INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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domenica 16 dicembre 2018

Società, civiltà, mondi vitali


Società, civiltà, mondi vitali

1.  Nel 1980, mio zio Achille, sociologo bolognese, pubblicò un libro divulgativo, quindi diretto a un pubblico di non specialisti, Crisi di governabilità e mondi vitali, oggi leggibile solo nelle biblioteche perché non più in commercio, in cui individuava le ragioni della  crisi di governabilità manifestatasi nell’Italia di allora in una crisi del collegamento tra mondi vitali quotidiani  della gente e il  sistema sociale, per cui quest’ultimo aveva perso consenso e quindi traballava. La politica, una delle parti più importanti del sistema sociale, aveva preso allora a comprare  il consenso delle masse mediante elargizioni pubbliche consistenti in servizi pubblici, protezione dei diritti sociali e nell’impiego dell’impresa pubblica per sostenere l’occupazione e l’imprenditoria privata. Questo sistema veniva chiamato  consociativo o neo-corporativo perché era basato su una  sorta di  contratto  tra i maggiori attori sociali, che erano lo Stato, gli imprenditori privati, i sindacati dei lavoratori di dipendenti, il mondo del volontariato e le Chiese. L’oggetto del contratto era lo scambio  tra consenso ed elargizioni pubbliche. Questo modo di acquistare  il consenso politico provocò un incremento disordinato della spesa pubblica e, conseguentemente, una crisi fiscale che si manifestò in un rapido incremento del debito pubblico, non bastando  a queste politiche di spesa  ciò che si ricavava dai tributi. Negli anni ’70 il debito pubblico italiani veniva acquistato in larga parte dalla Banca d’Italia, senza alcun limite e secondo le direttive del Ministero del Tesoro, e dai privati, in particolare dalle famiglie, per l’alta rendita nominale che offriva. Quello acquistato dalla Banca d’Italia comportava sostanzialmente l’emissione di moneta e andava ad aggravare l’inflazione, che si ha quando circola troppo moneta rispetto alle esigenze degli scambi economici e allora la moneta si deprezza rispetto ai beni e servizi sul mercato, per cui questi ultimi costano di più in termini monetari. Quando nel 1981 il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e il Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi misero fine all’obbligo della Banca d’Italia di acquistare illimitatamente titoli del debito pubblico italiano, lo Stato per finanziarsi dovette ricorrere al mercato dei titoli finanziari. Ciò permise nel giro di circa quindici anni di mettere l’inflazione sotto controllo e ci consentì, nel 1999, di entrare nel sistema della moneta unica europea, l’Euro, che iniziò a circolare dal 2002. I risparmi delle famiglie, in precedenza falcidiati, come si dice, dall’inflazione, furono posti al sicuro e anche i tassi di interesse a debito sui mutui, in particolare quelli per comprare casa, calarono molto. Il nuovo sistema comportava però un impegno non tanto per contenere la spesa pubblica, ma per tenerla in equilibrio rispetto alle entrate realisticamente prevedibili. Questo principio fu inserito nella nostra Costituzione nel 2012, all’articolo 81, in occasione di una gravissima crisi recessiva internazionale e dei conseguenti accordi presi in sede europea per fronteggiarla. Come aveva previsto mio zio Achille nel libro che ho citato, questo l’attuazione di questo principio determinò la crisi del consociativismo, del sistema basato sullo scambio politico tra elargizioni pubbliche e consenso. Le misure di contenimento della spesa, in particolare, andarono a discapito prevalentemente degli strati meno ricchi della popolazione e non si ebbe la forza politica di correggere, per via tributaria, le crescenti diseguaglianza che un economia improntata sempre più a principi liberisti andava determinando, da noi come in tutto l’Occidente, con l’accentramento di quote sempre maggiori di ricchezza nel dominio di quote sempre minori di popolazione. Mio zio consigliava per porvi rimedi di riattivare una transazione virtuosa tra mondi vitali  e società politica, la ricetta che viene proposta dalla politica prevalente di oggi è quella, invece, di tornare al sistema dello scambio consociativo. Questo però si scontra con la normativa, le politiche e le istituzioni europee, che, per altro, sono state determinate anche da noi italiani, e con le dinamiche dei mercati finanziari internazionali, che non sono vincolate all’autorità della nostra politica. Da un lato, proseguendo per quella via, si è spinti fuori del sistema della moneta unica, dall’altro questo ci scredita dal punto di vista economico e deprezza i titoli del nostro debito pubblico.
  ll debito pubblico può servire, in certi tempi in cui un sistema economico con grandi potenzialità è bloccato da crisi di sfiducia, a finanziare un’azione pubblica nell’economia per rimetterla in marcia, ad esempio con un programma di opere pubbliche o  istituendo un sistema di incentivi alle imprese private. Si  è visto, infatti, che questa azione ha effetti sull’economia molto maggiori delle risorse investite: è questa la teoria del moltiplicatore formulata negli anni Venti del secolo scorso  dall’economista inglese John Maynard Keynes (da cui deriva il nome di keynesiane  alle politiche di spesa pubblica per riattivare l’economia). Si è in tutt’altro ordine di idee se invece si pensa essenzialmente di riattivare mediante la spesa pubblica il circuito dello scambio politico tra consenso ed elargizioni pubbliche. Se non sono sufficienti le entrate tributarie, e non si vuole aumentarle mediante una normativa che punti a correggere le diseguaglianze sociali, l’una e l’altra politica comporta un aumento del debito pubblico, che, però, nel secondo caso, non porta reali benefici al sistema economico, risolvendosi sostanzialmente in politiche assistenziali. Nella logica dello scambio  si punterà, infatti, ad ottenere un ritorno elettorale  e si tenderà quindi ad allargare la platea dei beneficiari tenendo d’occhio essenzialmente le loro intenzioni di voto, nel caso invece di politiche realmente keynesiane  si studieranno i settori che possono produrre l’effetto moltiplicatore  desiderato, perché hanno ancora potenzialità inespresse, e si dirigeranno da quella parte gli interventi.
2. Riattivare il circuito virtuoso tra mondi vitali  e sistema politico è meno costoso in termini di spesa pubblica, ma molto più difficile, richiedendo un cambio di mentalità nell’una e nell’altra parte, una conquista culturale.
  Innanzi tutto il mondo vitale.
  Mio zio Achille ne ricavò la nozione dal pensiero del filosofo tedesco Edmund Husserl (1859-1938) e del sociologo tedesco Alfred Shutz (1899-1959). Leggo nel libro che ho citato (pag. 11):
«In un periodo per alcuni aspetti simile a quello attuale - d’inizio degli anni 80- e cioè negli anni immediatamente successivi alla “grande crisi” economica esplosa tra il 1929 e il 1933, un filosofo mitteleuropeo, Edmund Husserl, fece la grande e semplice scoperta che il pensiero scientifico era in crisi perché aveva perduto il legame con le sue radici e con il proprio fine, entrambi -questa la scoperta husserliana- radicati nel mondo (prescientifico) della vita quotidiana e delle nostre  familiari relazioni con persone e cose che ci sono vicini e familiari, intime.
  Il mondo della vita quotidiana è quello in cui noi abbiamo e acquisiamo le nostre certezze, pur prescientifiche, e siamo capaci di giungere a comprendere il senso dell’esperire vivente [il corsivo è mio], e dell’agire, nostro e altrui. Fino quasi a poterci mettere nei panni di altre persone che ci sono familiari e viceversa.»
 Il sistema sociale  è invece, scrisse mio zio Achille (ma si tratta di un’acquisizione sociologica condivisa) un insieme di relazioni sociali tipizzate e dotate di alcune proprietà, capace di sopravvivenza e d’autodirezione, in un dato tempo e nei confronti di un dato ambiente, strutturato attorno a quella trama di istituzioni e rapporti  dai quali dipendono la stabilità e l’identità sociale.  Dal sistema sociale dipende la complessa organizzazione che ci consente la sopravvivenza. Esso ha necessità di consenso sociale di massa per poter funzionare e quest’ultimo richiede una transazione  con i mondi vitali quotidiani. Questi ultimi, però, per poter essere vitali, sono necessariamente limitati, definiscono infatti una rete di relazioni più intime e quindi un Noi che è costruito per esclusione. La transazione che serve necessita quindi di corpi intermedi  che ne siano mediatori: questa è stata la grande intuizione della moderna dottrina sociale. La crisi della società che stiamo vivendo di questi tempi, che è in realtà un modo di considerare la metamorfosi  della nostra società dal punto di vista di ciò che c’è stato prima, consiste appunto nella crisi di questi corpi intermedi, tra i quali, dal punto di vista sociale e culturale, vi è anche la nostra Chiesa, ma vi sono altre aggregazioni come i partiti e i sindacati. Questa crisi è stata determinata dal fatto che quei corpi intermedi proponevano spiegazioni degli eventi obsolete, nel senso di non più valide a sorreggere la transazione  con il sistema sociale. Quest’ultimo ha iniziato a organizzarsi e ad agire facendo sempre meno riferimenti ai mondi vitali quotidiani della gente, in particolare secondo logiche economiciste di competizione, secondo le quali chi prevale in società lo ha meritato e non ha obblighi verso gli altri per il fatto di avere di più, e per questo è entrato in crisi di consenso. Chi soffre vorrebbe migliorare la propria situazione e si rivolge alla società, che però gli replica che ha avuto quel che si è meritato e non ha diritto ad altro. Chi in società è privilegiato non se ne fa una colpa, anzi: vorrebbe liberarsi dai residui obblighi sociali. E’ disposto a pagare tributi, ma solo se  e nella misura in cui  riceve un contraccambio più o meno equivalente, non per sostenere il reddito altrui. Il di più lo ritiene un furto e cerca di esentarsene in qualche modo o cercando di ottenere un abbassamento delle aliquote o sottraendo per vie di fatto parte delle proprie risorse all’imposizione fiscale.Questa la logica dello slogan "Meno tasse!, che la maggior parte della politica italiana fa proprio. L’idea di un comune destino e, quindi, di una comune responsabilità è ancora sostenuta dalla dottrina sociale, ma con argomenti che fanno sempre meno presa, da un lato perché si è sempre più confinati nei propri mondi vitali quotidiani, senza capacità di transazione con ciò che c’è intorno, e così posizionati si è restii ad assumersi responsabilità sociali, nell’interesse anche di altri, dall’altro perché la logica della competizione e del merito, nel senso che ho spiegato, ha preso piede anche tra chi sta peggio, e tutto viene visto in quell’ottica, che finisce per distruggere la società, che richiede un certo livello di solidarietà.
  Stiamo vivendo una metamorfosi della società che è, nello stesso tempo, anche di civiltà, vale a dire quel complesso di usi, costumi, norme, istituzioni, concezioni storicamente stabilizzati che definiscono un modo di vivere e pensare largamente diffuso e persistente nelle popolazioni che lo condividono. Si è parlato (ad esempio Samuel  Phillibps Huntigton in un libro del 1996) di scontro di civiltà, riferendosi a quello tra la civiltà Occidentale e le altre, ma in realtà, a ben vedere, si tratta essenzialmente di una metamorfosi nella  società Occidentale, che ancora impronta di sé il mondo interno, in particolare nel contesto planetario di economia globalizzata.  Le dinamiche di globalizzazione che hanno consentito di produrre dove il costo del lavoro costava meno e di vendere dove i prezzi sono più alti, e anche di trasferire le produzioni dove  i salari erano più bassi, stanno sfumando in un altro contesto, quello dell’intelligenza artificiale, dei sistemi robotici in grado non tanto di emulare,  ma di  superare  gli esseri umani in ogni campo. Questo è il futuro prossimo, non fantascienza. In questo contesto masse sempre più estese stanno diventando semplicemente inutili,  sono, come dice papa Francesco, degli  scarti  nel sistema sociale. Queste masse, che riuscirono ad elevarsi alla politica nel quadro della ideologia democratiche quando divennero consapevoli della loro forza sociale, conteranno sempre di meno in un società dominata da minoranza sempre più esigue formate da coloro che controllano la produzione e l’economia valendosi dei sistemi di intelligenza artificiale e dei robot. Da qui poi la crisi della politica democratica, che è servita a dar voce alle masse. Ai tempi nostri, a chi comanda basta  sondarle  e influenzarle mediante sistemi di intelligenza artificiale capace di mandare  ad ogni persona connessa, purché sia connessa, gli stimoli giusti per provocare una certa reazione, che si tratti di comprare qualcosa o di votare. Ad un certo punto ci si chiederà a che serve votare per eleggere assemblee rappresentative  delle masse, vale a dire costituite per  renderle presenti. Ho scritto usando il futuro, ma in realtà è questione che rientra nel dibattito attuale. Si tratta naturalmente di prospettive ideologiche di corto respiro, che lasciano intravvedere la catastrofe che preparano: in un sistema economico che, per ora, si regge su consumi di massa, se le masse di consumatori, ridotti progressivamente a scarti, si riducono sempre più, vengono  a mancare i presupposti dello sviluppo.  A questo si è proposto di rimediare istituendo quello che va sotto il nome di reddito di cittadinanza, ma che si dice meglio reddito universale, un livello di reddito che dovrebbe avere ogni essere umano solo perché tale e a prescindere dal lavoro che fa e dai redditi che autonomamente, nella competizione economica, riesce ad accaparrarsi. Questo effettivamente salverebbe la società ed è anche la prospettiva della dottrina sociale. Ma non può farsi semplicemente prendendo a prestito i soldi che servono, perché in tal caso si finirebbe per far saltare un’economia molto evoluta che richiede la stabilità monetaria per la sicurezza dei traffici e l’affidabilità delle previsioni:  è necessario quindi ristrutturare il sistema dei redditi riequilibrandolo, facendo quello che Ugo La Malfa, un politico italiano della mia giovinezza, chiamava politica di redditi,  in modo da trovare le risorse tra quelle che effettivamente si producono in un dato tempo. Significa però riscoprire la propria responsabilità sociale e accettare di buon grado i doveri che essa comporta, mettere in contatto i mondi vitali di ciascuno e renderli compatibili all’interno del sistema sociale. Serve un consenso dato nell’interesse comune, per realizzare quello che la dottrina sociale definisce come bene comune, che significa un società in cui a tutti è data la felicità, il proprio vero bene, una vita di affetti libera dal bisogno, secondo ciò che lo sviluppo tecnologico sempre più porterà alla nostra portata. Sono però sempre meno gli ambienti dove possa realizzarsi questa che è propriamente una i conquista culturale, l’inizio di una nuova civiltà che potrebbe far sì che la metamorfosi sociali in corso non finisca male. La parrocchia può diventare uno di essi: del resto può contare su una delle ideologie sociali oggi più avanzate, la moderna dottrina sociale, fondata su un’idea di giustizia sociale che risale all’antichità (1- si vedano sotto le citazioni contenute nella Costituzione pastorale La gioia e la speranza - Gaudium et spes del Concilio Vaticano 2°  - 1962/1965)  e che troviamo compiutamente esposta ad esempio nel pensiero di un uomo religioso del Duecento come Tommaso D’Aquino. Essa però è ancora, credo, troppo poco conosciuta e soprattutto, per mancanza di tempo, è assente dalla formazione religiosa di base.

(1)
Dalla Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo  Gaudium et spes - La gioia e la speranza,  del Concilio Vaticano 2° (1962-1965)

69. I beni della terra e loro destinazione a tutti gli uomini
Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono essere partecipati equamente a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità (147). Pertanto, quali che siano le forme della proprietà, adattate alle legittime istituzioni dei popoli secondo circostanze diverse e mutevoli, si deve sempre tener conto di questa destinazione universale dei beni. L'uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui ma anche agli altri (148). Del resto, a tutti gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficienti a sé e alla propria famiglia. Questo ritenevano giusto i Padri e dottori della Chiesa, i quali insegnavano che gli uomini hanno l'obbligo di aiutare i poveri, e non soltanto con il loro superfluo (149). Colui che si trova in estrema necessità, ha diritto di procurarsi il necessario dalle ricchezze altrui (150). Considerando il fatto del numero assai elevato di coloro che nel mondo intero sono oppressi dalla fame, il sacro Concilio richiama urgentemente tutti, sia singoli che autorità pubbliche, affinché - memori della sentenza dei Padri: « Dà da mangiare a colui che è moribondo per fame, perché se non gli avrai dato da mangiare, lo avrai ucciso » (151) realmente mettano a disposizione ed impieghino utilmente i propri beni, ciascuno secondo le proprie risorse, specialmente fornendo ai singoli e ai popoli i mezzi con cui essi possano provvedere a se stessi e svilupparsi.
Nelle società economicamente meno sviluppate, frequentemente la destinazione comune dei beni è in parte attuata mediante un insieme di consuetudini e di tradizioni comunitarie, che assicurano a ciascun membro i beni più necessari. Bisogna certo evitare che alcune consuetudini vengano considerate come assolutamente immutabili, se esse non rispondono più alle nuove esigenze del tempo presente; d'altra parte però, non si deve agire imprudentemente contro quelle oneste consuetudini che non cessano di essere assai utili, purché vengano opportunamente adattate alle odierne circostanze. Similmente, nelle nazioni economicamente molto sviluppate, una rete di istituzioni sociali per la previdenza e la sicurezza sociale può in parte contribuire a tradurre in atto la destinazione comune dei beni. Inoltre, è importante sviluppare ulteriormente i servizi familiari e sociali, specialmente quelli che provvedono agli aspetti culturali ed educativi. Ma nell'organizzare tutte queste istituzioni bisogna vegliare affinché i cittadini non siano indotti ad assumere di fronte alla società un atteggiamento di passività o di irresponsabilità nei compiti assunti o di rifiuto di servizio.
(147) Cf. S. TOMMASO, Summa Theol., II-II, q. 32, a. 5 ad 2; Ibid. q. 66, a. 2; cf. la spiegazione in LEONE XIII, Encicl.Rerum Novarum: ASS 23 (1890-1891), p. 651 [Dz 3267]; cf. anche PIO XII, Discorso 1° giugno 1941: AAS 23 (1941), p. 199; ID., Messaggio radiofonico natalizio Ecce ego declinabo 1954: AAS 47 (1955), p. 27.
(148) Cf. S. BASILIO, Hom. in illud Lucae: Destruam horrea mea, n. 2: PG 31, 263; LATTANZIO, Divinarum Institutionum, lib. V, sulla giustizia: PL 6: 565B; S. AGOSTINO, In Ioann. Ev., tr. 50, n. 6: PL 35, 1760; ID., Enarratio in Ps. CXLVII, 12: PL 37, 1922; S. GREGORIO M., Homiliae in Ev., om. 20, 12: PL 76, 1165; ID., Regulae Pastoralis liber, pars III, c. 21: PL 77, 87; S. BONAVENTURA, In III Sent., d. 33, dub. 1: ed. Quaracchi III, 728; ID., In IV Sent., d. 15, p. II, a. 2, q. 1: ibid., IV, 371b; Quaest. de superfluo: ms. Assisi, Bibl. comun. 186, ff. 112a-113a; S. ALBERTO M., In III Sent, d. 33, a. 3, sol. I: Ed. Borgnet XXVIII, 611; ID., In IV Sent., d. 15, a. 16: ibid., XXIX, 494-497. Quanto alla determinazione del superfluo ai nostri tempi, cf. GIOVANNI XXIII, Messaggio radiotelevisivo  11 sett. 1962: AAS 54 (1962), p. 682: “Dovere di ogni uomo, dovere impellente del cristiano è di considerare il superfluo con la misura delle necessità altrui, e di ben vigilare perché l’amministrazione e la distribuzione dei beni creati venga posta a vantaggio di tutti”.
(149) Vale in tal caso l’antico principio: “In estrema necessità tutto è in comune, cioè da comunicare”. D’altra parte, per il criterio, l’estensione e il modo con cui si applica il principio proposto nel testo, oltre ai sicuri autori moderni, cf. S. TOMMASO, Summa Theol., II-II, q. 66, a. 7. Com’è evidente, per una corretta applicazione del principio, si devono osservare tutte le condizioni moralmente richieste.
(150) Cf. Gratiani Decretum, c. 21, dist. LXXXVI: ed. Friedberg, I, 302. Questo detto si trova già in PL 54, 491A e in PL 56, 1132B. Cf. in Antonianum 27 (1952), pp. 349-366.
(151) Cf. LEONE XIII, Encicl.Rerum Novarum: ASS 23 (1890-91), pp. 643-646 [in parte Dz 3265-67]; PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 191; PIO XII,Messaggio radiofonico 1° giugno 1941: AAS 33 (1941), p. 199; ID., Messaggio radiofonico nella vigilia del Natale del Signore 1942 Con sempre nuova freschezza: AAS 35 (1943), p. 17; ID., Messaggio radiofonico, 1° set. 1944 Oggi al compiersi: AAS 36 (1944), p. 253; GIOVANNI XXIII, Encicl.Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp. 428-429.

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli