel Magistero pontificio) si trova nell’enciclica Il Centenario – Centesimus Annus diffusa
nel 1991 sotto l’autorità del papa Giovanni Paolo 2°
2. I pontefici Benedetto
XV ed i suoi successori hanno lucidamente compreso questo pericolo, ed io
stesso, in occasione della recente drammatica guerra nel Golfo Persico, ho
ripetuto il grido: «Mai più la guerra!». No, mai più la guerra, che distrugge
la vita degli innocenti, che insegna ad uccidere e sconvolge egualmente la vita
degli uccisori, che lascia dietro di sé uno strascico di rancori e di odi,
rendendo più difficile la giusta soluzione degli stessi problemi che l'hanno
provocata! Come all'interno dei singoli Stati è giunto finalmente il tempo in
cui il sistema della vendetta privata e della rappresaglia è stato sostituito
dall'impero della legge, così è ora urgente che un simile progresso abbia luogo
nella Comunità internazionale. Non bisogna, peraltro, dimenticare che alle
radici della guerra ci sono in genere reali e gravi ragioni: ingiustizie
subite, frustrazioni di legittime aspirazioni, miseria e sfruttamento di
moltitudini umane disperate, le quali non vedono la reale possibilità di
migliorare le loro condizioni con le vie della pace.
Per questo, l'altro nome della pace è lo
sviluppo. Come esiste la responsabilità collettiva di evitare la guerra,
così esiste la responsabilità collettiva di promuovere lo sviluppo. Come a
livello interno è possibile e doveroso costruire un'economia sociale che
orienti il funzionamento del mercato verso il bene comune, allo stesso modo è
necessario che ci siano interventi adeguati anche a livello internazionale. Perciò,
bisogna fare un grande sforzo di reciproca comprensione, di conoscenza
e di sensibilizzazione delle coscienze. È questa l'auspicata cultura
che fa crescere la fiducia nelle potenzialità umane del povero e, quindi, nella
sua capacità di migliorare la propria condizione mediante il lavoro, o di dare
un positivo contributo al benessere economico. Per far questo, però, il povero
— individuo o Nazione — ha bisogno che gli siano offerte condizioni
realisticamente accessibili. Creare tali occasioni è il compito di una concertazione
mondiale per lo sviluppo, che implica anche il sacrificio delle
posizioni di rendita e di potere, di cui le economie più sviluppate si
avvantaggiano.
In fin dei conti, il pacifismo cristiano, parte molto importante dell’attuale dottrina sociale, non può ritenersi fondato direttamente sulla tradizione normativa a cui facciamo riferimento nelle cose di fede, in particolare su quella che ragiona sulla Bibbia. Ad esempio, certi “Padri” della Chiesa furono veramente poco pacifici. Questo non toglie che il problema della guerra sia questione di vita o di morte per noi, oggi. Solo che non lo era nei tempi antichi, quando si consolidarono le Scritture sacre a cui facciamo riferimento, e nemmeno in tempi molto più vicini a noi. Il pacifismo è una conquista culturale della fede dei nostri tempi. Stiamo costruendo una nuova tradizione,
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa - Roma, Monte Sacro, Valli