Discorso alla Città Basilica di Sant’Ambrogio – Milano, 6 dicembre 2018
Mario Delpini - Arcivescovo di Milano
AUTORIZZATI A PENSARE
Visione e ragione per il bene comune
************************************************
Propongo:
A: idee chiave
B: sintesi ristretta
C: sintesi allargata
D: testo integrale
Consiglio questo metodo: A-B-C-D-A-B-A-C-A-D,
ogni passo a distanza di una giornata. Non è utile leggere di seguito, in una
sola volta, i testi A+B+C+D. Il testo A è la base del consolidamento della
comprensione.
Il testo A consente già una sufficiente informazione sui contenuti del documento integrale.
I testi di sintesi sono formati con le parole del testo integrale, ad eccezione di quelle tra parentesi quadre, elementi di raccordo inseriti dal sintetizzatore.
Sintesi di Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
A
****************Idee chiave****************
Dobbiamo condividere pensieri e non solo emozioni.
La riscoperta e la valorizzazione del bene comune (e non solo dei beni
comuni, dei beni privati e di quelli pubblici), oltre lo Stato e il mercato,
può favorire la rigenerazione della cittadinanza, come vivibilità e
appartenenza civile.
Nella comunità del pensare riflessivo, e non del vociare emotivo, si
riconosce, si promuove, si custodisce e si propizia l’umano-che-è-comune.
Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso L’importanza di tali
relazioni diventa quindi fondamentale. Ciò vale anche per i popoli.
Un
senso di responsabilità che ci impegna a un esercizio pubblico
dell’intelligenza, che si metta a servizio della convivenza di tutti.
Vogliamo lavorare per superare il mero “pensiero calcolante” e comprendere
la differenza tra utilità, che consiste in una relazione tra persona e cosa, e
felicità, che consiste nella relazione tra una persona e un’altra e che non può
rinunciare alla speranza del compimento.
Nel contesto democratico in
cui viviamo è legittimo che convivano visioni diverse, tuttavia la riflessione può
convenire su alcuni aspetti comuni, su bisogni e priorità che urgono, su
desideri ricercati e attesi.
Occorre
intendere l’Europa come convivenza
pacifica e solidale di popoli preferire l’unione alla divisione, la
collaborazione alla concorrenza, la pace alla guerra. Siamo impegnati e motivati
per una partecipazione costruttiva alle vicende europee.
Occorre adottare come punto di
riferimento fondamentale per la convivenza dei cittadini e la visione dei
rapporti internazionali la Costituzione della Repubblica Italiana. La carta
costituzionale, in quella prima parte dove formula princìpi e valori
fondamentali, non può essere ridotta a un documento da commemorare, né a un
evento tanto ideale quanto irripetibile, ma deve continuare a svolgere il compito
di riconoscere e garantire «i diritti inviolabili dell’uomo» (art. 2), al fine
di promuovere «il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese» (art. 3).
Il testo della Costituzione ci
ricorda innanzitutto un metodo di lavoro, che vale anche per noi: le differenze
si siedono allo stesso tavolo per costruire insieme il proprio futuro.
Non bisogna affrontare i problemi sociali
secondo una reazione emotiva a certi fatti di cronaca, riducendoci a cercare il
capro espiatorio e perdendo di vista la considerazione complessiva della
realtà.
La conoscenza della
Costituzione della Repubblica Italiana è un punto di partenza che può ispirare
una visione di società comune a tutti gli abitanti del nostro territorio
Per educare al pensiero civico e
alle responsabilità di cittadini [occorre] una città che si esprima in modo
comprensibile e faccia riferimento a valori condivisi.
B
*****************Sintesi ristretta*****************
1. L’emozione non è un male, ma non è una ragione. Siamo autorizzati a pensare, ad essere persone
ragionevoli. [Altrimenti c’è] il rischio di lasciarsi dominare da reazioni
emotive e farle valere come se fossero delle vere e proprie ragioni su cui
fondare le nostre scelte e avanzare rivendicazioni.
2. La partecipazione democratica e la corresponsabilità per il bene
comune crescono, a me sembra, se si condividono pensieri e non solo emozioni,
informazioni obiettive e non solo titoli a effetto, confronti su dati e
programmi e non solo insulti e insinuazioni, desideri e non solo ricerca
compulsiva di risposta ai bisogni.
Occorre riscoprire la cultura e il pensiero
che danno buone ragioni alla fiducia, alla reciproca relazione, a quella
sapienza che viene dall’alto che “anzitutto è pura, poi pacifica, mite”.
Insomma siamo autorizzati a pensare.
3. Il rispetto delle regole e del prossimo è un frutto del senso
civico, del senso di appartenenza alla comunità, della persuasione che il bene
comune del convivere in pace sia da anteporre all’interesse privato momentaneo
e che il danno arrecato a una comunità prima o poi danneggi anche chi lo
compie. La riscoperta e la valorizzazione del bene comune (e non solo dei beni
comuni, dei beni privati e di quelli pubblici), oltre lo Stato e il mercato,
può favorire la rigenerazione della cittadinanza, come vivibilità e
appartenenza civile.
4. Essere persone
ragionevoli è un contributo indispensabile per il bene comune. Questo evoca la
solidarietà/fraternità della condivisione relazionale. Nella comunità del
pensare riflessivo, e non del vociare emotivo, si riconosce, si promuove, si
custodisce e si propizia l’umano-che-è-comune.
Nell’Enciclica Populorum
Progressio, nel 1967, san Paolo VI scriveva: «aprite le vie che conducono, attraverso l’aiuto vicendevole,
l’approfondimento del sapere, l’allargamento del cuore, a una vita più fraterna
in una comunità umana veramente universale» (Paolo VI, Populorum Progressio, 85).
E Benedetto XVI commentava l’espressione di Paolo VI in Caritas in
veritate, 53 scrivendo: «L’affermazione
[di Paolo VI] contiene una constatazione, ma soprattutto un auspicio: serve un
nuovo slancio del pensiero per comprendere meglio le implicazioni del nostro
essere una famiglia; l’interazione tra i popoli del pianeta ci sollecita a
questo slancio, affinché l’integrazione avvenga nel segno della solidarietà
piuttosto che della marginalizzazione.»
La
creatura umana si realizza nelle relazioni interpersonali Non è isolandosi che
l’uomo valorizza se stesso L’importanza di tali relazioni diventa quindi
fondamentale. Ciò vale anche per i popoli.
Insieme possiamo coltivare un senso di
responsabilità che ci impegna a un esercizio pubblico dell’intelligenza, che si
metta a servizio della convivenza di tutti, che sia attenta a dare la parola a
ogni componente della città, che raccolga l’aspirazione di tutti a vivere
insieme, ad affrontare insieme i problemi e i bisogni, a recensire insieme
risorse e potenzialità.
Nella recente rivoluzione digitale si può
insinuare il rischio di una assolutizzazione della tecnologia, come se
quest’ultima potesse sostituire la responsabilità di pensare e l’onere di
scegliere. L’utilitarismo riduce il valore all’utile immediato e
quantificabile, che si chiami profitto, consenso, indice di gradimento. Il
pensiero asservito all’utilitarismo si riduce a calcolo Vogliamo lavorare per
superare il mero “pensiero calcolante” in favore di un allargamento del
concetto di ragione: occorre [comprendere] la differenza tra utilità, che
consiste in una relazione tra persona e cosa, e felicità, che consiste nella
relazione tra una persona e un’altra e che non può rinunciare alla speranza del
compimento.
Nel contesto democratico in cui viviamo è
legittimo che convivano visioni diverse, tuttavia la riflessione può convenire
su alcuni aspetti comuni, su bisogni e priorità che urgono, su desideri
ricercati e attesi.
Credo che si possa convergere su quel cammino che porta
a una convivenza pacifica e solidale e che intenda l’Europa come convivenza di
popoli, I cittadini d’Europa erano e sono persuasi che siano da preferire
l’unione alla divisione, la collaborazione alla concorrenza, la pace alla
guerra. Siamo impegnati e motivati per una partecipazione costruttiva alle
vicende europee.
il nostro Paese adotta come punto di
riferimento fondamentale per la convivenza dei cittadini e la visione dei
rapporti internazionali la Costituzione della Repubblica Italiana. La carta
costituzionale, in quella prima parte dove formula princìpi e valori
fondamentali, non può essere ridotta a un documento da commemorare, né a un
evento tanto ideale quanto irripetibile, ma deve continuare a svolgere il compito
di riconoscere e garantire «i diritti inviolabili dell’uomo» (art. 2), al fine
di promuovere «il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese» (art. 3).
Il testo della Costituzione ci ricorda
innanzitutto un metodo di lavoro, che vale anche per noi: le differenze si
siedono allo stesso tavolo per costruire insieme il proprio futuro.
La recensione delle problematiche che
caratterizzano il momento che viviamo è talora troppo influenzata dal
particolare di cronaca che provoca una reazione emotiva e oscura la
considerazione complessiva della realtà.
In una considerazione pensosa delle prospettive del nostro tempo si dovrà
evitare di ridurci a cercare un capro espiatorio. [Si tratta di] problematiche complesse
e non si può ingenuamente presumere di trovare soluzioni facili e rapide. Ma
certo la complessità non può convincere a rassegnarsi alla diagnosi e
all’elenco dei fattori di disagio.
5. La conoscenza della
Costituzione della Repubblica Italiana è un punto di partenza che può ispirare
una visione di società comune a tutti gli abitanti del nostro territorio. Si
riconosce che la nostra Costituzione è un testo che conserva il suo valore, pur
con la necessità di quegli aggiornamenti che il tempo rende inevitabili. Non si
potrebbe prendere l’abitudine di aprire ogni consiglio comunale con la lettura
e il commento di qualche articolo della prima parte della Costituzione?
L’educazione civica è una responsabilità che gli educatori devono esercitare
nei confronti delle giovani generazioni.
Come si dice abitualmente: «per educare un
bambino ci vuole un villaggio»; così noi siamo convinti che per educare al
pensiero civico e alle responsabilità di cittadini ci voglia una città che si
esprima in modo comprensibile e faccia riferimento a valori condivisi.
C
***************Sintesi allargata***************
1. La
possibilità della pace è offerta da una sapienza che viene dall’alto, da
un’intelligenza benevola, da un pensiero che si ispiri alla vicinanza di Dio.
C’è dunque anche la possibilità di pensare, siamo autorizzati a pensare.
L’emozione non è un male, ma non è una ragione.
Ogni giorno che ci sono molte persone che vivono le loro legittime aspettative
con atteggiamenti di pretesa arrogante. La pretesa non è il far valere i propri
diritti, ma è mancare di comprensione, esigere di essere serviti e ascoltati
come se si fosse soli al mondo, insinuare una malizia e una colpevole
disattenzione là dove il servizio non è prestato secondo le proprie
aspettative. Si esalta l’emozione, lo slogan gridato, stuzzica la
suscettibilità e deprime il pensiero riflessivo. La convivenza in città sarebbe
più serena e la presenza di tutti più costruttiva se, dominando l’impazienza e
le pretese, potessimo essere tutti più ragionevoli, comprensivi, realisti nel
considerare quello che si fa, quello che si può fare per migliorare e anche
quello che non si può fare. Ecco: siamo autorizzati a pensare, ad essere
persone ragionevoli.
Desidero evidenziare il rischio
di lasciarsi dominare da reazioni emotive e farle valere come se fossero delle
vere e proprie ragioni su cui fondare le nostre scelte e avanzare
rivendicazioni. Questa confusione tra ragioni ed emozioni spesso può complicare
gravemente la convivenza civile.
2. Il linguaggio tende a degenerare in espressioni aggressive,
l’argomentazione si riduce a espressioni a effetto, le proposte si esprimono
con slogan riduttivi piuttosto che con elaborazioni persuasive.
Il consenso costruito con un’eccessiva
stimolazione dell’emotività dove si ingigantiscano paure, pregiudizi,
ingenuità, reazioni passionali, non giov[a] al bene dei cittadini e non
favorisc[e] la partecipazione democratica. La partecipazione democratica e la
corresponsabilità per il bene comune crescono, a me sembra, se si condividono
pensieri e non solo emozioni, informazioni obiettive e non solo titoli a
effetto, confronti su dati e programmi e non solo insulti e insinuazioni,
desideri e non solo ricerca compulsiva di risposta ai bisogni.
La ragionevolezza che si può anche chiamare
“buon senso” – espressione di un senso buono –, l’intelligenza e la competenza
che possono maturare in saggezza, una disposizione alla stima vicendevole che
si può ritenere fondamentale per una convivenza serena possono creare consenso
con argomentazioni, danno forma ad alleanze tra le forze in gioco che
presuppongono l’affidabilità delle persone e delle organizzazioni che vi
convergono. Occorre riscoprire la cultura e il pensiero che danno buone ragioni
alla fiducia, alla reciproca relazione, a quella sapienza che viene dall’alto
che “anzitutto è pura, poi pacifica, mite”. Insomma siamo autorizzati a
pensare.
3.
La normativa che impone adempimenti complessi offre appigli per quella
litigiosità aggressiva e irrazionale che può esporre i responsabili a beghe
interminabili. L’operatore si ripara dietro il controllo degli adempimenti
formali e pretende estenuanti forme di garanzie. Mi sembra che si debba
insistere in quei percorsi di semplificazione che sono spesso enunciati e
promessi per rendere più facile essere buoni cittadini, onesti e in regola con
la pubblica amministrazione, per favorire l’intraprendenza di imprenditori e di
operatori negli ambiti del servizio ai cittadini e della solidarietà. È però
evidente che i percorsi promessi e avviati presuppongono il recupero di una
fiducia tra i cittadini, e tra cittadini e pubblica amministrazione. Non
servirà semplificare le procedure se perdura il sospetto sul cittadino come
incline a delinquere e se rimane radicata nel cittadino l’inclinazione alla
litigiosità e alla suscettibilità che è insofferente delle regole del vivere
insieme e del rispetto reciproco. Il rispetto delle regole e del prossimo è un
frutto del senso civico, del senso di appartenenza alla comunità, della
persuasione che il bene comune del convivere in pace sia da anteporre
all’interesse privato momentaneo e che il danno arrecato a una comunità prima o
poi danneggi anche chi lo compie. La riscoperta e la valorizzazione del bene
comune (e non solo dei beni comuni, dei beni privati e di quelli pubblici),
oltre lo Stato e il mercato, può favorire la rigenerazione della cittadinanza,
come vivibilità e appartenenza civile.
4. Siamo autorizzati a
pensare: essere persone ragionevoli è un contributo indispensabile per il bene
comune. Questo evoca la solidarietà/fraternità della condivisione relazionale.
Nella comunità del pensare riflessivo, e non del vociare emotivo, si riconosce,
si promuove, si custodisce e si propizia l’umano-che-è-comune.
Nell’Enciclica Populorum
Progressio, nel 1967, san Paolo VI scriveva: «aprite le vie che conducono, attraverso l’aiuto vicendevole,
l’approfondimento del sapere, l’allargamento del cuore, a una vita più fraterna
in una comunità umana veramente universale» (Paolo VI, Populorum Progressio, 85).
E Benedetto XVI commentava l’espressione di Paolo VI in Caritas in
veritate, 53 scrivendo: «L’affermazione
[di Paolo VI] contiene una constatazione, ma soprattutto un auspicio: serve un
nuovo slancio del pensiero per comprendere meglio le implicazioni del nostro
essere una famiglia; l’interazione tra i popoli del pianeta ci sollecita a
questo slancio, affinché l’integrazione avvenga nel segno della solidarietà
piuttosto che della marginalizzazione.»
La
creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni
interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria
identità personale. Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso. ma
ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. L’importanza di tali relazioni
diventa quindi fondamentale. Ciò vale anche per i popoli.
Insieme possiamo coltivare un senso di
responsabilità che ci impegna a un esercizio pubblico dell’intelligenza, che si
metta a servizio della convivenza di tutti, che sia attenta a dare la parola a
ogni componente della città, che raccolga l’aspirazione di tutti a vivere
insieme, ad affrontare insieme i problemi e i bisogni, a recensire insieme
risorse e potenzialità.
La ragione,
l’intelligenza sono esposti al rischio di lasciarsi strumentalizzare, come ogni
altra risorsa umana.
Nella recente rivoluzione digitale si può
insinuare il rischio di una assolutizzazione della tecnologia, come se
quest’ultima potesse sostituire la responsabilità di pensare e l’onere di
scegliere. Il pensare resta mortificato nella morsa di una tecnologia
globalizzata e di una politica localizzata: ne consegue un offuscamento del
dato, cioè del mondo nel suo essere “qui e ora”, che svanisce in un virtuale
inafferrabile e irresponsabile. Non è infatti estranea al nostro tempo la
tentazione di asservire il pensiero alle tendenze diffuse, piuttosto che
esercitare il ruolo e la responsabilità di offrire una riflessione critica e
generativa. Tra le tendenze che oggi minano il pensare mi pare che sia
insidioso l’utilitarismo che riduce il valore all’utile immediato e
quantificabile, che si chiami profitto, consenso, indice di gradimento. Il
pensiero asservito all’utilitarismo si riduce a calcolo, quindi a valutare
risorse e mezzi in vista di un risultato per lo più individuale o
corporativistico piuttosto che di un fine comune e condiviso. Pertanto si
rinuncia alla riflessione sulle domande di senso, relegando l’argomento
nell’irrazionale e nel sentimentale, escluso per principio dalla sfera pubblica
e dalla possibilità di una dimensione sociale.
Vogliamo lavorare per superare il mero
“pensiero calcolante” in favore di un allargamento del concetto di ragione; un
pensiero realista, che abbia a cuore la ricerca continua della verità e del
bene condiviso, libera da pregiudizi, aperta agli altri e alla domanda di
senso. Occorre riconsiderare e ricomprendere la differenza tra utilità, che
consiste in una relazione tra persona e cosa, e felicità, che consiste nella
relazione tra una persona e un’altra e che non può rinunciare alla speranza del
compimento.
Nel contesto democratico in cui viviamo è
legittimo che convivano visioni diverse e che queste visioni diano origine ad
alleanze di persone e gruppi che si impegnano per realizzare intenti
differenti. Tuttavia la riflessione non troppo condizionata da pregiudizi
indiscutibili e da relitti di ideologie può convenire su alcuni aspetti comuni,
su bisogni e priorità che urgono, su desideri ricercati e attesi.
Credo che si possa convergere su quel cammino che porta
a una convivenza pacifica e solidale e che intenda l’Europa come convivenza di
popoli. La complessità e le problematiche che hanno segnato il concreto
configurarsi dell’Unione Europea richiedono una ripresa delle intenzioni
originarie: i cittadini d’Europa erano e sono persuasi che siano da preferire
l’unione alla divisione, la collaborazione alla concorrenza, la pace alla
guerra. Siamo impegnati e motivati per una partecipazione costruttiva alle
vicende europee: vogliamo dare volto all’Unione Europea dei popoli e dei
valori, che pensi i suoi valori e le sue attese nella concretezza storica del
tempo presente e di quello a venire, e che non si occupi di beghe e di
interessi contrapposti. In questo contesto di un cantiere europeo al quale
rimettere mano, il nostro Paese adotta come punto di riferimento fondamentale
per la convivenza dei cittadini e la visione dei rapporti internazionali la
Costituzione della Repubblica Italiana. La carta costituzionale, in quella
prima parte dove formula princìpi e valori fondamentali, non può essere ridotta
a un documento da commemorare, né a un evento tanto ideale quanto irripetibile,
ma deve continuare a svolgere il compito di riconoscere e garantire «i diritti
inviolabili dell’uomo» (art. 2), al fine di promuovere «il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3). Queste
acquisizioni irrinunciabili sono frutto – come è doveroso ricordare – di tenace
dialogo e confronto fra tradizioni di pensiero diverse e tuttavia appassionate
del primato del bene comune. Credenti e non credenti hanno messo in comune il
proprio patrimonio culturale e sociale per poter edificare la convivenza
civile. Il testo della Costituzione ci ricorda innanzitutto un metodo di
lavoro, che vale anche per noi: le differenze si siedono allo stesso tavolo per
costruire insieme il proprio futuro. È doveroso che la generazione dei padri
trasmetta ai giovani di oggi quell’ardore di cui sono stati testimoni i nostri
nonni e i nostri padri, quelli almeno che hanno pensato che l’Italia non fosse
condannata a restare sepolta sotto le macerie della guerra e del totalitarismo,
ma potesse risorgere come un Paese in cui fosse desiderabile convivere.
La recensione delle problematiche che
caratterizzano il momento che viviamo è talora troppo influenzata dal
particolare di cronaca che provoca una reazione emotiva e oscura la
considerazione complessiva della realtà.
In una considerazione pensosa delle prospettive del nostro tempo si dovrà
evitare di ridurci a cercare un capro espiatorio: talora, per esempio, il
fenomeno delle migrazioni e la presenza di migranti, rifugiati, profughi
invadono discorsi e fatti di cronaca, fino a dare l’impressione che siano
l’unico problema urgente. Si devono nominare tra le problematiche emergenti e
inevitabili: – la crisi demografica che sembra condannare la popolazione
italiana a un inesorabile e insostenibile invecchiamento; – la povertà di
prospettive per i giovani che scoraggia progetti di futuro e induce molti a
trasgressioni pericolose e a penose dipendenze; – le difficoltà occupazionali
nell’età adulta e nell’età giovanile e le problematiche del lavoro; – la
solitudine il più delle volte disabitata degli anziani. Queste problematiche
sono complesse e non si può ingenuamente presumere di trovare soluzioni facili
e rapide. Ma certo la complessità non può convincere a rassegnarsi alla
diagnosi e all’elenco dei fattori di disagio.
La comunità cristiana, nelle sue articolazioni
territoriali e nella sua organizzazione centrale, desidera abitare la città per
offrire il suo contributo e collaborare con tutte le istituzioni presenti nel
comprendere il territorio, nell’interpretare il tempo, nel promuovere quell’ecologia
globale che rende abitabile la terra per questa e per le future generazioni. In
questo faccio riferimento con affetto e gratitudine alle indicazioni di papa
Francesco nella Laudato si’.
5. È tradizione per i credenti coltivare il pensare, pur
riconoscendo che nessuno è immune dalla tentazione del fanatismo o della
sufficienza sprezzante che diventa meschino esonerarsi dalla ragione.
. La conoscenza della Costituzione della
Repubblica Italiana è un punto di partenza che può ispirare una visione di
società comune a tutti gli abitanti del nostro territorio. Si riconosce che la
nostra Costituzione è un testo che conserva il suo valore, pur con la necessità
di quegli aggiornamenti che il tempo rende inevitabili. Non si potrebbe prendere
l’abitudine di aprire ogni consiglio comunale con la lettura e il commento di
qualche articolo della prima parte della Costituzione? L’educazione civica è
una responsabilità che gli educatori devono esercitare nei confronti delle
giovani generazioni. La sinergia tra gli amministratori e gli operatori della
scuola può incoraggiare iniziative in atto e avviarne di nuove per contribuire
all’educazione degli studenti, che siano italiani da generazioni o che siano
provenienti da altri Paesi. L’interazione della scuola con il territorio, oltre
che con il mondo del lavoro, mi sembra una via promettente per promuovere
l’attenzione al contesto, all’ambiente, al vicinato. Promotori di una
educazione civica in senso ampio possono essere molti operatori di diversi settori,
e so che molti sono disponibili a interventi nelle scuole a questo scopo: le
forze dell’ordine, i giudici, gli operatori sanitari e finanziari. Come si dice
abitualmente: «per educare un bambino ci vuole un villaggio»; così noi siamo
convinti che per educare al pensiero civico e alle responsabilità di cittadini
ci voglia una città che si esprima in modo comprensibile e faccia riferimento a
valori condivisi.
D
**************Testo integrale***************
Lettera di Giacomo 3,13-4,8
Chi tra voi è saggio e
intelligente? Con la buona condotta mostri che le sue opere sono ispirate a
mitezza e sapienza. Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di
contesa, non vantatevi e non dite menzogne contro la verità. Non è questa la
sapienza che viene dall’alto: è terrestre, materiale, diabolica; perché dove
c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni.
Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite,
arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per
coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di
giustizia.
Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono
forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni
di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non
riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete;
chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre
passioni. Gente infedele! Non sapete che l’amore per il mondo è nemico di Dio?
Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio. O forse pensate
che invano la Scrittura dichiari: «Fino alla gelosia ci ama lo Spirito, che
egli ha fatto abitare in noi»? Anzi, ci concede la grazia più grande; per questo
dice: «Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia».
Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà lontano da
voi. Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi. Peccatori, purificate le
vostre mani; uomini dall’animo indeciso, santificate i vostri cuori.
La Lettera di Giacomo interpreta
le dinamiche conflittuali della comunità come l’emergere di passioni che
rendono stolti: la possibilità della pace è offerta da una sapienza che viene
dall’alto, da un’intelligenza benevola, da un pensiero che si ispiri alla
vicinanza di Dio. C’è dunque anche la possibilità di pensare, siamo autorizzati
a pensare. È questa la sostanza della riflessione che mi permetto di offrire
alla città in occasione della festa del patrono sant’Ambrogio. È questo il
percorso promettente che mi dichiaro disponibile a continuare insieme con tutti
coloro che abitano in città e ne desiderano il bene. Siamo autorizzati anche a
pensare!
1. Pressati dall’emotività e dalla suscettibilità: insistere per essere
persone ragionevoli
Sono diffusi in ogni tempo e in ogni luogo atteggiamenti emotivi,
reazioni istintive, passioni cieche, come attesta l’antico scritto di san
Giacomo (Gc 4,1ss). Non stupisce quindi che emotività e passionalità siano
presenti anche oggi, anche qui, anche nella città. L’emozione non è un male, ma
non è una ragione. Forse in questo momento l’intensità delle emozioni è
particolarmente determinante nei comportamenti. Ciascuno si ritiene criterio
del bene e del male, del diritto e del torto: quello che io sento è
indiscutibile, quello che io voglio è insindacabile.
Chi presta un servizio pubblico
alla comunità deve confrontarsi ogni giorno con la gente e viene messo alla
prova continuamente dalle persone che aspettano, dalle persone che chiedono,
dalle persone che hanno fretta. Ci vogliono molta pazienza, capacità di
relazione, predisposizione all’empatia e alla comprensione, autocontrollo nelle
reazioni, per portare alcune richieste a buon fine, mentre alle spalle premono
impazienti molti altri che pure hanno diritto ad essere serviti. Desidero
esprimere il mio apprezzamento per gli operatori che sanno accogliere con
particolare attenzione coloro che si trovano in condizioni di necessità,
sprovveduti e smarriti di fronte alle procedure per ottenere le prestazioni cui
hanno diritto, imbarazzati davanti a operatori con cui è faticoso intendersi.
Coloro che prestano un pubblico servizio constatano ogni giorno che ci sono
molte persone che vivono le loro legittime aspettative con atteggiamenti di
pretesa arrogante. La pretesa non è il far valere i propri diritti, ma è
mancare di comprensione nei confronti degli operatori e delle regole che essi
devono rispettare, esigere di essere serviti e ascoltati come se si fosse soli
al mondo, insinuare una malizia e una colpevole disattenzione là dove il
servizio non è prestato secondo le proprie aspettative. Si può forse dire che
la “cultura post-moderna”, se si può usare il termine “cultura” in questa
accezione, esalta l’emozione, lo slogan gridato, stuzzica la suscettibilità e
deprime il pensiero riflessivo. Il comportamento di fronte a uno sportello è
solo il sintomo di una sensibilità che si è ammalata di suscettibilità, di un
pregiudiziale atteggiamento di discredito verso le istituzioni e in particolare
verso i servizi pubblici più vicini ai cittadini, che si tratti dell’ambito
scolastico o di quello sanitario o di quello tributario o di quello dei
trasporti o dell’ecologia urbana o di qualsiasi altro. La mia intenzione,
ovviamente, non è di avallare le inadempienze o di giustificare i disservizi.
Piuttosto credo che la convivenza in città sarebbe più serena e la presenza di
tutti più costruttiva se, dominando l’impazienza e le pretese, potessimo essere
tutti più ragionevoli, comprensivi, realisti nel considerare quello che si fa,
quello che si può fare per migliorare e anche quello che non si può fare. Ecco:
siamo autorizzati a pensare, ad essere persone ragionevoli.
Con ciò non voglio certo mortificare il valore
degli affetti, dei sentimenti e delle emozioni, che sono parte costitutiva
dell’esperienza umana e delle relazioni. Desidero piuttosto evidenziare il
rischio di lasciarsi dominare da reazioni emotive e farle valere come se
fossero delle vere e proprie ragioni su cui fondare le nostre scelte e avanzare
rivendicazioni. Questa confusione tra ragioni ed emozioni spesso può complicare
gravemente la convivenza civile.
2. Condizionati dagli slogan e dalla costruzione del consenso:
insistere per essere persone ragionevoli
Nel dibattito pubblico, nel confronto tra le
parti, nella campagna elettorale, il linguaggio tende a degenerare in
espressioni aggressive, l’argomentazione si riduce a espressioni a effetto, le
proposte si esprimono con slogan riduttivi piuttosto che con elaborazioni
persuasive. L’animosità nel confronto è, in certa misura, un tratto
caratteristico dell’appassionarsi per una causa che si ritiene meritevole di
dedizione e di determinazione. Tuttavia credo che il consenso costruito con
un’eccessiva stimolazione dell’emotività dove si ingigantiscano paure,
pregiudizi, ingenuità, reazioni passionali, non giovi al bene dei cittadini e
non favorisca la partecipazione democratica. La partecipazione democratica e la
corresponsabilità per il bene comune crescono, a me sembra, se si condividono
pensieri e non solo emozioni, informazioni obiettive e non solo titoli a
effetto, confronti su dati e programmi e non solo insulti e insinuazioni,
desideri e non solo ricerca compulsiva di risposta ai bisogni. Pertanto credo
sia opportuno un invito ad affrontare le questioni complesse e improrogabili
con quella ragionevolezza che cerca di leggere la realtà con un vigile senso
critico e che esplora percorsi con un realismo appassionato e illuminato. La
gente che abita le nostre terre – posso attestarlo per esperienza – ha risorse
di intelligenza e di riflessione che anche nel dibattito pubblico, anche nel
confronto quotidiano, anche nell’esercizio delle responsabilità amministrative
devono esercitarsi per la ricerca di percorsi promettenti. Mi sembra che siano
inscritti nell’animo della nostra gente una profonda diffidenza per ogni
fanatismo, un naturale scetticismo per ogni propo sta di ricette che promettono
rapida e facile soluzione per problemi complicati e difficili. Mi sembra che
sia connaturale con i tratti che ci caratterizzano una capacità di
determinazione e di sacrificio. Ci è congeniale la coscienza che le spaccature
che dividono sono ardue da ricomporre, che le offese che feriscono sono dure da
guarire, che le informazioni scorrette che squalificano sono difficili da
rettificare. La ragionevolezza che si può anche chiamare “buon senso” –
espressione di un senso buono –, l’intelligenza e la competenza che possono
maturare in saggezza, una disposizione alla stima vicendevole che si può
ritenere fondamentale per una convivenza serena possono creare consenso con
argomentazioni, danno forma ad alleanze tra le forze in gioco che presuppongono
l’affidabilità delle persone e delle organizzazioni che vi convergono. Occorre
riscoprire la cultura e il pensiero che danno buone ragioni alla fiducia, alla
reciproca relazione, a quella sapienza che viene dall’alto che “anzitutto è
pura, poi pacifica, mite”. Insomma siamo autorizzati a pensare.
3. Insofferenti per l’intralcio incomprensibile delle procedure: avviare
percorsi di semplificazione ragionevoli
Il desiderio di comprendere le procedure
richieste per molti adempimenti, d’altra parte inevitabili, risulta spesso
irrealizzabile. La complicazione della normativa, delle pratiche burocratiche,
delle procedure di verifica e di rendicontazione pervade molti aspetti della
vita dei cittadini. Si ha talora l’impressione che l’impianto complessivo sia
ispirato da una sorta di pregiudiziale sospetto sul cittadino, come fosse
scontato che la gente sia naturalmente disonesta e incline a contravvenire alle
regole. Ne deriva una specie di ossessione per la documentazione e i controlli:
le pratiche si gonfiano in modo spropositato, i tempi per le autorizzazioni si
prolungano in maniera esasperante. Ne risulta intralciata e paralizzata
l’intraprendenza della creatività e della generosità, degli imprenditori come
degli operatori sociali. Ne consegue anche una sorta di anonimato della
pubblica amministrazione e dei servizi al cittadino. La normativa che impone
adempimenti complessi offre appigli per quella litigiosità aggressiva e
irrazionale che può esporre i responsabili a beghe interminabili. Pertanto
diventa comprensibile la tendenza a evitare di prendersi responsabilità da
parte dei singoli operatori, sempre intimoriti dalle possibili conseguenze
legali dei loro atti, che si tratti di pratiche sanitarie o assistenziali o
autorizzative. L’operatore si ripara dietro il controllo degli adempimenti
formali e pretende estenuanti forme di garanzie. Forse che “la patria del diritto”,
come si può definire l’Italia, sia diventata un condominio di azzeccagarbugli
litigiosi? Mi sembra che si debba insistere in quei percorsi di semplificazione
che sono spesso enunciati e promessi per rendere più facile essere buoni
cittadini, onesti e in regola con la pubblica amministrazione, per favorire
l’intraprendenza di imprenditori e di operatori negli ambiti del servizio ai
cittadini e della solidarietà. È però evidente che i percorsi promessi e
avviati presuppongono il recupero di una fiducia tra i cittadini, e tra
cittadini e pubblica amministrazione. Non servirà semplificare le procedure se
perdura il sospetto sul cittadino come incline a delinquere e se rimane
radicata nel cittadino l’inclinazione alla litigiosità e alla suscettibilità
che è insofferente delle regole del vivere insieme e del rispetto reciproco. Il
rispetto delle regole e del prossimo è un frutto del senso civico, del senso di
appartenenza alla comunità, della persuasione che il bene comune del convivere
in pace sia da anteporre all’interesse privato momentaneo e che il danno
arrecato a una comunità prima o poi danneggi anche chi lo compie. La riscoperta
e la valorizzazione del bene comune (e non solo dei beni comuni, dei beni
privati e di quelli pubblici), oltre lo Stato e il mercato, può favorire la
rigenerazione della cittadinanza, come vivibilità e appartenenza civile. Non
penso sia fuori luogo richiamare qui la sapienza evangelica che ci spinge a non
considerare mai l’uomo a servizio della legge e delle regole, ma, al contrario,
a comprendere che una legge giusta è sempre in favore dell’uomo e della sua
libertà. «Non è l’uomo per il sabato, ma il sabato per l’uomo», diceva Gesù ai
suoi interlocutori. Lavoriamo dunque perché le nostre regole e procedure siano
a servizio del cittadino e della buona convivenza sociale. Insomma, siamo
autorizzati a pensare.
4.Autorizzati a pensare
I tre aspetti ricordati (le pretese
indiscutibili, il consenso emotivo, le procedure esasperanti) sono buone
motivazioni per formulare il desiderio di una ragionevolezza diffusa. Siamo
infatti autorizzati a pensare: essere persone ragionevoli è un contributo
indispensabile per il bene comune. Questo evoca la solidarietà/fraternità della
condivisione relazionale. Nella comunità del pensare riflessivo, e non del
vociare emotivo, si riconosce, si promuove, si custodisce e si propizia
l’umano-che-è-comune. Nell’Enciclica Populorum Progressio, nel 1967, san Paolo
VI scriveva: E se è vero che il mondo soffre per mancanza di pensiero, Noi
convochiamo gli uomini di riflessione e di pensiero, cattolici, cristiani,
quelli che onorano Dio, che sono assetati di assoluto, di giustizia e di
verità: tutti gli uomini di buona volontà. Sull’esempio di Cristo, Noi osiamo
pregarvi pressantemente: «Cercate e troverete», aprite le vie che conducono,
attraverso l’aiuto vicendevole, l’approfondimento del sapere, l’allargamento
del cuore, a una vita più fraterna in una comunità umana veramente universale
(Paolo VI, Populorum Progressio, 85).
E Benedetto XVI commentava l’espressione di Paolo VI in Caritas in
veritate, 53 scrivendo: L’affermazione [di Paolo VI] contiene una
constatazione, ma soprattutto un auspicio: serve un nuovo slancio del pensiero
per comprendere meglio le implicazioni del nostro essere una famiglia; l’interazione
tra i popoli del pianeta ci sollecita a questo slancio, affinché l’integrazione
avvenga nel segno della solidarietà piuttosto che della marginalizzazione. Un
simile pensiero obbliga ad un approfondimento critico e valoriale della
categoria della relazione. Si tratta di un impegno che non può essere svolto
dalle sole scienze sociali, in quanto richiede l’apporto di saperi come la
metafisica e la teologia, per cogliere in maniera illuminata la dignità
trascendente dell’uomo. La creatura umana, in quanto di natura spirituale, si
realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più
matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi che l’uomo
valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio.
L’importanza di tali relazioni diventa quindi fondamentale. Ciò vale anche per
i popoli. È, quindi, molto utile al loro sviluppo una visione metafisica della
relazione tra le persone. A questo riguardo, la ragione trova ispirazione e
orientamento nella rivelazione cristiana, secondo la quale la comunità degli
uomini non assorbe in sé la persona annientandone l’autonomia, come accade
nelle varie forme di totalitarismo, ma la valorizza ulteriormente, perché il
rapporto tra persona e comunità è di un tutto verso un altro tutto.
4.1A proposito del “pensare”:
possiamo disturbare le accademie? Non sono nelle condizioni per addentrarmi
nell’analisi sistematica del pensiero, delle condizioni e dei processi che
possono contribuire a migliorare i rapporti tra i cittadini e la pubblica
amministrazione, tra i cittadini e le istituzioni e nelle dinamiche comunitarie
in genere. Ritengo che sia responsabilità degli intellettuali e degli studiosi
di scienze umane e sociali approfondire la questione e comunicarne i risultati.
La nostra città, in cui università e istituzioni culturali sono così
significative e apprezzate, è chiamata a produrre e a proporre un pensiero
politico, sociale, economico, culturale che superando gli ambiti troppo isolati
delle singole discipline possa aiutare a leggere il presente e a immaginare il
futuro.
Credo che saremmo tutti fieri se proprio qui a Milano si approfondissero
riflessioni, si promuovessero confronti, si potessero riconoscere scuole e
programmi, prospettive e responsabilità. Il nostro senso pratico ci rende
allergici alle chiacchiere e alle celebrazioni inconcludenti. Ma Milano è così
ricca di punti di vista, di luoghi di ricerca specializzati, di posizioni anche
contrapposte che si corre il rischio di una babele di linguaggi che risultano
reciprocamente estranei e non interessati a comprensione e arricchimenti
reciproci. Forse insieme possiamo coltivare un senso di responsabilità che ci
impegna a un esercizio pubblico dell’intelligenza, che si metta a servizio
della convivenza di tutti, che sia attenta a dare la parola a ogni componente
della città, che raccolga l’aspirazione di tutti a vivere insieme, ad
affrontare insieme i problemi e i bisogni, a recensire insieme risorse e
potenzialità. Mi sembra significativo il contributo che a questa impresa hanno
offerto e offrono i cristiani presenti nelle accademie della città e
protagonisti della ricerca e della riflessione nelle istituzioni culturali
della comunità cristiana, in particolare in Università cattolica, nella Facoltà
teologica e nelle numerose scuole pubbliche paritarie cattoliche e di
ispirazione cristiana diffuse capillarmente sul territorio.
4.2 Pensare non è solo analisi e
calcolo Il pensiero, la ragione, l’intelligenza sono esposti al rischio di
lasciarsi strumentalizzare, come ogni altra risorsa umana. Nella storia del
secolo scorso è stata clamorosa la strumentalizzazione degli intellettuali e
della ricerca scientifica a servizio delle ideologie dominanti aggressive e
violente. Le risorse del pensiero umano, messe a servizio dell’ideologia, hanno
ingigantito la potenza dell’aggressività, la capacità distruttiva delle armi,
l’oppressione della libertà delle persone e delle istituzioni che resistevano
all’ideologia. Il nostro continente ne è stato disastrato e non abbiamo ancora
finito di curare le ferite e di superare i sensi di colpa. Nella recente
rivoluzione digitale si può insinuare il rischio di una assolutizzazione della
tecnologia, come se quest’ultima potesse sostituire la responsabilità di
pensare e l’onere di scegliere. Il pensare resta mortificato nella morsa di una
tecnologia globalizzata e di una politica localizzata: ne consegue un
offuscamento del dato, cioè del mondo nel suo essere “qui e ora”, che svanisce
in un virtuale inafferrabile e irresponsabile. Non è infatti estranea al nostro
tempo la tentazione di asservire il pensiero alle tendenze diffuse, piuttosto
che esercitare il ruolo e la responsabilità di offrire una riflessione critica
e generativa. Tra le tendenze che oggi minano il pensare mi pare che sia
insidioso l’utilitarismo che riduce il valore all’utile immediato e
quantificabile, che si chiami profitto, consenso, indice di gradimento. Il
pensiero asservito all’utilitarismo si riduce a calcolo, quindi a valutare
risorse e mezzi in vista di un risultato per lo più individuale o
corporativistico piuttosto che di un fine comune e condiviso. Pertanto si
rinuncia alla riflessione sulle domande di senso, relegando l’argomento
nell’irrazionale e nel sentimentale, escluso per principio dalla sfera pubblica
e dalla possibilità di una dimensione sociale. È evidente che la gestione della
cosa pubblica e l’organizzazione della vita sociale e dei servizi richiedono
una capacità di analisi e di calcolo, ma il pensiero non può essere ridotto a
questo. Vogliamo lavorare per superare il mero “pensiero calcolante” in favore
di un allargamento del concetto di ragione; un pensiero realista, che abbia a
cuore la ricerca continua della verità e del bene condiviso, libera da
pregiudizi, aperta agli altri e alla domanda di senso. Occorre riconsiderare e
ricomprendere la differenza tra utilità, che consiste in una relazione tra
persona e cosa, e felicità, che consiste nella relazione tra una persona e
un’altra e che non può rinunciare alla speranza del compimento.
4.3Pensare è dare forma a una
visione di futuro La responsabilità per la civitas, che coinvolge tutti gli
abitanti e in un modo più grave coloro che sono chiamati dai cittadini ad
amministrarla, trova motivazione e orientamento dalla visione del bene da
propiziare, difendere, costruire e dalla individuazione delle risorse, dei
percorsi, delle possibilità realistiche per dare alla visione concretezza
storica. Nel contesto democratico in cui viviamo è legittimo che convivano
visioni diverse e che queste visioni diano origine ad alleanze di persone e
gruppi che si impegnano per realizzare intenti differenti. Tuttavia la
riflessione non troppo condizionata da pregiudizi indiscutibili e da relitti di
ideologie può forse convenire su alcuni aspetti comuni, su bisogni e priorità
che urgono, su desideri ricercati e attesi. Dobbiamo confidare nel fatto che la
giovane generazione di oggi abbia una particolare vocazione al pensare che
guarda lontano, anche perché può essere più libera da puntigli e ideologie
della generazione dei loro padri. Credo che, quanto agli aspetti comuni di una
visione di futuro, si possa convergere su quel cammino che porta a una
convivenza pacifica e solidale e che intenda l’Europa come convivenza di
popoli. La complessità e le problematiche che hanno segnato il concreto
configurarsi dell’Unione Europea richiedono una ripresa delle intenzioni
originarie: i cittadini d’Europa erano e sono persuasi che siano da preferire
l’unione alla divisione, la collaborazione alla concorrenza, la pace alla
guerra. Siamo impegnati e motivati per una partecipazione costruttiva alle
vicende europee: vogliamo dare volto all’Unione Europea dei popoli e dei
valori, che pensi i suoi valori e le sue attese nella concretezza storica del
tempo presente e di quello a venire, e che non si occupi di beghe e di
interessi contrapposti. In questo contesto di un cantiere europeo al quale
rimettere mano, il nostro Paese adotta come punto di riferimento fondamentale
per la convivenza dei cittadini e la visione dei rapporti internazionali la
Costituzione della Repubblica Italiana. La carta costituzionale, in quella
prima parte dove formula princìpi e valori fondamentali, non può essere ridotta
a un documento da commemorare, né a un evento tanto ideale quanto irripetibile,
ma deve continuare a svolgere il compito di riconoscere e garantire «i diritti
inviolabili dell’uomo» (art. 2), al fine di promuovere «il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3). Queste
acquisizioni irrinunciabili sono frutto – come è doveroso ricordare – di tenace
dialogo e confronto fra tradizioni di pensiero diverse e tuttavia appassionate
del primato del bene comune. Credenti e non credenti hanno messo in comune il
proprio patrimonio culturale e sociale per poter edificare la convivenza
civile. Il testo della Costituzione ci ricorda innanzitutto un metodo di
lavoro, che vale anche per noi: le differenze si siedono allo stesso tavolo per
costruire insieme il proprio futuro. È doveroso che la generazione dei padri
trasmetta ai giovani di oggi quell’ardore di cui sono stati testimoni i nostri
nonni e i nostri padri, quelli almeno che hanno pensato che l’Italia non fosse
condannata a restare sepolta sotto le macerie della guerra e del totalitarismo,
ma potesse risorgere come un Paese in cui fosse desiderabile convivere.
4.4Pensare è riconoscere le
priorità da perseguire nel percorso verso il futuro La recensione delle
problematiche che caratterizzano il momento che viviamo è talora troppo
influenzata dal particolare di cronaca che provoca una reazione emotiva e
oscura la considerazione complessiva della realtà. Gli amministratori locali
sono chiamati a un esercizio di realismo e quindi anche a essere vigili sul
rischio di lasciarsi condizionare da gruppi di pressione che promuovono
ideologie o punti di vista troppo parziali. Talora la risonanza mediatica di
una decisione o di una proposta diventa tentazione che induce ad
accondiscendere alle insistenze per un interesse particolare il cui contributo
al bene comune è discutibile. L’esercizio di una lettura realistica di questo
tempo può individuare alcune priorità che, per quello che mi risulta, sono già
condivise.
In una considerazione pensosa delle prospettive del nostro tempo si dovrà
evitare di ridurci a cercare un capro espiatorio: talora, per esempio, il
fenomeno delle migrazioni e la presenza di migranti, rifugiati, profughi
invadono discorsi e fatti di cronaca, fino a dare l’impressione che siano
l’unico problema urgente. Si devono nominare tra le problematiche emergenti e
inevitabili: – la crisi demografica che sembra condannare la popolazione
italiana a un inesorabile e insostenibile invecchiamento; – la povertà di
prospettive per i giovani che scoraggia progetti di futuro e induce molti a
trasgressioni pericolose e a penose dipendenze; – le difficoltà occupazionali
nell’età adulta e nell’età giovanile e le problematiche del lavoro; – la
solitudine il più delle volte disabitata degli anziani. Queste problematiche
sono complesse e non si può ingenuamente presumere di trovare soluzioni facili
e rapide. Ma certo la complessità non può convincere a rassegnarsi alla
diagnosi e all’elenco dei fattori di disagio.
Autorizzati a pensare, possiamo esplicitare i
percorsi che riteniamo promettenti e mettere in atto processi concreti,
lungimiranti, da attuare con determinazione. Personalmente invito coloro che
hanno responsabilità nella società civile ad affrontare con coraggio le sfide,
nella persuasione che questo territorio ha le risorse umane e materiali per
vincerle. E nella mia responsabilità di vescovo di questa Chiesa confermo che
le nostre comunità sono pronte, ci stanno, sono già all’opera. Io credo che sia
onesto riconoscere che le problematiche nominate e anche altre connesse suggeriscono
che la famiglia è la risorsa determinante, è la cellula vivente: può infatti
tenere insieme le età della vita, la cura per il futuro, la pratica della
solidarietà, la prossimità alle fragilità e rendere la città un luogo in cui
sia desiderabile vivere, lavorare, studiare, diventare grandi, essere curati e
assistiti. La famiglia è – a mio parere – il fattore decisivo. Certo la
famiglia non da sola: pertanto mi sembra opportuno invitare le istituzioni e
impegnare la Chiesa diocesana a convergere nel propiziare le condizioni perché
si possano formare famiglie e queste siano aiutate a essere stabili, a vivere i
loro desideri, a praticare le loro responsabilità.
Per questo immagino che i
protagonisti pensosi della vita della città condividano il proposito di
prendersi cura del legame sociale, di nutrire e rafforzare le identità dei
nostri territori (perché sappiano generare ancora energie per processi di
aggregazione e di inclusione che contrastino l’isolamento e la solitudine e che
sono tipiche della nostra cultura), di rilanciare la generosità pubblica e
privata, perché si torni a percepire come un segno di maturità e di
intelligenza civica investire risorse anche economiche per far fronte alle
povertà che bussano alle nostre porte. La comunità cristiana, nelle sue
articolazioni territoriali e nella sua organizzazione centrale, desidera
abitare la città per offrire il suo contributo e collaborare con tutte le
istituzioni presenti nel comprendere il territorio, nell’interpretare il tempo,
nel promuovere quell’ecologia globale che rende abitabile la terra per questa e
per le future generazioni. In questo faccio riferimento con affetto e
gratitudine alle indicazioni di papa Francesco nella Laudato si’.
5. Propiziare il pensare condiviso
L’invito, forse un po’
provocatorio, per esercitare il pensiero nella sua vocazione alta a dare forma
a una visione, vorrebbe anche suggerire pratiche ordinarie, momenti di
incontro, dialoghi di vita buona, come ha insegnato e realizzato il cardinale
Scola. È del resto tradizione per i credenti coltivare il pensare, pur
riconoscendo che nessuno è immune dalla tentazione del fanatismo o della
sufficienza sprezzante che diventa meschino esonerarsi dalla ragione. La
religione, in questo quadro, vuole mettersi in cordiale confronto con ogni uomo
che cerca la verità e così concorrere alla ricerca del bene comune, ben
sapendo, come insegna Benedetto XVI, che «la tradizione cattolica sostiene che
le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione,
prescindendo dal contenuto della rivelazione. Secondo questa comprensione, il
ruolo della religione nel dibattito politico non è tanto quello di fornire tali
norme, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti – ancora
meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete, cosa che è del tutto al
di fuori della competenza della religione – bensì piuttosto di aiutare nel
purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei
princìpi morali oggettivi» (Benedetto XVI, Discorso alla Westminster Hall, 17
settembre 2010). Nel contesto di questo quadro più ampio, e a titolo
esemplificativo, mi permetto di avanzare qualche proposta puntuale. La
conoscenza della Costituzione della Repubblica Italiana è un punto di partenza
che può ispirare una visione di società comune a tutti gli abitanti del nostro
territorio. Si riconosce che la nostra Costituzione è un testo che conserva il
suo valore, pur con la necessità di quegli aggiornamenti che il tempo rende
inevitabili. Non si potrebbe prendere l’abitudine di aprire ogni consiglio
comunale con la lettura e il commento di qualche articolo della prima parte
della Costituzione? L’educazione civica è una responsabilità che gli educatori
devono esercitare nei confronti delle giovani generazioni. La sinergia tra gli
amministratori e gli operatori della scuola può incoraggiare iniziative in atto
e avviarne di nuove per contribuire all’educazione degli studenti, che siano
italiani da generazioni o che siano provenienti da altri Paesi. L’interazione della
scuola con il territorio, oltre che con il mondo del lavoro, mi sembra una via
promettente per promuovere l’attenzione al contesto, all’ambiente, al vicinato.
Promotori di una educazione civica in senso ampio possono essere molti
operatori di diversi settori, e so che molti sono disponibili a interventi
nelle scuole a questo scopo: le forze dell’ordine, i giudici, gli operatori
sanitari e finanziari. Come si dice abitualmente: «per educare un bambino ci
vuole un villaggio»; così noi siamo convinti che per educare al pensiero civico
e alle responsabilità di cittadini ci voglia una città che si esprima in modo
comprensibile e faccia riferimento a valori condivisi. La Chiesa ambrosiana
prega il Signore perché doni ai governanti e agli amministratori che operano
nelle nostre terre quella sapienza che viene dall’alto, di cui ci ha parlato
l’apostolo Giacomo, perché essi sappiano essere sempre all’altezza del proprio
compito e noi tutti possiamo vivere nella pace e lavorare sempre per il bene.
La Chiesa ambrosiana, invocando il patrono sant’Ambrogio e ispirandosi al suo
esempio, continua a essere presente, disponibile, generosa nel contribuire, per
quello che le è possibile, a un convivere sereno, solidale, fiducioso.