La parrocchia in prospettiva
Questo blog, avviato nel gennaio 2012, documenta oltre dieci anni della storia della nostra parrocchia, ma dà notizia anche di ciò che c’era stato prima, fin dalla sua fondazione.
La parrocchia, risalente agli anni Cinquanta, ha più o meno la mia età.
Ne divenni parte consapevole ai tempi del catechismo per Prima Comunione e Cresima, sacramenti che all’epoca si ricevevano entrambi verso la fine delle scuole elementari.
La prima volta che sentii parlare della “Chiesa” come comunità distinta dalla “chiesa” come edificio fu nel corso di una lezione di religione tenuta alla scuola elementare Parini di piazza Capri, che all’epoca frequentavo, da un prete della parrocchia. Il maestro, che sulla religione aveva idee sue, una volta che il prete se n’era andato, ci disse di non tener conto di ciò che ci aveva detto, perché ci avrebbe insegnato lui, il maestro in tutti i sensi, anche di vita e umanità, come stavano le cose. Così capii che in quella Chiesa-comunità di cui c’era stato accennato non erano tutte rose e fiori: c’erano delle aspre divisioni.
Dagli anni Settanta fu proprio questo il contesto generale della parrocchia, ma anche della Chiesa in Italia.
E la situazione non è diversa tuttora, anche se le controversie sono come sopite; e tuttavia permangono e se ne avverte la presenza appena si abbia occasione di incontrarsi al di fuori dei propri circoli abituali. Ma, appunto, si cerca di non farlo.
Questo naturalmente ostacola nella nostra parrocchia il corso dei processi sinodali avviati nello scorso autunno. Infatti ora mi pare che si stia cercando di diffondere l’idea che era un argomento da trattare nello scorso anno liturgico e che ora si deve passare ad altro. Questo perché quando cerchiamo di essere sinodali scoccano scintille.
Da universitario, e poi fino a quando tutto il mio tempo fu preso dal lavoro e dalla famiglia, fui coinvolto nel duro contrasto tra Azione Cattolica, a cui partecipai tramite FUCI e MEIC, e Comunione e Liberazione.
Si parlava di due prospettive: il metodo della mediazione culturale nel relazionarsi con il mondo intorno, seguito in Azione Carttoloca, e quello della presenza, che significava creare comunità corazzate contro la società intorno mediante costumi molto uniformi e caratterizzati in senso religioso, in parte presi dalla tradizione etnica e in parte neo-tradizionali, vale a dire solo immaginati e vissuti come portato della tradizione.
In Azione Cattolica all’epoca si pensava che Comunione e Liberazione si proponesse di sostituire l’Azione Cattolica come modo ordinario di azione sociale ispirata alla fede e guidata dalla dottrina sociale. Dal liceo e per un po’ fui amico di un mio coetaneo che entrò in Comunione e Liberazione e, da come me ne parlava, capii che ritenevano l’Azione Cattolica un’esperienza sorpassata. Più avanti compresi che, al dunque, era in questione come recepire le innovazioni prodotte dal Concilio Vaticano 2º.
Per molti aspetti CL, l’acronimo di Comunione e Liberazione, viveva la fede al modo in cui lo si faceva in Azione Cattolica prima del Concilio Vaticano 2º, ma per altri sfruttava le nuove libertà che da quel concilio erano scaturite, essendosi in particolare piuttosto emancipata dal controllo dei vescovi e della stessa Santa Sede, cosa che l’Azione Cattolica, innanzi tutto per il suo Statuto, non faceva. Comunque, nonostante differenze essenzialmente di politica ecclesiastica, con CL si parlava una stessa lingua.
Tutt’altro discorso fu con il movimento fondamentalista al quale sostanzialmente dal 1983 e fino al 2015, secondo un costume che mi pare risalisse alla crisi del cattolicesimo italiano degli anni Settanta, fu affidata la nostra parrocchia, nel popoloso quartiere di Monte Sacro – Valli, nel Nord Est di Roma, tra il più risalente quartiere di Monte Sacro – “Alto”, che iniziò ad essere costruito in epoca fascista sulla collina dietro il ponte Tazio, sul fiume Aniene, la sponda destra di quel fiume, che dopo qualche chilometro sfocia nel Tevere e via dei Prati Fiscali. Con quelli si parlavano veramente due lingue diverse, anzi certe volte mi pare che si pratichino proprio due religioni diverse tanto si è diversi.
Anche quelli ritenevano, ma molto più di CL, che l’Azione Cattolica fosse obsoleta. Quindi essa non fu più compresa nel percorso formativo dei più giovani e poiché nelle parrocchie tutto veniva, e viene ancora, deciso dai preti, giovani non ne vennero più. Questo è all’origine di gran parte dei nostri problemi come gruppo parrocchiale di Azione Cattolica. Anche perché con il nuovo corso inaugurato nell’autunno del 2015, non si è ritenuto di cambiare questa impostazione, né è stato possibile discuterne in Consiglio pastorale parrocchiale per il fatto che questo organismo, che sarebbe obbligatorio nella Diocesi di Roma, è stato lasciato cadere in desuetudine e da anni, per ciò che mi consta, non si riunisce più. D’altra parte, nel vecchio regime parteciparvi per il rappresentante dell’Azione Cattolica, a ciò che mi è stato raccontato, era diventato un’esperienza forte, diciamo così, perché si parlavano lingue diverse e non non ci si intendeva proprio. Bisogna dire che nel 2015 le forze nel nostro gruppo erano quelle che erano. In particolare, per avviare attività con i più giovani è necessario un gruppo consistente di trentenni e quarantenni, che a noi mancava. E i nostri coetanei ormai diffidavano di ogni movimento, temendo di esservi troppo limitati, come accadeva in quello che in parrocchia a lungo era andato per la maggiore.
In Azione Cattolica si aveva a volte addirittura l’impressione di essere considerati come dannosi per l’evangelizzazione e che si ritenesse che l’unico modo valido fosse quello di quegli altri. L’esperienza nel nostro quartiere non conferma questa idea, anzi. È palpabile addirittura un certo fastidio per quegli approcci. Ho sentito dire, ad esempio, che qualche tempo fa era stato proposto di usare anche dei tamburelli per ritmare i canti delle Messe per i più giovani ma che si è desistito per il timore che la gente pensasse trattasse di una liturgia di quel movimento, che ne fa ampio uso.
Qualche anno fa un vescovo ausiliare venne a trovarci, ascoltò tutti, qualcosa di quello che sentì non sembrò averlo convinto tanto, constatò che la gente non ci portava più i figli per la prima formazione religiosa e altre cose, e poi, nell’autunno 2015 venne la svolta, che inizialmente non mi parve essere stata vissuta in modo molto sereno, anche se poi mi sembrò che certi problemi si fossero appianati.
Ora si è nel mezzo di processi sinodali che sono particolarmente in linea con ciò che l’Azione Cattolica ha sempre cercato di vivere al suo interno e di proporre all’esterno. Di sinodalità possiamo a ragione dirci esperti, perché noi siamo già cristiani sinodali. Come Azione Cattolica potremmo certamente dare una mano. E questo anche se le divisioni con quegli altri rimangono, e molto dure. Ma, come consigliano in genere gli esperti che in questi anni hanno scritto sul tema, per realizzare la sinodalità, non limitandosi a parlarci su, bisogna cominciare a farne tirocinio, tenendo conto che la sinodalità, per come viene oggi proposta, non è stata mai vissuta dei fedeli laici nelle strutture ecclesiali generali, in particolare nelle parrocchie, ma solo nell’associazionismo.
In parrocchia hanno sempre deciso tutto i preti, per cui, a seconda dell’orientamento del parroco, un tipo di aggregazione era favorita ed altre no. Cambiando il parroco può cambiare tutto e i fedeli sembra che non ci possano fare nulla. Addirittura si pensa che al cambiare del parroco debba presentarsi dimissionario l’intero Consiglio pastorale parrocchiale, che in questo modo, invece che embrione e propulsore della sinodalità parrocchiale, viene concepito solo come appendice del parroco, il nostro gerarca di prossimità.
Il problema per noi è però di decidere se, al punto in cui siamo, abbiamo ancora voglia, come gruppo, di dare un contributo in materia di sinodalità. Ci sono molte persone anziane tra noi, dell’età che in Azione Cattolica è definita come quella degli adultissimi. Io stesso mi sto affacciando a quell’età, anche se appartengo a una generazione che decise di non invecchiare mai, quella che fu adolescente negli anni Settanta, e mantengo tuttora quella mentalità.
La caratteristica delle persone anziane è quella di ritirarsi nel proprio mondo abituale, in genere in famiglia e nella piccola cerchia dei coetanei più intimi. Vengono a mancare le forze, si è meno autonomi e anche le prospettive fatalmente si restringono. Gli insuccessi del passato contano di più di tutto il resto e quindi si tende ad avere una mentalità meno fiduciosa nel futuro. Si ha un po’ quella del Qoelet:
L’uomo si affatica e tribola per tutta una vita.
Ma che cosa ci guadagna?
Passa una generazione e ne viene un’altra;
ma il mondo resta sempre lo stesso.
Il prossimo 8 dicembre sarà la Festa dell’Adesione. Sarà anche il momento propizio per fare chiarezza tra noi.
Il gruppo segue il metodo democratico. Si potrà decidere di ritirarci in noi stessi, di lasciar perdere il lavoro sulla sinodalità al quale oggi il Papa ci chiama. Non me la sento di prendermela con persone che hanno resistito tanto a lungo in condizioni tanto avverse. Ma sarà pur sempre una resa. Il riconoscimento che, in fondo, avevano ragione i nostri critici. E forse la fine.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli