INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

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domenica 9 dicembre 2018

Discorso alla Città Basilica di Sant’Ambrogio – Milano, 6 dicembre 2018 - Mario Delpini - Arcivescovo di Milano - idee chiave, sintesi e testo integrale


Discorso alla Città Basilica di Sant’Ambrogio – Milano, 6 dicembre 2018
Mario Delpini - Arcivescovo di Milano

AUTORIZZATI A PENSARE
Visione e ragione per il bene comune
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Propongo:
A: idee chiave
B: sintesi ristretta
C: sintesi allargata
D: testo integrale
Consiglio questo metodo: A-B-C-D-A-B-A-C-A-D, ogni passo a distanza di una giornata. Non è utile leggere di seguito, in una sola volta, i testi A+B+C+D. Il testo A è la base del consolidamento della comprensione.
 Il testo A consente già una sufficiente informazione sui contenuti del documento integrale.
 I testi di sintesi sono formati con le parole del testo integrale, ad eccezione di quelle tra parentesi quadre, elementi di raccordo inseriti dal sintetizzatore.
Sintesi di Mario Ardigò  - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

A
****************Idee chiave****************
Dobbiamo condividere pensieri e non solo emozioni.
La riscoperta e la valorizzazione del bene comune (e non solo dei beni comuni, dei beni privati e di quelli pubblici), oltre lo Stato e il mercato, può favorire la rigenerazione della cittadinanza, come vivibilità e appartenenza civile.
Nella comunità del pensare riflessivo, e non del vociare emotivo, si riconosce, si promuove, si custodisce e si propizia l’umano-che-è-comune.
Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso L’importanza di tali relazioni diventa quindi fondamentale. Ciò vale anche per i popoli.
 Un senso di responsabilità che ci impegna a un esercizio pubblico dell’intelligenza, che si metta a servizio della convivenza di tutti.
Vogliamo lavorare per superare il mero “pensiero calcolante” e comprendere la differenza tra utilità, che consiste in una relazione tra persona e cosa, e felicità, che consiste nella relazione tra una persona e un’altra e che non può rinunciare alla speranza del compimento.
    Nel contesto democratico in cui viviamo è legittimo che convivano visioni diverse, tuttavia la riflessione può convenire su alcuni aspetti comuni, su bisogni e priorità che urgono, su desideri ricercati e attesi.
 Occorre intendere  l’Europa come convivenza pacifica e solidale di popoli preferire l’unione alla divisione, la collaborazione alla concorrenza, la pace alla guerra. Siamo impegnati e motivati per una partecipazione costruttiva alle vicende europee.
 Occorre adottare come punto di riferimento fondamentale per la convivenza dei cittadini e la visione dei rapporti internazionali la Costituzione della Repubblica Italiana. La carta costituzionale, in quella prima parte dove formula princìpi e valori fondamentali, non può essere ridotta a un documento da commemorare, né a un evento tanto ideale quanto irripetibile, ma deve continuare a svolgere il compito di riconoscere e garantire «i diritti inviolabili dell’uomo» (art. 2), al fine di promuovere «il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3).
 Il testo della Costituzione ci ricorda innanzitutto un metodo di lavoro, che vale anche per noi: le differenze si siedono allo stesso tavolo per costruire insieme il proprio futuro.
  Non bisogna affrontare i problemi sociali secondo una reazione emotiva a certi fatti di cronaca, riducendoci a cercare il capro espiatorio e perdendo di vista la considerazione complessiva della realtà. 
 La conoscenza della Costituzione della Repubblica Italiana è un punto di partenza che può ispirare una visione di società comune a tutti gli abitanti del nostro territorio
 Per educare al pensiero civico e alle responsabilità di cittadini [occorre] una città che si esprima in modo comprensibile e faccia riferimento a valori condivisi.

B
*****************Sintesi ristretta*****************
1. L’emozione non è un male, ma non è una ragione.  Siamo autorizzati a pensare, ad essere persone ragionevoli. [Altrimenti c’è] il rischio di lasciarsi dominare da reazioni emotive e farle valere come se fossero delle vere e proprie ragioni su cui fondare le nostre scelte e avanzare rivendicazioni.
2. La partecipazione democratica e la corresponsabilità per il bene comune crescono, a me sembra, se si condividono pensieri e non solo emozioni, informazioni obiettive e non solo titoli a effetto, confronti su dati e programmi e non solo insulti e insinuazioni, desideri e non solo ricerca compulsiva di risposta ai bisogni.
 Occorre riscoprire la cultura e il pensiero che danno buone ragioni alla fiducia, alla reciproca relazione, a quella sapienza che viene dall’alto che “anzitutto è pura, poi pacifica, mite”. Insomma siamo autorizzati a pensare.
3. Il rispetto delle regole e del prossimo è un frutto del senso civico, del senso di appartenenza alla comunità, della persuasione che il bene comune del convivere in pace sia da anteporre all’interesse privato momentaneo e che il danno arrecato a una comunità prima o poi danneggi anche chi lo compie. La riscoperta e la valorizzazione del bene comune (e non solo dei beni comuni, dei beni privati e di quelli pubblici), oltre lo Stato e il mercato, può favorire la rigenerazione della cittadinanza, come vivibilità e appartenenza civile.
4.  Essere persone ragionevoli è un contributo indispensabile per il bene comune. Questo evoca la solidarietà/fraternità della condivisione relazionale. Nella comunità del pensare riflessivo, e non del vociare emotivo, si riconosce, si promuove, si custodisce e si propizia l’umano-che-è-comune.
Nell’Enciclica Populorum Progressio, nel 1967, san Paolo VI scriveva: «aprite le vie che conducono, attraverso l’aiuto vicendevole, l’approfondimento del sapere, l’allargamento del cuore, a una vita più fraterna in una comunità umana veramente universale» (Paolo VI, Populorum Progressio, 85).
  E Benedetto XVI commentava l’espressione di Paolo VI in Caritas in veritate, 53 scrivendo: «L’affermazione [di Paolo VI] contiene una constatazione, ma soprattutto un auspicio: serve un nuovo slancio del pensiero per comprendere meglio le implicazioni del nostro essere una famiglia; l’interazione tra i popoli del pianeta ci sollecita a questo slancio, affinché l’integrazione avvenga nel segno della solidarietà piuttosto che della marginalizzazione.»
  La creatura umana si realizza nelle relazioni interpersonali Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso L’importanza di tali relazioni diventa quindi fondamentale. Ciò vale anche per i popoli.
 Insieme possiamo coltivare un senso di responsabilità che ci impegna a un esercizio pubblico dell’intelligenza, che si metta a servizio della convivenza di tutti, che sia attenta a dare la parola a ogni componente della città, che raccolga l’aspirazione di tutti a vivere insieme, ad affrontare insieme i problemi e i bisogni, a recensire insieme risorse e potenzialità.
 Nella recente rivoluzione digitale si può insinuare il rischio di una assolutizzazione della tecnologia, come se quest’ultima potesse sostituire la responsabilità di pensare e l’onere di scegliere. L’utilitarismo riduce il valore all’utile immediato e quantificabile, che si chiami profitto, consenso, indice di gradimento. Il pensiero asservito all’utilitarismo si riduce a calcolo Vogliamo lavorare per superare il mero “pensiero calcolante” in favore di un allargamento del concetto di ragione: occorre [comprendere] la differenza tra utilità, che consiste in una relazione tra persona e cosa, e felicità, che consiste nella relazione tra una persona e un’altra e che non può rinunciare alla speranza del compimento.
    Nel contesto democratico in cui viviamo è legittimo che convivano visioni diverse, tuttavia la riflessione può convenire su alcuni aspetti comuni, su bisogni e priorità che urgono, su desideri ricercati e attesi.
 Credo che  si possa convergere su quel cammino che porta a una convivenza pacifica e solidale e che intenda l’Europa come convivenza di popoli, I cittadini d’Europa erano e sono persuasi che siano da preferire l’unione alla divisione, la collaborazione alla concorrenza, la pace alla guerra. Siamo impegnati e motivati per una partecipazione costruttiva alle vicende europee.
 il nostro Paese adotta come punto di riferimento fondamentale per la convivenza dei cittadini e la visione dei rapporti internazionali la Costituzione della Repubblica Italiana. La carta costituzionale, in quella prima parte dove formula princìpi e valori fondamentali, non può essere ridotta a un documento da commemorare, né a un evento tanto ideale quanto irripetibile, ma deve continuare a svolgere il compito di riconoscere e garantire «i diritti inviolabili dell’uomo» (art. 2), al fine di promuovere «il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3).
 Il testo della Costituzione ci ricorda innanzitutto un metodo di lavoro, che vale anche per noi: le differenze si siedono allo stesso tavolo per costruire insieme il proprio futuro.
 La recensione delle problematiche che caratterizzano il momento che viviamo è talora troppo influenzata dal particolare di cronaca che provoca una reazione emotiva e oscura la considerazione complessiva della realtà.  In una considerazione pensosa delle prospettive del nostro tempo si dovrà evitare di ridurci a cercare un capro espiatorio. [Si tratta di] problematiche complesse e non si può ingenuamente presumere di trovare soluzioni facili e rapide. Ma certo la complessità non può convincere a rassegnarsi alla diagnosi e all’elenco dei fattori di disagio.
5.  La conoscenza della Costituzione della Repubblica Italiana è un punto di partenza che può ispirare una visione di società comune a tutti gli abitanti del nostro territorio. Si riconosce che la nostra Costituzione è un testo che conserva il suo valore, pur con la necessità di quegli aggiornamenti che il tempo rende inevitabili. Non si potrebbe prendere l’abitudine di aprire ogni consiglio comunale con la lettura e il commento di qualche articolo della prima parte della Costituzione? L’educazione civica è una responsabilità che gli educatori devono esercitare nei confronti delle giovani generazioni.
 Come si dice abitualmente: «per educare un bambino ci vuole un villaggio»; così noi siamo convinti che per educare al pensiero civico e alle responsabilità di cittadini ci voglia una città che si esprima in modo comprensibile e faccia riferimento a valori condivisi.




C
***************Sintesi allargata***************
 1. La possibilità della pace è offerta da una sapienza che viene dall’alto, da un’intelligenza benevola, da un pensiero che si ispiri alla vicinanza di Dio. C’è dunque anche la possibilità di pensare, siamo autorizzati a pensare.
 L’emozione non è un male, ma non è una ragione. Ogni giorno che ci sono molte persone che vivono le loro legittime aspettative con atteggiamenti di pretesa arrogante. La pretesa non è il far valere i propri diritti, ma è mancare di comprensione, esigere di essere serviti e ascoltati come se si fosse soli al mondo, insinuare una malizia e una colpevole disattenzione là dove il servizio non è prestato secondo le proprie aspettative. Si esalta l’emozione, lo slogan gridato, stuzzica la suscettibilità e deprime il pensiero riflessivo. La convivenza in città sarebbe più serena e la presenza di tutti più costruttiva se, dominando l’impazienza e le pretese, potessimo essere tutti più ragionevoli, comprensivi, realisti nel considerare quello che si fa, quello che si può fare per migliorare e anche quello che non si può fare. Ecco: siamo autorizzati a pensare, ad essere persone ragionevoli.
Desidero evidenziare il rischio di lasciarsi dominare da reazioni emotive e farle valere come se fossero delle vere e proprie ragioni su cui fondare le nostre scelte e avanzare rivendicazioni. Questa confusione tra ragioni ed emozioni spesso può complicare gravemente la convivenza civile.
2. Il linguaggio tende a degenerare in espressioni aggressive, l’argomentazione si riduce a espressioni a effetto, le proposte si esprimono con slogan riduttivi piuttosto che con elaborazioni persuasive.
 Il consenso costruito con un’eccessiva stimolazione dell’emotività dove si ingigantiscano paure, pregiudizi, ingenuità, reazioni passionali, non giov[a] al bene dei cittadini e non favorisc[e] la partecipazione democratica. La partecipazione democratica e la corresponsabilità per il bene comune crescono, a me sembra, se si condividono pensieri e non solo emozioni, informazioni obiettive e non solo titoli a effetto, confronti su dati e programmi e non solo insulti e insinuazioni, desideri e non solo ricerca compulsiva di risposta ai bisogni.
 La ragionevolezza che si può anche chiamare “buon senso” – espressione di un senso buono –, l’intelligenza e la competenza che possono maturare in saggezza, una disposizione alla stima vicendevole che si può ritenere fondamentale per una convivenza serena possono creare consenso con argomentazioni, danno forma ad alleanze tra le forze in gioco che presuppongono l’affidabilità delle persone e delle organizzazioni che vi convergono. Occorre riscoprire la cultura e il pensiero che danno buone ragioni alla fiducia, alla reciproca relazione, a quella sapienza che viene dall’alto che “anzitutto è pura, poi pacifica, mite”. Insomma siamo autorizzati a pensare.
3.
  La normativa che impone adempimenti complessi offre appigli per quella litigiosità aggressiva e irrazionale che può esporre i responsabili a beghe interminabili. L’operatore si ripara dietro il controllo degli adempimenti formali e pretende estenuanti forme di garanzie. Mi sembra che si debba insistere in quei percorsi di semplificazione che sono spesso enunciati e promessi per rendere più facile essere buoni cittadini, onesti e in regola con la pubblica amministrazione, per favorire l’intraprendenza di imprenditori e di operatori negli ambiti del servizio ai cittadini e della solidarietà. È però evidente che i percorsi promessi e avviati presuppongono il recupero di una fiducia tra i cittadini, e tra cittadini e pubblica amministrazione. Non servirà semplificare le procedure se perdura il sospetto sul cittadino come incline a delinquere e se rimane radicata nel cittadino l’inclinazione alla litigiosità e alla suscettibilità che è insofferente delle regole del vivere insieme e del rispetto reciproco. Il rispetto delle regole e del prossimo è un frutto del senso civico, del senso di appartenenza alla comunità, della persuasione che il bene comune del convivere in pace sia da anteporre all’interesse privato momentaneo e che il danno arrecato a una comunità prima o poi danneggi anche chi lo compie. La riscoperta e la valorizzazione del bene comune (e non solo dei beni comuni, dei beni privati e di quelli pubblici), oltre lo Stato e il mercato, può favorire la rigenerazione della cittadinanza, come vivibilità e appartenenza civile.
4. Siamo  autorizzati a pensare: essere persone ragionevoli è un contributo indispensabile per il bene comune. Questo evoca la solidarietà/fraternità della condivisione relazionale. Nella comunità del pensare riflessivo, e non del vociare emotivo, si riconosce, si promuove, si custodisce e si propizia l’umano-che-è-comune.
Nell’Enciclica Populorum Progressio, nel 1967, san Paolo VI scriveva: «aprite le vie che conducono, attraverso l’aiuto vicendevole, l’approfondimento del sapere, l’allargamento del cuore, a una vita più fraterna in una comunità umana veramente universale» (Paolo VI, Populorum Progressio, 85).
  E Benedetto XVI commentava l’espressione di Paolo VI in Caritas in veritate, 53 scrivendo: «L’affermazione [di Paolo VI] contiene una constatazione, ma soprattutto un auspicio: serve un nuovo slancio del pensiero per comprendere meglio le implicazioni del nostro essere una famiglia; l’interazione tra i popoli del pianeta ci sollecita a questo slancio, affinché l’integrazione avvenga nel segno della solidarietà piuttosto che della marginalizzazione.»
  La creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso. ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. L’importanza di tali relazioni diventa quindi fondamentale. Ciò vale anche per i popoli.
 Insieme possiamo coltivare un senso di responsabilità che ci impegna a un esercizio pubblico dell’intelligenza, che si metta a servizio della convivenza di tutti, che sia attenta a dare la parola a ogni componente della città, che raccolga l’aspirazione di tutti a vivere insieme, ad affrontare insieme i problemi e i bisogni, a recensire insieme risorse e potenzialità.
  La ragione, l’intelligenza sono esposti al rischio di lasciarsi strumentalizzare, come ogni altra risorsa umana.
 Nella recente rivoluzione digitale si può insinuare il rischio di una assolutizzazione della tecnologia, come se quest’ultima potesse sostituire la responsabilità di pensare e l’onere di scegliere. Il pensare resta mortificato nella morsa di una tecnologia globalizzata e di una politica localizzata: ne consegue un offuscamento del dato, cioè del mondo nel suo essere “qui e ora”, che svanisce in un virtuale inafferrabile e irresponsabile. Non è infatti estranea al nostro tempo la tentazione di asservire il pensiero alle tendenze diffuse, piuttosto che esercitare il ruolo e la responsabilità di offrire una riflessione critica e generativa. Tra le tendenze che oggi minano il pensare mi pare che sia insidioso l’utilitarismo che riduce il valore all’utile immediato e quantificabile, che si chiami profitto, consenso, indice di gradimento. Il pensiero asservito all’utilitarismo si riduce a calcolo, quindi a valutare risorse e mezzi in vista di un risultato per lo più individuale o corporativistico piuttosto che di un fine comune e condiviso. Pertanto si rinuncia alla riflessione sulle domande di senso, relegando l’argomento nell’irrazionale e nel sentimentale, escluso per principio dalla sfera pubblica e dalla possibilità di una dimensione sociale.
 Vogliamo lavorare per superare il mero “pensiero calcolante” in favore di un allargamento del concetto di ragione; un pensiero realista, che abbia a cuore la ricerca continua della verità e del bene condiviso, libera da pregiudizi, aperta agli altri e alla domanda di senso. Occorre riconsiderare e ricomprendere la differenza tra utilità, che consiste in una relazione tra persona e cosa, e felicità, che consiste nella relazione tra una persona e un’altra e che non può rinunciare alla speranza del compimento.
    Nel contesto democratico in cui viviamo è legittimo che convivano visioni diverse e che queste visioni diano origine ad alleanze di persone e gruppi che si impegnano per realizzare intenti differenti. Tuttavia la riflessione non troppo condizionata da pregiudizi indiscutibili e da relitti di ideologie può convenire su alcuni aspetti comuni, su bisogni e priorità che urgono, su desideri ricercati e attesi.
 Credo che  si possa convergere su quel cammino che porta a una convivenza pacifica e solidale e che intenda l’Europa come convivenza di popoli. La complessità e le problematiche che hanno segnato il concreto configurarsi dell’Unione Europea richiedono una ripresa delle intenzioni originarie: i cittadini d’Europa erano e sono persuasi che siano da preferire l’unione alla divisione, la collaborazione alla concorrenza, la pace alla guerra. Siamo impegnati e motivati per una partecipazione costruttiva alle vicende europee: vogliamo dare volto all’Unione Europea dei popoli e dei valori, che pensi i suoi valori e le sue attese nella concretezza storica del tempo presente e di quello a venire, e che non si occupi di beghe e di interessi contrapposti. In questo contesto di un cantiere europeo al quale rimettere mano, il nostro Paese adotta come punto di riferimento fondamentale per la convivenza dei cittadini e la visione dei rapporti internazionali la Costituzione della Repubblica Italiana. La carta costituzionale, in quella prima parte dove formula princìpi e valori fondamentali, non può essere ridotta a un documento da commemorare, né a un evento tanto ideale quanto irripetibile, ma deve continuare a svolgere il compito di riconoscere e garantire «i diritti inviolabili dell’uomo» (art. 2), al fine di promuovere «il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3). Queste acquisizioni irrinunciabili sono frutto – come è doveroso ricordare – di tenace dialogo e confronto fra tradizioni di pensiero diverse e tuttavia appassionate del primato del bene comune. Credenti e non credenti hanno messo in comune il proprio patrimonio culturale e sociale per poter edificare la convivenza civile. Il testo della Costituzione ci ricorda innanzitutto un metodo di lavoro, che vale anche per noi: le differenze si siedono allo stesso tavolo per costruire insieme il proprio futuro. È doveroso che la generazione dei padri trasmetta ai giovani di oggi quell’ardore di cui sono stati testimoni i nostri nonni e i nostri padri, quelli almeno che hanno pensato che l’Italia non fosse condannata a restare sepolta sotto le macerie della guerra e del totalitarismo, ma potesse risorgere come un Paese in cui fosse desiderabile convivere.
 La recensione delle problematiche che caratterizzano il momento che viviamo è talora troppo influenzata dal particolare di cronaca che provoca una reazione emotiva e oscura la considerazione complessiva della realtà.  In una considerazione pensosa delle prospettive del nostro tempo si dovrà evitare di ridurci a cercare un capro espiatorio: talora, per esempio, il fenomeno delle migrazioni e la presenza di migranti, rifugiati, profughi invadono discorsi e fatti di cronaca, fino a dare l’impressione che siano l’unico problema urgente. Si devono nominare tra le problematiche emergenti e inevitabili: – la crisi demografica che sembra condannare la popolazione italiana a un inesorabile e insostenibile invecchiamento; – la povertà di prospettive per i giovani che scoraggia progetti di futuro e induce molti a trasgressioni pericolose e a penose dipendenze; – le difficoltà occupazionali nell’età adulta e nell’età giovanile e le problematiche del lavoro; – la solitudine il più delle volte disabitata degli anziani. Queste problematiche sono complesse e non si può ingenuamente presumere di trovare soluzioni facili e rapide. Ma certo la complessità non può convincere a rassegnarsi alla diagnosi e all’elenco dei fattori di disagio.
 La comunità cristiana, nelle sue articolazioni territoriali e nella sua organizzazione centrale, desidera abitare la città per offrire il suo contributo e collaborare con tutte le istituzioni presenti nel comprendere il territorio, nell’interpretare il tempo, nel promuovere quell’ecologia globale che rende abitabile la terra per questa e per le future generazioni. In questo faccio riferimento con affetto e gratitudine alle indicazioni di papa Francesco nella Laudato si’.
5. È tradizione per i credenti coltivare il pensare, pur riconoscendo che nessuno è immune dalla tentazione del fanatismo o della sufficienza sprezzante che diventa meschino esonerarsi dalla ragione.
 . La conoscenza della Costituzione della Repubblica Italiana è un punto di partenza che può ispirare una visione di società comune a tutti gli abitanti del nostro territorio. Si riconosce che la nostra Costituzione è un testo che conserva il suo valore, pur con la necessità di quegli aggiornamenti che il tempo rende inevitabili. Non si potrebbe prendere l’abitudine di aprire ogni consiglio comunale con la lettura e il commento di qualche articolo della prima parte della Costituzione? L’educazione civica è una responsabilità che gli educatori devono esercitare nei confronti delle giovani generazioni. La sinergia tra gli amministratori e gli operatori della scuola può incoraggiare iniziative in atto e avviarne di nuove per contribuire all’educazione degli studenti, che siano italiani da generazioni o che siano provenienti da altri Paesi. L’interazione della scuola con il territorio, oltre che con il mondo del lavoro, mi sembra una via promettente per promuovere l’attenzione al contesto, all’ambiente, al vicinato. Promotori di una educazione civica in senso ampio possono essere molti operatori di diversi settori, e so che molti sono disponibili a interventi nelle scuole a questo scopo: le forze dell’ordine, i giudici, gli operatori sanitari e finanziari. Come si dice abitualmente: «per educare un bambino ci vuole un villaggio»; così noi siamo convinti che per educare al pensiero civico e alle responsabilità di cittadini ci voglia una città che si esprima in modo comprensibile e faccia riferimento a valori condivisi.

D
**************Testo integrale***************
Lettera di Giacomo 3,13-4,8
Chi tra voi è saggio e intelligente? Con la buona condotta mostri che le sue opere sono ispirate a mitezza e sapienza. Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non dite menzogne contro la verità. Non è questa la sapienza che viene dall’alto: è terrestre, materiale, diabolica; perché dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.
  Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni. Gente infedele! Non sapete che l’amore per il mondo è nemico di Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio. O forse pensate che invano la Scrittura dichiari: «Fino alla gelosia ci ama lo Spirito, che egli ha fatto abitare in noi»? Anzi, ci concede la grazia più grande; per questo dice: «Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia». Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà lontano da voi. Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi. Peccatori, purificate le vostre mani; uomini dall’animo indeciso, santificate i vostri cuori.

La Lettera di Giacomo interpreta le dinamiche conflittuali della comunità come l’emergere di passioni che rendono stolti: la possibilità della pace è offerta da una sapienza che viene dall’alto, da un’intelligenza benevola, da un pensiero che si ispiri alla vicinanza di Dio. C’è dunque anche la possibilità di pensare, siamo autorizzati a pensare. È questa la sostanza della riflessione che mi permetto di offrire alla città in occasione della festa del patrono sant’Ambrogio. È questo il percorso promettente che mi dichiaro disponibile a continuare insieme con tutti coloro che abitano in città e ne desiderano il bene. Siamo autorizzati anche a pensare!

1. Pressati dall’emotività e dalla suscettibilità: insistere per essere persone ragionevoli
  Sono diffusi in ogni tempo e in ogni luogo atteggiamenti emotivi, reazioni istintive, passioni cieche, come attesta l’antico scritto di san Giacomo (Gc 4,1ss). Non stupisce quindi che emotività e passionalità siano presenti anche oggi, anche qui, anche nella città. L’emozione non è un male, ma non è una ragione. Forse in questo momento l’intensità delle emozioni è particolarmente determinante nei comportamenti. Ciascuno si ritiene criterio del bene e del male, del diritto e del torto: quello che io sento è indiscutibile, quello che io voglio è insindacabile.
Chi presta un servizio pubblico alla comunità deve confrontarsi ogni giorno con la gente e viene messo alla prova continuamente dalle persone che aspettano, dalle persone che chiedono, dalle persone che hanno fretta. Ci vogliono molta pazienza, capacità di relazione, predisposizione all’empatia e alla comprensione, autocontrollo nelle reazioni, per portare alcune richieste a buon fine, mentre alle spalle premono impazienti molti altri che pure hanno diritto ad essere serviti. Desidero esprimere il mio apprezzamento per gli operatori che sanno accogliere con particolare attenzione coloro che si trovano in condizioni di necessità, sprovveduti e smarriti di fronte alle procedure per ottenere le prestazioni cui hanno diritto, imbarazzati davanti a operatori con cui è faticoso intendersi. Coloro che prestano un pubblico servizio constatano ogni giorno che ci sono molte persone che vivono le loro legittime aspettative con atteggiamenti di pretesa arrogante. La pretesa non è il far valere i propri diritti, ma è mancare di comprensione nei confronti degli operatori e delle regole che essi devono rispettare, esigere di essere serviti e ascoltati come se si fosse soli al mondo, insinuare una malizia e una colpevole disattenzione là dove il servizio non è prestato secondo le proprie aspettative. Si può forse dire che la “cultura post-moderna”, se si può usare il termine “cultura” in questa accezione, esalta l’emozione, lo slogan gridato, stuzzica la suscettibilità e deprime il pensiero riflessivo. Il comportamento di fronte a uno sportello è solo il sintomo di una sensibilità che si è ammalata di suscettibilità, di un pregiudiziale atteggiamento di discredito verso le istituzioni e in particolare verso i servizi pubblici più vicini ai cittadini, che si tratti dell’ambito scolastico o di quello sanitario o di quello tributario o di quello dei trasporti o dell’ecologia urbana o di qualsiasi altro. La mia intenzione, ovviamente, non è di avallare le inadempienze o di giustificare i disservizi. Piuttosto credo che la convivenza in città sarebbe più serena e la presenza di tutti più costruttiva se, dominando l’impazienza e le pretese, potessimo essere tutti più ragionevoli, comprensivi, realisti nel considerare quello che si fa, quello che si può fare per migliorare e anche quello che non si può fare. Ecco: siamo autorizzati a pensare, ad essere persone ragionevoli.
 Con ciò non voglio certo mortificare il valore degli affetti, dei sentimenti e delle emozioni, che sono parte costitutiva dell’esperienza umana e delle relazioni. Desidero piuttosto evidenziare il rischio di lasciarsi dominare da reazioni emotive e farle valere come se fossero delle vere e proprie ragioni su cui fondare le nostre scelte e avanzare rivendicazioni. Questa confusione tra ragioni ed emozioni spesso può complicare gravemente la convivenza civile.

2. Condizionati dagli slogan e dalla costruzione del consenso: insistere per essere persone ragionevoli
 Nel dibattito pubblico, nel confronto tra le parti, nella campagna elettorale, il linguaggio tende a degenerare in espressioni aggressive, l’argomentazione si riduce a espressioni a effetto, le proposte si esprimono con slogan riduttivi piuttosto che con elaborazioni persuasive. L’animosità nel confronto è, in certa misura, un tratto caratteristico dell’appassionarsi per una causa che si ritiene meritevole di dedizione e di determinazione. Tuttavia credo che il consenso costruito con un’eccessiva stimolazione dell’emotività dove si ingigantiscano paure, pregiudizi, ingenuità, reazioni passionali, non giovi al bene dei cittadini e non favorisca la partecipazione democratica. La partecipazione democratica e la corresponsabilità per il bene comune crescono, a me sembra, se si condividono pensieri e non solo emozioni, informazioni obiettive e non solo titoli a effetto, confronti su dati e programmi e non solo insulti e insinuazioni, desideri e non solo ricerca compulsiva di risposta ai bisogni. Pertanto credo sia opportuno un invito ad affrontare le questioni complesse e improrogabili con quella ragionevolezza che cerca di leggere la realtà con un vigile senso critico e che esplora percorsi con un realismo appassionato e illuminato. La gente che abita le nostre terre – posso attestarlo per esperienza – ha risorse di intelligenza e di riflessione che anche nel dibattito pubblico, anche nel confronto quotidiano, anche nell’esercizio delle responsabilità amministrative devono esercitarsi per la ricerca di percorsi promettenti. Mi sembra che siano inscritti nell’animo della nostra gente una profonda diffidenza per ogni fanatismo, un naturale scetticismo per ogni propo sta di ricette che promettono rapida e facile soluzione per problemi complicati e difficili. Mi sembra che sia connaturale con i tratti che ci caratterizzano una capacità di determinazione e di sacrificio. Ci è congeniale la coscienza che le spaccature che dividono sono ardue da ricomporre, che le offese che feriscono sono dure da guarire, che le informazioni scorrette che squalificano sono difficili da rettificare. La ragionevolezza che si può anche chiamare “buon senso” – espressione di un senso buono –, l’intelligenza e la competenza che possono maturare in saggezza, una disposizione alla stima vicendevole che si può ritenere fondamentale per una convivenza serena possono creare consenso con argomentazioni, danno forma ad alleanze tra le forze in gioco che presuppongono l’affidabilità delle persone e delle organizzazioni che vi convergono. Occorre riscoprire la cultura e il pensiero che danno buone ragioni alla fiducia, alla reciproca relazione, a quella sapienza che viene dall’alto che “anzitutto è pura, poi pacifica, mite”. Insomma siamo autorizzati a pensare.


3. Insofferenti per l’intralcio incomprensibile delle procedure: avviare percorsi di semplificazione ragionevoli
 Il desiderio di comprendere le procedure richieste per molti adempimenti, d’altra parte inevitabili, risulta spesso irrealizzabile. La complicazione della normativa, delle pratiche burocratiche, delle procedure di verifica e di rendicontazione pervade molti aspetti della vita dei cittadini. Si ha talora l’impressione che l’impianto complessivo sia ispirato da una sorta di pregiudiziale sospetto sul cittadino, come fosse scontato che la gente sia naturalmente disonesta e incline a contravvenire alle regole. Ne deriva una specie di ossessione per la documentazione e i controlli: le pratiche si gonfiano in modo spropositato, i tempi per le autorizzazioni si prolungano in maniera esasperante. Ne risulta intralciata e paralizzata l’intraprendenza della creatività e della generosità, degli imprenditori come degli operatori sociali. Ne consegue anche una sorta di anonimato della pubblica amministrazione e dei servizi al cittadino. La normativa che impone adempimenti complessi offre appigli per quella litigiosità aggressiva e irrazionale che può esporre i responsabili a beghe interminabili. Pertanto diventa comprensibile la tendenza a evitare di prendersi responsabilità da parte dei singoli operatori, sempre intimoriti dalle possibili conseguenze legali dei loro atti, che si tratti di pratiche sanitarie o assistenziali o autorizzative. L’operatore si ripara dietro il controllo degli adempimenti formali e pretende estenuanti forme di garanzie. Forse che “la patria del diritto”, come si può definire l’Italia, sia diventata un condominio di azzeccagarbugli litigiosi? Mi sembra che si debba insistere in quei percorsi di semplificazione che sono spesso enunciati e promessi per rendere più facile essere buoni cittadini, onesti e in regola con la pubblica amministrazione, per favorire l’intraprendenza di imprenditori e di operatori negli ambiti del servizio ai cittadini e della solidarietà. È però evidente che i percorsi promessi e avviati presuppongono il recupero di una fiducia tra i cittadini, e tra cittadini e pubblica amministrazione. Non servirà semplificare le procedure se perdura il sospetto sul cittadino come incline a delinquere e se rimane radicata nel cittadino l’inclinazione alla litigiosità e alla suscettibilità che è insofferente delle regole del vivere insieme e del rispetto reciproco. Il rispetto delle regole e del prossimo è un frutto del senso civico, del senso di appartenenza alla comunità, della persuasione che il bene comune del convivere in pace sia da anteporre all’interesse privato momentaneo e che il danno arrecato a una comunità prima o poi danneggi anche chi lo compie. La riscoperta e la valorizzazione del bene comune (e non solo dei beni comuni, dei beni privati e di quelli pubblici), oltre lo Stato e il mercato, può favorire la rigenerazione della cittadinanza, come vivibilità e appartenenza civile. Non penso sia fuori luogo richiamare qui la sapienza evangelica che ci spinge a non considerare mai l’uomo a servizio della legge e delle regole, ma, al contrario, a comprendere che una legge giusta è sempre in favore dell’uomo e della sua libertà. «Non è l’uomo per il sabato, ma il sabato per l’uomo», diceva Gesù ai suoi interlocutori. Lavoriamo dunque perché le nostre regole e procedure siano a servizio del cittadino e della buona convivenza sociale. Insomma, siamo autorizzati a pensare.

4.Autorizzati a pensare
 I tre aspetti ricordati (le pretese indiscutibili, il consenso emotivo, le procedure esasperanti) sono buone motivazioni per formulare il desiderio di una ragionevolezza diffusa. Siamo infatti autorizzati a pensare: essere persone ragionevoli è un contributo indispensabile per il bene comune. Questo evoca la solidarietà/fraternità della condivisione relazionale. Nella comunità del pensare riflessivo, e non del vociare emotivo, si riconosce, si promuove, si custodisce e si propizia l’umano-che-è-comune. Nell’Enciclica Populorum Progressio, nel 1967, san Paolo VI scriveva: E se è vero che il mondo soffre per mancanza di pensiero, Noi convochiamo gli uomini di riflessione e di pensiero, cattolici, cristiani, quelli che onorano Dio, che sono assetati di assoluto, di giustizia e di verità: tutti gli uomini di buona volontà. Sull’esempio di Cristo, Noi osiamo pregarvi pressantemente: «Cercate e troverete», aprite le vie che conducono, attraverso l’aiuto vicendevole, l’approfondimento del sapere, l’allargamento del cuore, a una vita più fraterna in una comunità umana veramente universale (Paolo VI, Populorum Progressio, 85).
  E Benedetto XVI commentava l’espressione di Paolo VI in Caritas in veritate, 53 scrivendo: L’affermazione [di Paolo VI] contiene una constatazione, ma soprattutto un auspicio: serve un nuovo slancio del pensiero per comprendere meglio le implicazioni del nostro essere una famiglia; l’interazione tra i popoli del pianeta ci sollecita a questo slancio, affinché l’integrazione avvenga nel segno della solidarietà piuttosto che della marginalizzazione. Un simile pensiero obbliga ad un approfondimento critico e valoriale della categoria della relazione. Si tratta di un impegno che non può essere svolto dalle sole scienze sociali, in quanto richiede l’apporto di saperi come la metafisica e la teologia, per cogliere in maniera illuminata la dignità trascendente dell’uomo. La creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. L’importanza di tali relazioni diventa quindi fondamentale. Ciò vale anche per i popoli. È, quindi, molto utile al loro sviluppo una visione metafisica della relazione tra le persone. A questo riguardo, la ragione trova ispirazione e orientamento nella rivelazione cristiana, secondo la quale la comunità degli uomini non assorbe in sé la persona annientandone l’autonomia, come accade nelle varie forme di totalitarismo, ma la valorizza ulteriormente, perché il rapporto tra persona e comunità è di un tutto verso un altro tutto.
4.1A proposito del “pensare”: possiamo disturbare le accademie? Non sono nelle condizioni per addentrarmi nell’analisi sistematica del pensiero, delle condizioni e dei processi che possono contribuire a migliorare i rapporti tra i cittadini e la pubblica amministrazione, tra i cittadini e le istituzioni e nelle dinamiche comunitarie in genere. Ritengo che sia responsabilità degli intellettuali e degli studiosi di scienze umane e sociali approfondire la questione e comunicarne i risultati. La nostra città, in cui università e istituzioni culturali sono così significative e apprezzate, è chiamata a produrre e a proporre un pensiero politico, sociale, economico, culturale che superando gli ambiti troppo isolati delle singole discipline possa aiutare a leggere il presente e a immaginare il futuro.
  Credo che saremmo tutti fieri se proprio qui a Milano si approfondissero riflessioni, si promuovessero confronti, si potessero riconoscere scuole e programmi, prospettive e responsabilità. Il nostro senso pratico ci rende allergici alle chiacchiere e alle celebrazioni inconcludenti. Ma Milano è così ricca di punti di vista, di luoghi di ricerca specializzati, di posizioni anche contrapposte che si corre il rischio di una babele di linguaggi che risultano reciprocamente estranei e non interessati a comprensione e arricchimenti reciproci. Forse insieme possiamo coltivare un senso di responsabilità che ci impegna a un esercizio pubblico dell’intelligenza, che si metta a servizio della convivenza di tutti, che sia attenta a dare la parola a ogni componente della città, che raccolga l’aspirazione di tutti a vivere insieme, ad affrontare insieme i problemi e i bisogni, a recensire insieme risorse e potenzialità. Mi sembra significativo il contributo che a questa impresa hanno offerto e offrono i cristiani presenti nelle accademie della città e protagonisti della ricerca e della riflessione nelle istituzioni culturali della comunità cristiana, in particolare in Università cattolica, nella Facoltà teologica e nelle numerose scuole pubbliche paritarie cattoliche e di ispirazione cristiana diffuse capillarmente sul territorio.
4.2 Pensare non è solo analisi e calcolo Il pensiero, la ragione, l’intelligenza sono esposti al rischio di lasciarsi strumentalizzare, come ogni altra risorsa umana. Nella storia del secolo scorso è stata clamorosa la strumentalizzazione degli intellettuali e della ricerca scientifica a servizio delle ideologie dominanti aggressive e violente. Le risorse del pensiero umano, messe a servizio dell’ideologia, hanno ingigantito la potenza dell’aggressività, la capacità distruttiva delle armi, l’oppressione della libertà delle persone e delle istituzioni che resistevano all’ideologia. Il nostro continente ne è stato disastrato e non abbiamo ancora finito di curare le ferite e di superare i sensi di colpa. Nella recente rivoluzione digitale si può insinuare il rischio di una assolutizzazione della tecnologia, come se quest’ultima potesse sostituire la responsabilità di pensare e l’onere di scegliere. Il pensare resta mortificato nella morsa di una tecnologia globalizzata e di una politica localizzata: ne consegue un offuscamento del dato, cioè del mondo nel suo essere “qui e ora”, che svanisce in un virtuale inafferrabile e irresponsabile. Non è infatti estranea al nostro tempo la tentazione di asservire il pensiero alle tendenze diffuse, piuttosto che esercitare il ruolo e la responsabilità di offrire una riflessione critica e generativa. Tra le tendenze che oggi minano il pensare mi pare che sia insidioso l’utilitarismo che riduce il valore all’utile immediato e quantificabile, che si chiami profitto, consenso, indice di gradimento. Il pensiero asservito all’utilitarismo si riduce a calcolo, quindi a valutare risorse e mezzi in vista di un risultato per lo più individuale o corporativistico piuttosto che di un fine comune e condiviso. Pertanto si rinuncia alla riflessione sulle domande di senso, relegando l’argomento nell’irrazionale e nel sentimentale, escluso per principio dalla sfera pubblica e dalla possibilità di una dimensione sociale. È evidente che la gestione della cosa pubblica e l’organizzazione della vita sociale e dei servizi richiedono una capacità di analisi e di calcolo, ma il pensiero non può essere ridotto a questo. Vogliamo lavorare per superare il mero “pensiero calcolante” in favore di un allargamento del concetto di ragione; un pensiero realista, che abbia a cuore la ricerca continua della verità e del bene condiviso, libera da pregiudizi, aperta agli altri e alla domanda di senso. Occorre riconsiderare e ricomprendere la differenza tra utilità, che consiste in una relazione tra persona e cosa, e felicità, che consiste nella relazione tra una persona e un’altra e che non può rinunciare alla speranza del compimento.
4.3Pensare è dare forma a una visione di futuro La responsabilità per la civitas, che coinvolge tutti gli abitanti e in un modo più grave coloro che sono chiamati dai cittadini ad amministrarla, trova motivazione e orientamento dalla visione del bene da propiziare, difendere, costruire e dalla individuazione delle risorse, dei percorsi, delle possibilità realistiche per dare alla visione concretezza storica. Nel contesto democratico in cui viviamo è legittimo che convivano visioni diverse e che queste visioni diano origine ad alleanze di persone e gruppi che si impegnano per realizzare intenti differenti. Tuttavia la riflessione non troppo condizionata da pregiudizi indiscutibili e da relitti di ideologie può forse convenire su alcuni aspetti comuni, su bisogni e priorità che urgono, su desideri ricercati e attesi. Dobbiamo confidare nel fatto che la giovane generazione di oggi abbia una particolare vocazione al pensare che guarda lontano, anche perché può essere più libera da puntigli e ideologie della generazione dei loro padri. Credo che, quanto agli aspetti comuni di una visione di futuro, si possa convergere su quel cammino che porta a una convivenza pacifica e solidale e che intenda l’Europa come convivenza di popoli. La complessità e le problematiche che hanno segnato il concreto configurarsi dell’Unione Europea richiedono una ripresa delle intenzioni originarie: i cittadini d’Europa erano e sono persuasi che siano da preferire l’unione alla divisione, la collaborazione alla concorrenza, la pace alla guerra. Siamo impegnati e motivati per una partecipazione costruttiva alle vicende europee: vogliamo dare volto all’Unione Europea dei popoli e dei valori, che pensi i suoi valori e le sue attese nella concretezza storica del tempo presente e di quello a venire, e che non si occupi di beghe e di interessi contrapposti. In questo contesto di un cantiere europeo al quale rimettere mano, il nostro Paese adotta come punto di riferimento fondamentale per la convivenza dei cittadini e la visione dei rapporti internazionali la Costituzione della Repubblica Italiana. La carta costituzionale, in quella prima parte dove formula princìpi e valori fondamentali, non può essere ridotta a un documento da commemorare, né a un evento tanto ideale quanto irripetibile, ma deve continuare a svolgere il compito di riconoscere e garantire «i diritti inviolabili dell’uomo» (art. 2), al fine di promuovere «il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3). Queste acquisizioni irrinunciabili sono frutto – come è doveroso ricordare – di tenace dialogo e confronto fra tradizioni di pensiero diverse e tuttavia appassionate del primato del bene comune. Credenti e non credenti hanno messo in comune il proprio patrimonio culturale e sociale per poter edificare la convivenza civile. Il testo della Costituzione ci ricorda innanzitutto un metodo di lavoro, che vale anche per noi: le differenze si siedono allo stesso tavolo per costruire insieme il proprio futuro. È doveroso che la generazione dei padri trasmetta ai giovani di oggi quell’ardore di cui sono stati testimoni i nostri nonni e i nostri padri, quelli almeno che hanno pensato che l’Italia non fosse condannata a restare sepolta sotto le macerie della guerra e del totalitarismo, ma potesse risorgere come un Paese in cui fosse desiderabile convivere.
4.4Pensare è riconoscere le priorità da perseguire nel percorso verso il futuro La recensione delle problematiche che caratterizzano il momento che viviamo è talora troppo influenzata dal particolare di cronaca che provoca una reazione emotiva e oscura la considerazione complessiva della realtà. Gli amministratori locali sono chiamati a un esercizio di realismo e quindi anche a essere vigili sul rischio di lasciarsi condizionare da gruppi di pressione che promuovono ideologie o punti di vista troppo parziali. Talora la risonanza mediatica di una decisione o di una proposta diventa tentazione che induce ad accondiscendere alle insistenze per un interesse particolare il cui contributo al bene comune è discutibile. L’esercizio di una lettura realistica di questo tempo può individuare alcune priorità che, per quello che mi risulta, sono già condivise.
  In una considerazione pensosa delle prospettive del nostro tempo si dovrà evitare di ridurci a cercare un capro espiatorio: talora, per esempio, il fenomeno delle migrazioni e la presenza di migranti, rifugiati, profughi invadono discorsi e fatti di cronaca, fino a dare l’impressione che siano l’unico problema urgente. Si devono nominare tra le problematiche emergenti e inevitabili: – la crisi demografica che sembra condannare la popolazione italiana a un inesorabile e insostenibile invecchiamento; – la povertà di prospettive per i giovani che scoraggia progetti di futuro e induce molti a trasgressioni pericolose e a penose dipendenze; – le difficoltà occupazionali nell’età adulta e nell’età giovanile e le problematiche del lavoro; – la solitudine il più delle volte disabitata degli anziani. Queste problematiche sono complesse e non si può ingenuamente presumere di trovare soluzioni facili e rapide. Ma certo la complessità non può convincere a rassegnarsi alla diagnosi e all’elenco dei fattori di disagio.
 Autorizzati a pensare, possiamo esplicitare i percorsi che riteniamo promettenti e mettere in atto processi concreti, lungimiranti, da attuare con determinazione. Personalmente invito coloro che hanno responsabilità nella società civile ad affrontare con coraggio le sfide, nella persuasione che questo territorio ha le risorse umane e materiali per vincerle. E nella mia responsabilità di vescovo di questa Chiesa confermo che le nostre comunità sono pronte, ci stanno, sono già all’opera. Io credo che sia onesto riconoscere che le problematiche nominate e anche altre connesse suggeriscono che la famiglia è la risorsa determinante, è la cellula vivente: può infatti tenere insieme le età della vita, la cura per il futuro, la pratica della solidarietà, la prossimità alle fragilità e rendere la città un luogo in cui sia desiderabile vivere, lavorare, studiare, diventare grandi, essere curati e assistiti. La famiglia è – a mio parere – il fattore decisivo. Certo la famiglia non da sola: pertanto mi sembra opportuno invitare le istituzioni e impegnare la Chiesa diocesana a convergere nel propiziare le condizioni perché si possano formare famiglie e queste siano aiutate a essere stabili, a vivere i loro desideri, a praticare le loro responsabilità.
Per questo immagino che i protagonisti pensosi della vita della città condividano il proposito di prendersi cura del legame sociale, di nutrire e rafforzare le identità dei nostri territori (perché sappiano generare ancora energie per processi di aggregazione e di inclusione che contrastino l’isolamento e la solitudine e che sono tipiche della nostra cultura), di rilanciare la generosità pubblica e privata, perché si torni a percepire come un segno di maturità e di intelligenza civica investire risorse anche economiche per far fronte alle povertà che bussano alle nostre porte. La comunità cristiana, nelle sue articolazioni territoriali e nella sua organizzazione centrale, desidera abitare la città per offrire il suo contributo e collaborare con tutte le istituzioni presenti nel comprendere il territorio, nell’interpretare il tempo, nel promuovere quell’ecologia globale che rende abitabile la terra per questa e per le future generazioni. In questo faccio riferimento con affetto e gratitudine alle indicazioni di papa Francesco nella Laudato si’.
5. Propiziare il pensare condiviso
L’invito, forse un po’ provocatorio, per esercitare il pensiero nella sua vocazione alta a dare forma a una visione, vorrebbe anche suggerire pratiche ordinarie, momenti di incontro, dialoghi di vita buona, come ha insegnato e realizzato il cardinale Scola. È del resto tradizione per i credenti coltivare il pensare, pur riconoscendo che nessuno è immune dalla tentazione del fanatismo o della sufficienza sprezzante che diventa meschino esonerarsi dalla ragione. La religione, in questo quadro, vuole mettersi in cordiale confronto con ogni uomo che cerca la verità e così concorrere alla ricerca del bene comune, ben sapendo, come insegna Benedetto XVI, che «la tradizione cattolica sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione. Secondo questa comprensione, il ruolo della religione nel dibattito politico non è tanto quello di fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti – ancora meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete, cosa che è del tutto al di fuori della competenza della religione – bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei princìpi morali oggettivi» (Benedetto XVI, Discorso alla Westminster Hall, 17 settembre 2010). Nel contesto di questo quadro più ampio, e a titolo esemplificativo, mi permetto di avanzare qualche proposta puntuale. La conoscenza della Costituzione della Repubblica Italiana è un punto di partenza che può ispirare una visione di società comune a tutti gli abitanti del nostro territorio. Si riconosce che la nostra Costituzione è un testo che conserva il suo valore, pur con la necessità di quegli aggiornamenti che il tempo rende inevitabili. Non si potrebbe prendere l’abitudine di aprire ogni consiglio comunale con la lettura e il commento di qualche articolo della prima parte della Costituzione? L’educazione civica è una responsabilità che gli educatori devono esercitare nei confronti delle giovani generazioni. La sinergia tra gli amministratori e gli operatori della scuola può incoraggiare iniziative in atto e avviarne di nuove per contribuire all’educazione degli studenti, che siano italiani da generazioni o che siano provenienti da altri Paesi. L’interazione della scuola con il territorio, oltre che con il mondo del lavoro, mi sembra una via promettente per promuovere l’attenzione al contesto, all’ambiente, al vicinato. Promotori di una educazione civica in senso ampio possono essere molti operatori di diversi settori, e so che molti sono disponibili a interventi nelle scuole a questo scopo: le forze dell’ordine, i giudici, gli operatori sanitari e finanziari. Come si dice abitualmente: «per educare un bambino ci vuole un villaggio»; così noi siamo convinti che per educare al pensiero civico e alle responsabilità di cittadini ci voglia una città che si esprima in modo comprensibile e faccia riferimento a valori condivisi. La Chiesa ambrosiana prega il Signore perché doni ai governanti e agli amministratori che operano nelle nostre terre quella sapienza che viene dall’alto, di cui ci ha parlato l’apostolo Giacomo, perché essi sappiano essere sempre all’altezza del proprio compito e noi tutti possiamo vivere nella pace e lavorare sempre per il bene. La Chiesa ambrosiana, invocando il patrono sant’Ambrogio e ispirandosi al suo esempio, continua a essere presente, disponibile, generosa nel contribuire, per quello che le è possibile, a un convivere sereno, solidale, fiducioso.