POPULORUM
PROGRESSIO
LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
PAOLO PP. VI
26 marzo 1967
INTRODUZIONE
LA
QUESTIONE SOCIALE È QUESTIONE MORALE
Sviluppo
dei popoli
1. Lo sviluppo dei popoli, in
modo particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame,
della miseria, delle malattie endemiche, dell’ignoranza; che cercano una
partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione
delle loro qualità umane; che si muovono con decisione verso la meta di un loro
pieno rigoglio, è oggetto di attenta osservazione da parte della chiesa.
All’indomani del Concilio Ecumenico Vaticano II, una
rinnovata presa di coscienza delle esigenze del messaggio evangelico le impone
di mettersi al servizio degli uomini, onde aiutarli a cogliere tutte le
dimensioni di tale grave problema e convincerli dell’urgenza di una azione
solidale in questa svolta della storia dell’umanità.
Insegnamento
sociale dei papi
2. Nelle loro grandi encicliche,
"Rerum novarum" di Leone
XIII, "Quadragesimo anno", di Pio
XI, "Mater et magistra" e "Pacem in terris"
di Giovanni XXIII - senza contare i messaggi al mondo di Pio XII -,
i nostri predecessori non mancarono al dovere, proprio del loro ufficio, di
proiettare sulle questioni sociali del loro tempo la luce del vangelo.
Il
fatto maggiore
3. Oggi, il fatto di maggior
rilievo, del quale ognuno deve prender coscienza, è che la questione sociale ha
acquistato dimensione mondiale. Giovanni XXIII l’ha affermato
nettamente, e il concilio gli ha fatto eco con la sua costituzione pastorale
sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Si tratta di un insegnamento di
particolare gravità che esige un’applicazione urgente. I popoli della fame
interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La chiesa
trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con
amore al proprio fratello.
I
nostri viaggi
4. Prima della nostra chiamata al
supremo pontificato, due viaggi, nell’America latina (1960) e in Africa (1962),
ci avevano messo a contatto immediato con i laceranti problemi che attanagliano
continenti pieni di vita e di speranza. Rivestiti della paternità universale,
abbiamo potuto, nel corso di nuovi viaggi in Terra Santa e in India, vedere coi
nostri occhi e quasi toccar con mano le gravissime difficoltà che assalgono
popoli di antica civiltà alle prese con il problema dello sviluppo. Mentre
ancora si stava svolgendo a Roma il Concilio ecumenico Vaticano II, circostanze
provvidenziali ci portarono a rivolgerci direttamente all’Assemblea generale
delle Nazioni Unite. E davanti a quel vasto areopago ci facemmo l’avvocato dei
popoli poveri.
Giustizia
e pace
5. Infine, recentemente, nel
desiderio di rispondere al voto del concilio e di volgere in forma concreta
l’apporto della santa sede a questa grande causa dei popoli in via di sviluppo,
abbiamo ritenuto che facesse parte del nostro dovere il creare presso gli organismi
centrali della chiesa una commissione pontificia che avesse il compito di
"suscitare in tutto il popolo di Dio la piena conoscenza del ruolo che i
tempi attuali reclamano da lui, in modo da promuovere il progresso dei popoli
più poveri, da favorire la giustizia sociale tra le nazioni, da offrire a
quelle che sono meno sviluppate un aiuto tale che le metta in grado di
provvedere esse stesse e per se stesse al loro progresso": Giustizia e
pace è il suo nome e il suo programma. Noi pensiamo che su tale programma
possano e debbano convenire, assieme ai nostri figli cattolici e ai fratelli
cristiani, gli uomini di buona volontà. È dunque a tutti che noi oggi
rivolgiamo questo appello solenne a una azione concertata per lo sviluppo
integrale dell’uomo e lo sviluppo solidale dell’umanità.
I. PER UNO SVILUPPO INTEGRALE DELL’UOMO
1. I DATI DEL PROBLEMA
Aspirazioni
degli uomini
6. Essere affrancati dalla
miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, la salute, una
occupazione stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di
fuori da ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la loro
dignità di uomini; godere di una maggiore istruzione; in una parola, fare
conoscere e avere di più, per essere di più: ecco l’aspirazione degli uomini di
oggi, mentre un gran numero d’essi è condannato a vivere in condizioni che
rendono illusorio tale legittimo desiderio. D’altra parte, i popoli da poco
approdati all’indipendenza nazionale sperimentano la necessità di far seguire a
questa libertà politica una crescita autonoma e degna, sociale non meno che
economica, onde assicurare ai propri cittadini la loro piena espansione umana,
e prendere il posto che loro spetta nel concerto delle nazioni.
Colonizzazione
e colonialismo
7. Di fronte alla vastità e
all’urgenza dell’opera da compiere, gli strumenti ereditati dal passato, per
quanto inadeguati, non fanno tuttavia difetto. Bisogna certo riconoscere che le
potenze colonizzatrici hanno spesso avuto di mira soltanto il loro interesse,
la loro potenza o il loro prestigio, e che il loro ritiro ha lasciato talvolta
una situazione economica vulnerabile, legata per esempio al rendimento di
un’unica coltura, i cui corsi sono soggetti a brusche e ampie variazioni. Ma,
pur riconoscendo i misfatti di un certo colonialismo e le sue conseguenze
negative, bisogna nel contempo rendere omaggio alle qualità e alle
realizzazioni dei colonizzatori che, in tante regioni abbandonate, hanno
portato la loro scienza e la loro tecnica, lasciando testimonianze preziose della
loro presenza. Per quanto incomplete, restano tuttavia in piedi certe strutture
che hanno avuto una loro funzione, per esempio sul piano della lotta contro
l’ignoranza e la malattia, su quello, non meno benefico, delle comunicazioni o
del miglioramento delle condizioni di vita.
Squilibrio
crescente
8. Fatto questo riconoscimento,
resta fin troppo vero che tale attrezzatura è notoriamente insufficiente per
affrontare la dura realtà dell’economia moderna. Lasciato a se stesso, il suo
meccanismo è tale da portare il mondo verso un aggravamento, e non una
attenuazione, della disparità dei livelli di vita: i popoli ricchi godono di
una crescita rapida, mentre lento è il ritmo di sviluppo di quelli poveri.
Aumenta lo squilibrio: certuni producono in eccedenza beni alimentari, di cui
altri soffrono atrocemente la mancanza, e questi ultimi vedono rese incerte le
loro esportazioni.
Aumentata
presa di coscienza
9. Nello stesso tempo, i
conflitti sociali si sono dilatati fino a raggiungere le dimensioni del mondo. La
viva inquietudine, che si è impadronita delle classi povere nei paesi in fase
di industrializzazione, raggiunge ora quelli che hanno una economia quasi
esclusivamente agricola: i contadini prendono coscienza, anch’essi, della loro
"miseria immeritata". A ciò s’aggiunga lo scandalo di disuguaglianze
clamorose, non solo nel godimento dei beni, ma più ancora nell’esercizio del
potere. Mentre una oligarchia gode, in certe regioni, di una civiltà raffinata,
il resto della popolazione, povera e dispersa, è "privata pressoché di
ogni possibilità di iniziativa personale e di responsabilità, e spesso anche
costretta a condizioni di vita e di lavoro indegne della persona umana".
Urti
di civiltà
10. Inoltre l’urto tra le civiltà
tradizionali e le novità portate dalla civiltà industriale ha un effetto
dirompente sulle strutture, che non si adattano alle nuove condizioni. Dentro
l’ambito, spesso rigido, di tali strutture s’inquadrava la vita personale e
familiare, che trovava in esse il suo indispensabile sostegno, e i vecchi vi
rimangono attaccati, mentre i giovani tendono a liberarsene, come d’un ostacolo
inutile, per volgersi evidentemente verso nuove forme di vita sociale. Accade
così che il conflitto delle generazioni si carica di un tragico dilemma: o
conservare istituzioni e credenze ancestrali, ma rinunciare al progresso, o
aprirsi alle tecniche e ai modi di vita venuti da fuori, ma rigettare in una
con le tradizioni del passato tutta la ricchezza di valori umani che
contenevano. Di fatto, avviene troppo spesso che i sostegni morali, spirituali
e religiosi del passato vengano meno, senza che l’inserzione nel mondo nuovo
sia per altro assicurata.
11. In questo stato di marasma si
fa più violenta la tentazione di lasciarsi pericolosamente trascinare verso
messianismi carichi di promesse, ma fabbricatori di illusioni. Chi non vede i
pericoli che ne derivano, di reazioni popolari violente, di agitazioni
insurrezionali, e di scivolamenti verso le ideologie totalitarie? Questi sono i
dati del problema, la cui gravità non può sfuggire a nessuno.
2. LA CHIESA E LO SVILUPPO
L’opera
dei missionari
12. Fedele all’insegnamento e
all’esempio del suo divino Fondatore, che poneva l’annuncio della buona novella
ai poveri quale segno della sua missione, la chiesa non ha mai trascurato di
promuovere l’elevazione umana dei popoli ai quali portava la fede nel Cristo. I
suoi missionari hanno costruito, assieme a chiese, centri di assistenza e
ospedali, anche scuole e università. Insegnando agli indigeni il modo onde
trarre miglior profitto dalle loro risorse naturali, li hanno spesso protetti
dall’avidità degli stranieri. Senza dubbio la loro opera, per quel che v’è in
essa di umano, non fu perfetta, e poté capitare che taluni mischiassero
all’annuncio dell’autentico messaggio evangelico molti modi di pensare e di
vivere propri del loro paese d’origine. Ma seppero anche coltivare le
istituzioni locali e promuoverle. In parecchie regioni, essi sono stati i
pionieri del progresso materiale come dello sviluppo culturale. Basti ricordare
l’esempio del padre Carlo de Foucauld, che fu giudicato degno d’esse chiamato,
per la sua carità, il "Fratello universale", e al quale si deve la
compilazione di un prezioso dizionario della lingua tuareg. È Nostro dovere
rendere omaggio a questi precursori troppo spesso ignorati, uomini sospinti
dalla carità di Cristo, così come ai loro emuli e successori che continuano ad
essere, anche oggi, al servizio di coloro che evangelizzano.
Chiesa
e mondo
13. Ma ormai le iniziative locali
e individuali non bastano più. La situazione attuale del mondo esige un’azione
d’insieme sulla base di una visione chiara di tutti gli aspetti economici,
sociali, culturali e spirituali. Esperta di umanità, la Chiesa, lungi dal
pretendere minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati, "non ha
di mira che un unico scopo: continuare, sotto l’impulso dello Spirito
consolatore, la stessa opera del Cristo, venuto nel mondo per rendere
testimonianza alla verità, per salvare, non per condannare, per servire, non
per essere servito". Fondata per porre fin da quaggiù le basi del regno
dei cieli e non per conquistare un potere terreno, essa afferma chiaramente che
i due domini sono distinti, così come sono sovrani i due poteri, ecclesiastico
e civile, ciascuno nel suo ordine. Ma, vivente com’è nella storia, essa deve
"scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo".
In comunione con le migliori aspirazioni degli uomini e soffrendo di vederle
insoddisfatte, essa desidera aiutarli a raggiungere la loro piena fioritura, e
a questo fine offre loro ciò che possiede in proprio: una visione globale
dell’uomo e dell’umanità.
Visione
cristiana dello sviluppo
14. Lo sviluppo non si riduce
alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere
integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto
l’uomo. Com’è stato giustamente sottolineato da un eminente esperto: "noi
non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà
dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo
d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera".
Vocazione
e crescita
15. Nel disegno di Dio, ogni uomo
è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione. Fin dalla nascita, è
dato a tutti in germe un insieme di attitudini e di qualità da far
fruttificare: il loro pieno svolgimento, frutto a un tempo della educazione ricevuta
dall’ambiente e dello sforzo personale, permetterà a ciascuno di orientarsi
verso il destino propostogli dal suo Creatore. Dotato d’intelligenza e di
libertà, egli è responsabile della sua crescita, così come della sua salvezza.
Aiutato, e talvolta impedito, da coloro che lo educano e lo circondano,
ciascuno rimane, quali che siano le influenze che si esercitano su di lui,
l’artefice della sua riuscita o del suo fallimento: col solo sforzo della sua
intelligenza e della sua volontà, ogni uomo può crescere in umanità, valere di
più, essere di più.
Dovere
personale e comunitario
16. Tale crescita non è
d’altronde facoltativa. Come tutta intera la creazione è ordinata al suo
Creatore, la creatura spirituale è tenuta ad orientare spontaneamente la sua vita
verso Dio, verità prima e supremo bene. Così la crescita umana costituisce come
una sintesi dei nostri doveri. Ma c’è di più: tale armonia di natura,
arricchita dal lavoro personale e responsabile, è chiamata a un superamento.
Mediante la sua inserzione nel Cristo vivificatore, l’uomo accede a una
dimensione nuova, a un umanesimo trascendente, che gli conferisce la sua più
grande pienezza: questa è la finalità suprema dello sviluppo personale.
17. Ma ogni uomo è membro della
società: appartiene all’umanità intera. Non è soltanto questo o quell’uomo, ma
tutti gli uomini sono chiamati a tale sviluppo plenario. Le civiltà nascono,
crescono e muoiono. Ma come le ondate dell’alta marea penetrano ciascuna un po’
più a fondo nell’arenile, così l’umanità avanza sul cammino della storia. Eredi
delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei,
noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di
coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana.
La solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un
dovere.
Scala
dei valori
18. Siffatta crescita personale e
comunitaria verrebbe compromessa ove si deteriorasse la vera scala dei valori.
Legittimo è il desiderio del necessario, e il lavoro per arrivarci è un dovere:
"Se qualcuno si rifiuta di lavorare, non deve neanche mangiare". Ma
l’acquisizione dei beni temporali può condurre alla cupidigia, al desiderio di
avere sempre di più e alla tentazione di accrescere la propria potenza.
L’avarizia delle persone, delle famiglie e delle nazioni può contagiare i meno
abbienti come i più ricchi, e suscitare negli uni e negli altri un materialismo
soffocatore.
Crescita
ambivalente
19. Avere di più, per i popoli
come per le persone, non è dunque lo scopo ultimo. Ogni crescita è ambivalente.
Necessaria onde permettere all’uomo di essere più uomo, essa lo rinserra come
in una prigione, quando diventa il bene supremo che impedisce di guardare
oltre. Allora i cuori s’induriscono e gli spiriti si chiudono, gli uomini non
s’incontrano più per amicizia, ma spinti dall’interesse, il quale ha buon
giuoco nel metterli gli uni contro gli altri e nel disunirli. La ricerca
esclusiva dell’avere diventa così un ostacolo alla crescita dell’essere e si oppone
alla sua vera grandezza: per le nazioni come per le persone, l’avarizia è la
forma più evidente del sottosviluppo morale.
Verso
una condizione più umana
20. Se il perseguimento dello
sviluppo richiede un numero sempre più grande di tecnici, esige ancor di più
uomini di pensiero capaci di riflessione profonda, votati alla ricerca d’un
umanesimo nuovo, che permetta all’uomo moderno di ritrovare se stesso,
assumendo i valori superiori d’amore, di amicizia, di preghiera e di
contemplazione. In tal modo potrà compiersi in pienezza il vero sviluppo, che è
il passaggio, per ciascuno e per tutti, da condizioni meno umane a condizioni
più umane.
L’ideale
da perseguire
21. Meno umane: le carenze
materiali di coloro che sono privati del minimo vitale, e le carenze morali di
coloro che sono mutilati dall’egoismo. Meno umane: le strutture oppressive, sia
che provengano dagli abusi del possesso che da quelli del potere, dallo
sfruttamento dei lavoratori che dall’ingiustizia delle transazioni. Più umane:
l’ascesa dalla miseria verso il possesso del necessario, la vittoria sui
flagelli sociali, l’ampliamento delle conoscenze, l’acquisizione della cultura.
Più umane, altresì: l’accresciuta considerazione della dignità degli altri,
l’orientarsi verso lo spirito di povertà, la cooperazione al bene comune, la
volontà di pace. Più umane, ancora: il riconoscimento da parte dell’uomo dei
valori supremi, e di Dio che ne è la sorgente e il termine. Più umane, infine e
soprattutto: la fede, dono di Dio accolto dalla buona volontà dell’uomo, e
l’unità nella carità del Cristo che ci chiama tutti a partecipare in qualità di
figli alla vita del Dio vivente, Padre di tutti gli uomini.
3. L’OPERA DA COMPIERE
La
destinazione universale dei beni
22. "Riempite la terra e
assoggettatela": la bibbia, fin dalla prima pagina, ci insegna che la
creazione intera è per l’uomo, cui è demandato il compito d’applicare il suo
sforzo intelligente nel metterla in valore e, col suo lavoro, portarla a
compimento, per così dire, sottomettendola al suo servizio. Se la terra è fatta
per fornire a ciascuno i mezzi della sua sussistenza e gli strumenti del suo
progresso, ogni uomo ha dunque il diritto di trovarvi ciò che gli è necessario.
Il recente concilio l’ha ricordato: "Dio ha destinato la terra e tutto ciò
che contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, dimodoché i beni
della creazione devono equamente affluire nelle mani di tutti, secondo la
regola della giustizia, ch’è inseparabile dalla carità". Tutti gli altri
diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero
commercio, sono subordinati ad essa: non devono quindi intralciare, bensì, al
contrario, facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente
restituirli alla loro finalità originaria.
La proprietà
23. "Se qualcuno, in
possesso delle ricchezze che offre il mondo, vede il suo fratello nella
necessità e chiude a lui le sue viscere, come potrebbe l’amore di Dio abitare
in lui?" Si sa con quale fermezza i padri della chiesa hanno precisato quale
debba essere l’atteggiamento di coloro che posseggono nei confronti di coloro
che sono nel bisogno: "Non è del tuo avere, afferma sant’Ambrogio, che tu
fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poiché è
quel che è dato in comune per l’uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è
data a tutti, e non solamente ai ricchi". È come dire che la proprietà
privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto.
Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo
bisogno, quando gli altri mancano del necessario. In una parola, " il
diritto di proprietà non deve mai esercitarsi a detrimento della utilità
comune, secondo la dottrina tradizionale dei padri della chiesa e dei grandi
teologi". Ove intervenga un conflitto "tra diritti privati acquisiti
ed esigenze comunitarie primordiali", spetta ai poteri pubblici
"adoperarsi a risolverlo, con l’attiva partecipazione delle persone e dei
gruppi sociali".
L’uso
dei redditi
24. Il bene comune esige dunque talvolta
l’espropriazione se, per via della loro estensione, del loro sfruttamento
esiguo o nullo, della miseria che ne deriva per le popolazioni, del danno
considerevole arrecato agli interessi del paese, certi possedimenti sono di
ostacolo alla prosperità collettiva. Affermandolo in maniera inequivocabile, il
concilio ha anche ricordato non meno chiaramente che il reddito disponibile non
è lasciato al libero capriccio degli uomini, e che le speculazioni egoiste
devono essere bandite. Non è di conseguenza ammissibile che dei cittadini
provvisti di redditi abbondanti, provenienti dalle risorse e dall’attività
nazionale, ne trasferiscano una parte considerevole all’estero, a esclusivo
vantaggio personale, senza alcuna considerazione del torto evidente ch’essi
infliggono con ciò alla loro patria.
L’industrializzazione
25. Necessaria all’accrescimento
economico e al progresso umano, l’introduzione dell’industria è insieme segno e
fattore di sviluppo. Mediante l’applicazione tenace della sua intelligenza e
del suo lavoro, l’uomo strappa a poco a poco i suoi segreti alla natura,
favorendo un miglior uso delle sue ricchezze. Mentre imprime una disciplina
alle sue abitudini, egli sviluppa del pari in se stesso il gusto della ricerca
e dell’invenzione, l’accettazione del rischio calcolato, l’audacia
nell’intraprendere, l’iniziativa generosa, il senso della responsabilità.
Capitalismo
liberale
26. Ma su queste condizioni nuove
della società si è malauguratamente instaurato un sistema che considerava il
profitto come motore essenziale del progresso economico, la concorrenza come
legge suprema dell’economia, la proprietà privata dei mezzi di produzione come
un diritto assoluto, senza limiti né obblighi sociali corrispondenti. Tale
liberalismo senza freno conduceva alla dittatura, a buon diritto denunciata
da Pio XI come generatrice
dell’"imperialismo internazionale del denaro". Non si condanneranno
mai abbastanza simili abusi, ricordando ancora una volta solennemente che
l’economia è al servizio dell’uomo. Ma se è vero che un certo capitalismo è
stato la fonte di tante sofferenze, di tante ingiustizie e lotte fratricide, di
cui perdurano gli effetti, errato sarebbe attribuire alla industrializzazione
stessa dei mali che sono dovuti al nefasto sistema che l’accompagnava. Bisogna,
al contrario, e per debito di giustizia, riconoscere l’apporto insostituibile
dell’organizzazione del lavoro e del progresso industriale all’opera dello
sviluppo.
Il
lavoro e la sua ambivalenza
27. Così pure, se è vero che
talvolta può imporsi una mistica esagerata del lavoro, non è men vero che
questo è voluto e benedetto da Dio. Creato a sua immagine, "l’uomo deve
cooperare col Creatore al compimento della creazione, e segnare a sua volta la
terra dell’impronta spirituale che egli stesso ha ricevuto". Dio, che ha
dotato l’uomo d’intelligenza, d’immaginazione e di sensibilità, gli ha in tal
modo fornito il mezzo onde portare in certo modo a compimento la sua opera: sia
egli artista o artigiano, imprenditore, operaio o contadino, ogni lavoratore è
un creatore. Chino su una materia che gli resiste, l’operaio le imprime il suo
segno, sviluppando nel contempo la sua tenacia, la sua ingegnosità e il suo
spirito inventivo. Diremo di più: vissuto in comune, condividendo speranze,
sofferenze, ambizioni e gioie, il lavoro unisce le volontà, ravvicina gli
spiriti e fonde i cuori: nel compierlo, gli uomini si scoprono fratelli.
28. Senza dubbio ambivalente,
dacché promette il denaro, il godimento e la potenza, invitando gli uni
all’egoismo e gli altri alla rivolta, il lavoro sviluppa anche la coscienza
professionale, il senso del dovere e la carità verso il prossimo. Più
scientifico e meglio organizzato, esso rischia di disumanizzare il suo
esecutore, divenuto suo schiavo, perché il lavoro è umano solo se resta
intelligente e libero. Giovanni
XXIII ha ricordato l’urgenza di rendere al lavoratore la sua
dignità, facendolo realmente partecipare all’opera comune: "Bisogna
tendere a far sì che l’impresa diventi una comunità di persone, nelle funzioni
e nella situazione di tutti i suoi componenti". La fatica degli uomini ha
poi per il cristiano un significato ben maggiore, avendo essa anche la missione
di collaborare alla creazione del mondo soprannaturale, che resta incompiuto
fino a che non saremo pervenuti tutti insieme a costituire quell’Uomo perfetto
di cui parla san Paolo, "che realizza la pienezza del Cristo".
L’urgenza
dell’opera da compiere
29. Bisogna affrettarsi: troppi
uomini soffrono, e aumenta la distanza che separa il progresso degli uni e la
stagnazione, se non pur anche la regressione, degli altri. Bisogna altresì che
l’opera da svolgere progredisca armonicamente, pena la rottura di equilibri
indispensabili. Una riforma agraria improvvisata può fallire al suo scopo. Una
industrializzazione precipitosa può dissestare delle strutture ancora
necessarie, e generare delle miserie sociali che costituirebbero un passo
indietro dal punto di vista dei valori umani.
Tentazione
della violenza
30. Si danno certo delle
situazioni la cui ingiustizia grida verso il cielo. Quando popolazioni intere,
sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedir
loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione
culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la
tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana.
Rivoluzione
31. E tuttavia lo sappiamo:
l’insurrezione rivoluzionaria - salvo nel caso di una tirannia evidente e
prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e
nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese - è fonte di nuove
ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca nuove rovine. Non si può
combattere un male reale a prezzo di un male più grande.
Riforma
32. Ci si intenda bene: la
situazione presente deve essere affrontata coraggiosamente e le ingiustizie che
essa comporta combattute e vinte. Lo sviluppo esige delle trasformazioni
audaci, profondamente innovatrici. Riforme urgenti devono essere intraprese
senza indugio. A ciascuno di assumervi generosamente la sua parte, soprattutto
a quelli che per la loro educazione, la loro situazione, il loro potere si
trovano ad avere delle grandi possibilità d’azione. Che, pagando esemplarmente
di persona, essi non esitino a incidere su quello che è loro, come hanno fatto
diversi dei Nostri fratelli nell’episcopato. Risponderanno così all’attesa
degli uomini e saranno fedeli allo Spirito di Dio: giacché è "il fermento evangelico
che ha suscitato e suscita nel cuore umano una esigenza incoercibile di
dignità".
Programmi
e pianificazioni a servizio dell’uomo
33. La sola iniziativa
individuale e il semplice gioco della concorrenza non potrebbero assicurare il
successo dello sviluppo. Non bisogna correre il rischio di accrescere
ulteriormente la ricchezza dei ricchi e la potenza dei forti, ribadendo la
miseria dei poveri e rendendo più pesante la servitù degli oppressi. Sono
dunque necessari dei programmi per "incoraggiare, stimolare, coordinare,
supplire e integrare" l’azione degli individui e dei corpi intermedi.
Spetta ai poteri pubblici di scegliere, o anche di imporre, gli obiettivi da
perseguire, i traguardi da raggiungere, i mezzi onde pervenirvi; tocca ad essi
stimolare tutte le forze organizzate in questa azione comune. Certo, devono
aver cura di associare a quest’opera le iniziative private e i corpi intermedi,
evitando in tal modo il pericolo d’una collettivizzazione integrale o d’una
pianificazione arbitraria che, negatrici di libertà come sono, escluderebbero
l’esercizio dei diritti fondamentali della persona umana.
34. Giacché ogni programma,
elaborato per aumentare la produzione, non ha in definitiva altra ragion
d’essere che il servizio della persona. La sua funzione è di ridurre le
disuguaglianze, combattere le discriminazioni, liberare l’uomo dalle sue
servitù, renderlo capace di divenire lui stesso attore responsabile del suo
miglioramento materiale, del suo progresso morale, dello svolgimento pieno del
suo destino spirituale. Dire sviluppo è in effetti dire qualcosa che investe
tanto il progresso sociale che la crescita economica. Non basta accrescere la
ricchezza comune perché sia equamente ripartita, non basta promuovere la
tecnica perché la terra diventi più umana da abitare. Coloro che sono sulla via
dello sviluppo devono imparare dagli errori di coloro che hanno sperimentato
prima tale strada quali sono i pericoli da evitare in questo campo. La
tecnocrazia di domani può essere fonte di mali non meno temibili che il
liberalismo di ieri. Economia e tecnica non hanno senso che in rapporto
all’uomo ch’esse devono servire. E l’uomo non è veramente uomo che nella misura
in cui, padrone delle proprie azioni e giudice del loro valore, diventa egli
stesso autore del proprio progresso, in conformità con la natura che gli ha
dato il suo Creatore e di cui egli assume liberamente le possibilità e le
esigenze.
Alfabetizzazione
35. Si può affermare che la
crescita economica è legata innanzitutto al progresso sociale ch’essa è in grado
di suscitare, e che l’educazione di base è il primo obiettivo d’un piano di
sviluppo. La fame d’istruzione non è in realtà meno deprimente della fame di
alimenti: un analfabeta è uno spirito sotto alimentato. Saper leggere e
scrivere, acquistare una formazione professionale, è riprendere fiducia in se
stessi e scoprire che si può progredire insieme con gli altri. Come dicevamo
nel nostro messaggio al Congresso dell’UNESCO, del 1965, a Teheran,
l’alfabetizzazione è per l’uomo "un fattore primordiale d’integrazione
sociale così come di arricchimento personale, e per la società uno strumento
privilegiato di progresso economico e di sviluppo". Vogliamo anche
rallegrarci del buon lavoro svolto in questo campo ad opera di iniziative
private, di poteri pubblici e di organizzazioni internazionali: sono i primi
artefici dello sviluppo, perché mirano a rendere l’uomo atto a farsene egli
stesso protagonista.
Famiglia
36. Ma l’uomo non è se stesso che
nel suo ambiente sociale, nel quale la famiglia giuoca un ruolo primordiale.
Ruolo che, secondo i tempi e i luoghi, ha potuto anche essere eccessivo, quando
si è esercitato a scapito di libertà fondamentali della persona. Spesso troppo
rigide e male organizzate, le vecchie strutture sociali dei paesi in via di
sviluppo sono tuttavia necessarie ancora per un certo tempo, pur in un processo
di progressivo allentamento del loro dominio esagerato. Ma la famiglia
naturale, monogamica e stabile, quale è stata concepita nel disegno divino e
santificata dal cristianesimo, deve restare "luogo d’incontro di più
generazioni che si aiutano vicendevolmente ad acquistare una saggezza più
grande e ad armonizzare i diritti delle persone con le altre esigenze della
vita sociale".
Demografia
37. È vero che troppo spesso una
crescita demografica accelerata aggiunge nuove difficoltà ai problemi dello
sviluppo: il volume della popolazione aumenta più rapidamente delle risorse
disponibili e ci si trova apparentemente chiusi in un vicolo cieco. Per cui, la
tentazione è grande di frenare l’aumento demografico per mezzo di misure
radicali. È certo che i poteri pubblici, nell’ambito della loro competenza,
possono intervenire, mediante la diffusione di una appropriata informazione e
l’adozione di misure opportune, purché siano conformi alle esigenze della legge
morale e rispettose della giusta libertà della coppia: perché il diritto al
matrimonio e alla procreazione è un diritto inalienabile, senza del quale non
si dà dignità umana. Spetta in ultima istanza ai genitori di decidere, con
piena cognizione di causa, sul numero dei loro figli, prendendo le loro
responsabilità davanti a Dio, davanti a se stessi, davanti ai figli che già
hanno messo al mondo, e davanti alla comunità alla quale appartengono, seguendo
i dettami della loro coscienza illuminata dalla legge di Dio, autenticamente
interpretata, e sorretta dalla fiducia in lui.
Organizzazione
professionale
38. Nell’opera dello sviluppo
l’uomo, che trova nella famiglia il suo ambiente di vita primordiale, è spesso
aiutato da organizzazioni professionali. Se la loro ragion d’essere è di
promuovere gli interessi dei loro associati, la loro responsabilità è grande in
rapporto alla funzione educativa ch’esse possono e debbono nel contempo
svolgere. Attraverso l’informazione che forniscono, la formazione che offrono,
esse possono molto per dare a tutti il sentimento del bene comune e delle
obbligazioni che esso comporta per ciascuno.
Pluralismo
legittimo
39. Ogni azione sociale implica
una dottrina. Il cristiano non può ammettere quella che suppone una filosofia
materialistica e atea, che non rispetta né l’orientamento religioso della vita
verso il suo fine ultimo, né la libertà e la dignità umana. Ma, purché siano
salvaguardati questi valori, un pluralismo di organizzazioni professionali e
sindacali è ammissibile, e, da certi punti di vista, utile, se serve a
proteggere la libertà e a provocare l’emulazione. E di gran cuore Noi rendiamo
omaggio a tutti coloro che vi lavorano al servizio disinteressato dei loro
fratelli.
Formazione
culturale
40. Oltre le organizzazioni
professionali sono altresì all’opera le istituzioni culturali, il cui ruolo non
è di minor peso per la riuscita dello sviluppo. "L’avvenire del mondo
sarebbe in pericolo, afferma gravemente il Concilio, se la nostra epoca non
sapesse far emergere dal suo seno uomini dotati di sapienza". E aggiunge:
"Numerosi paesi economicamente poveri, ma ricchi di sapienza, potranno
dare un potente aiuto agli altri su questo punto". Ricco o povero, ogni
paese possiede una sua civiltà ricevuta dalle generazioni passate: istituzioni
richieste per lo svolgimento della vita terrena e manifestazioni superiori -
artistiche, intellettuali e religiose - della vita dello spirito. Quando queste
contengono dei veri valori umani, sarebbe grave errore sacrificarle a quelle.
Un popolo che consentisse a tanto perderebbe con ciò stesso il meglio di sé:
sacrificherebbe, per vivere, le sue ragioni di vita. L’ammonimento del Cristo
vale anche per i popoli: "Che cosa servirebbe all’uomo guadagnare
l’universo, se poi perde l’anima?".
Tentazione
materialistica
41. I popoli poveri non staranno
mai troppo in guardia contro questa tentazione che viene loro dai popoli
ricchi, i quali offrono troppo spesso, insieme con l’esempio del loro successo
nel campo della cultura e della civiltà tecnica, un modello di attività tesa
prevalentemente alla conquista della prosperità materiale. Non che quest’ultima
costituisca per se stessa un ostacolo all’attività dello spirito, il quale
anzi, reso così "meno schiavo delle cose, può facilmente elevarsi
all’adorazione e alla contemplazione del Creatore". Tuttavia "la
civiltà moderna, non certo per la sua natura intrinseca, ma perché si trova
soverchiamente irretita nelle realtà terrestri, può rendere spesso più
difficile l’accesso a Dio". In quanto viene loro proposto, i popoli in via
di sviluppo devono dunque saper fare una scelta: criticare ed eliminare i falsi
beni che porterebbero con sé un abbassamento dell’ideale umano, accettare i
valori sani e benefici per svilupparli, congiuntamente ai loro, secondo il
proprio genio particolare.
Verso
un umanesimo plenario
42. È un umanesimo plenario che
occorre promuovere. Che vuol dire ciò, se non lo sviluppo di tutto l’uomo e di
tutti gli uomini? Un umanesimo chiuso, insensibile ai valori dello spirito e a
Dio che ne è la fonte, potrebbe apparentemente avere maggiori possibilità di
trionfare. Senza dubbio l’uomo può organizzare la terra senza Dio, ma
"senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l’uomo.
L’umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano". Non v’è dunque umanesimo
vero se non aperto verso l’Assoluto, nel riconoscimento d’una vocazione, che
offre l’idea vera della vita umana. Lungi dall’essere la norma ultima dei
valori, l’uomo non realizza se stesso che trascendendosi. Secondo l’espressione
così giusta di Pascal: "L’uomo supera infinitamente l’uomo".
II. VERSO LO SVILUPPO SOLIDALE DELL’UMANITÀ
Fraternità
dei popoli
43. Lo sviluppo integrale dell’uomo
non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell’umanità. Come dicevamo a
Bombay: "L’uomo deve incontrare l’uomo, le nazioni devono incontrarsi come
fratelli e sorelle, come i figli di Dio. In questa comprensione e amicizia
vicendevoli, in questa comunione sacra, noi dobbiamo parimenti cominciare a
lavorare assieme per edificare l’avvenire comune dell’umanità". E
suggerivamo altresì la ricerca di mezzi concreti e pratici di organizzazione e
di cooperazione, onde mettere in comune le risorse disponibili e così
realizzare una vera comunione fra tutte le nazioni.
44. Questo dovere riguarda in
primo luogo i più favoriti. I loro obblighi sono radicati nella fraternità
umana e soprannaturale e si presenta sotto un triplice aspetto: dovere di
solidarietà, cioè l’aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai paesi in via
di sviluppo; dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento in termini più
corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti e popoli
deboli; dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo più umano
per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere,
senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli
altri. Il problema è grave, perché dalla sua soluzione dipende l’avvenire della
civiltà mondiale.
1. L’ASSISTENZA AI DEBOLI
Lotta
contro la fame
45. "Se un fratello o una
sorella sono nudi, dice san Giacomo, se mancano del sostentamento quotidiano, e
uno di voi dice loro: "Andate in pace, riscaldatevi, sfamatevi",
senza dar loro quel che è necessario al loro corpo, a che servirebbe?".
Oggi, nessuno lo può ignorare: sopra interi continenti, innumerevoli sono gli
uomini e le donne tormentati dalla fame, innumerevoli i bambini sottonutriti,
al punto che molti di loro muoiono in tenera età, che la crescita fisica e lo
sviluppo mentale di parecchi altri ne restano compromessi, che regioni intere
sono per questo condannate al più cupo avvilimento.
46. Appelli angosciati sono già
risuonati. Quello di Giovanni
XXIII è stato calorosamente accolto. Noi stessi l’abbiamo
reiterato nel nostro messaggio del Natale 1963, e poi di nuovo
in favore dell’India nel 1966. La campagna contro la fame, lanciata
dall’Organizzazione Internazionale per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) e
incoraggiata dalla santa sede, è stata generosamente accolta. La nostra
"Caritas internationalis" è dappertutto all’opera e numerosi
cattolici, sotto l’impulso dei Nostri fratelli nell’Episcopato, danno, e si
prodigano anche personalmente senza riserva, per aiutare quelli che sono nel
bisogno, allargando progressivamente la cerchia di quanti riconoscono come loro
prossimo.
47. Ma tutto ciò non può bastare,
come non possono bastare gli investimenti privati e pubblici realizzati, i doni
e i prestiti concessi. Non si tratta soltanto di vincere la fame e neppure di
ricacciare indietro la povertà. La lotta contro la miseria, pur urgente e necessaria,
è insufficiente. Si tratta di costruire un mondo, in cui ogni uomo, senza
esclusioni di razza, di religione, di nazionalità, possa vivere una vita
pienamente umana, affrancata dalle servitù che gli vengono dagli uomini e da
una natura non sufficientemente padroneggiata; un mondo dove la libertà non sia
una parola vana e dove il povero Lazzaro possa assidersi alla stessa mensa del
ricco. Ciò esige da quest’ultimo molta generosità, numerosi sacrifici e uno
sforzo incessante. Ciascuno esamini la sua coscienza, che ha una voce nuova per
la nostra epoca. È egli pronto a sostenere col suo denaro le opere e le
missioni organizzate in favore dei più poveri? a sopportare maggiori
imposizioni affinché i poteri pubblici siano messi in grado di intensificare il
loro sforzo per lo sviluppo? a pagare più cari i prodotti importati, onde
permettere una più giusta remunerazione per il produttore? a lasciare, ove
fosse necessario, il proprio paese, se è giovane, per aiutare questa crescita
delle giovani nazioni?
Dovere
di solidarietà
48. Il dovere di solidarietà che
vige per le persone vale anche per i popoli; "Le nazioni sviluppate hanno
l’urgentissimo dovere di aiutare le nazioni in via di sviluppo". Bisogna
mettere in pratica questo insegnamento conciliare. Se è normale che una
popolazione sia la prima beneficiaria dei doni che le ha fatto la Provvidenza
come dei frutti del suo lavoro, nessun popolo può, per questo, pretendere di
riservare a suo esclusivo uso le ricchezze di cui dispone. Ciascun popolo deve
produrre di più e meglio, onde dare da un lato a tutti i suoi componenti un
livello di vita veramente umano, e contribuire nel contempo, dall’altro, allo
sviluppo solidale della umanità. Di fronte alla crescente indigenza dei paesi
in via di sviluppo, si deve considerare come normale che un paese evoluto
consacri una parte della sua produzione al soddisfacimento dei loro bisogni;
normale altresì che si preoccupi di formare educatori, ingegneri, tecnici,
scienziati, destinati a mettere scienza e competenza al loro servizio.
Il
superfluo
49. Una cosa va ribadita di
nuovo: il superfluo dei paesi ricchi deve servire ai paesi poveri. La regola
che valeva un tempo in favore dei più vicini deve essere applicata oggi alla
totalità dei bisognosi del mondo. I ricchi saranno del resto i primi ad esserne
avvantaggiati. Diversamente, ostinandosi nella loro avarizia, non potranno che
suscitare il giudizio di Dio e la collera dei poveri, con conseguenze
imprevedibili. Chiudendosi dentro la corazza del proprio egoismo, le civiltà attualmente
fiorenti finirebbero coll’attentare ai loro valori più alti, sacrificando la
volontà di essere di più alla bramosia di avere di più. E sarebbe da applicare
ad essi la parabola dell’uomo ricco, le cui terre avevano dato frutti copiosi e
che non sapeva dove mettere al sicuro il suo raccolto: Dio gli disse:
"insensato, questa notte stessa la tua anima ti sarà ritolta".
Programmi
50. Questi sforzi, per
raggiungere la loro piena efficacia, non possono rimanere dispersi e isolati,
tanto meno opposti gli uni agli altri per motivi di prestigio o di potenza: la
situazione esige dei programmi concertati. Un programma è in realtà qualcosa di
più e di meglio che un aiuto occasionale lasciato alla buona volontà di
ciascuno. Esso suppone, come abbiamo detto più sopra, studi approfonditi,
individuazione degli obiettivi, determinazione dei mezzi, organizzazione degli
sforzi, onde rispondere ai bisogni presenti e alle prevedibili esigenze future.
Ma è anche molto di più in quanto trascende le prospettive della semplice
crescita economica e del progresso sociale e conferisce senso e valore
all’opera da realizzare. Nell’atto stesso in cui lavora alla migliore
sistemazione del mondo, esso valorizza l’uomo.
Fondo
mondiale: vantaggi e urgenza
51. Occorre spingersi ancora più
innanzi. Noi domandavamo a Bombay la costituzione di un grande Fondo mondiale,
alimentato da una parte delle spese militari, onde venire in aiuto ai più
diseredati. Ciò che vale per la lotta immediata contro la miseria vale altresì
per il livello dello sviluppo. Solo una collaborazione mondiale, della quale un
fondo comune sarebbe insieme l’espressione e lo strumento, permetterebbe di
superare le rivalità sterili e di suscitare un dialogo fecondo e pacifico tra
tutti i popoli.
52. Senza dubbio, degli accordi
bilaterali o multilaterali possono utilmente essere mantenuti, in quanto
permettono di sostituire ai rapporti di dipendenza e ai rancori derivati
dall’era coloniale proficue relazioni d’amicizia, sviluppate su un piano di
uguaglianza giuridica e politica. Ma incorporati in un programma di
collaborazione mondiale essi sarebbero immuni da ogni sospetto. Le diffidenze
di coloro che ne sono i beneficiari ne uscirebbero attenuate, poiché essi
avrebbero meno ragioni di temere, dissimulate sotto l’aiuto finanziario o
l’assistenza tecnica, certe manifestazioni di quello che è stato chiamato il
neocolonialismo: fenomeno che si configura in termini di pressioni politiche e
di potere economico esercitati allo scopo di difendere o di conquistare una
egemonia dominatrice.
53. Chi non vede d’altronde come
un tale fondo faciliterebbe la riconversione di certi sperperi, che sono frutto
della paura o dell’orgoglio? Quando tanti popoli hanno fame, quando tante
famiglie soffrono la miseria, quando tanti uomini vivono immersi nella
ignoranza, quando restano da costruire tante scuole, tanti ospedali, tante
abitazioni degne di questo nome, ogni sperpero pubblico o privato, ogni spesa
fatta per ostentazione nazionale o personale, ogni estenuante corsa agli
armamenti diviene uno scandalo intollerabile. Noi abbiamo il dovere di
denunciarlo. Vogliano i responsabili ascoltarci prima che sia troppo tardi.
Dialogo
da instaurare
54. Ciò significa essere
indispensabile che si stabilisca fra tutti quel dialogo già da Noi invocato
nella nostra prima enciclica, "Ecclesiam suam". Tale dialogo tra
coloro che forniscono i mezzi e coloro cui sono destinati consentirà di
commisurare gli apporti, non soltanto secondo la generosità e disponibilità di
impiego degli altri. I paesi in via di sviluppo non correranno più in tal modo
il rischio di vedersi sopraffatti di debiti, il cui soddisfacimento finisce
coll’assorbire il meglio dei loro guadagni. Tassi di interesse e durata dei
prestiti potranno essere distribuiti in maniera sopportabile per gli uni e per
gli altri, equilibrando i doni gratuiti, i prestiti senza interesse o a
interesse minimo, e la durata degli ammortamenti. Garanzie potranno essere
offerte a coloro che forniscono i mezzi finanziari, sull’impiego che ne verrà
fatto in base al piano convenuto e con una ragionevole preoccupazione di
efficacia, giacché non si tratta di favorire la pigrizia o il parassitismo. E i
destinatari potranno a loro volta esigere che non vi siano ingerenze nella loro
politica, né che si provochino sconvolgimenti nelle strutture sociali del
paese. Stati sovrani, a loro solo spetta di condurre in maniera autonoma le
loro faccende, di determinare la loro politica, di orientarsi liberamente verso
il tipo di società preferito. È dunque una collaborazione volontaria che
occorre instaurare, una compartecipazione efficace degli uni con gli altri, in
un clima di eguale dignità, per la costruzione di un mondo più umano.
55. È un impegno che potrebbe
apparire inattuabile in regioni dove la preoccupazione della sussistenza
quotidiana è tale da assorbire tutta l’esistenza di famiglie incapaci di
concepire un lavoro atto a preparare un avvenire meno miserabile. Tuttavia sono
questi gli uomini e le donne che bisogna aiutare, che bisogna convincere della
necessità di por mano essi stessi al loro sviluppo, acquisendone
progressivamente i mezzi. Quest’opera comune sarà certamente impossibile senza
uno sforzo concertato, costante e coraggioso. Ma deve essere ben chiaro ad
ognuno che ciò che è in gioco è la vita stessa dei popoli poveri, è la pace
civile nei paesi in via di sviluppo, ed è la pace del mondo.
2. L’EQUITÀ DELLE RELAZIONI
COMMERCIALI
56. Gli sforzi, anche considerevoli,
che vengono dispiegati per aiutare sul piano finanziario e tecnico i paesi in
via di sviluppo, sarebbero illusori, se il loro risultato fosse parzialmente
annullato dal giuoco delle relazioni commerciali tra paesi ricchi e paesi
poveri. La fiducia di questi ultimi verrebbe profondamente scossa se avessero
l’impressione che si toglie loro con una mano quel che si porge con l’altra.
Distorsione
crescente
57. Le nazioni altamente
industrializzate esportano in realtà soprattutto manufatti, mentre le economie
poco sviluppate non hanno da vendere che prodotti agricoli e materie prime.
Grazie al progresso tecnico, i primi aumentano rapidamente di valore e trovano
sufficienti sbocchi sui mercati, mentre, per contro, i prodotti primari
provenienti dai paesi in via di sviluppo subiscono ampie e brusche variazioni
di prezzo, che li mantengono ben lontani dal plusvalore progressivo dei primi.
Di qui le grandi difficoltà cui si trovano di fronte le nazioni da poco
industrializzate, quando devono contare sulle esportazioni per equilibrare le
loro economie e realizzare i loro piani sviluppo. Così finisce che i poveri
restano ognora poveri, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi.
Al di
là del liberalismo
58. Ciò significa che la legge
del libero scambio non è più in grado di reggere da sola le relazioni
internazionali. I suoi vantaggi sono certo evidenti quando i contraenti si
trovino in condizioni di potenza economica non troppo disparate: allora è uno
stimolo al progresso e una ricompensa agli sforzi compiuti. Si spiega quindi
come i paesi industrialmente sviluppati siano portati a vedervi una legge di
giustizia. La cosa cambia, però, quando le condizioni siano divenute troppo
disuguali da paese a paese: i prezzi che si formano "liberamente" sul
mercato possono, allora, condurre a risultati iniqui. Giova riconoscerlo: è il
principio fondamentale del liberalismo come regola degli scambi commerciali che
viene qui messo in causa.
Giustizia
dei contratti a livello dei popoli
59. L’insegnamento di Leone
XIII nella "Rerum novarum" mantiene la sua
validità: il consenso delle parti, se esse versano in una situazione di
eccessiva disuguaglianza, non basta a garantire la giustizia del contratto, e
la legge del libero consenso rimane subordinata alle esigenze del diritto
naturale. Ciò che era vero rispetto al giusto salario individuale lo è anche
rispetto ai contratti internazionali: una economia di scambio non può più
poggiare esclusivamente sulla legge della libera concorrenza, anch’essa troppo
spesso generatrice di dittatura economica. La libertà degli scambi non è equa
se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale.
Misure
da prendere
60. Del resto, i paesi sviluppati
l’hanno pur essi ben compreso, dal momento che s’adoperano a ristabilire con
delle misure adeguate, all’interno delle rispettive economie, un equilibrio che
la concorrenza abbandonata a se stessa tende a compromettere. Per cui li
vediamo spesso sostenere la loro agricoltura mediante sacrifici imposti ai
settori economici più favoriti. Vediamo pure come, per sostenere le relazioni
commerciali che si sviluppano tra loro, particolarmente all’interno di un
mercato comune, la loro politica finanziaria, fiscale e sociale si sforzi di
ridare a delle industrie concorrenti, disugualmente prospere, condizioni di ristabilita
competitività.
Convenzioni
internazionali
61. Non è lecito usare in questo
campo due pesi e due misure. Ciò che vale nell’ambito di una economia
nazionale, ciò che è ammesso tra paesi sviluppati, vale altresì nelle relazioni
commerciali tra paesi ricchi e paesi poveri. Non che si debba o voglia prospettare
l’abolizione del mercato basato sulla concorrenza: si vuol soltanto dire che
occorre però mantenerlo dentro limiti che lo rendano giusto e morale, e dunque
umano. Nel commercio tra economie sviluppate e in via di sviluppo, le
situazioni di partenza sono troppo squilibrate e le libertà reali troppo
inegualmente distribuite. La giustizia sociale impone che il commercio
internazionale, se ha da essere cosa umana e morale, ristabilisca tra le parti
almeno una relativa eguaglianza di possibilità. Quest’ultima non può essere che
un traguardo a lungo termine. Ma per raggiungerlo occorre fin d’ora creare una
reale eguaglianza nelle discussioni e nelle trattative. Anche questo è un campo
nel quale delle convenzioni internazionali a raggio sufficientemente vasto
sarebbero utili, in quanto capaci di introdurre norme generali in vista di
regolarizzare certi prezzi, di garantire certe produzioni, di sostenere certe
industrie nascenti. Ognuno vede come un siffatto sforzo comune verso una
maggiore giustizia nelle relazioni internazionali tra i popoli arrecherebbe ai
paesi in via di sviluppo un aiuto positivo, con effetti non solo immediati, ma
duraturi.
Ostacoli
da superare: il nazionalismo e il razzismo
62. Altri ostacoli si oppongono
alla edificazione di un mondo più giusto e più strutturato secondo una
solidarietà universale: intendiamo parlare del nazionalismo e del razzismo. È
naturale che delle comunità da poco pervenute all’indipendenza politica siano
gelose di una unità nazionale ancora fragile, e si preoccupino di proteggerla.
È pure normale che nazioni di vecchia cultura siano fiere del patrimonio, che
hanno avuto in retaggio dalla loro storia. Ma tali sentimenti legittimi devono
essere sublimati dalla carità universale che abbraccia tutti i membri della famiglia
umana. Il nazionalismo isola i popoli contro il loro vero bene; e risulterebbe
particolarmente dannoso là dove la fragilità delle economie nazionali esige
invece la messa in comune degli sforzi, delle conoscenze e dei mezzi
finanziari, onde realizzare i programmi di sviluppo e intensificare gli scambi
commerciali e culturali.
63. Il razzismo non è appannaggio
esclusivo delle nazioni giovani, dove esso si dissimula talvolta sotto il velo
delle rivalità di clan e di partiti politici, con grande pregiudizio della
giustizia e mettendo a repentaglio la pace civile. Durante l’era coloniale ha
spesso imperversato tra coloni e indigeni, creando ostacoli a una feconda
comprensione reciproca e provocando rancori che sono la conseguenza di reali
ingiustizie. Esso costituisce altresì un ostacolo alla collaborazione tra
nazioni sfavorite e un fermento generatore di divisione e di odio nel seno
stesso degli stati, quando, in spregio dei diritti imprescrittibili della
persona umana, individui e famiglie si vedono ingiustamente sottoposti a un
regime d’eccezione, a causa della loro razza o del loro colore.
Verso
un mondo solidale
64. Una tale situazione, così
gravida di minacce per l’avvenire, ci affligge profondamente. Conserviamo
tuttavia la speranza che un bisogno più sentito di collaborazione, un
sentimento più acuto della solidarietà finiranno coll’aver la meglio sulle
incomprensioni e sugli egoismi. Speriamo che i paesi a meno elevato livello di
sviluppo sappiano trarre profitto da buoni rapporti di vicinanza coi paesi
confinanti, allo scopo di organizzare tra di loro, sopra aree territoriali più
vaste, zone di sviluppo concertato: stabilendo programmi comuni, coordinando
gli investimenti, distribuendo le possibilità di produzione, organizzando gli
scambi. Speriamo anche che le organizzazioni multilaterali e internazionali
trovino, attraverso una necessaria organizzazione, le vie che permetteranno ai
popoli tuttora in via di sviluppo di uscire dal punto morto in cui paiono
dibattersi come prigionieri e di rinvenire da se stessi, nella fedeltà al genio
di ciascuno, i mezzi del loro progresso sociale e umano.
Tutti
i popoli artefici del loro destino
65. Perché è proprio a questo che
bisogna arrivare. La solidarietà mondiale, sempre più efficiente, deve
consentire a tutti i popoli di divenire essi stessi gli artefici del loro
destino. Il passato è stato troppo spesso contrassegnato da rapporti di forza
tra nazione e nazione: venga finalmente il giorno in cui le relazioni
internazionali portino il segno del rispetto vicendevole e dell’amicizia,
dell’interdipendenza nella collaborazione, e della promozione comune sotto la
responsabilità di ciascuno. I popoli più giovani e più deboli reclamano la
parte attiva che loro spetta nella costruzione d’un mondo migliore, più rispettoso
dei diritti e della vocazione di ciascuno. Il loro appello è legittimo: a
ognuno d’intenderlo e di rispondervi.
3. LA CARITÀ UNIVERSALE
66. Il mondo è malato. Il suo
male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento
da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i
popoli.
Doveri
connessi con l’ospitalità
67. Noi non insisteremo mai
abbastanza sul dovere della accoglienza - dovere di solidarietà umana e di
carità cristiana - che incombe sia alle famiglie, sia alle organizzazioni
culturali dei paesi ospitanti. Occorre, soprattutto per i giovani, moltiplicare
le famiglie e i luoghi atti ad accoglierli. Ciò innanzitutto allo scopo di
proteggerli contro la solitudine, il sentimento d’abbandono, la disperazione,
che minano ogni capacità di risorsa morale, ma anche per difenderli contro la
situazione malsana in cui si trovano, che li forza a paragonare l’estrema
povertà della loro patria col lusso e lo spreco donde sono circondati. E
ancora: per salvaguardarli dal contagio delle dottrine eversive e dalle
tentazioni aggressive cui li espone il ricordo di tanta "miseria
immeritata". Infine soprattutto per dare a loro, insieme con il calore
d’una accoglienza fraterna, l’esempio d’una vita sana, il gusto della carità
cristiana autentica e fattiva, lo stimolo ad apprezzare i valori spirituali.
Dramma
di giovani studenti e di lavoratori emigrati
68. È doloroso il pensarlo:
numerosi giovani, venuti in paesi più progrediti per apprendervi la scienza, la
competenza e la cultura che li renderanno più atti a servire la loro patria, vi
acquistano certo una formazione di alta qualità, ma finiscono in non rari casi
col perdervi il senso dei valori spirituali che spesso erano presenti, come un
prezioso patrimonio, nelle civiltà che li avevano visti crescere.
69. La stessa accoglienza è
dovuta ai lavoratori emigrati che vivono in condizioni spesso disumane,
costretti a spremere il proprio salario per alleviare un po’ le famiglie
rimaste nella miseria sul suolo natale.
Senso
sociale
70. La nostra seconda
raccomandazione è per quelli che in forza della loro attività economica sono
chiamati in paesi recentemente aperti all’industrializzazione: industriali,
commercianti, capi o rappresentanti di grandi imprese. Si tratta magari di uomini
che si dimostrano, nel loro paese, non sprovvisti di senso sociale: perché
dovrebbero regredire ai principi disumani dell’individualismo quando operano in
paesi meno sviluppati? La loro condizione di superiorità deve al contrario
spronarli a farsi iniziatori del progresso sociale e della promozione umana, là
dove sono condotti dai loro impegni economici. Il loro stesso senso
dell’organizzazione dovrà ad essi suggerire il modo migliore per valorizzare il
lavoro indigeno, formare operai qualificati, preparare ingegneri e dirigenti,
lasciare spazio alla loro iniziativa, introdurli progressivamente nei posti più
elevati, preparandoli così a condividere, in un avvenire meno lontano, le
responsabilità della direzione. Che la giustizia, almeno, regoli sempre le
relazioni tra capi e subordinati. Che esse siano rette da contratti regolari
con obblighi reciproci. Infine, che nessuno, qualunque sia la sua condizione,
resti ingiustamente in balia dell’arbitrio.
Missione
di sviluppo
71. Sempre più numerosi, e ce ne rallegriamo,
sono gli esperti inviati in missione di sviluppo ad opera di istituzioni
internazionali o bilaterali o di organismi privati. "Essi non devono
comportarsi da padroni, ma da assistenti e da e da collaboratori". Una
popolazione intuisce subito se l’aiuto che vengono a portare è dato con
passione oppure no, se sono lì semplicemente per applicare delle tecniche o non
anche per dare all’uomo tutto il suo valore. Il loro messaggio rischia di non
essere accolto, se non è accompagnato da uno spirito di amore fraterno.
Qualità
degli esperti
72. Alla competenza tecnica
indispensabile, bisogna dunque accoppiare i segni autentici d’un amore
disinteressato. Spogli d’ogni superbia nazionalistica come d’ogni parvenza di
razzismo, gli esperti devono imparare a lavorare in stretta collaborazione con
tutti. Essi devono sapere che la loro competenza non conferisce loro una
superiorità in tutti i campi. La civiltà nella quale si sono formati contiene
indubbiamente degli elementi d’umanesimo universale, ma non è né unica né
esclusiva, e non può essere importata senza adattamenti. I responsabili di
queste missioni devono preoccuparsi di scoprire, insieme con la sua storia, le
caratteristiche e le ricchezze culturali del paese che li accoglie. Si
stabilirà così un avvicinamento che risulterà fecondo per ambedue le civiltà.
Dialoghi
di civiltà
73. Tra le civiltà, come tra le
persone, un dialogo sincero è di fatto creatore di fraternità. L’impresa dello
sviluppo ravvicinerà i popoli, nelle realizzazioni portate avanti con uno
sforzo comune, se tutti, a cominciare dai governi e dai loro rappresentanti, e
fino al più umile esperto, saranno animati da uno spirito di amore fraterno e
mossi dal desiderio sincero di costruire una civiltà fondata sulla solidarietà
mondiale. Un dialogo centrato sull’uomo, e non sui prodotti e sulle tecniche,
potrà allora aprirsi. Un dialogo che sarà fecondo, se arrecherà ai popoli che
ne fruiscono i mezzi di elevarsi e di raggiungere un più alto grado di vita
spirituale; se i tecnici sapranno farsi educatori e se l’insegnamento trasmesso
porterà il segno d’una qualità spirituale e morale così elevata da garantire
uno sviluppo che non sia soltanto economico, ma umano. Passata la fase
dell’assistenza, le relazioni in tal modo instaurate perdureranno, e non v’è
chi non scorga di quale importanza esse saranno per la pace del mondo.
Appello
ai giovani
74. Molti giovani hanno già
risposto con ardore e sollecitudine all’appello di Pio
XII per un laicato missionario. Numerosi sono anche quelli che
si sono spontaneamente messi a disposizione di organismi, ufficiali o privati,
di collaborazione con i popoli in via di sviluppo. Ci rallegriamo
nell’apprendere che in talune nazioni il "servizio militare" può
essere scambiato in parte con un "servizio civile", un "servizio
puro e semplice", e benediciamo tali iniziative e le buone volontà che vi
rispondono. Possano tutti quelli che si richiamano a Cristo intendere il suo
appello: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi
avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito,
malato e mi avete visitato, prigioniero e siete venuti a trovarmi".
Nessuno può rimanere indifferente alla sorte dei suoi fratelli tuttora immersi
nella miseria, in preda all’ignoranza, vittime della insicurezza. Come il Cuore
di Cristo, il cuore del cristiano deve muoversi a compassione di questa
miseria: "Ho compassione di questa folla".
Preghiera
e azione
75. La preghiera di tutti deve
salire con fervore verso l’Onnipotente, perché l’umanità, dopo aver preso
coscienza di così grandi mali, si dedichi con intelligenza e fermezza ad
abolirli. A questa preghiera deve corrispondere l’impegno risoluto di ciascuno,
nella misura delle sue forze e delle sue possibilità, nella lotta contro il
sottosviluppo. Possano le persone, i gruppi sociali e le nazioni darsi
fraternamente la mano, il forte aiutando il debole a crescere, mettendo in
questo tutta la sua competenza, il suo entusiasmo e il suo amore disinteressato.
Più che chiunque altro, colui ch’è animato da una vera carità è ingegnoso nello
scoprire le cause della miseria, nel trovare i mezzi per combatterla, nel
vincerla risolutamente. Operatore di pace. "egli percorrerà la sua strada,
accendendo la gioia e versando la luce e la grazia nel cuore degli uomini su
tutta la superficie della terra, facendo loro scoprire, al di là di tutte le
frontiere, volti di fratelli, volti di amici".
LO SVILUPPO È IL NUOVO NOME DELLA PACE
76. Le disuguaglianze economiche,
sociali e culturali troppo grandi tra popolo e popolo provocano tensioni e
discordie, e mettono in pericolo la pace. Come dicevamo ai padri conciliari al
ritorno dal nostro viaggio di pace all’ONU: "La condizione delle popolazioni
in via di sviluppo deve formare l’oggetto della nostra considerazione; diciamo
meglio, la nostra carità per i poveri che si trovano nel mondo - e sono legione
infinita - deve divenire più attenta. più attiva, più generosa".
Combattere la miseria e lottare conto l’ingiustizia, è promuovere, insieme con
il miglioramento delle condizioni di vita, il progresso umano e spirituale di
tutti, e dunque il bene comune dell’umanità. La pace non si riduce a un’assenza
di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze. Essa si
costruisce giorno per giorno, nel perseguimento d’un ordine voluto da Dio, che
comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini.
Uscire
dall’isolamento
77. Artefici del loro proprio
sviluppo, i popoli ne sono i primi responsabili. Ma non potranno realizzarlo
nell’isolamento. Accordi regionali tra popoli deboli per sostenersi
vicendevolmente, intese più ampie per venir loro in aiuto, convenzioni più
ambiziose tra gli uni e gli altri, volte a stabilire programmi concertati: sono
le tappe di questo cammino dello sviluppo che conduce alla pace.
Verso
un’autorità mondiale efficace
78. Questa collaborazione
internazionale a vocazione mondiale postula delle istituzioni che la preparino,
la coordinino e la reggano, fino a costituire un ordine giuridico
universalmente riconosciuto. Di tutto cuore Noi incoraggiamo le organizzazioni
che hanno preso in mano questa collaborazione allo sviluppo, e auspichiamo che
la loro autorità s’accresca. "La vostra vocazione - dicevamo ai rappresentanti
delle Nazioni Unite a New York - è di far fraternizzare, non già alcuni popoli,
ma tutti i popoli... Chi non vede la necessità di arrivare in tal modo
progressivamente a instaurare una autorità mondiale in grado d’agire
efficacemente sul piano giuridico e politico?".
Fondate
speranze in un mondo migliore
79. Certuni giudicheranno
utopistiche siffatte speranze. Potrebbe darsi che il loro realismo pecchi per
difetto, e ch’essi non abbiano percepito il dinamismo d’un mondo che vuol
vivere più fraternamente, e che, malgrado le sue ignoranze, i suoi errori, e
anche i suoi peccati, le sue ricadute nella barbarie e le sue lunghe
divagazioni fuori della via della salvezza, si avvicina lentamente, anche senza
rendersene conto, al suo Creatore. Questo cammino verso una crescita di umanità
richiede sforzo e sacrificio: ma la stessa sofferenza, accettata per amore dei
fratelli, è portatrice di progresso per tutta la famiglia umana. I cristiani
sanno che l’unione al sacrificio del Salvatore contribuisce all’edificazione del
corpo di Cristo nella sua pienezza: il popolo di Dio coadunato.
Tutti
solidali
80. In questo cammino siamo tutti
solidali. A tutti perciò abbiamo voluto ricordare la vastità del dramma e
l’urgenza dell’opera da compiere. L’ora dell’azione è già suonata: la
sopravvivenza di tanti bambini innocenti, l’accesso a una condizione umana di
tante famiglie sventurate, la pace del mondo, l’avvenire della civiltà sono in
gioco. A tutti gli uomini e a tutti i popoli di assumersi le loro
responsabilità.
APPELLO FINALE
Cattolici
81. Noi scongiuriamo per primi
tutti i Nostri figli. Nei paesi in via di sviluppo non meno che altrove, i
laici devono assumere come loro compito specifico il rinnovamento dell’ordine
temporale. Se l’ufficio della gerarchia è quello di insegnare e interpretare in
modo autentico i principi morali da seguire in questo campo, spetta a loro,
attraverso la loro libera iniziativa e senza attendere passivamente consegne o
direttive, di penetrare di spirito cristiano la mentalità della loro comunità
di vita. Sono necessari dei cambiamenti, indispensabili delle riforme profonde:
essi devono impegnarsi risolutamente a infonder loro il soffio dello spirito
evangelico. Ai Nostri figli cattolici appartenenti ai paesi più favoriti Noi
domandiamo l’apporto della loro competenza e della loro attiva partecipazione
alle organizzazioni ufficiali o private, civili o religiose, che si dedicano a
vincere le difficoltà delle nazioni in via di sviluppo. Essi avranno senza
alcun dubbio a cuore di essere in prima linea tra coloro che lavorano a
tradurre nei fatti una morale internazionale di giustizia e di equità.
Cristiani
e credenti
82. Tutti i cristiani, nostri
fratelli, vorranno, non ne dubitiamo, ampliare il loro sforzo comune e
concertato allo scopo di aiutare il mondo a trionfare dell’egoismo,
dell’orgoglio e delle rivalità, a superare le ambizioni e le ingiustizie, ad
aprire a tutti le vie di una vita più umana, in cui ciascuno sia amato e
aiutato come il prossimo del suo fratello. E, ancora commossi al ricordo
dell’indimenticabile incontro di Bombay con i nostri fratelli non cristiani, di
nuovo Noi li invitiamo a cooperare con tutto il loro cuore e la loro
intelligenza, affinché tutti i figli degli uomini possano condurre una vita
degna dei figli di Dio.
Uomini
di buona volontà
83. Infine, ci volgiamo verso
tutti gli uomini di buona volontà consapevoli che il cammino della pace passa
attraverso lo sviluppo. Delegati presso le istituzioni internazionali, uomini
di Stato, pubblicisti, educatori, tutti, ciascuno al vostro posto, voi siete i
costruttori di un mondo nuovo Supplichiamo Dio onnipotente di illuminare la
vostra intelligenza e di fortificare il vostro coraggio nel risvegliare
l’opinione pubblica e trascinare i popoli. Educatori, tocca a voi di suscitare
sino dall’infanzia l’amore per i popoli in preda all’abbandono. Pubblicisti,
vostro è il compito di mettere sotto i nostri occhi gli sforzi compiuti per
promuovere il reciproco aiuto tra i popoli, così come lo spettacolo delle
miserie che gli uomini hanno tendenza a dimenticare per tranquillizzare la loro
coscienza: che i ricchi sappiano almeno che i poveri sono alla loro porta e
fanno la posta agli avanzi dei loro festini.
Uomini
di Stato
84. Uomini di Stato, su voi
incombe l’obbligo di mobilitare le vostre comunità ai fini di una solidarietà
mondiale più efficace, e anzitutto di far loro accettare i necessari
prelevamenti sul loro lusso e i loro sprechi per promuovere lo sviluppo e
salvare la pace. Delegati presso le organizzazioni internazionali, da voi
dipende che il pericoloso e sterile fronteggiarsi delle forze ceda il posto
alla collaborazione amichevole, pacifica e disinteressata per uno sviluppo
solidale dell’umanità: una umanità nella quale sia dato a tutti gli uomini di
raggiungere la loro piena fioritura.
Uomini
di pensiero
85. E se è vero che il mondo
soffre per mancanza di pensiero, Noi convochiamo gli uomini di riflessione e di
pensiero, cattolici, cristiani, quelli che onorano Dio, che sono assetati di
assoluto, di giustizia e di verità: tutti gli uomini di buona volontà.
Sull’esempio di Cristo, Noi osiamo pregarvi pressantemente: "Cercate e
troverete", aprite le vie che conducono, attraverso l’aiuto vicendevole,
l’approfondimento del sapere, l’allargamento del cuore, a una vita più fraterna
in una comunità umana veramente universale.
Tutti
all’opera
86. Voi tutti che avete inteso
l’appello dei popoli sofferenti, voi tutti che lavorate per rispondervi, voi
siete gli apostoli del buono e vero sviluppo, che non è la ricchezza egoista e
amata per se stessa, ma l’economia al servizio dell’uomo, il pane quotidiano
distribuito a tutti, quale sorgente di fraternità e segno della Provvidenza.
87. Di gran cuore vi benediciamo,
e chiamiamo tutti gli uomini di buona volontà ad unirsi fraternamente a voi.
Perché, se lo sviluppo è il nuovo nome della pace, chi non vorrebbe cooperarvi
con tutte le sue forze:? Sì, tutti: Noi vi invitiamo a rispondere al Nostro
grido di angoscia, nel Nome del Signore.
Dato a
Roma, presso San Pietro, il 26 marzo, solennità della risurrezione di nostro
Signore Gesù Cristo, dell’anno 1967, quarto del nostro pontificato.
PAOLO
PP. VI
POPULORUM
PROGRESSIO
ENCYCLICAL OF POPE
PAUL VI
ON THE DEVELOPMENT OF PEOPLES
MARCH
26, 1967
To the Bishops, Priests,
Religious, and Faithful of the Whole Catholic World, and to All Men of Good
Will.
Honored Brothers and Dear
Sons, Health and Apostolic Benediction.
The progressive development of peoples is an object of deep
interest and concern to the Church. This is particularly true in the case of
those peoples who are trying to escape the ravages of hunger, poverty, endemic
disease and ignorance; of those who are seeking a larger share in the benefits
of civilization and a more active improvement of their human qualities; of
those who are consciously striving for fuller growth.
The
Church's Concern
With an even clearer awareness, since the Second Vatican
Council, of the demands imposed by Christ's Gospel in this area, the Church
judges it her duty to help all men explore this serious problem in all its
dimensions, and to impress upon them the need for concerted action at this
critical juncture.
2. Our recent predecessors did not fail to do their duty in
this area. Their noteworthy messages shed the light of the Gospel on
contemporary social questions. There was Leo XIII's encyclical Rerum Novarum, (1) Pius
XI's encyclical Quadragesimo Anno, (2)
Pius XII's radio message to the world, (3) and John XXIII's two
encyclicals, Mater et Magistra (4)
and Pacem in Terris. (5)
A
Problem for All Men
3. Today it is most important for people to understand and
appreciate that the social question ties all men together, in every part of the
world. John XXIII stated this clearly, (6) and Vatican II confirmed it in its
Pastoral Constitution on The Church in the World of Today. (7) The seriousness
and urgency of these teachings must be recognized without delay.
The hungry nations of the world cry out to the peoples
blessed with abundance. And the Church, cut to the quick by this cry, asks each
and every man to hear his brother's plea and answer it lovingly.
Our
Journeys
4. Before We became pope, We traveled to Latin America (1960)
and Africa (1962). There We saw the perplexing problems that vex and besiege
these continents, which are otherwise full of life and promise. On being
elected pope, We became the father of all men. We made trips to Palestine and
India, gaining first-hand knowledge of the difficulties that these age-old
civilizations must face in their struggle for further development. Before the
close of the Second Vatican Council, providential circumstances allowed Vs to
address the United Nations and to plead the case of the impoverished nations
before that distinguished assembly.
Justice
and Peace
5. Even more recently, We sought to fulfill the wishes of the
Council and to demonstrate the Holy See's concern for the developing nations.
To do this, We felt it was necessary to add another pontifical commission to
the Church's central administration . The purpose of this commission is
"to awaken in the People of God full awareness of their mission today. In
this way they can further the progress of poorer nations and international
social justice, as well as help less developed nations to contribute to their
own development." (8)
The name of this commission, Justice and Peace, aptly
describes its program and its goal. We are sure that all men of good will want
to join Our fellow Catholics and fellow Christians in carrying out this
program. So today We earnestly urge all men to pool their ideas and their
activities for man's complete development and the development of all mankind.
I.
MAN 'S COMPLETE DEVELOPMENT
6. Today we see men trying to secure a sure food supply,
cures for diseases, and steady employment. We see them trying to eliminate
every ill, to remove every obstacle which offends man's dignity. They are
continually striving to exercise greater personal responsibility; to do more,
learn more, and have more so that they might increase their personal worth. And
yet, at the same time, a large number of them live amid conditions which
frustrate these legitimate desires.
Moreover, those nations which have recently gained
independence find that political freedom is not enough. They must also acquire
the social and economic structures and processes that accord with man's nature
and activity, if their citizens are to achieve personal growth and if their
country is to take its rightful place in the international community.
Effects
of Colonialism
7. Though insufficient for the immensity and urgency of the
task, the means inherited from the past are not totally useless. It is true
that colonizing nations were sometimes concerned with nothing save their own
interests, their own power and their own prestige; their departure left the
economy of these countries in precarious imbalance—the one-crop economy, for
example, which is at the mercy of sudden, wide-ranging fluctuations in market
prices. Certain types of colonialism surely caused harm and paved the way for
further troubles.
On the other hand, we must also reserve a word of praise for
those colonizers whose skills and technical know-how brought benefits to many
untamed lands, and whose work survives to this day. The structural machinery
they introduced was not fully developed or perfected, but it did help to reduce
ignorance and disease, to promote communication, and to improve living
conditions.
The
Widening Gap
8. Granted all this, it is only too clear that these
structures are no match for the harsh economic realities of today. Unless the
existing machinery is modified, the disparity between rich and poor nations
will increase rather than diminish; the rich nations are progressing with rapid
strides while the poor nations move forward at a slow pace.
The imbalance grows with each passing day: while some nations
produce a food surplus, other nations are in desperate need of food or are
unsure of their export market.
Signs
of Social Unrest
9. At the same time, social unrest has gradually spread
throughout the world. The acute restlessness engulfing the poorer classes in
countries that are now being industrialized has spread to other regions where
agriculture is the mainstay of the economy. The farmer is painfully aware of
his "wretched lot." (9)
Then there are the flagrant inequalities not merely in the
enjoyment of possessions, but even more in the exercise of power. In certain
regions a privileged minority enjoys the refinements of life, while the rest of
the inhabitants, impoverished and disunited, "are deprived of almost all
possibility of acting on their own initiative and responsibility, and often
subsist in living and working conditions unworthy of the human person."
(10) Cultural Conflicts
10. Moreover, traditional culture comes into conflict with
the advanced techniques of modern industrialization; social structures out of
tune with today's demands are threatened with extinction. For the older
generation, the rigid structures of traditional culture are the necessary
mainstay of one's personal and family life; they cannot be abandoned. The
younger generation, on the other hand, regards them as useless obstacles, and
rejects them to embrace new forms of societal life.
The conflict between generations leads to a tragic dilemma:
either to preserve traditional beliefs and structures and reject social
progress; or to embrace foreign technology and foreign culture, and reject
ancestral traditions with their wealth of humanism. The sad fact is that we
often see the older moral, spiritual and religious values give way without
finding any place in the new scheme of things.
Concomitant
Dangers
11. In such troubled times some people are strongly tempted
by the alluring but deceitful promises of would-be saviors. Who does not see
the concomitant dangers: public upheavals, civil insurrection, the drift toward
totalitarian ideologies?
These are the realities of the question under study here, and
their gravity must surely be apparent to everyone.
The
Church and Development
12. True to the teaching and example of her divine Founder,
who cited the preaching of the Gospel to the poor as a sign of His mission,
(12) the Church has never failed to foster the human progress of the nations to
which she brings faith in Christ. Besides erecting sacred edifices, her
missionaries have also promoted construction of hospitals, sanitariums, schools
and universities. By teaching the native population how to take full advantage
of natural resources, the missionaries often protected them from the greed of
foreigners.
We would certainly admit that this work was sometimes far
from perfect, since it was the work of men. The missionaries sometimes
intermingled the thought patterns and behavior patterns of their native land
with the authentic message of Christ. Yet, for all this, they did protect and
promote indigenous institutions; and many of them pioneered in promoting the
country's material and cultural progress.
We need only mention the efforts of Pere Charles de Foucauld:
he compiled a valuable dictionary of the Tuareg language, and his charity won
him the title, "everyone's brother." So We deem it fitting to praise
those oft forgotten pioneers who were motivated by love for Christ, just as We
honor their imitators and successors who today continue to put themselves at
the generous and unselfish service of those to whom they preach the Gospel.
The
Present Need
13. In the present day, however, individual and group effort
within these countries is no longer enough. The world situation requires the
concerted effort of everyone, a thorough examination of every facet of the
problem—social, economic, cultural and spiritual.
The Church, which has long experience in human affairs and
has no desire to be involved in the political activities of any nation,
"seeks but one goal: to carry forward the work of Christ under the lead of
the befriending Spirit. And Christ entered this world to give witness to the
truth; to save, not to judge; to serve, not to be served.'' (12)
Founded to build the kingdom of heaven on earth rather than
to acquire temporal power, the Church openly avows that the two powers—Church
and State—are distinct from one another; that each is supreme in its own sphere
of competency. (13) But since the Church does dwell among men, she has the duty
"of scrutinizing the signs of the times and of interpreting them in the
light of the Gospel." (14) Sharing the noblest aspirations of men and
suffering when she sees these aspirations not satisfied, she wishes to help
them attain their full realization. So she offers man her distinctive
contribution: a global perspective on man and human realities.
Authentic
Development
14. The development We speak of here cannot be restricted to
economic growth alone. To be authentic, it must be well rounded; it must foster
the development of each man and of the whole man. As an eminent specialist on
this question has rightly said: "We cannot allow economics to be separated
from human realities, nor development from the civilization in which it takes place.
What counts for us is man—each individual man, each human group, and humanity
as a whole.'' (15)
Personal
Responsibility
15. In God's plan, every man is born to seek
self-fulfillment, for every human life is called to some task by God. At birth
a human being possesses certain aptitudes and abilities in germinal form, and
these qualities are to be cultivated so that they may bear fruit. By developing
these traits through formal education of personal effort, the individual works
his way toward the goal set for him by the Creator.
Endowed with intellect and free will, each man is responsible
for his self-fulfillment even as he is for his salvation. He is helped, and
sometimes hindered, by his teachers and those around him; yet whatever be the
outside influences exerted on him, he is the chief architect of his own success
or failure. Utilizing only his talent and willpower, each man can grow in
humanity, enhance his personal worth, and perfect himself.
Man's
Supernatural Destiny
16. Self-development, however, is not left up to man's
option. Just as the whole of creation is ordered toward its Creator, so too the
rational creature should of his own accord direct his life to God, the first
truth and the highest good. Thus human self-fulfillment may be said to sum up
our obligations.
Moreover, this harmonious integration of our human nature,
carried through by personal effort and responsible activity, is destined for a
higher state of perfection. United with the life-giving Christ, man's life is
newly enhanced; it acquires a transcendent humanism which surpasses its nature
and bestows new fullness of life. This is the highest goal of human
self-fulfillment.
Ties
With All Men
17. Each man is also a member of society; hence he belongs to
the community of man. It is not just certain individuals but all men who are
called to further the development of human society as a whole. Civilizations
spring up, flourish and die. As the waves of the sea gradually creep farther
and farther in along the shoreline, so the human race inches its way forward
through history.
We are the heirs of earlier generations, and we reap benefits
from the efforts of our contemporaries; we are under obligation to all men.
Therefore we cannot disregard the welfare of those who will come after us to increase
the human family. The reality of human solidarity brings us not only benefits
but also obligations.
Development
in Proper Perspective
18. Man's personal and collective fulfillment could be
jeopardized if the proper scale of values were not maintained. The pursuit of
life's necessities is quite legitimate; hence we are duty-bound to do the work
which enables us to obtain them: "If anyone is unwilling to work, do not
let him eat.'' (l6) But the acquisition of worldly goods can lead men to greed,
to the unrelenting desire for more, to the pursuit of greater personal power.
Rich and poor alike—be they individuals, families or nations—can fall prey to
avarice and soulstifling materialism.
Latent
Dangers
19. Neither individuals nor nations should regard the
possession of more and more goods as the ultimate objective. Every kind of
progress is a two-edged sword. It is necessary if man is to grow as a human
being; yet it can also enslave him, if he comes to regard it as the supreme
good and cannot look beyond it. When this happens, men harden their hearts,
shut out others from their minds and gather together solely for reasons of
self-interest rather than out of friendship; dissension and disunity follow soon
after.
Thus the exclusive pursuit of material possessions prevents
man's growth as a human being and stands in opposition to his true grandeur.
Avarice, in individuals and in nations, is the most obvious form of stultified
moral development.
A
New Humanism Needed
20. If development calls for an ever-growing number of
technical experts, even more necessary still is the deep thought and reflection
of wise men in search of a new humanism, one which will enable our
contemporaries to enjoy the higher values of love and friendship, of prayer and
contemplation, (17) and thus find themselves. This is what will guarantee man's
authentic development—his transition from less than human conditions to truly
human ones.
The
Scale of Values
21. What are less than human conditions? The material poverty
of those who lack the bare necessities of life, and the moral poverty of those
who are crushed under the weight of their own self-love; oppressive political
structures resulting from the abuse of ownership or the improper exercise of
power, from the exploitation of the worker or unjust transactions.
What are truly human conditions? The rise from poverty to the
acquisition of life's necessities; the elimination of social ills; broadening
the horizons of knowledge; acquiring refinement and culture. From there one can
go on to acquire a growing awareness of other people's dignity, a taste for the
spirit of poverty, (l8) an active interest in the common good, and a desire for
peace. Then man can acknowledge the highest values and God Himself, their
author and end. Finally and above all, there is faith—God's gift to men of good
will—and our loving unity in Christ, who calls all men to share God's life as
sons of the living God, the Father of all men.
Issues
and Principles
22. In the very first pages of Scripture we read these words:
"Fill the earth and subdue it."(19) This teaches us that the whole of
creation is for man, that he has been charged to give it meaning by his
intelligent activity, to complete and perfect it by his own efforts and to his
own advantage.
Now if the earth truly was created to provide man with the
necessities of life and the tools for his own progress, it follows that every
man has the right to glean what he needs from the earth. The recent Council
reiterated this truth: "God intended the earth and everything in it for
the use of all human beings and peoples. Thus, under the leadership of justice
and in the company of charity, created goods should flow fairly to all."
(20)
All other rights, whatever they may be, including the rights
of property and free trade, are to be subordinated to this principle. They
should in no way hinder it; in fact, they should actively facilitate its
implementation. Redirecting these rights back to their original purpose must be
regarded as an important and urgent social duty.
The
Use of Private Property
23. "He who has the goods of this world and sees his
brother in need and closes his heart to him, how does the love of God abide in
him?" (21) Everyone knows that the Fathers of the Church laid down the
duty of the rich toward the poor in no uncertain terms. As St. Ambrose put it:
"You are not making a gift of what is yours to the poor man, but you are
giving him back what is his. You have been appropriating things that are meant
to be for the common use of everyone. The earth belongs to everyone, not to the
rich." (22) These words indicate that the right to private property is not
absolute and unconditional.
No one may appropriate surplus goods solely for his own
private use when others lack the bare necessities of life. In short, "as
the Fathers of the Church and other eminent theologians tell us, the right of
private property may never be exercised to the detriment of the common
good." When "private gain and basic community needs conflict with one
another," it is for the public authorities "to seek a solution to
these questions, with the active involvement of individual citizens and social
groups." (23)
The
Common Good
24. If certain landed estates impede the general prosperity
because they are extensive, unused or poorly used, or because they bring
hardship to peoples or are detrimental to the interests of the country, the
common good sometimes demands their expropriation.
Vatican II affirms this emphatically. (24) At the same time
it clearly teaches that income thus derived is not for man's capricious use,
and that the exclusive pursuit of personal gain is prohibited. Consequently, it
is not permissible for citizens who have garnered sizeable income from the
resources and activities of their own nation to deposit a large portion of
their income in foreign countries for the sake of their own private gain alone,
taking no account of their country's interests; in doing this, they clearly
wrong their country. (25)
The
Value of Industrialization
25. The introduction of industrialization, which is necessary
for economic growth and human progress, is both a sign of development and a
spur to it. By dint of intelligent thought and hard work, man gradually
uncovers the hidden laws of nature and learns to make better use of natural
resources. As he takes control over his way of life, he is stimulated to
undertake new investigations and fresh discoveries, to take prudent risks and
launch new ventures, to act responsibly and give of himself unselfishly.
Unbridled
Liberalism
26. However, certain concepts have somehow arisen out of
these new conditions and insinuated themselves into the fabric of human
society. These concepts present profit as the chief spur to economic progress,
free competition as the guiding norm of economics, and private ownership of the
means of production as an absolute right, having no limits nor concomitant
social obligations
This unbridled liberalism paves the way for a particular type
of tyranny, rightly condemned by Our predecessor Pius XI, for it results in the
"international imperialism of money."(26)
Such improper manipulations of economic forces can never be
condemned enough; let it be said once again that economics is supposed to be in
the service of man. (27)
But if it is true that a type of capitalism, as it is
commonly called, has given rise to hardships, unjust practices, and fratricidal
conflicts that persist to this day, it would be a mistake to attribute these
evils to the rise of industrialization itself, for they really derive from the
pernicious economic concepts that grew up along with it. We must in all
fairness acknowledge the vital role played by labor systemization and
industrial organization in the task of development.
Nobility
of Work
27. The concept of work can turn into an exaggerated
mystique. Yet, for all that, it is something willed and approved by God.
Fashioned in the image of his Creator, "man must cooperate with Him in
completing the work of creation and engraving on the earth the spiritual
imprint which he himself has received." (25) God gave man intelligence,
sensitivity and the power of thought—tools with which to finish and perfect the
work He began. Every worker is, to some extent, a creator—be he artist,
craftsman, executive, laborer or farmer.
Bent over a material that resists his efforts, the worker
leaves his imprint on it, at the same time developing his own powers of
persistence, inventiveness and concentration. Further, when work is done in
common—when hope, hardship, ambition and joy are shared—it brings together and
firmly unites the wills, minds and hearts of men. In its accomplishment, men
find themselves to be brothers. (29)
Dangers
and Ideals
28. Work, too, has a double edge. Since it promises money,
pleasure and power, it stirs up selfishness in some and incites other to
revolt. On the other hand, it also fosters a professional outlook, a sense of
duty, and love of neighbor. Even though it is now being organized more
scientifically and efficiently, it still can threaten man's dignity and enslave
him; for work is human only if it results from man's use of intellect and free
will.
Our predecessor John XXIII stressed the urgent need of
restoring dignity to the worker and making him a real partner in the common
task: "Every effort must be made to ensure that the enterprise is indeed a
true human community, concerned about the needs, the activities and the
standing of each of its members." (30)
Considered from a Christian point of view, work has an even
loftier connotation. It is directed to the establishment of a supernatural
order here on earth, (31) a task that will not be completed until we all unite
to form that perfect manhood of which St. Paul speaks, "the mature measure
of the fullness of Christ." (32)
Balanced
Progress Required
29. We must make haste. Too many people are suffering. While
some make progress, others stand still or move backwards; and the gap between
them is widening. However, the work must proceed in measured steps if the
proper equilibrium is to be maintained. Makeshift agrarian reforms may fall
short of their goal. Hasty industrialization can undermine vital institutions
and produce social evils, causing a setback to true human values.
Reform,
Not Revolution
30. The injustice of certain situations cries out for God's
attention. Lacking the bare necessities of life, whole nations are under the
thumb of others; they cannot act on their own initiative; they cannot exercise
personal responsibility; they cannot work toward a higher degree of cultural
refinement or a greater participation in social and public life. They are
sorely tempted to redress these insults to their human nature by violent means.
31. Everyone knows, however, that revolutionary
uprisings—except where there is manifest, longstanding tyranny which would do
great damage to fundamental personal rights and dangerous harm to the common
good of the country—engender new injustices, introduce new inequities and bring
new disasters. The evil situation that exists, and it surely is evil, may not
be dealt with in such a way that an even worse situation results.
A
Task for Everyone
32. We want to be clearly understood on this point: The
present state of affairs must be confronted boldly, and its concomitant
injustices must be challenged and overcome. Continuing development calls for
bold innovations that will work profound changes. The critical state of affairs
must be corrected for the better without delay.
Everyone must lend a ready hand to this task, particularly
those who can do most by reason of their education, their office, or their
authority. They should set a good example by contributing part of their own
goods, as several of Our brother bishops have done. (33) In this way they will
be responsive to men's longings and faithful to the Holy Spirit, because
"the ferment of the Gospel, too, has aroused and continues to arouse in
man's heart the irresistible requirements of his dignity. (34)
Programs
and Planning
33. Individual initiative alone and the interplay of
competition will not ensure satisfactory development. We cannot proceed to
increase the wealth and power of the rich while we entrench the needy in their
poverty and add to the woes of the oppressed. Organized programs are necessary
for "directing, stimulating, coordinating, supplying and integrating"
(35) the work of individuals and intermediary organizations.
It is for the public authorities to establish and lay down
the desired goals, the plans to be followed, and the methods to be used in
fulfilling them; and it is also their task to stimulate the efforts of those
involved in this common activity. But they must also see to it that private
initiative and intermediary organizations are involved in this work. In this way
they will avoid total collectivization and the dangers of a planned economy
which might threaten human liberty and obstruct the exercise of man's basic
human rights.
The
Ultimate Purpose
34. Organized programs designed to increase productivity
should have but one aim: to serve human nature. They should reduce inequities,
eliminate discrimination, free men from the bonds of servitude, and thus give
them the capacity, in the sphere of temporal realities, to improve their lot,
to further their moral growth and to develop their spiritual endowments. When
we speak of development, we should mean social progress as well as economic
growth.
It is not enough to increase the general fund of wealth and
then distribute it more fairly. It is not enough to develop technology so that
the earth may become a more suitable living place for human beings. The
mistakes of those who led the way should help those now on the road to
development to avoid certain dangers. The reign of technology—technocracy, as
it is called—can cause as much harm to the world of tomorrow as liberalism did
to the world of yesteryear. Economics and technology are meaningless if they do
not benefit man, for it is he they are to serve. Man is truly human only if he
is the master of his own actions and the judge of their worth, only if he is
the architect of his own progress. He must act according to his God-given
nature, freely accepting its potentials and its claims upon him.
Basic
Education
35. We can even say that economic growth is dependent on
social progress, the goal to which it aspires; and that basic education is the
first objective for any nation seeking to develop itself. Lack of education is
as serious as lack of food; the illiterate is a starved spirit. When someone
learns how to read and write, he is equipped to do a job and to shoulder a
profession, to develop self-confidence and realize that he can progress along
with others. As We said in Our message to the UNESCO meeting at Teheran,
literacy is the "first and most basic tool for personal enrichment and
social integration; and it is society's most valuable tool for furthering
development and economic progress." (36)
We also rejoice at the good work accomplished in this field
by private initiative, by the public authorities, and by international
organizations. These are the primary agents of development, because they enable
man to act for himself.
Role
of the Family
36. Man is not really himself, however, except within the
framework of society and there the family plays the basic and most important
role. The family's influence may have been excessive at some periods of history
and in some places, to the extent that it was exercised to the detriment of the
fundamental rights of the individual. Yet time honored social frameworks,
proper to the developing nations, are still necessary for awhile, even as their
excessive strictures are gradually relaxed. The natural family, stable and
monogamous—as fashioned by God (37) and sanctified by Christianity—"in
which different generations live together, helping each other to acquire
greater wisdom and to harmonize personal rights with other social needs, is the
basis of society" (38)
Population
Growth
37. There is no denying that the accelerated rate of
population growth brings many added difficulties to the problems of development
where the size of the population grows more rapidly than the quantity of
available resources to such a degree that things seem to have reached an
impasse. In such circumstances people are inclined to apply drastic remedies to
reduce the birth rate.
There is no doubt that public authorities can intervene in
this matter, within the bounds of their competence. They can instruct citizens
on this subject and adopt appropriate measures, so long as these are in
conformity with the dictates of the moral law and the rightful freedom of
married couples is preserved completely intact. When the inalienable right of
marriage and of procreation is taken away, so is human dignity.
Finally, it is for parents to take a thorough look at the
matter and decide upon the number of their children. This is an obligation they
take upon themselves, before their children already born, and before the
community to which they belong—following the dictates of their own consciences
informed by God's law authentically interpreted, and bolstered by their trust
in Him. (39)
Professional
Organizations
38. In the task of development man finds the family to be the
first and most basic social structure; but he is often helped by professional
organizations. While such organizations are founded to aid and assist their
members, they bear a heavy responsibility for the task of education which they
can and must carry out. In training and developing individual men, they do much
to cultivate in them an awareness of the common good and of its demands upon
all.
39. Every form of social action involves some doctrine; and
the Christian rejects that which is based on a materialistic and atheistic
philosophy, namely one which shows no respect for a religious outlook on life,
for freedom or human dignity. So long as these higher values are preserved
intact, however, the existence of a variety of professional organizations and
trade unions is permissible. Variety may even help to preserve freedom and
create friendly rivalry. We gladly commend those people who unselfishly serve
their brothers by working in such organizations.
Cultural
Institutions
40. Cultural institutions also do a great deal to further the
work of development. Their important role was stressed by the Council: ".
. . the future of the world stands in peril unless wiser men are forthcoming.
It should also be pointed out that many nations, poorer in economic goods, are
quite rich in wisdom and can offer noteworthy advantages to others." (40)
Every country, rich or poor, has a cultural tradition handed
down from past generations. This tradition includes institutions required by
life in the world, and higher manifestations— artistic, intellectual and
religious—of the life of the spirit. When the latter embody truly human values,
it would be a great mistake to sacrifice them for the sake of the former. Any
group of people who would consent to let this happen, would be giving up the
better portion of their heritage; in order to live, they would be giving up
their reason for living. Christ's question is directed to nations also:
"What does it profit a man, if he gain the whole world but suffer the loss
of his own soul?'' (41)
Avoiding
Past Temptations
41. The poorer nations can never be too much on guard against
the temptation posed by the wealthier nations. For these nations, with their
favorable results from a highly technical and culturally developed
civilization, provide an example of work and diligence with temporal prosperity
the main pursuit. Not that temporal prosperity of itself precludes the activity
of the human spirit. Indeed, with it, "the human spirit, being less
subjected to material things, can be more easily drawn to the worship and
contemplation of the Creator." (42) On the other hand, "modern
civilization itself often complicates the approach to God, not for any
essential reason, but because it is so much engrossed in worldly affairs .
" (43)
The developing nations must choose wisely from among the
things that are offered to them. They must test and reject false values that
would tarnish a truly human way of life, while accepting noble and useful
values in order to develop them in their own distinctive way, along with their
own indigenous heritage.
A
Full-Bodied Humanism
42. The ultimate goal is a full-bodied humanism. (44) And
does this not mean the fulfillment of the whole man and of every man? A narrow
humanism, closed in on itself and not open to the values of the spirit and to
God who is their source, could achieve apparent success, for man can set about
organizing terrestrial realities without God. But "closed off from God,
they will end up being directed against man. A humanism closed off from other
realities becomes inhuman." (45)
True humanism points the way toward God and acknowledges the
task to which we are called, the task which offers us the real meaning of human
life. Man is not the ultimate measure of man. Man becomes truly man only by
passing beyond himself. In the words of Pascal: "Man infinitely surpasses
man." (46)
II.
THE COMMON DEVELOPMENT OF MANKIND
43. Development of the individual necessarily entails a joint
effort for the development of the human race as a whole. At Bombay We said:
"Man must meet man, nation must meet nation, as brothers and sisters, as
children of God. In this mutual understanding and friendship, in this sacred
communion, we must also begin to work together to build the common future of
the human race." (47) We also urge men to explore concrete and practicable
ways of organizing and coordinating their efforts, so that available resources
might be shared with others; in this way genuine bonds between nations might be
forged.
Three
Major Duties
44. This duty concerns first and foremost the wealthier
nations. Their obligations stem from the human and supernatural brotherhood of
man, and present a three-fold obligation: 1) mutual solidarity—the aid that the
richer nations must give to developing nations; 2) social justice—the
rectification of trade relations between strong and weak nations; 3) universal
charity—the effort to build a more humane world community, where all can give
and receive, and where the progress of some is not bought at the expense of
others. The matter is urgent, for on it depends the future of world
civilization.
Aid
to Developing Nations
45. "If a brother or a sister be naked and in want of
daily food," says St. James, "and one of you say to them, 'Go in
peace, be warm and filled,' yet you do not give them what is necessary for the
body, what does it profit?" (48) Today no one can be unaware of the fact
that on some continents countless men and women are ravished by hunger and
countless children are undernourished. Many children die at an early age; many
more of them find their physical and mental growth retarded. Thus whole
populations are immersed in pitiable circumstances and lose heart.
46. Anxious appeals for help have already been voiced. That
of Our predecessor John XXIII was warmly received. (49) We reiterated his
sentiments in Our Christmas message of 1963, (50) and again in 1966 on behalf
of India. (51) The work of the Food and Agriculture Organization of the United
Nations (FAO) has been encouraged by the Holy See and has found generous
support. Our own organization, Caritas Internationalis, is at work
all over the world. Many Catholics, at the urging of Our brother bishops, have
contributed unstintingly to the assistance of the needy and have gradually
widened the circle of those they call neighbors.
A
World of Free Men
47. But these efforts, as well as public and private
allocations of gifts, loans and investments, are not enough. It is not just a
question of eliminating hunger and reducing poverty. It is not just a question
of fighting wretched conditions, though this is an urgent and necessary task.
It involves building a human community where men can live truly human lives,
free from discrimination on account of race, religion or nationality, free from
servitude to other men or to natural forces which they cannot yet control
satisfactorily. It involves building a human community where liberty is not an
idle word, where the needy Lazarus can sit down with the rich man at the same
banquet table. (52)
On the part of the rich man, it calls for great generosity,
willing sacrifice and diligent effort. Each man must examine his conscience,
which sounds a new call in our present times. Is he prepared to support, at his
own expense, projects and undertakings designed to help the needy? Is he
prepared to pay higher taxes so that public authorities may expand their
efforts in the work of development? Is he prepared to pay more for imported
goods, so that the foreign producer may make a fairer profit? Is he prepared to
emigrate from his homeland if necessary and if he is young, in order to help
the emerging nations?
A
National Duty
48. The duty of promoting human solidarity also falls upon
the shoulders of nations: "It is a very important duty of the advanced
nations to help the developing nations . . ." (53) This conciliar teaching
must be implemented. While it is proper that a nation be the first to enjoy the
God-given fruits of its own labor, no nation may dare to hoard its riches for
its own use alone. Each and every nation must produce more and better goods and
products, so that all its citizens may live truly human lives and so that it
may contribute to the common development of the human race.
Considering the mounting indigence of less developed countries,
it is only fitting that a prosperous nation set aside some of the goods it has
produced in order to alleviate their needs; and that it train educators,
engineers, technicians and scholars who will contribute their knowledge and
their skill to these less fortunate countries.
Superfluous
Wealth
49. We must repeat that the superfluous goods of wealthier
nations ought to be placed at the disposal of poorer nations. The rule, by
virtue of which in times past those nearest us were to be helped in time of need,
applies today to all the needy throughout the world. And the prospering peoples
will be the first to benefit from this. Continuing avarice on their part will
arouse the judgment of God and the wrath of the poor, with consequences no one
can foresee. If prosperous nations continue to be jealous of their own
advantage alone, they will jeopardize their highest values, sacrificing the
pursuit of excellence to the acquisition of possessions. We might well apply to
them the parable of the rich man. His fields yielded an abundant harvest and he
did not know where to store it: "But God said to him, 'Fool, this very
night your soul will be demanded from you . . .' " (54)
Concerted
Planning
50. If these efforts are to be successful, they cannot be
disparate and disorganized; nor should they vie with one another for the sake
of power or prestige. The times call for coordinated planning of projects and
programs, which are much more effective than occasional efforts promoted by
individual goodwill.
As We said above, studies must be made, goals must be
defined, methods and means must be chosen, and the work of select men must be
coordinated; only then will present needs be met and future demands
anticipated. Moreover, such planned programs do more than promote economic and
social progress. They give force and meaning to the work undertaken, put due
order into human life, and thus enhance man's dignity and his capabilities.
A
World Fund
51. A further step must be taken. When We were at Bombay for
the Eucharistic Congress, We asked world leaders to set aside part of their
military expenditures for a world fund to relieve the needs of impoverished
peoples. (55) What is true for the immediate war against poverty is also true
for the work of national development. Only a concerted effort on the part of
all nations, embodied in and carried out by this world fund, will stop these
senseless rivalries and promote fruitful, friendly dialogue between nations.
52. It is certainly all right to maintain bilateral and multilateral
agreements. Through such agreements, ties of dependence and feelings of
jealousy—holdovers from the era of colonialism —give way to friendly
relationships of true solidarity that are based on juridical and political
equality. But such agreements would be free of all suspicion if they were
integrated into an overall policy of worldwide collaboration. The member
nations, who benefit from these agreements, would have less reason for fear or
mistrust. They would not have to worry that financial or technical assistance
was being used as a cover for some new form of colonialism that would threaten
their civil liberty, exert economic pressure on them, or create a new power
group with controlling influence.
53. Is it not plain to everyone that such a fund would reduce
the need for those other expenditures that are motivated by fear and stubborn
pride? Countless millions are starving, countless families are destitute,
countless men are steeped in ignorance; countless people need schools,
hospitals, and homes worthy of the name. In such circumstances, we cannot
tolerate public and private expenditures of a wasteful nature; we cannot but
condemn lavish displays of wealth by nations or individuals; we cannot approve
a debilitating arms race. It is Our solemn duty to speak out against them. If
only world leaders would listen to Us, before it is too late!
Dialogue
Between Nations
54. All nations must initiate the dialogue which We called
for in Our first encyclical, Ecclesiam Suam. (56) A
dialogue between those who contribute aid and those who receive it will permit
a well-balanced assessment of the support to be provided, taking into
consideration not only the generosity and the available wealth of the donor
nations, but also the real needs of the receiving countries and the use to
which the financial assistance can be put. Developing countries will thus no
longer risk being overwhelmed by debts whose repayment swallows up the greater
part of their gains. Rates of interest and time for repayment of the loan could
be so arranged as not to be too great a burden on either party, taking into
account free gifts, interest-free or low-interest loans, and the time needed
for liquidating the debts.
The donors could certainly ask for assurances as to how the
money will be used. It should be used for some mutually acceptable purpose and
with reasonable hope of success, for there is no question of backing idlers and
parasites. On the other hand, the recipients would certainly have the right to
demand that no one interfere in the internal affairs of their government or
disrupt their social order. As sovereign nations, they are entitled to manage
their own affairs, to fashion their own policies, and to choose their own form
of government. In other words, what is needed is mutual cooperation among
nations, freely undertaken, where each enjoys equal dignity and can help to
shape a world community truly worthy of man.
An
Urgent Task
55. This task might seem impossible in those regions where
the daily struggle for subsistence absorbs the attention of the family, where
people are at a loss to find work that might improve their lot during their
remaining days on earth. These people must be given every possible help; they
must be encouraged to take steps for their own betterment and to seek out the
means that will enable them to do so. This common task undoubtedly calls for
concerted, continuing and courageous effort. But let there be no doubt about
it, it is an urgent task. The very life of needy nations, civil peace in the
developing countries, and world peace itself are at stake.
Equity
in Trade Relations
56. Efforts are being made to help the developing nations
financially and technologically. Some of these efforts are considerable. Yet
all these efforts will prove to be vain and useless, if their results are
nullified to a large extent by the unstable trade relations between rich and
poor nations. The latter will have no grounds for hope or trust if they fear
that what is being given them with one hand is being taken away with the other.
Growing
Distortion
57. Highly industrialized nations export their own
manufactured products, for the most part. Less developed nations, on the other
hand, have nothing to sell but raw materials and agricultural crops. As a
result of technical progress, the price of manufactured products is rising
rapidly and they find a ready market. But the basic crops and raw materials
produced by the less developed countries are subject to sudden and wide-ranging
shifts in market price; they do not share in the growing market value of
industrial products.
This poses serious difficulties to the developing nations.
They depend on exports to a large extent for a balanced economy and for further
steps toward development. Thus the needy nations grow more destitute, while the
rich nations become even richer.
Free
Trade Concept Inadequate
58. It is evident that the principle of free trade, by
itself, is no longer adequate for regulating international agreements. It
certainly can work when both parties are about equal economically; in such
cases it stimulates progress and rewards effort. That is why industrially
developed nations see an element of justice in this principle.
But the case is quite different when the nations involved are
far from equal. Market prices that are freely agreed upon can turn out to be
most unfair. It must be avowed openly that, in this case, the fundamental tenet
of liberalism (as it is called), as the norm for market dealings, is open to
serious question.
Justice
at Every Level
59. The teaching set forth by Our predecessor Leo XIII
in Rerum Novarum is
still valid today: when two parties are in very unequal positions, their mutual
consent alone does not guarantee a fair contract; the rule of free consent
remains subservient to the demands of the natural law. (57) In Rerum Novarum this principle was
set down with regard to a just wage for the individual worker; but it should be
applied with equal force to contracts made between nations: trade relations can
no longer be based solely on the principle of free, unchecked competition, for
it very often creates an economic dictatorship. Free trade can be called just
only when it conforms to the demands of social justice.
60. As a matter of fact, the highly developed nations have
already come to realize this. At times they take appropriate measures to
restore balance to their own economy, a balance which is frequently upset by
competition when left to itself. Thus it happens that these nations often
support their agriculture at the price of sacrifices imposed on economically
more favored sectors. Similarly, to maintain the commercial relations which are
developing among themselves, especially within a common market, the financial,
fiscal and social policy of these nations tries to restore comparable opportunities
to competing industries which are not equally prospering.
One
Standard for All
61. Now in this matter one standard should hold true for all.
What applies to national economies and to highly developed nations must also
apply to trade relations between rich and poor nations. Indeed, competition
should not be eliminated from trade transactions; but it must be kept within
limits so that it operates justly and fairly, and thus becomes a truly human
endeavor.
Now in trade relations between the developing and the highly
developed economies there is a great disparity in their overall situation and
in their freedom of action. In order that international trade be human and
moral, social justice requires that it restore to the participants a certain
equality of opportunity. To be sure, this equality will not be attained at
once, but we must begin to work toward it now by injecting a certain amount of
equality into discussions and price talks.
Here again international agreements on a broad scale can help
a great deal. They could establish general norms for regulating prices,
promoting production facilities, and favoring certain infant industries. Isn't
it plain to everyone that such attempts to establish greater justice in
international trade would be of great benefit to the developing nations, and
that they would produce lasting results?
The
Obstacles of Nationalism
62. There are other obstacles to creation of a more just
social order and to the development of world solidarity: nationalism and
racism. It is quite natural that nations recently arrived at political
independence should be quite jealous of their new-found but fragile unity and
make every effort to preserve it. It is also quite natural for nations with a
long-standing cultural tradition to be proud of their traditional heritage. But
this commendable attitude should be further ennobled by love, a love for the
whole family of man. Haughty pride in one's own nation disunites nations and
poses obstacles to their true welfare. It is especially harmful where the weak
state of the economy calls for a pooling of information, efforts and financial
resources to implement programs of development and to increase commercial and
cultural interchange. . . . and Racism
63. Racism is not the exclusive attribute of young nations,
where sometimes it hides beneath the rivalries of clans and political parties,
with heavy losses for justice and at the risk of civil war. During the colonial
period it often flared up between the colonists and the indigenous population,
and stood in the way of mutually profitable understanding, often giving rise to
bitterness in the wake of genuine injustices. It is still an obstacle to
collaboration among disadvantaged nations and a cause of division and hatred
within countries whenever individuals and families see the inviolable rights of
the human person held in scorn, as they themselves are unjustly subjected to a
regime of discrimination because of their race or their color.
Hopes
for the Future
64. This state of affairs, which bodes ill for the future,
causes Us great distress and anguish. But We cherish this hope: that distrust
and selfishness among nations will eventually be overcome by a stronger desire
for mutual collaboration and a heightened sense of solidarity. We hope that the
developing nations will take advantage of their geographical proximity to one
another to organize on a broader territorial base and to pool their efforts for
the development of a given region. We hope that they will draw up joint
programs, coordinate investment funds wisely, divide production quotas fairly,
and exercise management over the marketing of these products. We also hope that
multilateral and broad international associations will undertake the necessary
work of organization to find ways of helping needy nations, so that these
nations may escape from the fetters now binding them; so that they themselves
may discover the road to cultural and social progress, while remaining faithful
to the native genius of their land.
The
Artisans of Destiny
65. That is the goal toward which we must work. An ever more
effective world solidarity should allow all peoples to become the artisans of
their destiny. Up to now relations between nations have too often been governed
by force; indeed, that is the hallmark of past history.
May the day come when international relationships will be
characterized by respect and friendship, when mutual cooperation will be the
hallmark of collaborative efforts, and when concerted effort for the betterment
of all nations will be regarded as a duty by every nation. The developing
nations now emerging are asking that they be allowed to take part in the
construction of a better world, a world which would provide better protection
for every man's rights and duties. It is certainly a legitimate demand, so
everyone must heed and fulfill it.
Worldwide
Brotherly Love
66. Human society is sorely ill. The cause is not so much the
depletion of natural resources, nor their monopolistic control by a privileged
few; it is rather the weakening of brotherly ties between individuals and
nations.
Welcoming
the Stranger
67. We cannot insist too much on the duty of giving
foreigners a hospitable reception. It is a duty imposed by human solidarity and
by Christian charity, and it is incumbent upon families and educational
institutions in the host nations.
Young people, in particular, must be given a warm reception;
more and more families and hostels must open their doors to them. This must be
done, first of all, that they may be shielded from feelings of loneliness,
distress and despair that would sap their strength. It is also necessary so
that they may be guarded against the corrupting influence of their new
surroundings, where the contrast between the dire poverty of their homeland and
the lavish luxury of their present surroundings is, as it were, forced upon
them. And finally, it must be done so that they may be protected from
subversive notions and temptations to violence, which gain headway in their
minds when they ponder their "wretched plight.'' (58) In short, they
should be welcomed in the spirit of brotherly love, so that the concrete
example of wholesome living may give them a high opinion of authentic Christian
charity and of spiritual values.
68. We are deeply distressed by what happens to many of these
young people. They come to wealthier nations to acquire scientific knowledge,
professional training, and a high-quality education that will enable them to
serve their own land with greater effectiveness. They do get a fine education,
but very often they lose their respect for the priceless cultural heritage of
their native land.
69. Emigrant workers should also be given a warm welcome.
Their living conditions are often inhuman, and they must scrimp on their
earnings in order to send help to their families who have remained behind in
their native land in poverty.
A
Social Sense
70. We would also say a word to those who travel to newly
industrialized nations for business purposes: industrialists, merchants,
managers and representatives of large business concerns. It often happens that
in their own land they do not lack a social sense. Why is it, then, that they
give in to baser motives of self-interest when they set out to do business in
the developing countries? Their more favored position should rather spur them
on to be initiators of social progress and human betterment in these lands.
Their organizational experience should help them to figure out ways to make
intelligent use of the labor of the indigenous population, to develop skilled
workers, to train engineers and other management men, to foster these people's
initiative and prepare them for offices of ever greater responsibility. In this
way they will prepare these people to take over the burden of management in the
near future.
In the meantime, justice must prevail in dealings between
superiors and their subordinates. Legitimate contracts should govern these
employment relations, spelling out the duties involved. And no one, whatever
his status may be, should be unjustly subjected to the arbitrary whim of
another.
Development
Missions
71. We certainly rejoice over the fact that an ever
increasing number of experts are being sent on development missions by private
groups, bilateral associations and international organizations. These
specialists must not "act as overlords, but as helpers and fellow
workers.'' (59) The people of a country soon discover whether their new helpers
are motivated by good will or not, whether they want to enhance human dignity
or merely try out their special techniques. The expert's message will surely be
rejected by these people if it is not inspired by brotherly love.
The
Role of Experts
72. Technical expertise is necessary, but it must be
accompanied by concrete signs of genuine love. Untainted by overbearing
nationalistic pride or any trace of racial discrimination, experts should learn
how to work in collaboration with everyone. They must realize that their expert
knowledge does not give them superiority in every sphere of life. The culture
which shaped their living habits does contain certain universal human elements;
but it cannot be regarded as the only culture, nor can it regard other cultures
with haughty disdain. If it is introduced into foreign lands, it must undergo
adaptation.
Thus those who undertake such work must realize they are
guests in a foreign land; they must see to it that they studiously observe its
historical traditions, its rich culture, and its peculiar genius. A
rapprochement between cultures will thus take place, bringing benefits to both
sides.
Service
to the World
73. Sincere dialogue between cultures, as between individuals,
paves the way for ties of brotherhood. Plans proposed for man's betterment will
unite all nations in the joint effort to be undertaken, if every citizen—be he
a government leader, a public official, or a simple workman—is motivated by
brotherly love and is truly anxious to build one universal human civilization
that spans the globe. Then we shall see the start of a dialogue on man rather
than on the products of the soil or of technology.
This dialogue will be fruitful if it shows the participants
how to make economic progress and how to achieve spiritual growth as well; if
the technicians take the role of teachers and educators; if the training
provided is characterized by a concern for spiritual and moral values, so that
it ensures human betterment as well as economic growth. Then the bonds of
solidarity will endure, even when the aid programs are past and gone. It is not
plain to all that closer ties of this sort will contribute immeasurably to the
preservation of world peace?
An
Appeal to Youth
74. We are fully aware of the fact that many young people
have already responded wholeheartedly to the invitation of Our
predecessor Pius XII, summoning the
laity to take part in missionary work. (60) We also know that other young
people have offered their services to public and private organizations that
seek to aid developing nations. We are delighted to learn that in some nations
their requirement of military duty can be fulfilled, in part at least, by
social service or, simply, service. We commend such undertakings and the men of
good will who take part in them. Would that all those who profess to be
followers of Christ might heed His plea: "I was hungry and you gave me to
eat; I was thirsty and you gave me to drink; I was a stranger and you took me
in; naked and you covered me; sick and you visited me; I was in prison and you
came to me." (61)
No one is permitted to disregard the plight of his brothers
living in dire poverty, enmeshed in ignorance and tormented by insecurity. The
Christian, moved by this sad state of affairs, should echo the words of Christ:
"I have compassion on the crowd." (62)
Prayer
and Action
75. Let everyone implore God the Father Almighty that the
human race, which is certainly aware of these evils, will bend every effort of
mind and spirit to their eradication. To this prayer should be added the
resolute commitment of every individual. Each should do as much as he can, as
best he can, to counteract the slow pace of progress in some nations. And it is
to be hoped that individuals, social organizations and nations will join hands
in brotherly fashion—the strong aiding the weak—all contributing their
knowledge, their enthusiasm and their love to the task, without thinking of
their own convenience.
It is the person who is motivated by genuine love, more than
anyone else, who pits his intelligence against the problems of poverty, trying
to uncover the causes and looking for effective ways of combatting and
overcoming them. As a promoter of peace, "he goes on his way, holding
aloft the torch of joy and shedding light and grace on the hearts of men all
over the world; he helps them to cross the barriers of geographical frontiers,
to acknowledge every man as a friend and brother." (63)
Development,
the New Name for Peace
76. Extreme disparity between nations in economic, social and
educational levels provokes jealousy and discord, often putting peace in
jeopardy. As We told the Council Fathers on Our return from the United Nations:
"We have to devote our attention to the situation of those nations still
striving to advance. What We mean, to put it in clearer words, is that our
charity toward the poor, of whom there are countless numbers in the world, has
to become more solicitous, more effective, more generous." (64)
When we fight poverty and oppose the unfair conditions of the
present, we are not just promoting human well-being; we are also furthering
man's spiritual and moral development, and hence we are benefiting the whole
human race. For peace is not simply the absence of warfare, based on a
precarious balance of power; it is fashioned by efforts directed day after day
toward the establishment of the ordered universe willed by God, with a more
perfect form of justice among men. (65)
77. Nations are the architects of their own development, and
they must bear the burden of this work; but they cannot accomplish it if they
live in isolation from others. Regional mutual aid agreements among the poorer
nations, broader based programs of support for these nations, major alliances
between nations to coordinate these activities—these are the road signs that
point the way to national development and world peace.
Toward
an Effective World Authority
78. Such international collaboration among the nations of the
world certainly calls for institutions that will promote, coordinate and direct
it, until a new juridical order is firmly established and fully ratified. We
give willing and wholehearted support to those public organizations that have
already joined in promoting the development of nations, and We ardently hope
that they will enjoy ever growing authority. As We told the United Nations
General Assembly in New York: "Your vocation is to bring not just some
peoples but all peoples together as brothers. . . Who can fail to see the need
and importance of thus gradually coming to the establishment of a world
authority capable of taking effective action on the juridical and political
planes?" (66)
Hope
for the Future
79. Some would regard these hopes as vain flights of fancy.
It may be that these people are not realistic enough, and that they have not
noticed that the world is moving rapidly in a certain direction. Men are
growing more anxious to establish closer ties of brotherhood; despite their
ignorance, their mistakes, their offenses, and even their lapses into barbarism
and their wanderings from the path of salvation, they are slowly making their
way to the Creator, even without adverting to it.
This struggle toward a more human way of life certainly calls
for hard work and imposes difficult sacrifices. But even adversity, when
endured for the sake of one's brothers and out of love for them, can contribute
greatly to human progress. The Christian knows full well that when he unites
himself with the expiatory sacrifice of the Divine Savior, he helps greatly to
build up the body of Christ, (67) to assemble the People of God into the
fullness of Christ.
A
Final Appeal
80. We must travel this road together, united in minds and
hearts. Hence We feel it necessary to remind everyone of the seriousness of
this issue in all its dimensions, and to impress upon them the need for action.
The moment for action has reached a critical juncture. Can countless innocent
children be saved? Can countless destitute families obtain more human living
conditions? Can world peace and human civilization be preserved intact? Every
individual and every nation must face up to this issue, for it is their
problem.
To
Catholics
81. We appeal, first of all, to Our sons. In the developing
nations and in other countries lay people must consider it their task to
improve the temporal order. While the hierarchy has the role of teaching and
authoritatively interpreting the moral laws and precepts that apply in this
matter, the laity have the duty of using their own initiative and taking action
in this area—without waiting passively for directives and precepts from others.
They must try to infuse a Christian spirit into people's mental outlook and
daily behavior, into the laws and structures of the civil community. (68)
Changes must be made; present conditions must be improved. And the
transformations must be permeated with the spirit of the Gospel.
We especially urge Catholic men living in developed nations
to offer their skills and earnest assistance to public and private
organizations, both civil and religious, working to solve the problems of
developing nations. They will surely want to be in the first ranks of those who
spare no effort to have just and fair laws, based on moral precepts,
established among all nations.
To
Other Christians and Believers
82. All Our Christian brothers, We are sure will want to
consolidate and expand their collaborative efforts to reduce man's immoderate
self-love and haughty pride, to eliminate quarrels and rivalries, and to repress
demagoguery and injustice—so that a more human way of living is opened to all,
with each man helping others out of brotherly love.
Furthermore, We still remember with deep affection the
dialogue We had with various non Christian individuals and communities in
Bombay. So once again We ask these brothers of Ours to do all in their power to
promote living conditions truly worthy of the children of God.
To
All Men of Good Will
83. Finally, We look to all men of good will, reminding them
that civil progress and economic development are the only road to peace.
Delegates to international organizations, public officials, gentlemen of the
press, teachers and educators—all of you must realize that you have your part
to play in the construction of a new world order. We ask God to enlighten and
strengthen you all, so that you may persuade all men to turn their attention to
these grave questions and prompt nations to work toward their solution .
Educators, you should resolve to inspire young people with a
love for the needy nations. Gentlemen of the press, your job is to place before
our eyes the initiatives that are being taken to promote mutual aid, and the
tragic spectacle of misery and poverty that people tend to ignore in order to
salve their consciences. Thus at least the wealthy will know that the poor
stand outside their doors waiting to receive some leftovers from their
banquets.
To
Government Authorities
84. Government leaders, your task is to draw your communities
into closer ties of solidarity with all men, and to convince them that they
must accept the necessary taxes on their luxuries and their wasteful
expenditures in order to promote the development of nations and the
preservation of peace. Delegates to international organizations, it is largely
your task to see to it that senseless arms races and dangerous power plays give
way to mutual collaboration between nations, a collaboration that is friendly,
peace oriented, and divested of self-interest, a collaboration that contributes
greatly to the common development of mankind and allows the individual to find
fulfillment.
To
Thoughtful Men
85. It must be admitted that men very often find themselves
in a sad state because they do not give enough thought and consideration to
these things. So We call upon men of deep thought and wisdom—Catholics and
Christians, believers in God and devotees of truth and justice, all men of good
will—to take as their own Christ's injunction, "Seek and you shall
find." (69) Blaze the trails to mutual cooperation among men, to deeper
knowledge and more widespread charity, to a way of life marked by true
brotherhood, to a human society based on mutual harmony.
To
All Promoters of Development
86. Finally, a word to those of you who have heard the cries
of needy nations and have come to their aid. We consider you the promoters and
apostles of genuine progress and true development. Genuine progress does not
consist in wealth sought for personal comfort or for its own sake; rather it
consists in an economic order designed for the welfare of the human person,
where the daily bread that each man receives reflects the glow of brotherly
love and the helping hand of God.
87. We bless you with all Our heart, and We call upon all men
of good will to join forces with you as a band of brothers. Knowing, as we all
do, that development means peace these days, what man would not want to work
for it with every ounce of his strength? No one, of course. So We beseech all
of you to respond wholeheartedly to Our urgent plea, in the name of the Lord.
Given at Rome, at St.
Peter's, on the feast of the Resurrection, March 26, 1967, in the fourth year
of Our pontificate.
PAUL
VI
NOTES
LATIN TEXT: Acta Apostolicae Sedis, 59 (1967),
257-99.
ENGLISH TRANSLATION: The Pope Speaks, 12 (Spring,
1967), 144-72.
REFERENCES
(1) Cf. Acta Leonis XIII, 11 (1892), 97-148.
(2) Cf. AAS 23 (1931), 177-228.
(3) Cf., for example, Radio message of June 1, 1941, on the
50th anniversary of Leo XIII's Encyclical letter Rerum Novarum: AAS 33
(1941), 195-205; Radio message, Christmas 1942: AAS 35 (1943), 9-24; Allocution
to Italian Catholic Workers Association, meeting to commemorate Rerum Novarum, May 14,
1953: AAS 45 (1953), 402-408.
(4) Cf. AAS 53 (1961), 401-464.
(5) Cf. AAS 55 (1963), 257-304.
(8) Apostolic letter motu proprio, Catholicam
Christi Ecclesiam: AAS 59 (1967), 27 [cf. v. 12 of TPS, 103-106].
(9) Cf. Leo XIII, Encyc. letter Rerum Novarum: Acta
Leonis XIII, 11 (1892), 98.
(11) Cf. Lk 7, 22.
(13) Cf. Leo XIII, Encyc. letter Immortale Dei: Acta
Leonis XIII 5 (1885), 127.
(15) Cf. L. J. Lebret, O.P., Dynamique concrète du
développement Paris: Economie et Humanisme, Les editions ouvrierès
(1961), 28.
(16) 2 Thes 3. 10.
(17) Cf., for example, J. Maritain, Les conditions
spintuelles du progrès et de la paix, in an anthology entitled Rencontre
des cultures à l'UNESCO sous le signe du Concile Oecuménique Vatican II,
Paris: Mame (1966), 66.
(18) Cf. Mt 5. 3.
(19) Gn 1. 28.
(21) 1 Jn 3. 17.
(22) De Nabute, c. 12, n. 53: PL 14. 747; cf. J.
R. Palanque, Saint Ambroise et l'empire romain, Paris: de
Boccard (1933), 336 ff.
16. (23) Letter to the 52nd Social Week at Brest, in L'homme
et la révolution urbaine, Lyon: Chronique sociale (1965), 8-9.
(25) Ibid., no. 65: AAS 58 (1966), 1086 [cf. TPS
XI, 303].
(27) Cf., for example, Colin Clark, The Conditions of
Economic Progress, 3rd ed., New York: St. Martin's Press (1960), 3-6.
(28) Letter to the 51st Social Week at Lyon, in Le
travail et les travailleurs dans la societé contemporaine, Lyon: Chronique
sociale (1965), 6.
(29) Cf., for example, M. D. Chenu, O.P., Pour une
théologie du travail, Paris: Editions du Seuil (1955) [Eng. tr. The
Theology of Work, Dublin: Gill, 1963].
(31) Cf., for example, O. von Nell-Breuning, S.J., Wirtschaft
und Gesellschaft, vol. 1: Grundfragen, Freiburg: Herder (1956), 183-184.
(32) Eph 4. 13.
(33) Cf., for example, Emmanuel Larrain Errázuriz, Bishop of
Talca, Chile, President of CELAM, Lettre pastorale sur le développement
et la paix, Paris: Pax Christi (1965).
(36) L'Osservatore Romano, Sept. 11, 1965; La
Documentation Catholique, 62 (1965), 1674-1675.
(37) Cf. Mt 19. 6.
(39) Ibid., nos. 50-51, with note 14: AAS 58
(1966), 1070-1073 [cf. TPS XI, 292-293]; also no. 87, p. 1110 [cf. TPS XI,
319-320].
(40) Cf. ibid., no. 15: AAS 58 (1966), 1036 [cf.
TPS XI, 268].
(41) Mt 16. 26.
(43) Ibid., no. 19: AAS 58 (1966), 1039 [cf. TPS
XI, 270].
(44) Cf., for example, J. Maritain, L'humanisme
intégral, Paris: Aubier (1936) [Eng. tr. True Humanism, New
York: Charles Scribner's Sons (1938)].
(45) Cf. H. de Lubac, S.J., Le drame de l'humanisme
athée, 3rd ed., Paris: Spes (1945), 10 [Eng. tr. The Drama of
Atheistic Humanism, London: Sheed and Ward (1949), 7]
(46) Pensées, ed. Brunschvicg, n. 434; cf. Maurice
Zundel, L'homme passe l'homme, Le Caire: Editions du lien (1944).
(47) Cf. Address to representatives of non-Christian
religions, Dec. 3, 1964: AAS 57 (1965), 132 [cf. TPS X, 153].
(48) Jas 2. 15-16.
(50) Cf. Christmas message, December 1963: AAS 56 (1964),
57-58.
(51) Cf. Encicliche e discorsi di Paolo VI, vol.
IX: ed. Paoline, Rome (1966), 132-136.
(52) Cf. Lk 16. 19-31.
19. (54) Lk 12. 20.
(55) Special message to the world, delivered to newsmen
during India visit, December 4, 1964: AAS 57 (1965), 135 [cf. TPS X, 158- 159].
(56) Cf. AAS 56 (1964), 639 ff. [cf. TPS X, 275 ff.].
(57) Cf. Acta Leonis XIII, 11 (1892), 131.
(58) Cf. Leo XIII, Encyc.letter Rerum Novarum: Acta
Leonis XIII, 11 (1892), 98.
(59) Church in the World of Today, no. 85: AAS 58
(1966), 1108 [cf. TPS XI, 318].
(60) Cf. encyc.letter Fidei donum: AAS 49 (1957),
246.
(61) Mt 25. 35-36.
(62) Mk 8. 2.
(63) John XXIII, Address upon receiving the Balzan Peace
Prize, May 10, 1963: AAS 55 (1963), 455.
(64) AAS 57 (1965), 896 [cf. TPS XI, 64].
(66) AAS 57 (1965), 880 [cf. TPS XI, 51].
(68) Cf. Second Vatican Council, Decree on the Apostolate of the Laity,
nos. 7, 13, 24: AAS 58 (1966), 843, 849, 856 [cf. TPS XI, 125, 130, 135].
(69) Lk ll.9.