Bene pubblico e bene
comune -13 -
L’enciclica Laudato si’ - Praise be to you, diffusa nel 2015 sotto l’autorità del papa Jorge
Mario Bergoglio - Francesco è il documento più avanzato della dottrina sociale
cattolica e ne rappresenta una metamorfosi molto significativa, costruita
culturalmente sulla base dell’esperienza e dei contributi di molte scienze
particolari, sia della natura che della società. Come ha chiarito il Papa, è un
lavoro collettivo, in cui è sicuramente evidente il suo pensiero, ma anche
quello di molti altri, compreso quello espresso da varie assemblee di vescovi
nel mondo.
La novità più importante è di presentare il
problema dell’organizzazione sociale come una questione di sistema cruciale per la sopravvivenza del genere umano.
Propone quindi una ecologia integrale, non intesa solo come disciplina
scientifica, ma come orientamento politico:
«137. Dal momento che tutto è intimamente relazionato e che gli attuali
problemi richiedono uno sguardo che tenga conto di tutti gli aspetti della
crisi mondiale, propongo di soffermarci adesso a riflettere sui diversi
elementi di una ecologia integrale, che comprenda chiaramente le
dimensioni umane e sociali.
138. L’ecologia studia le relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente
in cui si sviluppano. Essa esige anche di fermarsi a pensare e a discutere
sulle condizioni di vita e di sopravvivenza di una società, con l’onestà di
mettere in dubbio modelli di sviluppo, produzione e consumo. Non è superfluo
insistere ulteriormente sul fatto che tutto è connesso. Il tempo e lo spazio
non sono tra loro indipendenti, e neppure gli atomi o le particelle subatomiche
si possono considerare separatamente. Come i diversi componenti del pianeta –
fisici, chimici e biologici – sono relazionati tra loro, così anche le specie
viventi formano una rete che non finiamo mai di riconoscere e comprendere.
Buona parte della nostra informazione genetica è condivisa con molti esseri
viventi. Per tale ragione, le conoscenze frammentarie e isolate possono
diventare una forma d’ignoranza se fanno resistenza ad integrarsi in una
visione più ampia della realtà.
139. Quando parliamo di “ambiente” facciamo riferimento anche a una
particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo
ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come
una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa
e ne siamo compenetrati. Le ragioni per le quali un luogo viene inquinato
richiedono un’analisi del funzionamento della società, della sua economia, del
suo comportamento, dei suoi modi di comprendere la realtà. Data l’ampiezza dei
cambiamenti, non è più possibile trovare una risposta specifica e indipendente
per ogni singola parte del problema. È fondamentale cercare soluzioni
integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i
sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra
sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per
la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per
restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura
della natura.»
In questa prospettiva, non si tratta più solo
di obbedire ad un imperativo etico che obbliga a far partecipare tutti gli
esseri umani ad un minimo di quel
benessere che la tecnologia e l’economia contemporanee possono
consentire di raggiungere, in modo che nessuno sia privato dei beni
fondamentali per la sopravvivenza, ma di costruire un modello di sviluppo che
consenta uno sviluppo equilibrato della società, sia sotto il profilo dello
sfruttamento delle risorse naturali che sotto quelli della ripartizione del
lavoro collettivo che si fa nell’attività economica e dell'organizzazione della
vita sociale, in modo che ogni persona,
come in una famiglia, accresca il proprio benessere non solo secondo ciò che
possiede ma anche e soprattutto nella qualità delle relazioni sociali in cui è
immerso, obiettivo che richiede di attenuare le diseguaglianze sociali.
Certamente il punto di partenza è correggere
le cause sociali della povertà e dell’esclusione:
156. L’ecologia
integrale è inseparabile dalla nozione di bene comune, un principio che svolge
un ruolo centrale e unificante nell’etica sociale. E’ «l’insieme di quelle
condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli
membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente».
157. Il bene comune
presuppone il rispetto della persona umana in quanto tale, con diritti
fondamentali e inalienabili ordinati al suo sviluppo integrale. Esige anche i
dispositivi di benessere e sicurezza sociale e lo sviluppo dei diversi gruppi
intermedi, applicando il principio di sussidiarietà. Tra questi risalta
specialmente la famiglia, come cellula primaria della società. Infine, il bene
comune richiede la pace sociale, vale a dire la stabilità e la sicurezza di un
determinato ordine, che non si realizza senza un’attenzione particolare alla
giustizia distributiva, la cui violazione genera sempre violenza. Tutta la
società – e in essa specialmente lo Stato – ha l’obbligo di difendere e
promuovere il bene comune.
158. Nelle condizioni
attuali della società mondiale, dove si riscontrano tante inequità e sono
sempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani
fondamentali, il principio del bene comune si trasforma immediatamente, come
logica e ineludibile conseguenza, in un appello alla solidarietà e in una
opzione preferenziale per i più poveri. Questa opzione richiede di trarre le
conseguenze della destinazione comune dei beni della terra, ma, come ho cercato
di mostrare nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium esige di contemplare
prima di tutto l’immensa dignità del povero alla luce delle più profonde
convinzioni di fede. Basta osservare la realtà per comprendere che oggi questa
opzione è un’esigenza etica fondamentale per l’effettiva realizzazione del bene
comune.»
Al centro della proposta di quel nuovo
modello di sviluppo vi è la nozione di escosistema applicata anche alle società umane. L’ecosistema è definito nell’enciclopedia
Treccani online come l’insieme degli organismi viventi e delle sostanze non viventi con le
quali i primi stabiliscono uno scambio di materiali e di energia, in un’area
delimitata, per es. un lago, un prato, un bosco. Abbiamo difficoltà, come umani
a concepirci come parti di un ecosistema dal funzionamento del quale dipende la
nostra sopravvivenza comune, il principale bene comune. Quindi poi le politiche
di governo che definiscono che cosa sia il bene pubblico, il complesso di obiettivi che una
collettività si propone di raggiungere, sono carenti.
176. Non
solo ci sono vincitori e vinti tra i Paesi, ma anche all’interno dei Paesi
poveri, in cui si devono identificare diverse responsabilità. Perciò, le
questioni relative all’ambiente e allo sviluppo economico non si possono più
impostare solo a partire dalle differenze tra i Paesi, ma chiedono di porre
attenzione alle politiche nazionali e locali.
177. Dinanzi
alla possibilità di un utilizzo irresponsabile delle capacità umane, sono
funzioni improrogabili di ogni Stato quelle di pianificare, coordinare,
vigilare e sanzionare all’interno del proprio territorio. La società, in che
modo ordina e custodisce il proprio divenire in un contesto di costanti
innovazioni tecnologiche? Un fattore che agisce come moderatore effettivo è il
diritto, che stabilisce le regole per le condotte consentite alla luce del bene
comune. I limiti che deve imporre una società sana, matura e sovrana sono attinenti
a previsione e precauzione, regolamenti adeguati, vigilanza sull’applicazione
delle norme, contrasto della corruzione, azioni di controllo operativo
sull’emergere di effetti non desiderati dei processi produttivi, e intervento
opportuno di fronte a rischi indeterminati o potenziali. Esiste una crescente
giurisprudenza orientata a ridurre gli effetti inquinanti delle attività
imprenditoriali. Ma la struttura politica e istituzionale non esiste solo per
evitare le cattive pratiche, bensì per incoraggiare le buone pratiche, per
stimolare la creatività che cerca nuove strade, per facilitare iniziative
personali e collettive.
178. Il
dramma di una politica focalizzata sui risultati immediati, sostenuta anche da
popolazioni consumiste, rende necessario produrre crescita a breve termine.
Rispondendo a interessi elettorali, i governi non si azzardano facilmente a
irritare la popolazione con misure che possano intaccare il livello di consumo
o mettere a rischio investimenti esteri. La miope costruzione del potere frena
l’inserimento dell’agenda ambientale lungimirante all’interno dell’agenda
pubblica dei governi. Si dimentica così che «il tempo è superiore allo spazio»,
che siamo sempre più fecondi quando ci preoccupiamo di generare processi,
piuttosto che di dominare spazi di potere. La grandezza politica si mostra
quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando
al bene comune a lungo termine. Il potere politico fa molta fatica ad
accogliere questo dovere in un progetto di Nazione.»
La vita umana è breve e così, in genere,
l’orizzonte della politica. Si mira ai risultati immediati in un certo contesto
politico, ad esempio in una nazione o in un continente. Ma la sopravvivenza
dell’umanità richiede altro.
«36. La cura degli ecosistemi richiede uno sguardo che vada aldilà
dell’immediato, perché quando si cerca solo un profitto economico rapido e
facile, a nessuno interessa veramente la loro preservazione. Ma il costo dei
danni provocati dall’incuria egoistica è di gran lunga più elevato del
beneficio economico che si può ottenere. Nel caso della perdita o del serio
danneggiamento di alcune specie, stiamo parlando di valori che eccedono
qualunque calcolo. Per questo, possiamo essere testimoni muti di gravissime
inequità quando si pretende di ottenere importanti benefici facendo pagare al
resto dell’umanità, presente e futura, gli altissimi costi del degrado
ambientale.
Si tratta di un lavoro
che va fatto anche a livello globale, perché i problemi hanno quella
dimensione.
51. L’inequità non colpisce solo gli individui, ma Paesi interi, e
obbliga a pensare ad un’etica delle relazioni internazionali. C’è infatti un
vero “debito ecologico”, soprattutto tra il Nord e il Sud, connesso a squilibri
commerciali con conseguenze in ambito ecologico, come pure all’uso
sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni Paesi. Le
esportazioni di alcune materie prime per soddisfare i mercati nel Nord
industrializzato hanno prodotto danni locali, come l’inquinamento da mercurio nelle
miniere d’oro o da diossido di zolfo in quelle di rame. In modo particolare c’è
da calcolare l’uso dello spazio ambientale di tutto il pianeta per depositare
rifiuti gassosi che sono andati accumulandosi durante due secoli e hanno
generato una situazione che ora colpisce tutti i Paesi del mondo. Il
riscaldamento causato dall’enorme consumo di alcuni Paesi ricchi ha
ripercussioni nei luoghi più poveri della terra, specialmente in Africa, dove
l’aumento della temperatura unito alla siccità ha effetti disastrosi sul
rendimento delle coltivazioni. A questo si uniscono i danni causati
dall’esportazione verso i Paesi in via di sviluppo di rifiuti solidi e liquidi
tossici e dall’attività inquinante di imprese che fanno nei Paesi meno
sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro capitale:
«Constatiamo che spesso le imprese che operano così sono multinazionali, che
fanno qui quello che non è loro permesso nei Paesi sviluppati o del cosiddetto
primo mondo. Generalmente, quando cessano le loro attività e si ritirano,
lasciano grandi danni umani e ambientali, come la disoccupazione, villaggi
senza vita, esaurimento di alcune riserve naturali, deforestazione,
impoverimento dell’agricoltura e dell’allevamento locale, crateri, colline
devastate, fiumi inquinati e qualche opera sociale che non si può più
sostenere».»
E’ necessario sviluppare in tutti, non solo
in chi ha responsabilità di governo, una nuova cultura del bene comune, molto
più ampia che nel passato, in modo da creare il consenso di massa che sorregga
un progetto comune di un nuovo modello di sviluppo. Questo dovrebbe essere uno
dei principali obiettivi formativi, fin dalle scuole per i più giovani e, in
particolare, nella formazione religiosa, quanto a quest’ultima perché è materia insegnata dalla dottrina sociale
della Chiesa cattolica.
«64. Dalla metà del secolo scorso, superando
molte difficoltà, si è andata affermando la tendenza a concepire il pianeta
come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune. Un mondo
interdipendente non significa unicamente capire che le conseguenze dannose
degli stili di vita, di produzione e di consumo colpiscono tutti, bensì,
principalmente, fare in modo che le soluzioni siano proposte a partire da una
prospettiva globale e non solo in difesa degli interessi di alcuni Paesi.
L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un
progetto comune. Ma lo stesso ingegno utilizzato per un enorme sviluppo
tecnologico, non riesce a trovare forme efficaci di gestione internazionale in
ordine a risolvere le gravi difficoltà ambientali e sociali. Per affrontare i
problemi di fondo, che non possono essere risolti da azioni di singoli Paesi,
si rende indispensabile un consenso mondiale che porti, ad esempio, a
programmare un’agricoltura sostenibile e diversificata, a sviluppare forme
rinnovabili e poco inquinanti di energia, a incentivare una maggiore efficienza
energetica, a promuovere una gestione più adeguata delle risorse forestali e
marine, ad assicurare a tutti l’accesso all’acqua potabile.»
Innanzi
tutto occorre prendere coscienza di una verità insegnata dalla saggezza, vale a
dire che la nessuna felicità è tale, autentica, se è basata sull’esclusione e la sofferenza
altrui.
«112. E’ possibile,
tuttavia, allargare nuovamente lo sguardo, e la libertà umana è capace di
limitare la tecnica, di orientarla, e di metterla al servizio di un altro tipo
di progresso, più sano, più umano, più sociale e più integrale. La liberazione
dal paradigma tecnocratico imperante avviene di fatto in alcune occasioni. Per
esempio, quando comunità di piccoli produttori optano per sistemi di produzione
meno inquinanti, sostenendo un modello di vita, di felicità e di convivialità
non consumistico. O quando la tecnica si orienta prioritariamente a risolvere i
problemi concreti degli altri, con l’impegno di aiutarli a vivere con più
dignità e meno sofferenze. E ancora quando la ricerca creatrice del bello e la
sua contemplazione riescono a superare il potere oggettivante in una sorta di
salvezza che si realizza nel bello e nella persona che lo contempla. L’autentica
umanità, che invita a una nuova sintesi, sembra abitare in mezzo alla civiltà
tecnologica, quasi impercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto una
porta chiusa. Sarà una promessa permanente, nonostante tutto, che sboccia come
un’ostinata resistenza di ciò che è autentico?»
La
felicità, alla quale ogni essere umano tende, è un bene comune, che richiede
condivisione per essere realizzato, o non è felicità. La ricerca della
felicità, quindi, non può avere successo se avviene con motivazioni egoistiche,
come sanno bene anche i grandi ricchi i quali, raggiunta una soglia di
ricchezza, cercano di sviluppare relazioni sociali che diano senso alla loro
vita. Ma spesso il peso di ciò che hanno fatto per conquistare quel livello di
ricchezza li ostacola e, allora, sono ricchi e infelici. Questa esperienza è diventata
molto comune in Occidente.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente
papa - Roma, Monte Sacro, Valli
Translation in English
language made with the help of Google Translator
Public good and common
good - 13 -
The
encyclical Laudato si '- Praise be to you, released in 2015 under the authority
of Pope Jorge Mario Bergoglio - Francis is the most advanced document of
Catholic social doctrine and represents a very significant metamorphosis,
culturally built on the basis of experience and the contributions of many
particular sciences, both of nature and of society. As the Pope has made clear,
it is a collective work, in which his thought is certainly evident, but also
that of many others, including that expressed by various assemblies of bishops
in the world.
The most important novelty is to present the problem of social organization as
a matter of a crucial system for the survival of mankind. It therefore proposes
an integral ecology, not only intended as a scientific discipline, but as a
political orientation:
«137. Since everything is closely interrelated, and today’s problems
call for a vision capable of taking into account every aspect of the global
crisis, I suggest that we now consider some elements of an integral
ecology, one which clearly respects its human and social dimensions.
I. ENVIRONMENTAL,
ECONOMIC AND SOCIAL ECOLOGY
138. Ecology studies the
relationship between living organisms and the environment in which they
develop. This necessarily entails reflection and debate about the conditions
required for the life and survival of society, and the honesty needed to
question certain models of development, production and consumption. It cannot
be emphasized enough how everything is interconnected. Time and space are not
independent of one another, and not even atoms or subatomic particles can be
considered in isolation. Just as the different aspects of the planet –
physical, chemical and biological – are interrelated, so too living species are
part of a network which we will never fully explore and understand. A good part
of our genetic code is shared by many living beings. It follows that the
fragmentation of knowledge and the isolation of bits of information can
actually become a form of ignorance, unless they are integrated into a broader
vision of reality.
139. When we speak of
the “environment”, what we really mean is a relationship existing between
nature and the society which lives in it. Nature cannot be regarded as
something separate from ourselves or as a mere setting in which we live. We are
part of nature, included in it and thus in constant interaction with it.
Recognizing the reasons why a given area is polluted requires a study of the
workings of society, its economy, its behaviour patterns, and the ways it
grasps reality. Given the scale of change, it is no longer possible to find a
specific, discrete answer for each part of the problem. It is essential to seek
comprehensive solutions which consider the interactions within natural systems
themselves and with social systems. We are faced not with two separate crises,
one environmental and the other social, but rather with one complex crisis
which is both social and environmental. Strategies for a solution demand an
integrated approach to combating poverty, restoring dignity to the excluded,
and at the same time protecting nature.»
In
this perspective, it is no longer just a matter of obeying an ethical
imperative that obliges all human beings to participate in a minimum of the
well-being that contemporary technology and economics can allow to reach, so
that no one is deprived of fundamental assets for survival, but to build a
model of development that allows a balanced development of society, both from
the point of view of the exploitation of natural resources and those of the
distribution of collective work done in economic activity and the organization
of the social life, so that each person, as in a family, increases his own
well-being not only according to what he possesses but also and above all in
the quality of the social relationships in which he is immersed, an objective
that requires to reduce social inequalities.
Certainly the starting point is to correct the social causes of poverty and
exclusion:
«IV. THE PRINCIPLE OF
THE COMMON GOOD
156. An integral ecology is inseparable
from the notion of the common good, a central and unifying principle of social
ethics. The common good is “the sum of those conditions of social life which
allow social groups and their individual members relatively thorough and ready
access to their own fulfilment”.
157. Underlying the principle of the
common good is respect for the human person as such, endowed with basic and
inalienable rights ordered to his or her integral development. It has also to
do with the overall welfare of society and the development of a variety of
intermediate groups, applying the principle of subsidiarity. Outstanding among
those groups is the family, as the basic cell of society. Finally, the common
good calls for social peace, the stability and security provided by a certain
order which cannot be achieved without particular concern for distributive
justice; whenever this is violated, violence always ensues. Society as a whole,
and the state in particular, are obliged to defend and promote the common good.
158. In the present condition of global
society, where injustices abound and growing numbers of people are deprived of
basic human rights and considered expendable, the principle of the common good
immediately becomes, logically and inevitably, a summons to solidarity and a
preferential option for the poorest of our brothers and sisters. This option
entails recognizing the implications of the universal destination of the
world’s goods, but, as I mentioned in the Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium, it demands before all
else an appreciation of the immense dignity of the poor in the light of our
deepest convictions as believers. We need only look around us to see that,
today, this option is in fact an ethical imperative essential for effectively
attaining the common good.»
At the center of the proposal of that new
model of development is the notion of an escosystem also applied to human
societies. The ecosystem is defined in the Treccani online encyclopaedia as the
set of living organisms and non-living substances with which the former
establish an exchange of materials and energy, in a delimited area, for ex. a
lake, a meadow, a forest. We have difficulty, as humans, to conceive of
ourselves as parts of an ecosystem whose functioning depends on our common
survival, the main common good. So then the government policies that define
what is the public good, the set of objectives that a community aims to
achieve, are lacking.
«II. DIALOGUE FOR NEW NATIONAL AND LOCAL POLICIES
176. There are not just winners and
losers among countries, but within poorer countries themselves. Hence different
responsibilities need to be identified. Questions related to the environment
and economic development can no longer be approached only from the standpoint
of differences between countries; they also call for greater attention to
policies on the national and local levels.
177. Given the real potential for a
misuse of human abilities, individual states can no longer ignore their
responsibility for planning, coordination, oversight and enforcement within
their respective borders. How can a society plan and protect its future amid
constantly developing technological innovations? One authoritative source of
oversight and coordination is the law, which lays down rules for admissible
conduct in the light of the common good. The limits which a healthy, mature and
sovereign society must impose are those related to foresight and security,
regulatory norms, timely enforcement, the elimination of corruption, effective
responses to undesired side-effects of production processes, and appropriate
intervention where potential or uncertain risks are involved. There is a
growing jurisprudence dealing with the reduction of pollution by business
activities. But political and institutional frameworks do not exist simply to
avoid bad practice, but also to promote best practice, to stimulate creativity
in seeking new solutions and to encourage individual or group initiatives.
178. A politics concerned with
immediate results, supported by consumerist sectors of the population, is
driven to produce short-term growth. In response to electoral interests,
governments are reluctant to upset the public with measures which could affect
the level of consumption or create risks for foreign investment. The myopia of
power politics delays the inclusion of a far-sighted environmental agenda
within the overall agenda of governments. Thus we forget that “time is greater
than space”, that we are always more effective when we generate processes
rather than holding on to positions of power. True statecraft is manifest when,
in difficult times, we uphold high principles and think of the long-term common
good. Political powers do not find it easy to assume this duty in the work of
nation-building.»
Human
life is short and thus, in general, the horizon of politics. We aim for
immediate results in a certain political context, for example in a nation or on
a continent. But the survival of humanity requires more.
«36. Caring for ecosystems demands
far-sightedness, since no one looking for quick and easy profit is truly
interested in their preservation. But the cost of the damage caused by such
selfish lack of concern is much greater than the economic benefits to be
obtained. Where certain species are destroyed or seriously harmed, the values
involved are incalculable. We can be silent witnesses to terrible injustices if
we think that we can obtain significant benefits by making the rest of
humanity, present and future, pay the extremely high costs of environmental
deterioration.»
It is necessary to develop in everyone, not
only those with responsibility for governance, a new culture of the common
good, much wider than in the past, so as to create the mass consensus that
supports a common project of a new model of development. This should be one of
the main formative objectives, since schools for the youngest and, in
particular, in religious formation, as for the latter because it is a subject
taught by the social doctrine of the Catholic Church.
«64. Furthermore, although this Encyclical
welcomes dialogue with everyone so that together we can seek paths of
liberation, I would like from the outset to show how faith convictions can
offer Christians, and some other believers as well, ample motivation to care
for nature and for the most vulnerable of their brothers and sisters. If the
simple fact of being human moves people to care for the environment of which
they are a part, Christians in their turn “realize that their responsibility
within creation, and their duty towards nature and the Creator, are an
essential part of their faith”. It is good for humanity and the
world at large when we believers better recognize the ecological commitments
which stem from our convictions.»
First
of all it is necessary to become aware of a truth taught by wisdom, that is to
say that no happiness is such, authentic, if it is based on the exclusion and
suffering of others.
«112. Yet we can once more broaden our vision. We
have the freedom needed to limit and direct technology; we can put it at the
service of another type of progress, one which is healthier, more human, more
social, more integral. Liberation from the dominant technocratic paradigm does
in fact happen sometimes, for example, when cooperatives of small producers
adopt less polluting means of production, and opt for a non-consumerist model
of life, recreation and community. Or when technology is directed primarily to
resolving people’s concrete problems, truly helping them live with more dignity
and less suffering. Or indeed when the desire to create and contemplate beauty
manages to overcome reductionism through a kind of salvation which occurs in
beauty and in those who behold it. An authentic humanity, calling for a new
synthesis, seems to dwell in the midst of our technological culture, almost
unnoticed, like a mist seeping gently beneath a closed door. Will the promise
last, in spite of everything, with all that is authentic rising up in stubborn
resistance?»
Happiness, to which every human being tends,
is a common good, which requires sharing to be realized, or is not happiness.
The pursuit of happiness, therefore, can not be successful if it happens with
selfish motivations, as the great richs know well, who, having reached a
threshold of wealth, try to develop social relationships that give meaning to
their life. But often the weight of what they have done to conquer that level
of wealth hinders them and, therefore, they are rich and unhappy. This
experience has become very common in the West.
Mario
Ardigò - Catholic Action in San Clemente pope - Rome, Monte Sacro, Valli district