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Giuseppe Toniolo, teorico dell'azione sociale ispirata dalla fede
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Gorilla in fase d'attacco: teorico dell'azione sociale naturale
Motivazione
all’impegno sociale
Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno
sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che
opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di
vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione
Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un
discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di
introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di
dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per
agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei
interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno
raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che
hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che
intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra,
non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della
religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa
richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono
sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il
desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può
essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli
antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.
Cerco di sviluppare un discorso colto, non
superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti
culturali, sui quali chi vuole può
discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non
tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli
psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è
necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione
di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono
anche nelle relazioni tra varie
specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto
costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del
mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa
affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei
fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta
a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il
dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è
fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.
Ognuno
contribuisce a come la società è e a quello che fa. Dal punto di vista dell’etica
religiosa questo comporta che ne è
responsabile, anche se, in quasi tutto, si limita a farsi trascinare dagli
altri, assume atteggiamenti conformistici, o pensa di rimanere semplicemente in
attesa. Per farne capire il senso, nella predicazione ci si serve anche di una
parabola evangelica, che si trova nel Vangelo secondo Matteo, 25, 14-30 (riportata anche in
quello secondo Luca, 19,11-27):
[14] Avverrà come di un uomo che, partendo per un
viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. [15] A
uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la
sua capacità, e partì.
[16] Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a
impiegarli e ne guadagnò altri cinque. [17] Così anche quello che
ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. [18] Colui invece che
aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose
il denaro del suo padrone.
[19] Dopo molto tempo il padrone di quei servi
tornò, e volle regolare i conti con loro. [20] Colui che aveva
ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai
consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque.
[21] Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo
padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte
alla gioia del tuo padrone.
[22] Presentatosi poi colui che aveva ricevuto
due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho
guadagnati altri due.
[23] Bene, servo buono e fedele, gli rispose il
padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte
alla gioia del tuo padrone.
[24] Venuto infine colui che aveva ricevuto un
solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai
seminato e raccogli dove non hai sparso; [25] per paura andai a
nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo.
[26] Il padrone gli rispose: Servo malvagio e
infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho
sparso; [27] avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e
così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. [28]
Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. [29]
Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà
tolto anche quello che ha. [30] E il servo fannullone gettatelo
fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.
[trad.it. CEI 2008]
Uno degli insegnamenti contenuti in quel
testo è che non si deve rimanere inerti,
perché l’inerzia non salva. In effetti questo si sperimenta anche nella vita
sociale ai nostri giorni. Spesso si è bloccati dalla paura, in particolare dal
senso della nostra inadeguatezza. O si preferisce adottare una strategia
opportunistica, in modo da trovarsi nella parte che ha la meglio. Ma essa può
avere successo fino ad un certo punto: se il nostro benessere, o addirittura la
nostra sopravvivenza, dipende da come va la società nel suo complesso, ed è
questo il caso delle società contemporanee nell’era della globalizzazione, alla
fine ci si può accorgere di averci rimesso pur avendo prevalso in certi campi
del conflitto sociale. Nel crollo di una società, anche i ricchi ci scapitano. E’
come nel naufragio di una grande nave passeggeri, se ne può avere un’idea
vedendo il film Titanic, del 1997, quando affogano anche i passeggeri
della prima classe.
Come descrivere questa interdipendenza gli
uni dagli altri negli affari sociali? In realtà ci troviamo immersi in società
nascendo e crescendo. La prima società dalla quale dipendiamo per la
sopravvivenza è la famiglia, composta dai nostri genitori e dagli altri
parenti. E’ caratterizzata da particolari relazioni sociali, diversa da quelle
che si hanno in politica e sul mercato. Non si dà per equivalente e non si
cerca di prevalere a danno degli altri. C’è dedizione e altruismo: si può
arrivare all’estremo sacrificio di sé per salvare gli altri. Questo tipo di
relazioni è stato molto idealizzato nella nostra fede religiosa e lo si ritiene
la base dell’etica che serve per salvare il mondo. Nel Concilio Vaticano 2° si
è espresso questo orientamento dando la direttiva di fare dell’umanità una sola
famiglia, o meglio, di prendere
consapevolezza che l’umanità, per natura e per le dinamiche sociali che la
caratterizzano, è già una sola
famiglia, per cui occorre recuperare i dispersi e costruire l’unità. Quando,
nelle relazioni di politica internazionali, ci si propone di fare buoni affari innanzi tutto, ci si muove in una prospettiva molto diversa. E
così quando ci si vuole condurre secondo il principio “Prima noi”, dove quel noi può essere qualsiasi gruppo sociale che, in
tutto o in parte, rifiuti l’etica della famiglia
umana: un ceto sociale, un’etnia, una qualche nazionalità, ma, di
particolarismo in particolarismo, anche una città, regione, gruppo di regioni e
via dicendo.
Gli affetti familiari sono tra i principali
moventi dell’azione sociale e, in particolare, di quella disinteressata.
Pensare all’umanità come ad una sola famiglia significa cercare di estenderli
molto. Ma questa è una conquista culturale, perché della famiglia abbiamo un’esperienza
che di solito la limita ai parenti prossimi. La famiglia delimita uno spazio
sociale di relazioni più forti, che esclude chi gli è esterno nel momento
stesso in cui include chi si trova ad esservi ammesso. E’ stato osservato che i
gruppi sociali si definiscono escludendo, in particolare costruendo avversari.
Questo è appunto ciò che accade in natura, tra gli animali non umani. Fare dell’umanità
una sola famiglia, e innanzi tutto riconoscerla
come tale, significa quindi proporsi
un traguardo soprannaturale. Questo appunto è il campo
della fede religiosa. Irrealistico? Se fossimo rimasti solo natura, non saremmo
diventati umani, vivremmo ancora più o meno come lo si fa nelle comunità degli
altri primati, nostri lontani parenti per via biologica. In un certo senso, chi
propone la chiusura sociale come via di salvezza va a ritroso nella storia dell’evoluzione
culturale umana, ed in effetti, in certi toni, atteggiamenti, espressioni
manifestati dai capipopolo di quella tendenza, si tende ad assume carattere animalesco:
si grida, si ringhia, si inscenano atteggiamenti d’attacco al modo dei gorilla.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in san Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli