INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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venerdì 22 febbraio 2019

POPULORUM PROGRESSIO LETTERA ENCICLICA DI SUA SANTITÀ PAOLO PP. VI 26 marzo 1967 - POPULORUM PROGRESSIO ENCYCLICAL OF POPE PAUL VI ON THE DEVELOPMENT OF PEOPLES MARCH 26, 1967


POPULORUM PROGRESSIO
LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
PAOLO PP. VI
26 marzo 1967

INTRODUZIONE

LA QUESTIONE SOCIALE È QUESTIONE MORALE
Sviluppo dei popoli
1. Lo sviluppo dei popoli, in modo particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell’ignoranza; che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane; che si muovono con decisione verso la meta di un loro pieno rigoglio, è oggetto di attenta osservazione da parte della chiesa. All’indomani del Concilio Ecumenico Vaticano II, una rinnovata presa di coscienza delle esigenze del messaggio evangelico le impone di mettersi al servizio degli uomini, onde aiutarli a cogliere tutte le dimensioni di tale grave problema e convincerli dell’urgenza di una azione solidale in questa svolta della storia dell’umanità.
Insegnamento sociale dei papi
2. Nelle loro grandi encicliche, "Rerum novarum" di Leone XIII, "Quadragesimo anno", di Pio XI, "Mater et magistra" e "Pacem in terris" di Giovanni XXIII - senza contare i messaggi al mondo di Pio XII  -, i nostri predecessori non mancarono al dovere, proprio del loro ufficio, di proiettare sulle questioni sociali del loro tempo la luce del vangelo.
Il fatto maggiore
3. Oggi, il fatto di maggior rilievo, del quale ognuno deve prender coscienza, è che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale. Giovanni XXIII l’ha affermato nettamente, e il concilio gli ha fatto eco con la sua costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Si tratta di un insegnamento di particolare gravità che esige un’applicazione urgente. I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello.
I nostri viaggi
4. Prima della nostra chiamata al supremo pontificato, due viaggi, nell’America latina (1960) e in Africa (1962), ci avevano messo a contatto immediato con i laceranti problemi che attanagliano continenti pieni di vita e di speranza. Rivestiti della paternità universale, abbiamo potuto, nel corso di nuovi viaggi in Terra Santa e in India, vedere coi nostri occhi e quasi toccar con mano le gravissime difficoltà che assalgono popoli di antica civiltà alle prese con il problema dello sviluppo. Mentre ancora si stava svolgendo a Roma il Concilio ecumenico Vaticano II, circostanze provvidenziali ci portarono a rivolgerci direttamente all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. E davanti a quel vasto areopago ci facemmo l’avvocato dei popoli poveri.
Giustizia e pace
5. Infine, recentemente, nel desiderio di rispondere al voto del concilio e di volgere in forma concreta l’apporto della santa sede a questa grande causa dei popoli in via di sviluppo, abbiamo ritenuto che facesse parte del nostro dovere il creare presso gli organismi centrali della chiesa una commissione pontificia che avesse il compito di "suscitare in tutto il popolo di Dio la piena conoscenza del ruolo che i tempi attuali reclamano da lui, in modo da promuovere il progresso dei popoli più poveri, da favorire la giustizia sociale tra le nazioni, da offrire a quelle che sono meno sviluppate un aiuto tale che le metta in grado di provvedere esse stesse e per se stesse al loro progresso": Giustizia e pace è il suo nome e il suo programma. Noi pensiamo che su tale programma possano e debbano convenire, assieme ai nostri figli cattolici e ai fratelli cristiani, gli uomini di buona volontà. È dunque a tutti che noi oggi rivolgiamo questo appello solenne a una azione concertata per lo sviluppo integrale dell’uomo e lo sviluppo solidale dell’umanità.
I. PER UNO SVILUPPO INTEGRALE DELL’UOMO
1. I DATI DEL PROBLEMA
Aspirazioni degli uomini
6. Essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, la salute, una occupazione stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la loro dignità di uomini; godere di una maggiore istruzione; in una parola, fare conoscere e avere di più, per essere di più: ecco l’aspirazione degli uomini di oggi, mentre un gran numero d’essi è condannato a vivere in condizioni che rendono illusorio tale legittimo desiderio. D’altra parte, i popoli da poco approdati all’indipendenza nazionale sperimentano la necessità di far seguire a questa libertà politica una crescita autonoma e degna, sociale non meno che economica, onde assicurare ai propri cittadini la loro piena espansione umana, e prendere il posto che loro spetta nel concerto delle nazioni.
Colonizzazione e colonialismo
7. Di fronte alla vastità e all’urgenza dell’opera da compiere, gli strumenti ereditati dal passato, per quanto inadeguati, non fanno tuttavia difetto. Bisogna certo riconoscere che le potenze colonizzatrici hanno spesso avuto di mira soltanto il loro interesse, la loro potenza o il loro prestigio, e che il loro ritiro ha lasciato talvolta una situazione economica vulnerabile, legata per esempio al rendimento di un’unica coltura, i cui corsi sono soggetti a brusche e ampie variazioni. Ma, pur riconoscendo i misfatti di un certo colonialismo e le sue conseguenze negative, bisogna nel contempo rendere omaggio alle qualità e alle realizzazioni dei colonizzatori che, in tante regioni abbandonate, hanno portato la loro scienza e la loro tecnica, lasciando testimonianze preziose della loro presenza. Per quanto incomplete, restano tuttavia in piedi certe strutture che hanno avuto una loro funzione, per esempio sul piano della lotta contro l’ignoranza e la malattia, su quello, non meno benefico, delle comunicazioni o del miglioramento delle condizioni di vita.
Squilibrio crescente
8. Fatto questo riconoscimento, resta fin troppo vero che tale attrezzatura è notoriamente insufficiente per affrontare la dura realtà dell’economia moderna. Lasciato a se stesso, il suo meccanismo è tale da portare il mondo verso un aggravamento, e non una attenuazione, della disparità dei livelli di vita: i popoli ricchi godono di una crescita rapida, mentre lento è il ritmo di sviluppo di quelli poveri. Aumenta lo squilibrio: certuni producono in eccedenza beni alimentari, di cui altri soffrono atrocemente la mancanza, e questi ultimi vedono rese incerte le loro esportazioni.
Aumentata presa di coscienza
9. Nello stesso tempo, i conflitti sociali si sono dilatati fino a raggiungere le dimensioni del mondo. La viva inquietudine, che si è impadronita delle classi povere nei paesi in fase di industrializzazione, raggiunge ora quelli che hanno una economia quasi esclusivamente agricola: i contadini prendono coscienza, anch’essi, della loro "miseria immeritata". A ciò s’aggiunga lo scandalo di disuguaglianze clamorose, non solo nel godimento dei beni, ma più ancora nell’esercizio del potere. Mentre una oligarchia gode, in certe regioni, di una civiltà raffinata, il resto della popolazione, povera e dispersa, è "privata pressoché di ogni possibilità di iniziativa personale e di responsabilità, e spesso anche costretta a condizioni di vita e di lavoro indegne della persona umana".
Urti di civiltà
10. Inoltre l’urto tra le civiltà tradizionali e le novità portate dalla civiltà industriale ha un effetto dirompente sulle strutture, che non si adattano alle nuove condizioni. Dentro l’ambito, spesso rigido, di tali strutture s’inquadrava la vita personale e familiare, che trovava in esse il suo indispensabile sostegno, e i vecchi vi rimangono attaccati, mentre i giovani tendono a liberarsene, come d’un ostacolo inutile, per volgersi evidentemente verso nuove forme di vita sociale. Accade così che il conflitto delle generazioni si carica di un tragico dilemma: o conservare istituzioni e credenze ancestrali, ma rinunciare al progresso, o aprirsi alle tecniche e ai modi di vita venuti da fuori, ma rigettare in una con le tradizioni del passato tutta la ricchezza di valori umani che contenevano. Di fatto, avviene troppo spesso che i sostegni morali, spirituali e religiosi del passato vengano meno, senza che l’inserzione nel mondo nuovo sia per altro assicurata.
11. In questo stato di marasma si fa più violenta la tentazione di lasciarsi pericolosamente trascinare verso messianismi carichi di promesse, ma fabbricatori di illusioni. Chi non vede i pericoli che ne derivano, di reazioni popolari violente, di agitazioni insurrezionali, e di scivolamenti verso le ideologie totalitarie? Questi sono i dati del problema, la cui gravità non può sfuggire a nessuno.
2. LA CHIESA E LO SVILUPPO
L’opera dei missionari
12. Fedele all’insegnamento e all’esempio del suo divino Fondatore, che poneva l’annuncio della buona novella ai poveri quale segno della sua missione, la chiesa non ha mai trascurato di promuovere l’elevazione umana dei popoli ai quali portava la fede nel Cristo. I suoi missionari hanno costruito, assieme a chiese, centri di assistenza e ospedali, anche scuole e università. Insegnando agli indigeni il modo onde trarre miglior profitto dalle loro risorse naturali, li hanno spesso protetti dall’avidità degli stranieri. Senza dubbio la loro opera, per quel che v’è in essa di umano, non fu perfetta, e poté capitare che taluni mischiassero all’annuncio dell’autentico messaggio evangelico molti modi di pensare e di vivere propri del loro paese d’origine. Ma seppero anche coltivare le istituzioni locali e promuoverle. In parecchie regioni, essi sono stati i pionieri del progresso materiale come dello sviluppo culturale. Basti ricordare l’esempio del padre Carlo de Foucauld, che fu giudicato degno d’esse chiamato, per la sua carità, il "Fratello universale", e al quale si deve la compilazione di un prezioso dizionario della lingua tuareg. È Nostro dovere rendere omaggio a questi precursori troppo spesso ignorati, uomini sospinti dalla carità di Cristo, così come ai loro emuli e successori che continuano ad essere, anche oggi, al servizio di coloro che evangelizzano.
Chiesa e mondo
13. Ma ormai le iniziative locali e individuali non bastano più. La situazione attuale del mondo esige un’azione d’insieme sulla base di una visione chiara di tutti gli aspetti economici, sociali, culturali e spirituali. Esperta di umanità, la Chiesa, lungi dal pretendere minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati, "non ha di mira che un unico scopo: continuare, sotto l’impulso dello Spirito consolatore, la stessa opera del Cristo, venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità, per salvare, non per condannare, per servire, non per essere servito". Fondata per porre fin da quaggiù le basi del regno dei cieli e non per conquistare un potere terreno, essa afferma chiaramente che i due domini sono distinti, così come sono sovrani i due poteri, ecclesiastico e civile, ciascuno nel suo ordine. Ma, vivente com’è nella storia, essa deve "scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo". In comunione con le migliori aspirazioni degli uomini e soffrendo di vederle insoddisfatte, essa desidera aiutarli a raggiungere la loro piena fioritura, e a questo fine offre loro ciò che possiede in proprio: una visione globale dell’uomo e dell’umanità.
Visione cristiana dello sviluppo
14. Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Com’è stato giustamente sottolineato da un eminente esperto: "noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera".
Vocazione e crescita
15. Nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione. Fin dalla nascita, è dato a tutti in germe un insieme di attitudini e di qualità da far fruttificare: il loro pieno svolgimento, frutto a un tempo della educazione ricevuta dall’ambiente e dello sforzo personale, permetterà a ciascuno di orientarsi verso il destino propostogli dal suo Creatore. Dotato d’intelligenza e di libertà, egli è responsabile della sua crescita, così come della sua salvezza. Aiutato, e talvolta impedito, da coloro che lo educano e lo circondano, ciascuno rimane, quali che siano le influenze che si esercitano su di lui, l’artefice della sua riuscita o del suo fallimento: col solo sforzo della sua intelligenza e della sua volontà, ogni uomo può crescere in umanità, valere di più, essere di più.
Dovere personale e comunitario
16. Tale crescita non è d’altronde facoltativa. Come tutta intera la creazione è ordinata al suo Creatore, la creatura spirituale è tenuta ad orientare spontaneamente la sua vita verso Dio, verità prima e supremo bene. Così la crescita umana costituisce come una sintesi dei nostri doveri. Ma c’è di più: tale armonia di natura, arricchita dal lavoro personale e responsabile, è chiamata a un superamento. Mediante la sua inserzione nel Cristo vivificatore, l’uomo accede a una dimensione nuova, a un umanesimo trascendente, che gli conferisce la sua più grande pienezza: questa è la finalità suprema dello sviluppo personale.
17. Ma ogni uomo è membro della società: appartiene all’umanità intera. Non è soltanto questo o quell’uomo, ma tutti gli uomini sono chiamati a tale sviluppo plenario. Le civiltà nascono, crescono e muoiono. Ma come le ondate dell’alta marea penetrano ciascuna un po’ più a fondo nell’arenile, così l’umanità avanza sul cammino della storia. Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere.
Scala dei valori
18. Siffatta crescita personale e comunitaria verrebbe compromessa ove si deteriorasse la vera scala dei valori. Legittimo è il desiderio del necessario, e il lavoro per arrivarci è un dovere: "Se qualcuno si rifiuta di lavorare, non deve neanche mangiare". Ma l’acquisizione dei beni temporali può condurre alla cupidigia, al desiderio di avere sempre di più e alla tentazione di accrescere la propria potenza. L’avarizia delle persone, delle famiglie e delle nazioni può contagiare i meno abbienti come i più ricchi, e suscitare negli uni e negli altri un materialismo soffocatore.
Crescita ambivalente
19. Avere di più, per i popoli come per le persone, non è dunque lo scopo ultimo. Ogni crescita è ambivalente. Necessaria onde permettere all’uomo di essere più uomo, essa lo rinserra come in una prigione, quando diventa il bene supremo che impedisce di guardare oltre. Allora i cuori s’induriscono e gli spiriti si chiudono, gli uomini non s’incontrano più per amicizia, ma spinti dall’interesse, il quale ha buon giuoco nel metterli gli uni contro gli altri e nel disunirli. La ricerca esclusiva dell’avere diventa così un ostacolo alla crescita dell’essere e si oppone alla sua vera grandezza: per le nazioni come per le persone, l’avarizia è la forma più evidente del sottosviluppo morale.
Verso una condizione più umana
20. Se il perseguimento dello sviluppo richiede un numero sempre più grande di tecnici, esige ancor di più uomini di pensiero capaci di riflessione profonda, votati alla ricerca d’un umanesimo nuovo, che permetta all’uomo moderno di ritrovare se stesso, assumendo i valori superiori d’amore, di amicizia, di preghiera e di contemplazione. In tal modo potrà compiersi in pienezza il vero sviluppo, che è il passaggio, per ciascuno e per tutti, da condizioni meno umane a condizioni più umane.
L’ideale da perseguire
21. Meno umane: le carenze materiali di coloro che sono privati del minimo vitale, e le carenze morali di coloro che sono mutilati dall’egoismo. Meno umane: le strutture oppressive, sia che provengano dagli abusi del possesso che da quelli del potere, dallo sfruttamento dei lavoratori che dall’ingiustizia delle transazioni. Più umane: l’ascesa dalla miseria verso il possesso del necessario, la vittoria sui flagelli sociali, l’ampliamento delle conoscenze, l’acquisizione della cultura. Più umane, altresì: l’accresciuta considerazione della dignità degli altri, l’orientarsi verso lo spirito di povertà, la cooperazione al bene comune, la volontà di pace. Più umane, ancora: il riconoscimento da parte dell’uomo dei valori supremi, e di Dio che ne è la sorgente e il termine. Più umane, infine e soprattutto: la fede, dono di Dio accolto dalla buona volontà dell’uomo, e l’unità nella carità del Cristo che ci chiama tutti a partecipare in qualità di figli alla vita del Dio vivente, Padre di tutti gli uomini.
3. L’OPERA DA COMPIERE
La destinazione universale dei beni
22. "Riempite la terra e assoggettatela": la bibbia, fin dalla prima pagina, ci insegna che la creazione intera è per l’uomo, cui è demandato il compito d’applicare il suo sforzo intelligente nel metterla in valore e, col suo lavoro, portarla a compimento, per così dire, sottomettendola al suo servizio. Se la terra è fatta per fornire a ciascuno i mezzi della sua sussistenza e gli strumenti del suo progresso, ogni uomo ha dunque il diritto di trovarvi ciò che gli è necessario. Il recente concilio l’ha ricordato: "Dio ha destinato la terra e tutto ciò che contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, dimodoché i beni della creazione devono equamente affluire nelle mani di tutti, secondo la regola della giustizia, ch’è inseparabile dalla carità". Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati ad essa: non devono quindi intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria.
La proprietà
23. "Se qualcuno, in possesso delle ricchezze che offre il mondo, vede il suo fratello nella necessità e chiude a lui le sue viscere, come potrebbe l’amore di Dio abitare in lui?" Si sa con quale fermezza i padri della chiesa hanno precisato quale debba essere l’atteggiamento di coloro che posseggono nei confronti di coloro che sono nel bisogno: "Non è del tuo avere, afferma sant’Ambrogio, che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poiché è quel che è dato in comune per l’uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi". È come dire che la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario. In una parola, " il diritto di proprietà non deve mai esercitarsi a detrimento della utilità comune, secondo la dottrina tradizionale dei padri della chiesa e dei grandi teologi". Ove intervenga un conflitto "tra diritti privati acquisiti ed esigenze comunitarie primordiali", spetta ai poteri pubblici "adoperarsi a risolverlo, con l’attiva partecipazione delle persone e dei gruppi sociali".
L’uso dei redditi
24. Il bene comune esige dunque talvolta l’espropriazione se, per via della loro estensione, del loro sfruttamento esiguo o nullo, della miseria che ne deriva per le popolazioni, del danno considerevole arrecato agli interessi del paese, certi possedimenti sono di ostacolo alla prosperità collettiva. Affermandolo in maniera inequivocabile, il concilio ha anche ricordato non meno chiaramente che il reddito disponibile non è lasciato al libero capriccio degli uomini, e che le speculazioni egoiste devono essere bandite. Non è di conseguenza ammissibile che dei cittadini provvisti di redditi abbondanti, provenienti dalle risorse e dall’attività nazionale, ne trasferiscano una parte considerevole all’estero, a esclusivo vantaggio personale, senza alcuna considerazione del torto evidente ch’essi infliggono con ciò alla loro patria.
L’industrializzazione
25. Necessaria all’accrescimento economico e al progresso umano, l’introduzione dell’industria è insieme segno e fattore di sviluppo. Mediante l’applicazione tenace della sua intelligenza e del suo lavoro, l’uomo strappa a poco a poco i suoi segreti alla natura, favorendo un miglior uso delle sue ricchezze. Mentre imprime una disciplina alle sue abitudini, egli sviluppa del pari in se stesso il gusto della ricerca e dell’invenzione, l’accettazione del rischio calcolato, l’audacia nell’intraprendere, l’iniziativa generosa, il senso della responsabilità.
Capitalismo liberale
26. Ma su queste condizioni nuove della società si è malauguratamente instaurato un sistema che considerava il profitto come motore essenziale del progresso economico, la concorrenza come legge suprema dell’economia, la proprietà privata dei mezzi di produzione come un diritto assoluto, senza limiti né obblighi sociali corrispondenti. Tale liberalismo senza freno conduceva alla dittatura, a buon diritto denunciata da Pio XI come generatrice dell’"imperialismo internazionale del denaro". Non si condanneranno mai abbastanza simili abusi, ricordando ancora una volta solennemente che l’economia è al servizio dell’uomo. Ma se è vero che un certo capitalismo è stato la fonte di tante sofferenze, di tante ingiustizie e lotte fratricide, di cui perdurano gli effetti, errato sarebbe attribuire alla industrializzazione stessa dei mali che sono dovuti al nefasto sistema che l’accompagnava. Bisogna, al contrario, e per debito di giustizia, riconoscere l’apporto insostituibile dell’organizzazione del lavoro e del progresso industriale all’opera dello sviluppo.
Il lavoro e la sua ambivalenza
27. Così pure, se è vero che talvolta può imporsi una mistica esagerata del lavoro, non è men vero che questo è voluto e benedetto da Dio. Creato a sua immagine, "l’uomo deve cooperare col Creatore al compimento della creazione, e segnare a sua volta la terra dell’impronta spirituale che egli stesso ha ricevuto". Dio, che ha dotato l’uomo d’intelligenza, d’immaginazione e di sensibilità, gli ha in tal modo fornito il mezzo onde portare in certo modo a compimento la sua opera: sia egli artista o artigiano, imprenditore, operaio o contadino, ogni lavoratore è un creatore. Chino su una materia che gli resiste, l’operaio le imprime il suo segno, sviluppando nel contempo la sua tenacia, la sua ingegnosità e il suo spirito inventivo. Diremo di più: vissuto in comune, condividendo speranze, sofferenze, ambizioni e gioie, il lavoro unisce le volontà, ravvicina gli spiriti e fonde i cuori: nel compierlo, gli uomini si scoprono fratelli.
28. Senza dubbio ambivalente, dacché promette il denaro, il godimento e la potenza, invitando gli uni all’egoismo e gli altri alla rivolta, il lavoro sviluppa anche la coscienza professionale, il senso del dovere e la carità verso il prossimo. Più scientifico e meglio organizzato, esso rischia di disumanizzare il suo esecutore, divenuto suo schiavo, perché il lavoro è umano solo se resta intelligente e libero. Giovanni XXIII ha ricordato l’urgenza di rendere al lavoratore la sua dignità, facendolo realmente partecipare all’opera comune: "Bisogna tendere a far sì che l’impresa diventi una comunità di persone, nelle funzioni e nella situazione di tutti i suoi componenti". La fatica degli uomini ha poi per il cristiano un significato ben maggiore, avendo essa anche la missione di collaborare alla creazione del mondo soprannaturale, che resta incompiuto fino a che non saremo pervenuti tutti insieme a costituire quell’Uomo perfetto di cui parla san Paolo, "che realizza la pienezza del Cristo".
L’urgenza dell’opera da compiere
29. Bisogna affrettarsi: troppi uomini soffrono, e aumenta la distanza che separa il progresso degli uni e la stagnazione, se non pur anche la regressione, degli altri. Bisogna altresì che l’opera da svolgere progredisca armonicamente, pena la rottura di equilibri indispensabili. Una riforma agraria improvvisata può fallire al suo scopo. Una industrializzazione precipitosa può dissestare delle strutture ancora necessarie, e generare delle miserie sociali che costituirebbero un passo indietro dal punto di vista dei valori umani.
Tentazione della violenza
30. Si danno certo delle situazioni la cui ingiustizia grida verso il cielo. Quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana.
Rivoluzione
31. E tuttavia lo sappiamo: l’insurrezione rivoluzionaria - salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese - è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca nuove rovine. Non si può combattere un male reale a prezzo di un male più grande.
Riforma
32. Ci si intenda bene: la situazione presente deve essere affrontata coraggiosamente e le ingiustizie che essa comporta combattute e vinte. Lo sviluppo esige delle trasformazioni audaci, profondamente innovatrici. Riforme urgenti devono essere intraprese senza indugio. A ciascuno di assumervi generosamente la sua parte, soprattutto a quelli che per la loro educazione, la loro situazione, il loro potere si trovano ad avere delle grandi possibilità d’azione. Che, pagando esemplarmente di persona, essi non esitino a incidere su quello che è loro, come hanno fatto diversi dei Nostri fratelli nell’episcopato. Risponderanno così all’attesa degli uomini e saranno fedeli allo Spirito di Dio: giacché è "il fermento evangelico che ha suscitato e suscita nel cuore umano una esigenza incoercibile di dignità".
Programmi e pianificazioni a servizio dell’uomo
33. La sola iniziativa individuale e il semplice gioco della concorrenza non potrebbero assicurare il successo dello sviluppo. Non bisogna correre il rischio di accrescere ulteriormente la ricchezza dei ricchi e la potenza dei forti, ribadendo la miseria dei poveri e rendendo più pesante la servitù degli oppressi. Sono dunque necessari dei programmi per "incoraggiare, stimolare, coordinare, supplire e integrare" l’azione degli individui e dei corpi intermedi. Spetta ai poteri pubblici di scegliere, o anche di imporre, gli obiettivi da perseguire, i traguardi da raggiungere, i mezzi onde pervenirvi; tocca ad essi stimolare tutte le forze organizzate in questa azione comune. Certo, devono aver cura di associare a quest’opera le iniziative private e i corpi intermedi, evitando in tal modo il pericolo d’una collettivizzazione integrale o d’una pianificazione arbitraria che, negatrici di libertà come sono, escluderebbero l’esercizio dei diritti fondamentali della persona umana.
34. Giacché ogni programma, elaborato per aumentare la produzione, non ha in definitiva altra ragion d’essere che il servizio della persona. La sua funzione è di ridurre le disuguaglianze, combattere le discriminazioni, liberare l’uomo dalle sue servitù, renderlo capace di divenire lui stesso attore responsabile del suo miglioramento materiale, del suo progresso morale, dello svolgimento pieno del suo destino spirituale. Dire sviluppo è in effetti dire qualcosa che investe tanto il progresso sociale che la crescita economica. Non basta accrescere la ricchezza comune perché sia equamente ripartita, non basta promuovere la tecnica perché la terra diventi più umana da abitare. Coloro che sono sulla via dello sviluppo devono imparare dagli errori di coloro che hanno sperimentato prima tale strada quali sono i pericoli da evitare in questo campo. La tecnocrazia di domani può essere fonte di mali non meno temibili che il liberalismo di ieri. Economia e tecnica non hanno senso che in rapporto all’uomo ch’esse devono servire. E l’uomo non è veramente uomo che nella misura in cui, padrone delle proprie azioni e giudice del loro valore, diventa egli stesso autore del proprio progresso, in conformità con la natura che gli ha dato il suo Creatore e di cui egli assume liberamente le possibilità e le esigenze.
Alfabetizzazione
35. Si può affermare che la crescita economica è legata innanzitutto al progresso sociale ch’essa è in grado di suscitare, e che l’educazione di base è il primo obiettivo d’un piano di sviluppo. La fame d’istruzione non è in realtà meno deprimente della fame di alimenti: un analfabeta è uno spirito sotto alimentato. Saper leggere e scrivere, acquistare una formazione professionale, è riprendere fiducia in se stessi e scoprire che si può progredire insieme con gli altri. Come dicevamo nel nostro messaggio al Congresso dell’UNESCO, del 1965, a Teheran, l’alfabetizzazione è per l’uomo "un fattore primordiale d’integrazione sociale così come di arricchimento personale, e per la società uno strumento privilegiato di progresso economico e di sviluppo". Vogliamo anche rallegrarci del buon lavoro svolto in questo campo ad opera di iniziative private, di poteri pubblici e di organizzazioni internazionali: sono i primi artefici dello sviluppo, perché mirano a rendere l’uomo atto a farsene egli stesso protagonista.
Famiglia
36. Ma l’uomo non è se stesso che nel suo ambiente sociale, nel quale la famiglia giuoca un ruolo primordiale. Ruolo che, secondo i tempi e i luoghi, ha potuto anche essere eccessivo, quando si è esercitato a scapito di libertà fondamentali della persona. Spesso troppo rigide e male organizzate, le vecchie strutture sociali dei paesi in via di sviluppo sono tuttavia necessarie ancora per un certo tempo, pur in un processo di progressivo allentamento del loro dominio esagerato. Ma la famiglia naturale, monogamica e stabile, quale è stata concepita nel disegno divino e santificata dal cristianesimo, deve restare "luogo d’incontro di più generazioni che si aiutano vicendevolmente ad acquistare una saggezza più grande e ad armonizzare i diritti delle persone con le altre esigenze della vita sociale".
Demografia
37. È vero che troppo spesso una crescita demografica accelerata aggiunge nuove difficoltà ai problemi dello sviluppo: il volume della popolazione aumenta più rapidamente delle risorse disponibili e ci si trova apparentemente chiusi in un vicolo cieco. Per cui, la tentazione è grande di frenare l’aumento demografico per mezzo di misure radicali. È certo che i poteri pubblici, nell’ambito della loro competenza, possono intervenire, mediante la diffusione di una appropriata informazione e l’adozione di misure opportune, purché siano conformi alle esigenze della legge morale e rispettose della giusta libertà della coppia: perché il diritto al matrimonio e alla procreazione è un diritto inalienabile, senza del quale non si dà dignità umana. Spetta in ultima istanza ai genitori di decidere, con piena cognizione di causa, sul numero dei loro figli, prendendo le loro responsabilità davanti a Dio, davanti a se stessi, davanti ai figli che già hanno messo al mondo, e davanti alla comunità alla quale appartengono, seguendo i dettami della loro coscienza illuminata dalla legge di Dio, autenticamente interpretata, e sorretta dalla fiducia in lui.
Organizzazione professionale
38. Nell’opera dello sviluppo l’uomo, che trova nella famiglia il suo ambiente di vita primordiale, è spesso aiutato da organizzazioni professionali. Se la loro ragion d’essere è di promuovere gli interessi dei loro associati, la loro responsabilità è grande in rapporto alla funzione educativa ch’esse possono e debbono nel contempo svolgere. Attraverso l’informazione che forniscono, la formazione che offrono, esse possono molto per dare a tutti il sentimento del bene comune e delle obbligazioni che esso comporta per ciascuno.
Pluralismo legittimo
39. Ogni azione sociale implica una dottrina. Il cristiano non può ammettere quella che suppone una filosofia materialistica e atea, che non rispetta né l’orientamento religioso della vita verso il suo fine ultimo, né la libertà e la dignità umana. Ma, purché siano salvaguardati questi valori, un pluralismo di organizzazioni professionali e sindacali è ammissibile, e, da certi punti di vista, utile, se serve a proteggere la libertà e a provocare l’emulazione. E di gran cuore Noi rendiamo omaggio a tutti coloro che vi lavorano al servizio disinteressato dei loro fratelli.
Formazione culturale
40. Oltre le organizzazioni professionali sono altresì all’opera le istituzioni culturali, il cui ruolo non è di minor peso per la riuscita dello sviluppo. "L’avvenire del mondo sarebbe in pericolo, afferma gravemente il Concilio, se la nostra epoca non sapesse far emergere dal suo seno uomini dotati di sapienza". E aggiunge: "Numerosi paesi economicamente poveri, ma ricchi di sapienza, potranno dare un potente aiuto agli altri su questo punto". Ricco o povero, ogni paese possiede una sua civiltà ricevuta dalle generazioni passate: istituzioni richieste per lo svolgimento della vita terrena e manifestazioni superiori - artistiche, intellettuali e religiose - della vita dello spirito. Quando queste contengono dei veri valori umani, sarebbe grave errore sacrificarle a quelle. Un popolo che consentisse a tanto perderebbe con ciò stesso il meglio di sé: sacrificherebbe, per vivere, le sue ragioni di vita. L’ammonimento del Cristo vale anche per i popoli: "Che cosa servirebbe all’uomo guadagnare l’universo, se poi perde l’anima?".
Tentazione materialistica
41. I popoli poveri non staranno mai troppo in guardia contro questa tentazione che viene loro dai popoli ricchi, i quali offrono troppo spesso, insieme con l’esempio del loro successo nel campo della cultura e della civiltà tecnica, un modello di attività tesa prevalentemente alla conquista della prosperità materiale. Non che quest’ultima costituisca per se stessa un ostacolo all’attività dello spirito, il quale anzi, reso così "meno schiavo delle cose, può facilmente elevarsi all’adorazione e alla contemplazione del Creatore". Tuttavia "la civiltà moderna, non certo per la sua natura intrinseca, ma perché si trova soverchiamente irretita nelle realtà terrestri, può rendere spesso più difficile l’accesso a Dio". In quanto viene loro proposto, i popoli in via di sviluppo devono dunque saper fare una scelta: criticare ed eliminare i falsi beni che porterebbero con sé un abbassamento dell’ideale umano, accettare i valori sani e benefici per svilupparli, congiuntamente ai loro, secondo il proprio genio particolare.
Verso un umanesimo plenario
42. È un umanesimo plenario che occorre promuovere. Che vuol dire ciò, se non lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini? Un umanesimo chiuso, insensibile ai valori dello spirito e a Dio che ne è la fonte, potrebbe apparentemente avere maggiori possibilità di trionfare. Senza dubbio l’uomo può organizzare la terra senza Dio, ma "senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l’uomo. L’umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano". Non v’è dunque umanesimo vero se non aperto verso l’Assoluto, nel riconoscimento d’una vocazione, che offre l’idea vera della vita umana. Lungi dall’essere la norma ultima dei valori, l’uomo non realizza se stesso che trascendendosi. Secondo l’espressione così giusta di Pascal: "L’uomo supera infinitamente l’uomo".

II. VERSO LO SVILUPPO SOLIDALE DELL’UMANITÀ
Fraternità dei popoli
43. Lo sviluppo integrale dell’uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell’umanità. Come dicevamo a Bombay: "L’uomo deve incontrare l’uomo, le nazioni devono incontrarsi come fratelli e sorelle, come i figli di Dio. In questa comprensione e amicizia vicendevoli, in questa comunione sacra, noi dobbiamo parimenti cominciare a lavorare assieme per edificare l’avvenire comune dell’umanità". E suggerivamo altresì la ricerca di mezzi concreti e pratici di organizzazione e di cooperazione, onde mettere in comune le risorse disponibili e così realizzare una vera comunione fra tutte le nazioni.
44. Questo dovere riguarda in primo luogo i più favoriti. I loro obblighi sono radicati nella fraternità umana e soprannaturale e si presenta sotto un triplice aspetto: dovere di solidarietà, cioè l’aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri. Il problema è grave, perché dalla sua soluzione dipende l’avvenire della civiltà mondiale.
1. L’ASSISTENZA AI DEBOLI
Lotta contro la fame
45. "Se un fratello o una sorella sono nudi, dice san Giacomo, se mancano del sostentamento quotidiano, e uno di voi dice loro: "Andate in pace, riscaldatevi, sfamatevi", senza dar loro quel che è necessario al loro corpo, a che servirebbe?". Oggi, nessuno lo può ignorare: sopra interi continenti, innumerevoli sono gli uomini e le donne tormentati dalla fame, innumerevoli i bambini sottonutriti, al punto che molti di loro muoiono in tenera età, che la crescita fisica e lo sviluppo mentale di parecchi altri ne restano compromessi, che regioni intere sono per questo condannate al più cupo avvilimento.
46. Appelli angosciati sono già risuonati. Quello di Giovanni XXIII è stato calorosamente accolto. Noi stessi l’abbiamo reiterato nel nostro messaggio del Natale 1963, e poi di nuovo in favore dell’India nel 1966. La campagna contro la fame, lanciata dall’Organizzazione Internazionale per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) e incoraggiata dalla santa sede, è stata generosamente accolta. La nostra "Caritas internationalis" è dappertutto all’opera e numerosi cattolici, sotto l’impulso dei Nostri fratelli nell’Episcopato, danno, e si prodigano anche personalmente senza riserva, per aiutare quelli che sono nel bisogno, allargando progressivamente la cerchia di quanti riconoscono come loro prossimo.
47. Ma tutto ciò non può bastare, come non possono bastare gli investimenti privati e pubblici realizzati, i doni e i prestiti concessi. Non si tratta soltanto di vincere la fame e neppure di ricacciare indietro la povertà. La lotta contro la miseria, pur urgente e necessaria, è insufficiente. Si tratta di costruire un mondo, in cui ogni uomo, senza esclusioni di razza, di religione, di nazionalità, possa vivere una vita pienamente umana, affrancata dalle servitù che gli vengono dagli uomini e da una natura non sufficientemente padroneggiata; un mondo dove la libertà non sia una parola vana e dove il povero Lazzaro possa assidersi alla stessa mensa del ricco. Ciò esige da quest’ultimo molta generosità, numerosi sacrifici e uno sforzo incessante. Ciascuno esamini la sua coscienza, che ha una voce nuova per la nostra epoca. È egli pronto a sostenere col suo denaro le opere e le missioni organizzate in favore dei più poveri? a sopportare maggiori imposizioni affinché i poteri pubblici siano messi in grado di intensificare il loro sforzo per lo sviluppo? a pagare più cari i prodotti importati, onde permettere una più giusta remunerazione per il produttore? a lasciare, ove fosse necessario, il proprio paese, se è giovane, per aiutare questa crescita delle giovani nazioni?
Dovere di solidarietà
48. Il dovere di solidarietà che vige per le persone vale anche per i popoli; "Le nazioni sviluppate hanno l’urgentissimo dovere di aiutare le nazioni in via di sviluppo". Bisogna mettere in pratica questo insegnamento conciliare. Se è normale che una popolazione sia la prima beneficiaria dei doni che le ha fatto la Provvidenza come dei frutti del suo lavoro, nessun popolo può, per questo, pretendere di riservare a suo esclusivo uso le ricchezze di cui dispone. Ciascun popolo deve produrre di più e meglio, onde dare da un lato a tutti i suoi componenti un livello di vita veramente umano, e contribuire nel contempo, dall’altro, allo sviluppo solidale della umanità. Di fronte alla crescente indigenza dei paesi in via di sviluppo, si deve considerare come normale che un paese evoluto consacri una parte della sua produzione al soddisfacimento dei loro bisogni; normale altresì che si preoccupi di formare educatori, ingegneri, tecnici, scienziati, destinati a mettere scienza e competenza al loro servizio.
Il superfluo
49. Una cosa va ribadita di nuovo: il superfluo dei paesi ricchi deve servire ai paesi poveri. La regola che valeva un tempo in favore dei più vicini deve essere applicata oggi alla totalità dei bisognosi del mondo. I ricchi saranno del resto i primi ad esserne avvantaggiati. Diversamente, ostinandosi nella loro avarizia, non potranno che suscitare il giudizio di Dio e la collera dei poveri, con conseguenze imprevedibili. Chiudendosi dentro la corazza del proprio egoismo, le civiltà attualmente fiorenti finirebbero coll’attentare ai loro valori più alti, sacrificando la volontà di essere di più alla bramosia di avere di più. E sarebbe da applicare ad essi la parabola dell’uomo ricco, le cui terre avevano dato frutti copiosi e che non sapeva dove mettere al sicuro il suo raccolto: Dio gli disse: "insensato, questa notte stessa la tua anima ti sarà ritolta".
Programmi
50. Questi sforzi, per raggiungere la loro piena efficacia, non possono rimanere dispersi e isolati, tanto meno opposti gli uni agli altri per motivi di prestigio o di potenza: la situazione esige dei programmi concertati. Un programma è in realtà qualcosa di più e di meglio che un aiuto occasionale lasciato alla buona volontà di ciascuno. Esso suppone, come abbiamo detto più sopra, studi approfonditi, individuazione degli obiettivi, determinazione dei mezzi, organizzazione degli sforzi, onde rispondere ai bisogni presenti e alle prevedibili esigenze future. Ma è anche molto di più in quanto trascende le prospettive della semplice crescita economica e del progresso sociale e conferisce senso e valore all’opera da realizzare. Nell’atto stesso in cui lavora alla migliore sistemazione del mondo, esso valorizza l’uomo.
Fondo mondiale: vantaggi e urgenza
51. Occorre spingersi ancora più innanzi. Noi domandavamo a Bombay la costituzione di un grande Fondo mondiale, alimentato da una parte delle spese militari, onde venire in aiuto ai più diseredati. Ciò che vale per la lotta immediata contro la miseria vale altresì per il livello dello sviluppo. Solo una collaborazione mondiale, della quale un fondo comune sarebbe insieme l’espressione e lo strumento, permetterebbe di superare le rivalità sterili e di suscitare un dialogo fecondo e pacifico tra tutti i popoli.
52. Senza dubbio, degli accordi bilaterali o multilaterali possono utilmente essere mantenuti, in quanto permettono di sostituire ai rapporti di dipendenza e ai rancori derivati dall’era coloniale proficue relazioni d’amicizia, sviluppate su un piano di uguaglianza giuridica e politica. Ma incorporati in un programma di collaborazione mondiale essi sarebbero immuni da ogni sospetto. Le diffidenze di coloro che ne sono i beneficiari ne uscirebbero attenuate, poiché essi avrebbero meno ragioni di temere, dissimulate sotto l’aiuto finanziario o l’assistenza tecnica, certe manifestazioni di quello che è stato chiamato il neocolonialismo: fenomeno che si configura in termini di pressioni politiche e di potere economico esercitati allo scopo di difendere o di conquistare una egemonia dominatrice.
53. Chi non vede d’altronde come un tale fondo faciliterebbe la riconversione di certi sperperi, che sono frutto della paura o dell’orgoglio? Quando tanti popoli hanno fame, quando tante famiglie soffrono la miseria, quando tanti uomini vivono immersi nella ignoranza, quando restano da costruire tante scuole, tanti ospedali, tante abitazioni degne di questo nome, ogni sperpero pubblico o privato, ogni spesa fatta per ostentazione nazionale o personale, ogni estenuante corsa agli armamenti diviene uno scandalo intollerabile. Noi abbiamo il dovere di denunciarlo. Vogliano i responsabili ascoltarci prima che sia troppo tardi.
Dialogo da instaurare
54. Ciò significa essere indispensabile che si stabilisca fra tutti quel dialogo già da Noi invocato nella nostra prima enciclica, "Ecclesiam suam". Tale dialogo tra coloro che forniscono i mezzi e coloro cui sono destinati consentirà di commisurare gli apporti, non soltanto secondo la generosità e disponibilità di impiego degli altri. I paesi in via di sviluppo non correranno più in tal modo il rischio di vedersi sopraffatti di debiti, il cui soddisfacimento finisce coll’assorbire il meglio dei loro guadagni. Tassi di interesse e durata dei prestiti potranno essere distribuiti in maniera sopportabile per gli uni e per gli altri, equilibrando i doni gratuiti, i prestiti senza interesse o a interesse minimo, e la durata degli ammortamenti. Garanzie potranno essere offerte a coloro che forniscono i mezzi finanziari, sull’impiego che ne verrà fatto in base al piano convenuto e con una ragionevole preoccupazione di efficacia, giacché non si tratta di favorire la pigrizia o il parassitismo. E i destinatari potranno a loro volta esigere che non vi siano ingerenze nella loro politica, né che si provochino sconvolgimenti nelle strutture sociali del paese. Stati sovrani, a loro solo spetta di condurre in maniera autonoma le loro faccende, di determinare la loro politica, di orientarsi liberamente verso il tipo di società preferito. È dunque una collaborazione volontaria che occorre instaurare, una compartecipazione efficace degli uni con gli altri, in un clima di eguale dignità, per la costruzione di un mondo più umano.
55. È un impegno che potrebbe apparire inattuabile in regioni dove la preoccupazione della sussistenza quotidiana è tale da assorbire tutta l’esistenza di famiglie incapaci di concepire un lavoro atto a preparare un avvenire meno miserabile. Tuttavia sono questi gli uomini e le donne che bisogna aiutare, che bisogna convincere della necessità di por mano essi stessi al loro sviluppo, acquisendone progressivamente i mezzi. Quest’opera comune sarà certamente impossibile senza uno sforzo concertato, costante e coraggioso. Ma deve essere ben chiaro ad ognuno che ciò che è in gioco è la vita stessa dei popoli poveri, è la pace civile nei paesi in via di sviluppo, ed è la pace del mondo.
2. L’EQUITÀ DELLE RELAZIONI COMMERCIALI
56. Gli sforzi, anche considerevoli, che vengono dispiegati per aiutare sul piano finanziario e tecnico i paesi in via di sviluppo, sarebbero illusori, se il loro risultato fosse parzialmente annullato dal giuoco delle relazioni commerciali tra paesi ricchi e paesi poveri. La fiducia di questi ultimi verrebbe profondamente scossa se avessero l’impressione che si toglie loro con una mano quel che si porge con l’altra.
Distorsione crescente
57. Le nazioni altamente industrializzate esportano in realtà soprattutto manufatti, mentre le economie poco sviluppate non hanno da vendere che prodotti agricoli e materie prime. Grazie al progresso tecnico, i primi aumentano rapidamente di valore e trovano sufficienti sbocchi sui mercati, mentre, per contro, i prodotti primari provenienti dai paesi in via di sviluppo subiscono ampie e brusche variazioni di prezzo, che li mantengono ben lontani dal plusvalore progressivo dei primi. Di qui le grandi difficoltà cui si trovano di fronte le nazioni da poco industrializzate, quando devono contare sulle esportazioni per equilibrare le loro economie e realizzare i loro piani sviluppo. Così finisce che i poveri restano ognora poveri, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi.
Al di là del liberalismo
58. Ciò significa che la legge del libero scambio non è più in grado di reggere da sola le relazioni internazionali. I suoi vantaggi sono certo evidenti quando i contraenti si trovino in condizioni di potenza economica non troppo disparate: allora è uno stimolo al progresso e una ricompensa agli sforzi compiuti. Si spiega quindi come i paesi industrialmente sviluppati siano portati a vedervi una legge di giustizia. La cosa cambia, però, quando le condizioni siano divenute troppo disuguali da paese a paese: i prezzi che si formano "liberamente" sul mercato possono, allora, condurre a risultati iniqui. Giova riconoscerlo: è il principio fondamentale del liberalismo come regola degli scambi commerciali che viene qui messo in causa.
Giustizia dei contratti a livello dei popoli
59. L’insegnamento di Leone XIII nella "Rerum novarum" mantiene la sua validità: il consenso delle parti, se esse versano in una situazione di eccessiva disuguaglianza, non basta a garantire la giustizia del contratto, e la legge del libero consenso rimane subordinata alle esigenze del diritto naturale. Ciò che era vero rispetto al giusto salario individuale lo è anche rispetto ai contratti internazionali: una economia di scambio non può più poggiare esclusivamente sulla legge della libera concorrenza, anch’essa troppo spesso generatrice di dittatura economica. La libertà degli scambi non è equa se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale.
Misure da prendere
60. Del resto, i paesi sviluppati l’hanno pur essi ben compreso, dal momento che s’adoperano a ristabilire con delle misure adeguate, all’interno delle rispettive economie, un equilibrio che la concorrenza abbandonata a se stessa tende a compromettere. Per cui li vediamo spesso sostenere la loro agricoltura mediante sacrifici imposti ai settori economici più favoriti. Vediamo pure come, per sostenere le relazioni commerciali che si sviluppano tra loro, particolarmente all’interno di un mercato comune, la loro politica finanziaria, fiscale e sociale si sforzi di ridare a delle industrie concorrenti, disugualmente prospere, condizioni di ristabilita competitività.
Convenzioni internazionali
61. Non è lecito usare in questo campo due pesi e due misure. Ciò che vale nell’ambito di una economia nazionale, ciò che è ammesso tra paesi sviluppati, vale altresì nelle relazioni commerciali tra paesi ricchi e paesi poveri. Non che si debba o voglia prospettare l’abolizione del mercato basato sulla concorrenza: si vuol soltanto dire che occorre però mantenerlo dentro limiti che lo rendano giusto e morale, e dunque umano. Nel commercio tra economie sviluppate e in via di sviluppo, le situazioni di partenza sono troppo squilibrate e le libertà reali troppo inegualmente distribuite. La giustizia sociale impone che il commercio internazionale, se ha da essere cosa umana e morale, ristabilisca tra le parti almeno una relativa eguaglianza di possibilità. Quest’ultima non può essere che un traguardo a lungo termine. Ma per raggiungerlo occorre fin d’ora creare una reale eguaglianza nelle discussioni e nelle trattative. Anche questo è un campo nel quale delle convenzioni internazionali a raggio sufficientemente vasto sarebbero utili, in quanto capaci di introdurre norme generali in vista di regolarizzare certi prezzi, di garantire certe produzioni, di sostenere certe industrie nascenti. Ognuno vede come un siffatto sforzo comune verso una maggiore giustizia nelle relazioni internazionali tra i popoli arrecherebbe ai paesi in via di sviluppo un aiuto positivo, con effetti non solo immediati, ma duraturi.
Ostacoli da superare: il nazionalismo e il razzismo
62. Altri ostacoli si oppongono alla edificazione di un mondo più giusto e più strutturato secondo una solidarietà universale: intendiamo parlare del nazionalismo e del razzismo. È naturale che delle comunità da poco pervenute all’indipendenza politica siano gelose di una unità nazionale ancora fragile, e si preoccupino di proteggerla. È pure normale che nazioni di vecchia cultura siano fiere del patrimonio, che hanno avuto in retaggio dalla loro storia. Ma tali sentimenti legittimi devono essere sublimati dalla carità universale che abbraccia tutti i membri della famiglia umana. Il nazionalismo isola i popoli contro il loro vero bene; e risulterebbe particolarmente dannoso là dove la fragilità delle economie nazionali esige invece la messa in comune degli sforzi, delle conoscenze e dei mezzi finanziari, onde realizzare i programmi di sviluppo e intensificare gli scambi commerciali e culturali.
63. Il razzismo non è appannaggio esclusivo delle nazioni giovani, dove esso si dissimula talvolta sotto il velo delle rivalità di clan e di partiti politici, con grande pregiudizio della giustizia e mettendo a repentaglio la pace civile. Durante l’era coloniale ha spesso imperversato tra coloni e indigeni, creando ostacoli a una feconda comprensione reciproca e provocando rancori che sono la conseguenza di reali ingiustizie. Esso costituisce altresì un ostacolo alla collaborazione tra nazioni sfavorite e un fermento generatore di divisione e di odio nel seno stesso degli stati, quando, in spregio dei diritti imprescrittibili della persona umana, individui e famiglie si vedono ingiustamente sottoposti a un regime d’eccezione, a causa della loro razza o del loro colore.
Verso un mondo solidale
64. Una tale situazione, così gravida di minacce per l’avvenire, ci affligge profondamente. Conserviamo tuttavia la speranza che un bisogno più sentito di collaborazione, un sentimento più acuto della solidarietà finiranno coll’aver la meglio sulle incomprensioni e sugli egoismi. Speriamo che i paesi a meno elevato livello di sviluppo sappiano trarre profitto da buoni rapporti di vicinanza coi paesi confinanti, allo scopo di organizzare tra di loro, sopra aree territoriali più vaste, zone di sviluppo concertato: stabilendo programmi comuni, coordinando gli investimenti, distribuendo le possibilità di produzione, organizzando gli scambi. Speriamo anche che le organizzazioni multilaterali e internazionali trovino, attraverso una necessaria organizzazione, le vie che permetteranno ai popoli tuttora in via di sviluppo di uscire dal punto morto in cui paiono dibattersi come prigionieri e di rinvenire da se stessi, nella fedeltà al genio di ciascuno, i mezzi del loro progresso sociale e umano.
Tutti i popoli artefici del loro destino
65. Perché è proprio a questo che bisogna arrivare. La solidarietà mondiale, sempre più efficiente, deve consentire a tutti i popoli di divenire essi stessi gli artefici del loro destino. Il passato è stato troppo spesso contrassegnato da rapporti di forza tra nazione e nazione: venga finalmente il giorno in cui le relazioni internazionali portino il segno del rispetto vicendevole e dell’amicizia, dell’interdipendenza nella collaborazione, e della promozione comune sotto la responsabilità di ciascuno. I popoli più giovani e più deboli reclamano la parte attiva che loro spetta nella costruzione d’un mondo migliore, più rispettoso dei diritti e della vocazione di ciascuno. Il loro appello è legittimo: a ognuno d’intenderlo e di rispondervi.
3. LA CARITÀ UNIVERSALE
66. Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli.
Doveri connessi con l’ospitalità
67. Noi non insisteremo mai abbastanza sul dovere della accoglienza - dovere di solidarietà umana e di carità cristiana - che incombe sia alle famiglie, sia alle organizzazioni culturali dei paesi ospitanti. Occorre, soprattutto per i giovani, moltiplicare le famiglie e i luoghi atti ad accoglierli. Ciò innanzitutto allo scopo di proteggerli contro la solitudine, il sentimento d’abbandono, la disperazione, che minano ogni capacità di risorsa morale, ma anche per difenderli contro la situazione malsana in cui si trovano, che li forza a paragonare l’estrema povertà della loro patria col lusso e lo spreco donde sono circondati. E ancora: per salvaguardarli dal contagio delle dottrine eversive e dalle tentazioni aggressive cui li espone il ricordo di tanta "miseria immeritata". Infine soprattutto per dare a loro, insieme con il calore d’una accoglienza fraterna, l’esempio d’una vita sana, il gusto della carità cristiana autentica e fattiva, lo stimolo ad apprezzare i valori spirituali.
Dramma di giovani studenti e di lavoratori emigrati
68. È doloroso il pensarlo: numerosi giovani, venuti in paesi più progrediti per apprendervi la scienza, la competenza e la cultura che li renderanno più atti a servire la loro patria, vi acquistano certo una formazione di alta qualità, ma finiscono in non rari casi col perdervi il senso dei valori spirituali che spesso erano presenti, come un prezioso patrimonio, nelle civiltà che li avevano visti crescere.
69. La stessa accoglienza è dovuta ai lavoratori emigrati che vivono in condizioni spesso disumane, costretti a spremere il proprio salario per alleviare un po’ le famiglie rimaste nella miseria sul suolo natale.
Senso sociale
70. La nostra seconda raccomandazione è per quelli che in forza della loro attività economica sono chiamati in paesi recentemente aperti all’industrializzazione: industriali, commercianti, capi o rappresentanti di grandi imprese. Si tratta magari di uomini che si dimostrano, nel loro paese, non sprovvisti di senso sociale: perché dovrebbero regredire ai principi disumani dell’individualismo quando operano in paesi meno sviluppati? La loro condizione di superiorità deve al contrario spronarli a farsi iniziatori del progresso sociale e della promozione umana, là dove sono condotti dai loro impegni economici. Il loro stesso senso dell’organizzazione dovrà ad essi suggerire il modo migliore per valorizzare il lavoro indigeno, formare operai qualificati, preparare ingegneri e dirigenti, lasciare spazio alla loro iniziativa, introdurli progressivamente nei posti più elevati, preparandoli così a condividere, in un avvenire meno lontano, le responsabilità della direzione. Che la giustizia, almeno, regoli sempre le relazioni tra capi e subordinati. Che esse siano rette da contratti regolari con obblighi reciproci. Infine, che nessuno, qualunque sia la sua condizione, resti ingiustamente in balia dell’arbitrio.
Missione di sviluppo
71. Sempre più numerosi, e ce ne rallegriamo, sono gli esperti inviati in missione di sviluppo ad opera di istituzioni internazionali o bilaterali o di organismi privati. "Essi non devono comportarsi da padroni, ma da assistenti e da e da collaboratori". Una popolazione intuisce subito se l’aiuto che vengono a portare è dato con passione oppure no, se sono lì semplicemente per applicare delle tecniche o non anche per dare all’uomo tutto il suo valore. Il loro messaggio rischia di non essere accolto, se non è accompagnato da uno spirito di amore fraterno.
Qualità degli esperti
72. Alla competenza tecnica indispensabile, bisogna dunque accoppiare i segni autentici d’un amore disinteressato. Spogli d’ogni superbia nazionalistica come d’ogni parvenza di razzismo, gli esperti devono imparare a lavorare in stretta collaborazione con tutti. Essi devono sapere che la loro competenza non conferisce loro una superiorità in tutti i campi. La civiltà nella quale si sono formati contiene indubbiamente degli elementi d’umanesimo universale, ma non è né unica né esclusiva, e non può essere importata senza adattamenti. I responsabili di queste missioni devono preoccuparsi di scoprire, insieme con la sua storia, le caratteristiche e le ricchezze culturali del paese che li accoglie. Si stabilirà così un avvicinamento che risulterà fecondo per ambedue le civiltà.
Dialoghi di civiltà
73. Tra le civiltà, come tra le persone, un dialogo sincero è di fatto creatore di fraternità. L’impresa dello sviluppo ravvicinerà i popoli, nelle realizzazioni portate avanti con uno sforzo comune, se tutti, a cominciare dai governi e dai loro rappresentanti, e fino al più umile esperto, saranno animati da uno spirito di amore fraterno e mossi dal desiderio sincero di costruire una civiltà fondata sulla solidarietà mondiale. Un dialogo centrato sull’uomo, e non sui prodotti e sulle tecniche, potrà allora aprirsi. Un dialogo che sarà fecondo, se arrecherà ai popoli che ne fruiscono i mezzi di elevarsi e di raggiungere un più alto grado di vita spirituale; se i tecnici sapranno farsi educatori e se l’insegnamento trasmesso porterà il segno d’una qualità spirituale e morale così elevata da garantire uno sviluppo che non sia soltanto economico, ma umano. Passata la fase dell’assistenza, le relazioni in tal modo instaurate perdureranno, e non v’è chi non scorga di quale importanza esse saranno per la pace del mondo.
Appello ai giovani
74. Molti giovani hanno già risposto con ardore e sollecitudine all’appello di Pio XII per un laicato missionario. Numerosi sono anche quelli che si sono spontaneamente messi a disposizione di organismi, ufficiali o privati, di collaborazione con i popoli in via di sviluppo. Ci rallegriamo nell’apprendere che in talune nazioni il "servizio militare" può essere scambiato in parte con un "servizio civile", un "servizio puro e semplice", e benediciamo tali iniziative e le buone volontà che vi rispondono. Possano tutti quelli che si richiamano a Cristo intendere il suo appello: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, prigioniero e siete venuti a trovarmi". Nessuno può rimanere indifferente alla sorte dei suoi fratelli tuttora immersi nella miseria, in preda all’ignoranza, vittime della insicurezza. Come il Cuore di Cristo, il cuore del cristiano deve muoversi a compassione di questa miseria: "Ho compassione di questa folla".
Preghiera e azione
75. La preghiera di tutti deve salire con fervore verso l’Onnipotente, perché l’umanità, dopo aver preso coscienza di così grandi mali, si dedichi con intelligenza e fermezza ad abolirli. A questa preghiera deve corrispondere l’impegno risoluto di ciascuno, nella misura delle sue forze e delle sue possibilità, nella lotta contro il sottosviluppo. Possano le persone, i gruppi sociali e le nazioni darsi fraternamente la mano, il forte aiutando il debole a crescere, mettendo in questo tutta la sua competenza, il suo entusiasmo e il suo amore disinteressato. Più che chiunque altro, colui ch’è animato da una vera carità è ingegnoso nello scoprire le cause della miseria, nel trovare i mezzi per combatterla, nel vincerla risolutamente. Operatore di pace. "egli percorrerà la sua strada, accendendo la gioia e versando la luce e la grazia nel cuore degli uomini su tutta la superficie della terra, facendo loro scoprire, al di là di tutte le frontiere, volti di fratelli, volti di amici".

LO SVILUPPO È IL NUOVO NOME DELLA PACE
76. Le disuguaglianze economiche, sociali e culturali troppo grandi tra popolo e popolo provocano tensioni e discordie, e mettono in pericolo la pace. Come dicevamo ai padri conciliari al ritorno dal nostro viaggio di pace all’ONU: "La condizione delle popolazioni in via di sviluppo deve formare l’oggetto della nostra considerazione; diciamo meglio, la nostra carità per i poveri che si trovano nel mondo - e sono legione infinita - deve divenire più attenta. più attiva, più generosa". Combattere la miseria e lottare conto l’ingiustizia, è promuovere, insieme con il miglioramento delle condizioni di vita, il progresso umano e spirituale di tutti, e dunque il bene comune dell’umanità. La pace non si riduce a un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento d’un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini.
Uscire dall’isolamento
77. Artefici del loro proprio sviluppo, i popoli ne sono i primi responsabili. Ma non potranno realizzarlo nell’isolamento. Accordi regionali tra popoli deboli per sostenersi vicendevolmente, intese più ampie per venir loro in aiuto, convenzioni più ambiziose tra gli uni e gli altri, volte a stabilire programmi concertati: sono le tappe di questo cammino dello sviluppo che conduce alla pace.
Verso un’autorità mondiale efficace
78. Questa collaborazione internazionale a vocazione mondiale postula delle istituzioni che la preparino, la coordinino e la reggano, fino a costituire un ordine giuridico universalmente riconosciuto. Di tutto cuore Noi incoraggiamo le organizzazioni che hanno preso in mano questa collaborazione allo sviluppo, e auspichiamo che la loro autorità s’accresca. "La vostra vocazione - dicevamo ai rappresentanti delle Nazioni Unite a New York - è di far fraternizzare, non già alcuni popoli, ma tutti i popoli... Chi non vede la necessità di arrivare in tal modo progressivamente a instaurare una autorità mondiale in grado d’agire efficacemente sul piano giuridico e politico?".
Fondate speranze in un mondo migliore
79. Certuni giudicheranno utopistiche siffatte speranze. Potrebbe darsi che il loro realismo pecchi per difetto, e ch’essi non abbiano percepito il dinamismo d’un mondo che vuol vivere più fraternamente, e che, malgrado le sue ignoranze, i suoi errori, e anche i suoi peccati, le sue ricadute nella barbarie e le sue lunghe divagazioni fuori della via della salvezza, si avvicina lentamente, anche senza rendersene conto, al suo Creatore. Questo cammino verso una crescita di umanità richiede sforzo e sacrificio: ma la stessa sofferenza, accettata per amore dei fratelli, è portatrice di progresso per tutta la famiglia umana. I cristiani sanno che l’unione al sacrificio del Salvatore contribuisce all’edificazione del corpo di Cristo nella sua pienezza: il popolo di Dio coadunato.
Tutti solidali
80. In questo cammino siamo tutti solidali. A tutti perciò abbiamo voluto ricordare la vastità del dramma e l’urgenza dell’opera da compiere. L’ora dell’azione è già suonata: la sopravvivenza di tanti bambini innocenti, l’accesso a una condizione umana di tante famiglie sventurate, la pace del mondo, l’avvenire della civiltà sono in gioco. A tutti gli uomini e a tutti i popoli di assumersi le loro responsabilità. 
APPELLO FINALE
Cattolici
81. Noi scongiuriamo per primi tutti i Nostri figli. Nei paesi in via di sviluppo non meno che altrove, i laici devono assumere come loro compito specifico il rinnovamento dell’ordine temporale. Se l’ufficio della gerarchia è quello di insegnare e interpretare in modo autentico i principi morali da seguire in questo campo, spetta a loro, attraverso la loro libera iniziativa e senza attendere passivamente consegne o direttive, di penetrare di spirito cristiano la mentalità della loro comunità di vita. Sono necessari dei cambiamenti, indispensabili delle riforme profonde: essi devono impegnarsi risolutamente a infonder loro il soffio dello spirito evangelico. Ai Nostri figli cattolici appartenenti ai paesi più favoriti Noi domandiamo l’apporto della loro competenza e della loro attiva partecipazione alle organizzazioni ufficiali o private, civili o religiose, che si dedicano a vincere le difficoltà delle nazioni in via di sviluppo. Essi avranno senza alcun dubbio a cuore di essere in prima linea tra coloro che lavorano a tradurre nei fatti una morale internazionale di giustizia e di equità.
Cristiani e credenti
82. Tutti i cristiani, nostri fratelli, vorranno, non ne dubitiamo, ampliare il loro sforzo comune e concertato allo scopo di aiutare il mondo a trionfare dell’egoismo, dell’orgoglio e delle rivalità, a superare le ambizioni e le ingiustizie, ad aprire a tutti le vie di una vita più umana, in cui ciascuno sia amato e aiutato come il prossimo del suo fratello. E, ancora commossi al ricordo dell’indimenticabile incontro di Bombay con i nostri fratelli non cristiani, di nuovo Noi li invitiamo a cooperare con tutto il loro cuore e la loro intelligenza, affinché tutti i figli degli uomini possano condurre una vita degna dei figli di Dio.
Uomini di buona volontà
83. Infine, ci volgiamo verso tutti gli uomini di buona volontà consapevoli che il cammino della pace passa attraverso lo sviluppo. Delegati presso le istituzioni internazionali, uomini di Stato, pubblicisti, educatori, tutti, ciascuno al vostro posto, voi siete i costruttori di un mondo nuovo Supplichiamo Dio onnipotente di illuminare la vostra intelligenza e di fortificare il vostro coraggio nel risvegliare l’opinione pubblica e trascinare i popoli. Educatori, tocca a voi di suscitare sino dall’infanzia l’amore per i popoli in preda all’abbandono. Pubblicisti, vostro è il compito di mettere sotto i nostri occhi gli sforzi compiuti per promuovere il reciproco aiuto tra i popoli, così come lo spettacolo delle miserie che gli uomini hanno tendenza a dimenticare per tranquillizzare la loro coscienza: che i ricchi sappiano almeno che i poveri sono alla loro porta e fanno la posta agli avanzi dei loro festini.
Uomini di Stato
84. Uomini di Stato, su voi incombe l’obbligo di mobilitare le vostre comunità ai fini di una solidarietà mondiale più efficace, e anzitutto di far loro accettare i necessari prelevamenti sul loro lusso e i loro sprechi per promuovere lo sviluppo e salvare la pace. Delegati presso le organizzazioni internazionali, da voi dipende che il pericoloso e sterile fronteggiarsi delle forze ceda il posto alla collaborazione amichevole, pacifica e disinteressata per uno sviluppo solidale dell’umanità: una umanità nella quale sia dato a tutti gli uomini di raggiungere la loro piena fioritura.
Uomini di pensiero
85. E se è vero che il mondo soffre per mancanza di pensiero, Noi convochiamo gli uomini di riflessione e di pensiero, cattolici, cristiani, quelli che onorano Dio, che sono assetati di assoluto, di giustizia e di verità: tutti gli uomini di buona volontà. Sull’esempio di Cristo, Noi osiamo pregarvi pressantemente: "Cercate e troverete", aprite le vie che conducono, attraverso l’aiuto vicendevole, l’approfondimento del sapere, l’allargamento del cuore, a una vita più fraterna in una comunità umana veramente universale.
Tutti all’opera
86. Voi tutti che avete inteso l’appello dei popoli sofferenti, voi tutti che lavorate per rispondervi, voi siete gli apostoli del buono e vero sviluppo, che non è la ricchezza egoista e amata per se stessa, ma l’economia al servizio dell’uomo, il pane quotidiano distribuito a tutti, quale sorgente di fraternità e segno della Provvidenza.
87. Di gran cuore vi benediciamo, e chiamiamo tutti gli uomini di buona volontà ad unirsi fraternamente a voi. Perché, se lo sviluppo è il nuovo nome della pace, chi non vorrebbe cooperarvi con tutte le sue forze:? Sì, tutti: Noi vi invitiamo a rispondere al Nostro grido di angoscia, nel Nome del Signore.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 26 marzo, solennità della risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, dell’anno 1967, quarto del nostro pontificato.
PAOLO PP. VI



POPULORUM PROGRESSIO
ENCYCLICAL OF POPE PAUL VI
ON THE DEVELOPMENT OF PEOPLES
MARCH 26, 1967

To the Bishops, Priests, Religious, and Faithful of the Whole Catholic World, and to All Men of Good Will.
Honored Brothers and Dear Sons, Health and Apostolic Benediction.
The progressive development of peoples is an object of deep interest and concern to the Church. This is particularly true in the case of those peoples who are trying to escape the ravages of hunger, poverty, endemic disease and ignorance; of those who are seeking a larger share in the benefits of civilization and a more active improvement of their human qualities; of those who are consciously striving for fuller growth.
The Church's Concern
With an even clearer awareness, since the Second Vatican Council, of the demands imposed by Christ's Gospel in this area, the Church judges it her duty to help all men explore this serious problem in all its dimensions, and to impress upon them the need for concerted action at this critical juncture.
2. Our recent predecessors did not fail to do their duty in this area. Their noteworthy messages shed the light of the Gospel on contemporary social questions. There was Leo XIII's encyclical Rerum Novarum, (1) Pius XI's encyclical Quadragesimo Anno, (2) Pius XII's radio message to the world, (3) and John XXIII's two encyclicals, Mater et Magistra (4) and Pacem in Terris. (5)
A Problem for All Men
3. Today it is most important for people to understand and appreciate that the social question ties all men together, in every part of the world. John XXIII stated this clearly, (6) and Vatican II confirmed it in its Pastoral Constitution on The Church in the World of Today. (7) The seriousness and urgency of these teachings must be recognized without delay.
The hungry nations of the world cry out to the peoples blessed with abundance. And the Church, cut to the quick by this cry, asks each and every man to hear his brother's plea and answer it lovingly.
Our Journeys
4. Before We became pope, We traveled to Latin America (1960) and Africa (1962). There We saw the perplexing problems that vex and besiege these continents, which are otherwise full of life and promise. On being elected pope, We became the father of all men. We made trips to Palestine and India, gaining first-hand knowledge of the difficulties that these age-old civilizations must face in their struggle for further development. Before the close of the Second Vatican Council, providential circumstances allowed Vs to address the United Nations and to plead the case of the impoverished nations before that distinguished assembly.
Justice and Peace
5. Even more recently, We sought to fulfill the wishes of the Council and to demonstrate the Holy See's concern for the developing nations. To do this, We felt it was necessary to add another pontifical commission to the Church's central administration . The purpose of this commission is "to awaken in the People of God full awareness of their mission today. In this way they can further the progress of poorer nations and international social justice, as well as help less developed nations to contribute to their own development." (8)
The name of this commission, Justice and Peace, aptly describes its program and its goal. We are sure that all men of good will want to join Our fellow Catholics and fellow Christians in carrying out this program. So today We earnestly urge all men to pool their ideas and their activities for man's complete development and the development of all mankind.
I. MAN 'S COMPLETE DEVELOPMENT
6. Today we see men trying to secure a sure food supply, cures for diseases, and steady employment. We see them trying to eliminate every ill, to remove every obstacle which offends man's dignity. They are continually striving to exercise greater personal responsibility; to do more, learn more, and have more so that they might increase their personal worth. And yet, at the same time, a large number of them live amid conditions which frustrate these legitimate desires.
Moreover, those nations which have recently gained independence find that political freedom is not enough. They must also acquire the social and economic structures and processes that accord with man's nature and activity, if their citizens are to achieve personal growth and if their country is to take its rightful place in the international community.
Effects of Colonialism
7. Though insufficient for the immensity and urgency of the task, the means inherited from the past are not totally useless. It is true that colonizing nations were sometimes concerned with nothing save their own interests, their own power and their own prestige; their departure left the economy of these countries in precarious imbalance—the one-crop economy, for example, which is at the mercy of sudden, wide-ranging fluctuations in market prices. Certain types of colonialism surely caused harm and paved the way for further troubles.
On the other hand, we must also reserve a word of praise for those colonizers whose skills and technical know-how brought benefits to many untamed lands, and whose work survives to this day. The structural machinery they introduced was not fully developed or perfected, but it did help to reduce ignorance and disease, to promote communication, and to improve living conditions.
The Widening Gap
8. Granted all this, it is only too clear that these structures are no match for the harsh economic realities of today. Unless the existing machinery is modified, the disparity between rich and poor nations will increase rather than diminish; the rich nations are progressing with rapid strides while the poor nations move forward at a slow pace.
The imbalance grows with each passing day: while some nations produce a food surplus, other nations are in desperate need of food or are unsure of their export market.
Signs of Social Unrest
9. At the same time, social unrest has gradually spread throughout the world. The acute restlessness engulfing the poorer classes in countries that are now being industrialized has spread to other regions where agriculture is the mainstay of the economy. The farmer is painfully aware of his "wretched lot." (9)
Then there are the flagrant inequalities not merely in the enjoyment of possessions, but even more in the exercise of power. In certain regions a privileged minority enjoys the refinements of life, while the rest of the inhabitants, impoverished and disunited, "are deprived of almost all possibility of acting on their own initiative and responsibility, and often subsist in living and working conditions unworthy of the human person." (10) Cultural Conflicts
10. Moreover, traditional culture comes into conflict with the advanced techniques of modern industrialization; social structures out of tune with today's demands are threatened with extinction. For the older generation, the rigid structures of traditional culture are the necessary mainstay of one's personal and family life; they cannot be abandoned. The younger generation, on the other hand, regards them as useless obstacles, and rejects them to embrace new forms of societal life.
The conflict between generations leads to a tragic dilemma: either to preserve traditional beliefs and structures and reject social progress; or to embrace foreign technology and foreign culture, and reject ancestral traditions with their wealth of humanism. The sad fact is that we often see the older moral, spiritual and religious values give way without finding any place in the new scheme of things.
Concomitant Dangers
11. In such troubled times some people are strongly tempted by the alluring but deceitful promises of would-be saviors. Who does not see the concomitant dangers: public upheavals, civil insurrection, the drift toward totalitarian ideologies?
These are the realities of the question under study here, and their gravity must surely be apparent to everyone.
The Church and Development
12. True to the teaching and example of her divine Founder, who cited the preaching of the Gospel to the poor as a sign of His mission, (12) the Church has never failed to foster the human progress of the nations to which she brings faith in Christ. Besides erecting sacred edifices, her missionaries have also promoted construction of hospitals, sanitariums, schools and universities. By teaching the native population how to take full advantage of natural resources, the missionaries often protected them from the greed of foreigners.
We would certainly admit that this work was sometimes far from perfect, since it was the work of men. The missionaries sometimes intermingled the thought patterns and behavior patterns of their native land with the authentic message of Christ. Yet, for all this, they did protect and promote indigenous institutions; and many of them pioneered in promoting the country's material and cultural progress.
We need only mention the efforts of Pere Charles de Foucauld: he compiled a valuable dictionary of the Tuareg language, and his charity won him the title, "everyone's brother." So We deem it fitting to praise those oft forgotten pioneers who were motivated by love for Christ, just as We honor their imitators and successors who today continue to put themselves at the generous and unselfish service of those to whom they preach the Gospel.
The Present Need
13. In the present day, however, individual and group effort within these countries is no longer enough. The world situation requires the concerted effort of everyone, a thorough examination of every facet of the problem—social, economic, cultural and spiritual.
The Church, which has long experience in human affairs and has no desire to be involved in the political activities of any nation, "seeks but one goal: to carry forward the work of Christ under the lead of the befriending Spirit. And Christ entered this world to give witness to the truth; to save, not to judge; to serve, not to be served.'' (12)
Founded to build the kingdom of heaven on earth rather than to acquire temporal power, the Church openly avows that the two powers—Church and State—are distinct from one another; that each is supreme in its own sphere of competency. (13) But since the Church does dwell among men, she has the duty "of scrutinizing the signs of the times and of interpreting them in the light of the Gospel." (14) Sharing the noblest aspirations of men and suffering when she sees these aspirations not satisfied, she wishes to help them attain their full realization. So she offers man her distinctive contribution: a global perspective on man and human realities.
Authentic Development
14. The development We speak of here cannot be restricted to economic growth alone. To be authentic, it must be well rounded; it must foster the development of each man and of the whole man. As an eminent specialist on this question has rightly said: "We cannot allow economics to be separated from human realities, nor development from the civilization in which it takes place. What counts for us is man—each individual man, each human group, and humanity as a whole.'' (15)
Personal Responsibility
15. In God's plan, every man is born to seek self-fulfillment, for every human life is called to some task by God. At birth a human being possesses certain aptitudes and abilities in germinal form, and these qualities are to be cultivated so that they may bear fruit. By developing these traits through formal education of personal effort, the individual works his way toward the goal set for him by the Creator.
Endowed with intellect and free will, each man is responsible for his self-fulfillment even as he is for his salvation. He is helped, and sometimes hindered, by his teachers and those around him; yet whatever be the outside influences exerted on him, he is the chief architect of his own success or failure. Utilizing only his talent and willpower, each man can grow in humanity, enhance his personal worth, and perfect himself.
Man's Supernatural Destiny
16. Self-development, however, is not left up to man's option. Just as the whole of creation is ordered toward its Creator, so too the rational creature should of his own accord direct his life to God, the first truth and the highest good. Thus human self-fulfillment may be said to sum up our obligations.
Moreover, this harmonious integration of our human nature, carried through by personal effort and responsible activity, is destined for a higher state of perfection. United with the life-giving Christ, man's life is newly enhanced; it acquires a transcendent humanism which surpasses its nature and bestows new fullness of life. This is the highest goal of human self-fulfillment.
Ties With All Men
17. Each man is also a member of society; hence he belongs to the community of man. It is not just certain individuals but all men who are called to further the development of human society as a whole. Civilizations spring up, flourish and die. As the waves of the sea gradually creep farther and farther in along the shoreline, so the human race inches its way forward through history.
We are the heirs of earlier generations, and we reap benefits from the efforts of our contemporaries; we are under obligation to all men. Therefore we cannot disregard the welfare of those who will come after us to increase the human family. The reality of human solidarity brings us not only benefits but also obligations.
Development in Proper Perspective
18. Man's personal and collective fulfillment could be jeopardized if the proper scale of values were not maintained. The pursuit of life's necessities is quite legitimate; hence we are duty-bound to do the work which enables us to obtain them: "If anyone is unwilling to work, do not let him eat.'' (l6) But the acquisition of worldly goods can lead men to greed, to the unrelenting desire for more, to the pursuit of greater personal power. Rich and poor alike—be they individuals, families or nations—can fall prey to avarice and soulstifling materialism.
Latent Dangers
19. Neither individuals nor nations should regard the possession of more and more goods as the ultimate objective. Every kind of progress is a two-edged sword. It is necessary if man is to grow as a human being; yet it can also enslave him, if he comes to regard it as the supreme good and cannot look beyond it. When this happens, men harden their hearts, shut out others from their minds and gather together solely for reasons of self-interest rather than out of friendship; dissension and disunity follow soon after.
Thus the exclusive pursuit of material possessions prevents man's growth as a human being and stands in opposition to his true grandeur. Avarice, in individuals and in nations, is the most obvious form of stultified moral development.
A New Humanism Needed
20. If development calls for an ever-growing number of technical experts, even more necessary still is the deep thought and reflection of wise men in search of a new humanism, one which will enable our contemporaries to enjoy the higher values of love and friendship, of prayer and contemplation, (17) and thus find themselves. This is what will guarantee man's authentic development—his transition from less than human conditions to truly human ones.
The Scale of Values
21. What are less than human conditions? The material poverty of those who lack the bare necessities of life, and the moral poverty of those who are crushed under the weight of their own self-love; oppressive political structures resulting from the abuse of ownership or the improper exercise of power, from the exploitation of the worker or unjust transactions.
What are truly human conditions? The rise from poverty to the acquisition of life's necessities; the elimination of social ills; broadening the horizons of knowledge; acquiring refinement and culture. From there one can go on to acquire a growing awareness of other people's dignity, a taste for the spirit of poverty, (l8) an active interest in the common good, and a desire for peace. Then man can acknowledge the highest values and God Himself, their author and end. Finally and above all, there is faith—God's gift to men of good will—and our loving unity in Christ, who calls all men to share God's life as sons of the living God, the Father of all men.
Issues and Principles
22. In the very first pages of Scripture we read these words: "Fill the earth and subdue it."(19) This teaches us that the whole of creation is for man, that he has been charged to give it meaning by his intelligent activity, to complete and perfect it by his own efforts and to his own advantage.
Now if the earth truly was created to provide man with the necessities of life and the tools for his own progress, it follows that every man has the right to glean what he needs from the earth. The recent Council reiterated this truth: "God intended the earth and everything in it for the use of all human beings and peoples. Thus, under the leadership of justice and in the company of charity, created goods should flow fairly to all." (20)
All other rights, whatever they may be, including the rights of property and free trade, are to be subordinated to this principle. They should in no way hinder it; in fact, they should actively facilitate its implementation. Redirecting these rights back to their original purpose must be regarded as an important and urgent social duty.
The Use of Private Property
23. "He who has the goods of this world and sees his brother in need and closes his heart to him, how does the love of God abide in him?" (21) Everyone knows that the Fathers of the Church laid down the duty of the rich toward the poor in no uncertain terms. As St. Ambrose put it: "You are not making a gift of what is yours to the poor man, but you are giving him back what is his. You have been appropriating things that are meant to be for the common use of everyone. The earth belongs to everyone, not to the rich." (22) These words indicate that the right to private property is not absolute and unconditional.
No one may appropriate surplus goods solely for his own private use when others lack the bare necessities of life. In short, "as the Fathers of the Church and other eminent theologians tell us, the right of private property may never be exercised to the detriment of the common good." When "private gain and basic community needs conflict with one another," it is for the public authorities "to seek a solution to these questions, with the active involvement of individual citizens and social groups." (23)
The Common Good
24. If certain landed estates impede the general prosperity because they are extensive, unused or poorly used, or because they bring hardship to peoples or are detrimental to the interests of the country, the common good sometimes demands their expropriation.
Vatican II affirms this emphatically. (24) At the same time it clearly teaches that income thus derived is not for man's capricious use, and that the exclusive pursuit of personal gain is prohibited. Consequently, it is not permissible for citizens who have garnered sizeable income from the resources and activities of their own nation to deposit a large portion of their income in foreign countries for the sake of their own private gain alone, taking no account of their country's interests; in doing this, they clearly wrong their country. (25)
The Value of Industrialization
25. The introduction of industrialization, which is necessary for economic growth and human progress, is both a sign of development and a spur to it. By dint of intelligent thought and hard work, man gradually uncovers the hidden laws of nature and learns to make better use of natural resources. As he takes control over his way of life, he is stimulated to undertake new investigations and fresh discoveries, to take prudent risks and launch new ventures, to act responsibly and give of himself unselfishly.
Unbridled Liberalism
26. However, certain concepts have somehow arisen out of these new conditions and insinuated themselves into the fabric of human society. These concepts present profit as the chief spur to economic progress, free competition as the guiding norm of economics, and private ownership of the means of production as an absolute right, having no limits nor concomitant social obligations
This unbridled liberalism paves the way for a particular type of tyranny, rightly condemned by Our predecessor Pius XI, for it results in the "international imperialism of money."(26)
Such improper manipulations of economic forces can never be condemned enough; let it be said once again that economics is supposed to be in the service of man. (27)
But if it is true that a type of capitalism, as it is commonly called, has given rise to hardships, unjust practices, and fratricidal conflicts that persist to this day, it would be a mistake to attribute these evils to the rise of industrialization itself, for they really derive from the pernicious economic concepts that grew up along with it. We must in all fairness acknowledge the vital role played by labor systemization and industrial organization in the task of development.
Nobility of Work
27. The concept of work can turn into an exaggerated mystique. Yet, for all that, it is something willed and approved by God. Fashioned in the image of his Creator, "man must cooperate with Him in completing the work of creation and engraving on the earth the spiritual imprint which he himself has received." (25) God gave man intelligence, sensitivity and the power of thought—tools with which to finish and perfect the work He began. Every worker is, to some extent, a creator—be he artist, craftsman, executive, laborer or farmer.
Bent over a material that resists his efforts, the worker leaves his imprint on it, at the same time developing his own powers of persistence, inventiveness and concentration. Further, when work is done in common—when hope, hardship, ambition and joy are shared—it brings together and firmly unites the wills, minds and hearts of men. In its accomplishment, men find themselves to be brothers. (29)
Dangers and Ideals
28. Work, too, has a double edge. Since it promises money, pleasure and power, it stirs up selfishness in some and incites other to revolt. On the other hand, it also fosters a professional outlook, a sense of duty, and love of neighbor. Even though it is now being organized more scientifically and efficiently, it still can threaten man's dignity and enslave him; for work is human only if it results from man's use of intellect and free will.
Our predecessor John XXIII stressed the urgent need of restoring dignity to the worker and making him a real partner in the common task: "Every effort must be made to ensure that the enterprise is indeed a true human community, concerned about the needs, the activities and the standing of each of its members." (30)
Considered from a Christian point of view, work has an even loftier connotation. It is directed to the establishment of a supernatural order here on earth, (31) a task that will not be completed until we all unite to form that perfect manhood of which St. Paul speaks, "the mature measure of the fullness of Christ." (32)
Balanced Progress Required
29. We must make haste. Too many people are suffering. While some make progress, others stand still or move backwards; and the gap between them is widening. However, the work must proceed in measured steps if the proper equilibrium is to be maintained. Makeshift agrarian reforms may fall short of their goal. Hasty industrialization can undermine vital institutions and produce social evils, causing a setback to true human values.
Reform, Not Revolution
30. The injustice of certain situations cries out for God's attention. Lacking the bare necessities of life, whole nations are under the thumb of others; they cannot act on their own initiative; they cannot exercise personal responsibility; they cannot work toward a higher degree of cultural refinement or a greater participation in social and public life. They are sorely tempted to redress these insults to their human nature by violent means.
31. Everyone knows, however, that revolutionary uprisings—except where there is manifest, longstanding tyranny which would do great damage to fundamental personal rights and dangerous harm to the common good of the country—engender new injustices, introduce new inequities and bring new disasters. The evil situation that exists, and it surely is evil, may not be dealt with in such a way that an even worse situation results.
A Task for Everyone
32. We want to be clearly understood on this point: The present state of affairs must be confronted boldly, and its concomitant injustices must be challenged and overcome. Continuing development calls for bold innovations that will work profound changes. The critical state of affairs must be corrected for the better without delay.
Everyone must lend a ready hand to this task, particularly those who can do most by reason of their education, their office, or their authority. They should set a good example by contributing part of their own goods, as several of Our brother bishops have done. (33) In this way they will be responsive to men's longings and faithful to the Holy Spirit, because "the ferment of the Gospel, too, has aroused and continues to arouse in man's heart the irresistible requirements of his dignity. (34)
Programs and Planning
33. Individual initiative alone and the interplay of competition will not ensure satisfactory development. We cannot proceed to increase the wealth and power of the rich while we entrench the needy in their poverty and add to the woes of the oppressed. Organized programs are necessary for "directing, stimulating, coordinating, supplying and integrating" (35) the work of individuals and intermediary organizations.
It is for the public authorities to establish and lay down the desired goals, the plans to be followed, and the methods to be used in fulfilling them; and it is also their task to stimulate the efforts of those involved in this common activity. But they must also see to it that private initiative and intermediary organizations are involved in this work. In this way they will avoid total collectivization and the dangers of a planned economy which might threaten human liberty and obstruct the exercise of man's basic human rights.
The Ultimate Purpose
34. Organized programs designed to increase productivity should have but one aim: to serve human nature. They should reduce inequities, eliminate discrimination, free men from the bonds of servitude, and thus give them the capacity, in the sphere of temporal realities, to improve their lot, to further their moral growth and to develop their spiritual endowments. When we speak of development, we should mean social progress as well as economic growth.
It is not enough to increase the general fund of wealth and then distribute it more fairly. It is not enough to develop technology so that the earth may become a more suitable living place for human beings. The mistakes of those who led the way should help those now on the road to development to avoid certain dangers. The reign of technology—technocracy, as it is called—can cause as much harm to the world of tomorrow as liberalism did to the world of yesteryear. Economics and technology are meaningless if they do not benefit man, for it is he they are to serve. Man is truly human only if he is the master of his own actions and the judge of their worth, only if he is the architect of his own progress. He must act according to his God-given nature, freely accepting its potentials and its claims upon him.
Basic Education
35. We can even say that economic growth is dependent on social progress, the goal to which it aspires; and that basic education is the first objective for any nation seeking to develop itself. Lack of education is as serious as lack of food; the illiterate is a starved spirit. When someone learns how to read and write, he is equipped to do a job and to shoulder a profession, to develop self-confidence and realize that he can progress along with others. As We said in Our message to the UNESCO meeting at Teheran, literacy is the "first and most basic tool for personal enrichment and social integration; and it is society's most valuable tool for furthering development and economic progress." (36)
We also rejoice at the good work accomplished in this field by private initiative, by the public authorities, and by international organizations. These are the primary agents of development, because they enable man to act for himself.
Role of the Family
36. Man is not really himself, however, except within the framework of society and there the family plays the basic and most important role. The family's influence may have been excessive at some periods of history and in some places, to the extent that it was exercised to the detriment of the fundamental rights of the individual. Yet time honored social frameworks, proper to the developing nations, are still necessary for awhile, even as their excessive strictures are gradually relaxed. The natural family, stable and monogamous—as fashioned by God (37) and sanctified by Christianity—"in which different generations live together, helping each other to acquire greater wisdom and to harmonize personal rights with other social needs, is the basis of society" (38)
Population Growth
37. There is no denying that the accelerated rate of population growth brings many added difficulties to the problems of development where the size of the population grows more rapidly than the quantity of available resources to such a degree that things seem to have reached an impasse. In such circumstances people are inclined to apply drastic remedies to reduce the birth rate.
There is no doubt that public authorities can intervene in this matter, within the bounds of their competence. They can instruct citizens on this subject and adopt appropriate measures, so long as these are in conformity with the dictates of the moral law and the rightful freedom of married couples is preserved completely intact. When the inalienable right of marriage and of procreation is taken away, so is human dignity.
Finally, it is for parents to take a thorough look at the matter and decide upon the number of their children. This is an obligation they take upon themselves, before their children already born, and before the community to which they belong—following the dictates of their own consciences informed by God's law authentically interpreted, and bolstered by their trust in Him. (39)
Professional Organizations
38. In the task of development man finds the family to be the first and most basic social structure; but he is often helped by professional organizations. While such organizations are founded to aid and assist their members, they bear a heavy responsibility for the task of education which they can and must carry out. In training and developing individual men, they do much to cultivate in them an awareness of the common good and of its demands upon all.
39. Every form of social action involves some doctrine; and the Christian rejects that which is based on a materialistic and atheistic philosophy, namely one which shows no respect for a religious outlook on life, for freedom or human dignity. So long as these higher values are preserved intact, however, the existence of a variety of professional organizations and trade unions is permissible. Variety may even help to preserve freedom and create friendly rivalry. We gladly commend those people who unselfishly serve their brothers by working in such organizations.
Cultural Institutions
40. Cultural institutions also do a great deal to further the work of development. Their important role was stressed by the Council: ". . . the future of the world stands in peril unless wiser men are forthcoming. It should also be pointed out that many nations, poorer in economic goods, are quite rich in wisdom and can offer noteworthy advantages to others." (40)
Every country, rich or poor, has a cultural tradition handed down from past generations. This tradition includes institutions required by life in the world, and higher manifestations— artistic, intellectual and religious—of the life of the spirit. When the latter embody truly human values, it would be a great mistake to sacrifice them for the sake of the former. Any group of people who would consent to let this happen, would be giving up the better portion of their heritage; in order to live, they would be giving up their reason for living. Christ's question is directed to nations also: "What does it profit a man, if he gain the whole world but suffer the loss of his own soul?'' (41)
Avoiding Past Temptations
41. The poorer nations can never be too much on guard against the temptation posed by the wealthier nations. For these nations, with their favorable results from a highly technical and culturally developed civilization, provide an example of work and diligence with temporal prosperity the main pursuit. Not that temporal prosperity of itself precludes the activity of the human spirit. Indeed, with it, "the human spirit, being less subjected to material things, can be more easily drawn to the worship and contemplation of the Creator." (42) On the other hand, "modern civilization itself often complicates the approach to God, not for any essential reason, but because it is so much engrossed in worldly affairs . " (43)
The developing nations must choose wisely from among the things that are offered to them. They must test and reject false values that would tarnish a truly human way of life, while accepting noble and useful values in order to develop them in their own distinctive way, along with their own indigenous heritage.
A Full-Bodied Humanism
42. The ultimate goal is a full-bodied humanism. (44) And does this not mean the fulfillment of the whole man and of every man? A narrow humanism, closed in on itself and not open to the values of the spirit and to God who is their source, could achieve apparent success, for man can set about organizing terrestrial realities without God. But "closed off from God, they will end up being directed against man. A humanism closed off from other realities becomes inhuman." (45)
True humanism points the way toward God and acknowledges the task to which we are called, the task which offers us the real meaning of human life. Man is not the ultimate measure of man. Man becomes truly man only by passing beyond himself. In the words of Pascal: "Man infinitely surpasses man." (46)
II. THE COMMON DEVELOPMENT OF MANKIND
43. Development of the individual necessarily entails a joint effort for the development of the human race as a whole. At Bombay We said: "Man must meet man, nation must meet nation, as brothers and sisters, as children of God. In this mutual understanding and friendship, in this sacred communion, we must also begin to work together to build the common future of the human race." (47) We also urge men to explore concrete and practicable ways of organizing and coordinating their efforts, so that available resources might be shared with others; in this way genuine bonds between nations might be forged.
Three Major Duties
44. This duty concerns first and foremost the wealthier nations. Their obligations stem from the human and supernatural brotherhood of man, and present a three-fold obligation: 1) mutual solidarity—the aid that the richer nations must give to developing nations; 2) social justice—the rectification of trade relations between strong and weak nations; 3) universal charity—the effort to build a more humane world community, where all can give and receive, and where the progress of some is not bought at the expense of others. The matter is urgent, for on it depends the future of world civilization.
Aid to Developing Nations
45. "If a brother or a sister be naked and in want of daily food," says St. James, "and one of you say to them, 'Go in peace, be warm and filled,' yet you do not give them what is necessary for the body, what does it profit?" (48) Today no one can be unaware of the fact that on some continents countless men and women are ravished by hunger and countless children are undernourished. Many children die at an early age; many more of them find their physical and mental growth retarded. Thus whole populations are immersed in pitiable circumstances and lose heart.
46. Anxious appeals for help have already been voiced. That of Our predecessor John XXIII was warmly received. (49) We reiterated his sentiments in Our Christmas message of 1963, (50) and again in 1966 on behalf of India. (51) The work of the Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO) has been encouraged by the Holy See and has found generous support. Our own organization, Caritas Internationalis, is at work all over the world. Many Catholics, at the urging of Our brother bishops, have contributed unstintingly to the assistance of the needy and have gradually widened the circle of those they call neighbors.
A World of Free Men
47. But these efforts, as well as public and private allocations of gifts, loans and investments, are not enough. It is not just a question of eliminating hunger and reducing poverty. It is not just a question of fighting wretched conditions, though this is an urgent and necessary task. It involves building a human community where men can live truly human lives, free from discrimination on account of race, religion or nationality, free from servitude to other men or to natural forces which they cannot yet control satisfactorily. It involves building a human community where liberty is not an idle word, where the needy Lazarus can sit down with the rich man at the same banquet table. (52)
On the part of the rich man, it calls for great generosity, willing sacrifice and diligent effort. Each man must examine his conscience, which sounds a new call in our present times. Is he prepared to support, at his own expense, projects and undertakings designed to help the needy? Is he prepared to pay higher taxes so that public authorities may expand their efforts in the work of development? Is he prepared to pay more for imported goods, so that the foreign producer may make a fairer profit? Is he prepared to emigrate from his homeland if necessary and if he is young, in order to help the emerging nations?
A National Duty
48. The duty of promoting human solidarity also falls upon the shoulders of nations: "It is a very important duty of the advanced nations to help the developing nations . . ." (53) This conciliar teaching must be implemented. While it is proper that a nation be the first to enjoy the God-given fruits of its own labor, no nation may dare to hoard its riches for its own use alone. Each and every nation must produce more and better goods and products, so that all its citizens may live truly human lives and so that it may contribute to the common development of the human race.
Considering the mounting indigence of less developed countries, it is only fitting that a prosperous nation set aside some of the goods it has produced in order to alleviate their needs; and that it train educators, engineers, technicians and scholars who will contribute their knowledge and their skill to these less fortunate countries.
Superfluous Wealth
49. We must repeat that the superfluous goods of wealthier nations ought to be placed at the disposal of poorer nations. The rule, by virtue of which in times past those nearest us were to be helped in time of need, applies today to all the needy throughout the world. And the prospering peoples will be the first to benefit from this. Continuing avarice on their part will arouse the judgment of God and the wrath of the poor, with consequences no one can foresee. If prosperous nations continue to be jealous of their own advantage alone, they will jeopardize their highest values, sacrificing the pursuit of excellence to the acquisition of possessions. We might well apply to them the parable of the rich man. His fields yielded an abundant harvest and he did not know where to store it: "But God said to him, 'Fool, this very night your soul will be demanded from you . . .' " (54)
Concerted Planning
50. If these efforts are to be successful, they cannot be disparate and disorganized; nor should they vie with one another for the sake of power or prestige. The times call for coordinated planning of projects and programs, which are much more effective than occasional efforts promoted by individual goodwill.
As We said above, studies must be made, goals must be defined, methods and means must be chosen, and the work of select men must be coordinated; only then will present needs be met and future demands anticipated. Moreover, such planned programs do more than promote economic and social progress. They give force and meaning to the work undertaken, put due order into human life, and thus enhance man's dignity and his capabilities.
A World Fund
51. A further step must be taken. When We were at Bombay for the Eucharistic Congress, We asked world leaders to set aside part of their military expenditures for a world fund to relieve the needs of impoverished peoples. (55) What is true for the immediate war against poverty is also true for the work of national development. Only a concerted effort on the part of all nations, embodied in and carried out by this world fund, will stop these senseless rivalries and promote fruitful, friendly dialogue between nations.
52. It is certainly all right to maintain bilateral and multilateral agreements. Through such agreements, ties of dependence and feelings of jealousy—holdovers from the era of colonialism —give way to friendly relationships of true solidarity that are based on juridical and political equality. But such agreements would be free of all suspicion if they were integrated into an overall policy of worldwide collaboration. The member nations, who benefit from these agreements, would have less reason for fear or mistrust. They would not have to worry that financial or technical assistance was being used as a cover for some new form of colonialism that would threaten their civil liberty, exert economic pressure on them, or create a new power group with controlling influence.
53. Is it not plain to everyone that such a fund would reduce the need for those other expenditures that are motivated by fear and stubborn pride? Countless millions are starving, countless families are destitute, countless men are steeped in ignorance; countless people need schools, hospitals, and homes worthy of the name. In such circumstances, we cannot tolerate public and private expenditures of a wasteful nature; we cannot but condemn lavish displays of wealth by nations or individuals; we cannot approve a debilitating arms race. It is Our solemn duty to speak out against them. If only world leaders would listen to Us, before it is too late!
Dialogue Between Nations
54. All nations must initiate the dialogue which We called for in Our first encyclical, Ecclesiam Suam. (56) A dialogue between those who contribute aid and those who receive it will permit a well-balanced assessment of the support to be provided, taking into consideration not only the generosity and the available wealth of the donor nations, but also the real needs of the receiving countries and the use to which the financial assistance can be put. Developing countries will thus no longer risk being overwhelmed by debts whose repayment swallows up the greater part of their gains. Rates of interest and time for repayment of the loan could be so arranged as not to be too great a burden on either party, taking into account free gifts, interest-free or low-interest loans, and the time needed for liquidating the debts.
The donors could certainly ask for assurances as to how the money will be used. It should be used for some mutually acceptable purpose and with reasonable hope of success, for there is no question of backing idlers and parasites. On the other hand, the recipients would certainly have the right to demand that no one interfere in the internal affairs of their government or disrupt their social order. As sovereign nations, they are entitled to manage their own affairs, to fashion their own policies, and to choose their own form of government. In other words, what is needed is mutual cooperation among nations, freely undertaken, where each enjoys equal dignity and can help to shape a world community truly worthy of man.
An Urgent Task
55. This task might seem impossible in those regions where the daily struggle for subsistence absorbs the attention of the family, where people are at a loss to find work that might improve their lot during their remaining days on earth. These people must be given every possible help; they must be encouraged to take steps for their own betterment and to seek out the means that will enable them to do so. This common task undoubtedly calls for concerted, continuing and courageous effort. But let there be no doubt about it, it is an urgent task. The very life of needy nations, civil peace in the developing countries, and world peace itself are at stake.
Equity in Trade Relations
56. Efforts are being made to help the developing nations financially and technologically. Some of these efforts are considerable. Yet all these efforts will prove to be vain and useless, if their results are nullified to a large extent by the unstable trade relations between rich and poor nations. The latter will have no grounds for hope or trust if they fear that what is being given them with one hand is being taken away with the other.
Growing Distortion
57. Highly industrialized nations export their own manufactured products, for the most part. Less developed nations, on the other hand, have nothing to sell but raw materials and agricultural crops. As a result of technical progress, the price of manufactured products is rising rapidly and they find a ready market. But the basic crops and raw materials produced by the less developed countries are subject to sudden and wide-ranging shifts in market price; they do not share in the growing market value of industrial products.
This poses serious difficulties to the developing nations. They depend on exports to a large extent for a balanced economy and for further steps toward development. Thus the needy nations grow more destitute, while the rich nations become even richer.
Free Trade Concept Inadequate
58. It is evident that the principle of free trade, by itself, is no longer adequate for regulating international agreements. It certainly can work when both parties are about equal economically; in such cases it stimulates progress and rewards effort. That is why industrially developed nations see an element of justice in this principle.
But the case is quite different when the nations involved are far from equal. Market prices that are freely agreed upon can turn out to be most unfair. It must be avowed openly that, in this case, the fundamental tenet of liberalism (as it is called), as the norm for market dealings, is open to serious question.
Justice at Every Level
59. The teaching set forth by Our predecessor Leo XIII in Rerum Novarum is still valid today: when two parties are in very unequal positions, their mutual consent alone does not guarantee a fair contract; the rule of free consent remains subservient to the demands of the natural law. (57) In Rerum Novarum this principle was set down with regard to a just wage for the individual worker; but it should be applied with equal force to contracts made between nations: trade relations can no longer be based solely on the principle of free, unchecked competition, for it very often creates an economic dictatorship. Free trade can be called just only when it conforms to the demands of social justice.
60. As a matter of fact, the highly developed nations have already come to realize this. At times they take appropriate measures to restore balance to their own economy, a balance which is frequently upset by competition when left to itself. Thus it happens that these nations often support their agriculture at the price of sacrifices imposed on economically more favored sectors. Similarly, to maintain the commercial relations which are developing among themselves, especially within a common market, the financial, fiscal and social policy of these nations tries to restore comparable opportunities to competing industries which are not equally prospering.
One Standard for All
61. Now in this matter one standard should hold true for all. What applies to national economies and to highly developed nations must also apply to trade relations between rich and poor nations. Indeed, competition should not be eliminated from trade transactions; but it must be kept within limits so that it operates justly and fairly, and thus becomes a truly human endeavor.
Now in trade relations between the developing and the highly developed economies there is a great disparity in their overall situation and in their freedom of action. In order that international trade be human and moral, social justice requires that it restore to the participants a certain equality of opportunity. To be sure, this equality will not be attained at once, but we must begin to work toward it now by injecting a certain amount of equality into discussions and price talks.
Here again international agreements on a broad scale can help a great deal. They could establish general norms for regulating prices, promoting production facilities, and favoring certain infant industries. Isn't it plain to everyone that such attempts to establish greater justice in international trade would be of great benefit to the developing nations, and that they would produce lasting results?
The Obstacles of Nationalism
62. There are other obstacles to creation of a more just social order and to the development of world solidarity: nationalism and racism. It is quite natural that nations recently arrived at political independence should be quite jealous of their new-found but fragile unity and make every effort to preserve it. It is also quite natural for nations with a long-standing cultural tradition to be proud of their traditional heritage. But this commendable attitude should be further ennobled by love, a love for the whole family of man. Haughty pride in one's own nation disunites nations and poses obstacles to their true welfare. It is especially harmful where the weak state of the economy calls for a pooling of information, efforts and financial resources to implement programs of development and to increase commercial and cultural interchange. . . . and Racism
63. Racism is not the exclusive attribute of young nations, where sometimes it hides beneath the rivalries of clans and political parties, with heavy losses for justice and at the risk of civil war. During the colonial period it often flared up between the colonists and the indigenous population, and stood in the way of mutually profitable understanding, often giving rise to bitterness in the wake of genuine injustices. It is still an obstacle to collaboration among disadvantaged nations and a cause of division and hatred within countries whenever individuals and families see the inviolable rights of the human person held in scorn, as they themselves are unjustly subjected to a regime of discrimination because of their race or their color.
Hopes for the Future
64. This state of affairs, which bodes ill for the future, causes Us great distress and anguish. But We cherish this hope: that distrust and selfishness among nations will eventually be overcome by a stronger desire for mutual collaboration and a heightened sense of solidarity. We hope that the developing nations will take advantage of their geographical proximity to one another to organize on a broader territorial base and to pool their efforts for the development of a given region. We hope that they will draw up joint programs, coordinate investment funds wisely, divide production quotas fairly, and exercise management over the marketing of these products. We also hope that multilateral and broad international associations will undertake the necessary work of organization to find ways of helping needy nations, so that these nations may escape from the fetters now binding them; so that they themselves may discover the road to cultural and social progress, while remaining faithful to the native genius of their land.
The Artisans of Destiny
65. That is the goal toward which we must work. An ever more effective world solidarity should allow all peoples to become the artisans of their destiny. Up to now relations between nations have too often been governed by force; indeed, that is the hallmark of past history.
May the day come when international relationships will be characterized by respect and friendship, when mutual cooperation will be the hallmark of collaborative efforts, and when concerted effort for the betterment of all nations will be regarded as a duty by every nation. The developing nations now emerging are asking that they be allowed to take part in the construction of a better world, a world which would provide better protection for every man's rights and duties. It is certainly a legitimate demand, so everyone must heed and fulfill it.
Worldwide Brotherly Love
66. Human society is sorely ill. The cause is not so much the depletion of natural resources, nor their monopolistic control by a privileged few; it is rather the weakening of brotherly ties between individuals and nations.
Welcoming the Stranger
67. We cannot insist too much on the duty of giving foreigners a hospitable reception. It is a duty imposed by human solidarity and by Christian charity, and it is incumbent upon families and educational institutions in the host nations.
Young people, in particular, must be given a warm reception; more and more families and hostels must open their doors to them. This must be done, first of all, that they may be shielded from feelings of loneliness, distress and despair that would sap their strength. It is also necessary so that they may be guarded against the corrupting influence of their new surroundings, where the contrast between the dire poverty of their homeland and the lavish luxury of their present surroundings is, as it were, forced upon them. And finally, it must be done so that they may be protected from subversive notions and temptations to violence, which gain headway in their minds when they ponder their "wretched plight.'' (58) In short, they should be welcomed in the spirit of brotherly love, so that the concrete example of wholesome living may give them a high opinion of authentic Christian charity and of spiritual values.
68. We are deeply distressed by what happens to many of these young people. They come to wealthier nations to acquire scientific knowledge, professional training, and a high-quality education that will enable them to serve their own land with greater effectiveness. They do get a fine education, but very often they lose their respect for the priceless cultural heritage of their native land.
69. Emigrant workers should also be given a warm welcome. Their living conditions are often inhuman, and they must scrimp on their earnings in order to send help to their families who have remained behind in their native land in poverty.
A Social Sense
70. We would also say a word to those who travel to newly industrialized nations for business purposes: industrialists, merchants, managers and representatives of large business concerns. It often happens that in their own land they do not lack a social sense. Why is it, then, that they give in to baser motives of self-interest when they set out to do business in the developing countries? Their more favored position should rather spur them on to be initiators of social progress and human betterment in these lands. Their organizational experience should help them to figure out ways to make intelligent use of the labor of the indigenous population, to develop skilled workers, to train engineers and other management men, to foster these people's initiative and prepare them for offices of ever greater responsibility. In this way they will prepare these people to take over the burden of management in the near future.
In the meantime, justice must prevail in dealings between superiors and their subordinates. Legitimate contracts should govern these employment relations, spelling out the duties involved. And no one, whatever his status may be, should be unjustly subjected to the arbitrary whim of another.
Development Missions
71. We certainly rejoice over the fact that an ever increasing number of experts are being sent on development missions by private groups, bilateral associations and international organizations. These specialists must not "act as overlords, but as helpers and fellow workers.'' (59) The people of a country soon discover whether their new helpers are motivated by good will or not, whether they want to enhance human dignity or merely try out their special techniques. The expert's message will surely be rejected by these people if it is not inspired by brotherly love.
The Role of Experts
72. Technical expertise is necessary, but it must be accompanied by concrete signs of genuine love. Untainted by overbearing nationalistic pride or any trace of racial discrimination, experts should learn how to work in collaboration with everyone. They must realize that their expert knowledge does not give them superiority in every sphere of life. The culture which shaped their living habits does contain certain universal human elements; but it cannot be regarded as the only culture, nor can it regard other cultures with haughty disdain. If it is introduced into foreign lands, it must undergo adaptation.
Thus those who undertake such work must realize they are guests in a foreign land; they must see to it that they studiously observe its historical traditions, its rich culture, and its peculiar genius. A rapprochement between cultures will thus take place, bringing benefits to both sides.
Service to the World
73. Sincere dialogue between cultures, as between individuals, paves the way for ties of brotherhood. Plans proposed for man's betterment will unite all nations in the joint effort to be undertaken, if every citizen—be he a government leader, a public official, or a simple workman—is motivated by brotherly love and is truly anxious to build one universal human civilization that spans the globe. Then we shall see the start of a dialogue on man rather than on the products of the soil or of technology.
This dialogue will be fruitful if it shows the participants how to make economic progress and how to achieve spiritual growth as well; if the technicians take the role of teachers and educators; if the training provided is characterized by a concern for spiritual and moral values, so that it ensures human betterment as well as economic growth. Then the bonds of solidarity will endure, even when the aid programs are past and gone. It is not plain to all that closer ties of this sort will contribute immeasurably to the preservation of world peace?
An Appeal to Youth
74. We are fully aware of the fact that many young people have already responded wholeheartedly to the invitation of Our predecessor Pius XII, summoning the laity to take part in missionary work. (60) We also know that other young people have offered their services to public and private organizations that seek to aid developing nations. We are delighted to learn that in some nations their requirement of military duty can be fulfilled, in part at least, by social service or, simply, service. We commend such undertakings and the men of good will who take part in them. Would that all those who profess to be followers of Christ might heed His plea: "I was hungry and you gave me to eat; I was thirsty and you gave me to drink; I was a stranger and you took me in; naked and you covered me; sick and you visited me; I was in prison and you came to me." (61)
No one is permitted to disregard the plight of his brothers living in dire poverty, enmeshed in ignorance and tormented by insecurity. The Christian, moved by this sad state of affairs, should echo the words of Christ: "I have compassion on the crowd." (62)
Prayer and Action
75. Let everyone implore God the Father Almighty that the human race, which is certainly aware of these evils, will bend every effort of mind and spirit to their eradication. To this prayer should be added the resolute commitment of every individual. Each should do as much as he can, as best he can, to counteract the slow pace of progress in some nations. And it is to be hoped that individuals, social organizations and nations will join hands in brotherly fashion—the strong aiding the weak—all contributing their knowledge, their enthusiasm and their love to the task, without thinking of their own convenience.
It is the person who is motivated by genuine love, more than anyone else, who pits his intelligence against the problems of poverty, trying to uncover the causes and looking for effective ways of combatting and overcoming them. As a promoter of peace, "he goes on his way, holding aloft the torch of joy and shedding light and grace on the hearts of men all over the world; he helps them to cross the barriers of geographical frontiers, to acknowledge every man as a friend and brother." (63)
Development, the New Name for Peace
76. Extreme disparity between nations in economic, social and educational levels provokes jealousy and discord, often putting peace in jeopardy. As We told the Council Fathers on Our return from the United Nations: "We have to devote our attention to the situation of those nations still striving to advance. What We mean, to put it in clearer words, is that our charity toward the poor, of whom there are countless numbers in the world, has to become more solicitous, more effective, more generous." (64)
When we fight poverty and oppose the unfair conditions of the present, we are not just promoting human well-being; we are also furthering man's spiritual and moral development, and hence we are benefiting the whole human race. For peace is not simply the absence of warfare, based on a precarious balance of power; it is fashioned by efforts directed day after day toward the establishment of the ordered universe willed by God, with a more perfect form of justice among men. (65)
77. Nations are the architects of their own development, and they must bear the burden of this work; but they cannot accomplish it if they live in isolation from others. Regional mutual aid agreements among the poorer nations, broader based programs of support for these nations, major alliances between nations to coordinate these activities—these are the road signs that point the way to national development and world peace.
Toward an Effective World Authority
78. Such international collaboration among the nations of the world certainly calls for institutions that will promote, coordinate and direct it, until a new juridical order is firmly established and fully ratified. We give willing and wholehearted support to those public organizations that have already joined in promoting the development of nations, and We ardently hope that they will enjoy ever growing authority. As We told the United Nations General Assembly in New York: "Your vocation is to bring not just some peoples but all peoples together as brothers. . . Who can fail to see the need and importance of thus gradually coming to the establishment of a world authority capable of taking effective action on the juridical and political planes?" (66)
Hope for the Future
79. Some would regard these hopes as vain flights of fancy. It may be that these people are not realistic enough, and that they have not noticed that the world is moving rapidly in a certain direction. Men are growing more anxious to establish closer ties of brotherhood; despite their ignorance, their mistakes, their offenses, and even their lapses into barbarism and their wanderings from the path of salvation, they are slowly making their way to the Creator, even without adverting to it.
This struggle toward a more human way of life certainly calls for hard work and imposes difficult sacrifices. But even adversity, when endured for the sake of one's brothers and out of love for them, can contribute greatly to human progress. The Christian knows full well that when he unites himself with the expiatory sacrifice of the Divine Savior, he helps greatly to build up the body of Christ, (67) to assemble the People of God into the fullness of Christ.
A Final Appeal
80. We must travel this road together, united in minds and hearts. Hence We feel it necessary to remind everyone of the seriousness of this issue in all its dimensions, and to impress upon them the need for action. The moment for action has reached a critical juncture. Can countless innocent children be saved? Can countless destitute families obtain more human living conditions? Can world peace and human civilization be preserved intact? Every individual and every nation must face up to this issue, for it is their problem.
To Catholics
81. We appeal, first of all, to Our sons. In the developing nations and in other countries lay people must consider it their task to improve the temporal order. While the hierarchy has the role of teaching and authoritatively interpreting the moral laws and precepts that apply in this matter, the laity have the duty of using their own initiative and taking action in this area—without waiting passively for directives and precepts from others. They must try to infuse a Christian spirit into people's mental outlook and daily behavior, into the laws and structures of the civil community. (68) Changes must be made; present conditions must be improved. And the transformations must be permeated with the spirit of the Gospel.
We especially urge Catholic men living in developed nations to offer their skills and earnest assistance to public and private organizations, both civil and religious, working to solve the problems of developing nations. They will surely want to be in the first ranks of those who spare no effort to have just and fair laws, based on moral precepts, established among all nations.
To Other Christians and Believers
82. All Our Christian brothers, We are sure will want to consolidate and expand their collaborative efforts to reduce man's immoderate self-love and haughty pride, to eliminate quarrels and rivalries, and to repress demagoguery and injustice—so that a more human way of living is opened to all, with each man helping others out of brotherly love.
Furthermore, We still remember with deep affection the dialogue We had with various non Christian individuals and communities in Bombay. So once again We ask these brothers of Ours to do all in their power to promote living conditions truly worthy of the children of God.
To All Men of Good Will
83. Finally, We look to all men of good will, reminding them that civil progress and economic development are the only road to peace. Delegates to international organizations, public officials, gentlemen of the press, teachers and educators—all of you must realize that you have your part to play in the construction of a new world order. We ask God to enlighten and strengthen you all, so that you may persuade all men to turn their attention to these grave questions and prompt nations to work toward their solution .
Educators, you should resolve to inspire young people with a love for the needy nations. Gentlemen of the press, your job is to place before our eyes the initiatives that are being taken to promote mutual aid, and the tragic spectacle of misery and poverty that people tend to ignore in order to salve their consciences. Thus at least the wealthy will know that the poor stand outside their doors waiting to receive some leftovers from their banquets.
To Government Authorities
84. Government leaders, your task is to draw your communities into closer ties of solidarity with all men, and to convince them that they must accept the necessary taxes on their luxuries and their wasteful expenditures in order to promote the development of nations and the preservation of peace. Delegates to international organizations, it is largely your task to see to it that senseless arms races and dangerous power plays give way to mutual collaboration between nations, a collaboration that is friendly, peace oriented, and divested of self-interest, a collaboration that contributes greatly to the common development of mankind and allows the individual to find fulfillment.
To Thoughtful Men
85. It must be admitted that men very often find themselves in a sad state because they do not give enough thought and consideration to these things. So We call upon men of deep thought and wisdom—Catholics and Christians, believers in God and devotees of truth and justice, all men of good will—to take as their own Christ's injunction, "Seek and you shall find." (69) Blaze the trails to mutual cooperation among men, to deeper knowledge and more widespread charity, to a way of life marked by true brotherhood, to a human society based on mutual harmony.
To All Promoters of Development
86. Finally, a word to those of you who have heard the cries of needy nations and have come to their aid. We consider you the promoters and apostles of genuine progress and true development. Genuine progress does not consist in wealth sought for personal comfort or for its own sake; rather it consists in an economic order designed for the welfare of the human person, where the daily bread that each man receives reflects the glow of brotherly love and the helping hand of God.
87. We bless you with all Our heart, and We call upon all men of good will to join forces with you as a band of brothers. Knowing, as we all do, that development means peace these days, what man would not want to work for it with every ounce of his strength? No one, of course. So We beseech all of you to respond wholeheartedly to Our urgent plea, in the name of the Lord.
Given at Rome, at St. Peter's, on the feast of the Resurrection, March 26, 1967, in the fourth year of Our pontificate.
PAUL VI 

NOTES
LATIN TEXT: Acta Apostolicae Sedis, 59 (1967), 257-99.
ENGLISH TRANSLATION: The Pope Speaks, 12 (Spring, 1967), 144-72.
REFERENCES
(1) Cf. Acta Leonis XIII, 11 (1892), 97-148.
(2) Cf. AAS 23 (1931), 177-228.
(3) Cf., for example, Radio message of June 1, 1941, on the 50th anniversary of Leo XIII's Encyclical letter Rerum Novarum: AAS 33 (1941), 195-205; Radio message, Christmas 1942: AAS 35 (1943), 9-24; Allocution to Italian Catholic Workers Association, meeting to commemorate Rerum Novarum, May 14, 1953: AAS 45 (1953), 402-408.
(4) Cf. AAS 53 (1961), 401-464.
(5) Cf. AAS 55 (1963), 257-304.
14. (6) Cf. Encyc. letter Mater et Magistra: AAS 53 (1961), 440.
15. (7) Cf. Pastoral Constitution on the Church in the World of Today, no. 63: AAS 58 (1966), 1084 [cf. TPS XI, 302].
(8) Apostolic letter motu proprioCatholicam Christi Ecclesiam: AAS 59 (1967), 27 [cf. v. 12 of TPS, 103-106].
(9) Cf. Leo XIII, Encyc. letter Rerum NovarumActa Leonis XIII, 11 (1892), 98.
(10) Cf. Church in the World of Today, no. 63: AAS 58 (1966),1085 [cf. TPS XI, 302].
(11) Cf. Lk 7, 22.
(12) Cf. Church in the World of Today no. 3: AAS 58 (1966), 1026 [cf. TPS XI, 261].
(13) Cf. Leo XIII, Encyc. letter Immortale DeiActa Leonis XIII 5 (1885), 127.
(14) Church in the World of Today, no. 4: AAS 58 (1966), 1027 [cf. TPS XI, 261].
(15) Cf. L. J. Lebret, O.P., Dynamique concrète du développement Paris: Economie et Humanisme, Les editions ouvrierès (1961), 28.
(16) 2 Thes 3. 10.
(17) Cf., for example, J. Maritain, Les conditions spintuelles du progrès et de la paix, in an anthology entitled Rencontre des cultures à l'UNESCO sous le signe du Concile Oecuménique Vatican II, Paris: Mame (1966), 66.
(18) Cf. Mt 5. 3.
(19) Gn 1. 28.
(20) Church in the World of Today, no. 69: AAS 58 (1966), 1090 [cf. TPS XI, 306].
(21) 1 Jn 3. 17.
(22) De Nabute, c. 12, n. 53: PL 14. 747; cf. J. R. Palanque, Saint Ambroise et l'empire romain, Paris: de Boccard (1933), 336 ff.
16. (23) Letter to the 52nd Social Week at Brest, in L'homme et la révolution urbaine, Lyon: Chronique sociale (1965), 8-9.
17. (24) Church in the World of Today, no. 71: AAS 58 (1966), 1093 [cf. TPS XI, 308].
(25) Ibid., no. 65: AAS 58 (1966), 1086 [cf. TPS XI, 303].
(26) Encyc.letter Ouadragesimo anno: AAS 23 (1931), 212.
(27) Cf., for example, Colin Clark, The Conditions of Economic Progress, 3rd ed., New York: St. Martin's Press (1960), 3-6.
(28) Letter to the 51st Social Week at Lyon, in Le travail et les travailleurs dans la societé contemporaine, Lyon: Chronique sociale (1965), 6.
(29) Cf., for example, M. D. Chenu, O.P., Pour une théologie du travail, Paris: Editions du Seuil (1955) [Eng. tr. The Theology of Work, Dublin: Gill, 1963].
(30) Encyc.letter Mater et Magistra: AAS 53 (1961), 423 [cf. TPS VII, 312].
(31) Cf., for example, O. von Nell-Breuning, S.J., Wirtschaft und Gesellschaft, vol. 1: Grundfragen, Freiburg: Herder (1956), 183-184.
(32) Eph 4. 13.
(33) Cf., for example, Emmanuel Larrain Errázuriz, Bishop of Talca, Chile, President of CELAM, Lettre pastorale sur le développement et la paix, Paris: Pax Christi (1965).
(34) Church in the World of Today, no. 26: AAS 58 (1966), 1046 [TPS XI, 275]
(35) John XXIII, Encyc.letter Mater et Magistra: AAS 53 (1961), 414.
(36) L'Osservatore Romano, Sept. 11, 1965; La Documentation Catholique, 62 (1965), 1674-1675.
(37) Cf. Mt 19. 6.
(38) Church in the World of Today, no. 52: AAS 58 (1966), 1073 [cf. TPS XI, 294].
(39) Ibid., nos. 50-51, with note 14: AAS 58 (1966), 1070-1073 [cf. TPS XI, 292-293]; also no. 87, p. 1110 [cf. TPS XI, 319-320].
(40) Cf. ibid., no. 15: AAS 58 (1966), 1036 [cf. TPS XI, 268].
(41) Mt 16. 26.
(42) Church in the World of Today, no. 57: AAS 58 (1966), 1078 [cf. TPS XI, 297].
(43) Ibid., no. 19: AAS 58 (1966), 1039 [cf. TPS XI, 270].
(44) Cf., for example, J. Maritain, L'humanisme intégral, Paris: Aubier (1936) [Eng. tr. True Humanism, New York: Charles Scribner's Sons (1938)].
(45) Cf. H. de Lubac, S.J., Le drame de l'humanisme athée, 3rd ed., Paris: Spes (1945), 10 [Eng. tr. The Drama of Atheistic Humanism, London: Sheed and Ward (1949), 7]
(46) Pensées, ed. Brunschvicg, n. 434; cf. Maurice Zundel, L'homme passe l'homme, Le Caire: Editions du lien (1944).
(47) Cf. Address to representatives of non-Christian religions, Dec. 3, 1964: AAS 57 (1965), 132 [cf. TPS X, 153].
(48) Jas 2. 15-16.
(49) Cf. Encyc.letter Mater et Magistra AAS 53 (1961), 440 ff.
(50) Cf. Christmas message, December 1963: AAS 56 (1964), 57-58.
(51) Cf. Encicliche e discorsi di Paolo VI, vol. IX: ed. Paoline, Rome (1966), 132-136.
(52) Cf. Lk 16. 19-31.
18. (53) Church in the World of Today, no. 86: AAS 58 (1966) 1109 [cf. TPS XI, 319].
19. (54) Lk 12. 20.
(55) Special message to the world, delivered to newsmen during India visit, December 4, 1964: AAS 57 (1965), 135 [cf. TPS X, 158- 159].
(56) Cf. AAS 56 (1964), 639 ff. [cf. TPS X, 275 ff.].
(57) Cf. Acta Leonis XIII, 11 (1892), 131.
(58) Cf. Leo XIII, Encyc.letter Rerum NovarumActa Leonis XIII, 11 (1892), 98.
(59) Church in the World of Today, no. 85: AAS 58 (1966), 1108 [cf. TPS XI, 318].
(60) Cf. encyc.letter Fidei donum: AAS 49 (1957), 246.
(61) Mt 25. 35-36.
(62) Mk 8. 2.
(63) John XXIII, Address upon receiving the Balzan Peace Prize, May 10, 1963: AAS 55 (1963), 455.
(64) AAS 57 (1965), 896 [cf. TPS XI, 64].
(65) Cf. John XXIII, encyc.letter Pacem in Terris: AAS 55 (1963), 301.
(66) AAS 57 (1965), 880 [cf. TPS XI, 51].
(67) Eph 4. 12. Cf. Second Vatican Council, Dogmatic Constitution on the Church, no. 13: AAS 57 (1965), 17 [cf. TPS ^X, 367-68].
(68) Cf. Second Vatican Council, Decree on the Apostolate of the Laity, nos. 7, 13, 24: AAS 58 (1966), 843, 849, 856 [cf. TPS XI, 125, 130, 135].
(69) Lk ll.9.