Primo Maggio - Festa
dei Lavoratori. Ricordando l'enciclica Le novità - Rerum novarum
In occasione della Festa dei Lavoratori,
ripubblico una mia scheda sull’enciclica Le
Novità - Rerum Novarum, diffusa nel 1891 dal papa Gioacchino Pecci, Leone
13° in religione, il quale svolse il suo ministero tra il 1878 e il 1903. L’enciclica
viene considerato il primo documento della dottrina
sociale della Chiesa.
Il testo dell’enciclica può essere letto sul WEB a questo indirizzo:
http://w2.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_15051891_rerum-novarum.html
APPUNTI
SULL’ENCICLICA RERUM NOVARUM
di Mario Ardigò - 25-1-03
L’enciclica venne promulgata dal Papa Leone
XIII il 15 maggio 1891, nel decimo anno di pontificato. Il documento si compone di un’introduzione e di due parti,
la prima dedicata alla critica del socialismo e la seconda ai rimedi alla
questione operaia.
1.Sintesi dell’enciclica
Introduzione
Parte
dalla constatazione che i progressi nell’industria aveva creato occasione di
conflitti tra padroni e operai: la questione operaia. Gli operai versavano in
“assai misere condizioni, indegne dell’uomo”, la ricchezza si era accumulata in
poche mani e si era largamente estesa la povertà, le istituzioni, gli operai
erano rimasti “soli e indifesi in balia della concorrenza dei padroni e di una
sfrenata concorrenza”: insomma un “piccolissimo numero di straricchi” aveva
imposto “all’infinita moltitudine dei proletari un gioco poco meno che
servile”. In questa situazione, nella quale tutti concordavano sulla estrema
necessità di “venire in aiuto senza indugio e con opportuni provvedimenti ai
proletari” e che molti intendevano sfruttare “a perturbamento dei popoli“, il
Papa sentì la necessità di intervenire al fine di “mettere in rilievo i
principi con cui, secondo giustizia ed equità” si doveva “risolvere la
questione”.
Parte Prima: Il socialismo falso rimedio
I
socialisti volevano risolvere la questione operaia abolendo la proprietà
privata. Secondo il Papa questa soluzione è dannosa per gli stessi operai e
ingiusta, portando a scompigliare l’ordine sociale. La proprietà privata è
definita nell’enciclica “diritto di natura”, nel senso di “conforme a natura“.
Non è
giusto privare il lavoratore della possibilità di investire in beni durevoli i
suoi risparmi, per migliorare il proprio stato. Poiché l’uomo ha l’uso della
ragione bisogna concedergli un diritto di proprietà stabile che riguardi anche
le cose che l’uso non consumi, in modo che possa scegliere i mezzi che giudica
più propri per il suo mantenimento. Tutti in qualche modo traggono il proprio
sostentamento dal lavoro, imprimendo nei beni della natura un’impronta della
propria personalità, ciò che giustifica la proprietà privata di tali beni. Si
dichiara che “il frutto del lavoro deve appartenere a chi lavora”.
Poiché la proprietà privata è un diritto
naturale, le leggi non possono abolirla, venendo esse altrimenti a contrapporsi
al diritto naturale, diventando ingiuste.
Come
la proprietà privata anche l’istituto della famiglia è di diritto naturale. Lo
Stato non può ingerirsi nella vita della famiglia se non per porre rimedio a
gravi ristrettezze o discordie. In
particolare lo Stato non può sostituirsi ai padri, come pretendono i
socialisti, i figli essendo una espansione della personalità del padre che se
ne deve prendere cura.
Si
dichiara che “... i socialisti, sostituendo alla provvidenza dei genitori
quella dello Stato, vanno contro la giustizia naturale e disciolgono la
compagine delle famiglie”. E inoltre che “le fonti stesse della ricchezza
inaridirebbero, tolto ogni stimolo all’ingegno e all’industria individuale” e
che “... nell’opera di migliorare le sorti delle classi operaie, deve porsi come
fondamento inconcusso il diritto di proprietà privata”.
Parte Seconda. Il vero rimedio: l’unione
delle associazioni
L’azione della Chiesa è indispensabile per
la soluzione del problema, per ottenere la cooperazione dei governanti, dei
padroni e dei ricchi, come pure degli stessi proletari.
Rimuovere le disparità sociali è impossibile,
a causa della grande varietà tra gli uomini. Tali disparità costituiscono anche
un movente al lavoro.
Il
dolore non mancherà mai sulla terra, in quanto conseguenza del peccato.
E’
necessaria la concordia tra le classi sociali, che può essere raggiunta
componendo i dissidi attingendo alle ricchezze del cristianesimo.
I
ricchi e i proletari hanno doveri reciproci di giustizia. I proletari e gli
operai dovranno astenersi dal ricorrere alla violenza, non dovranno mescolarsi
ad uomini malvagi. I capitalisti non dovranno tenere gli operai come
schiavi.“Quello che veramente è indegno
dell’uomo è abusarne come di cosa a scopo di guadagno, né stimarlo più di quello che valgono i suoi nervi e le
sue forze”. I padroni dovranno consentire agli operati di compiere i doveri
religiosi, non distoglierli dai doveri verso le famiglie e non imporre loro
lavori sproporzionati alle forze o mal confacenti con l’età e con il sesso.
Dovranno dare a ciascuno la giusta retribuzione e non dovranno danneggiare i
piccoli risparmi dell’operaio con violenza, frodi o usure manifeste o nascoste.
La Chiesa dovrà adoperarsi per riavvicinare
il più possibile le due classi e per renderle amiche in un’ottica di carità.
Dovrà raccomandarsi un uso delle ricchezze anche a beneficio degli altri;
l’enciclica cita S.Tommaso “...l’uomo non deve possedere i beni esterni come
propri, bensì come comuni, in modo che facilmente li comunichi all’altrui
necessità. Onde l’Apostolo dice: Comanda ai ricchi di questo secolo di dare e
comunicare facilmente il proprio”. Non deve poi essere considerato vergogna
l’essere poveri o vivere del proprio lavoro. “La vera dignità dell’uomo è tutta
morale” - sull’esempio di Cristo- “ossia riposta nella virtù; la virtù è
patrimonio comune, conseguibile dai grandi e dai piccoli, dai ricchi e dai
proletari”.
Ma
addirittura dovrà tendersi all’amicizia tra le classi sociali contrapposte, in
quanto tutti, ricchi e proletari, sono fratelli in Cristo, “sono congiunti col
vincolo di una santa fraternità”.
Il
cristianesimo deve nuovamente trasformare la società, essere nuovamente fonte
di progresso umano. La società, in essa compresa la classe lavoratrice, deve ritornare alla vita e ai costumi cristiani.
La
Chiesa, come già nei primi secoli, deve proseguire nell’opera di beneficenza
per soccorrere i bisognosi, “non lasciando alcuna specie di miseria senza aiuto
e conforto”.
Anche
lo Stato deve concorrere alla risoluzione della questione operaia, ordinando le
leggi e le istituzioni politiche in modo da favorire i buoni costumi, il buon
assetto della famiglia, l’osservanza della religione e della giustizia,
l’imposizione moderata e l’equa distribuzione dei pubblici oneri, il progresso
delle industrie e del commercio, il fiorire dell’agricoltura; “...provvedere al
bene comune è ufficio e competenza dello
Stato”. Lo Stato deve essere “armoniosa
unità che abbraccia del pari le infime e le alte classi ... è stretto dovere
dello Stato prendersi la dovuta cura del benessere degli operai... di
provvedere ugualmente ad ogni ordine di cittadini, osservando con inviolabile
imparzialità la giustizia cosiddetta distributiva”. “E’ quindi giusto che il
governo s’interessi dell’operaio,
facendo sì che egli partecipi in qualche misura di quella ricchezza che esso
medesimo produce, cosicché abbia vitto, vestito e un genere di vita meno
disagiato”. Lo Stato deve adoperare la forza e l’autorità delle leggi se la classe lavoratrice viene oppressa con
ingiusti pesi dai padroni o avvilita da fatti contrari alla personalità e alla
dignità umana; “il ceto dei ricchi, forte per sé stesso, abbisogna meno della
pubblica difesa; le misere plebi, che mancano di sostegno proprio, hanno
speciale necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato”. Lo Stato dovrà
tutelare la proprietà privata, tenendo a freno la cupidigia delle popolazioni e
i “sobillatori“, per evitare che “si rechi danno ad altri nella roba”. Lo Stato
dovrà porre rimedio al disordine grave e frequente degli scioperi; il rimedio
più efficace e salutare darà di prevenire il male rimovendo le cause da cui si
prevede che possa nascere il conflitto tra operai e padroni.Lo Stato dovrà
imporre di concedere il riposo festivo ai lavoratori per consentire loro di
adempiere i doveri religiosi. Dovrà poi sottrarre il povero operaio all’inumanità degli avidi speculatori e
stabilire dei limiti all‘orario di lavoro, specialmente per i lavori gravosi e
per il lavoro delle donne e dei fanciulli. Dovrà stabilire minimi salariali
perché l’operaio non si trovi a dover accettare, costretto dalla necessità, un
compenso che non si sufficiente al suo sostentamento. Dovrà favorire il
risparmio operaio, per accrescere il più possibile il numero dei proprietari,
per conseguire una più equa ripartizione della ricchezza nazionale e per
ravvicinare le classi sociali. Infatti, si osserva nell’enciclica, il progresso
industriale “ha prodotto la divisione della società come in due caste, tra le
quali ha scavato un abisso; da una parte un fazione strapotente perché
straricca, la quale, avendo in mano ogni sorta di produzione e commercio,
sfrutta per sé tutte le sorgenti della ricchezza ed esercita pure
nell’andamento dello Stato una grande influenza; dall’altra una
moltitudine misera e debole, dall’animo
esacerbato e pronto sempre a tumulti”.
Le
società di mutuo soccorso e le corporazioni di arti e mestieri possono
contribuire a dirimere la questione operaia porgendo soccorsi ai bisognosi e
perfezionando le arti.
Nell’uomo vi è la naturale inclinazione ad associarsi ad altri. Lo Stato
non può vietare agli uomini di associarsi in società private, costituite con lo
scopo dell‘utile privato dei soci, quando esse non perseguono fini cattivi. Il
diritto di unirsi in associazioni è un diritto naturale che non deve essere
impedito senza giustificato motivo. Nella Chiesa vi sono molte forme di
associazioni (sodalizi, collegi, ordini religiosi ecc.), i cui diritti
legittimi spesso sono stati lesi dagli Stati. Anche gli operai cristiani hanno
il diritto di costituire tra loro società private, anche per non dover essere
costretti ad aderire a società che hanno metodi e scopi contrari alla
religione, il più delle volte rette da “capi occulti“. Si ricorda, per
encomiarla, l’opera di quanti tra i cattolici, conosciute le esigenze dei
tempi, avevano fatto ogni sforzo per migliorare le condizioni degli operai. Si
lodano i “congressi” cattolici, occasioni per consultarsi, comunicarsi le idee,
unire le forze, cercare gli espedienti migliori.
Le
società operaie cattoliche dovranno essere libere di darsi propri ordinamenti.
Dovranno essere organizzate in modo che “ciascuno degli associati ne tragga il
maggior aumento possibile di benessere fisico, economico e morale“. Dovranno
curare in special modo il perfezionamento religioso e morale. In esse, posto il
fondamento degli statuti sociali nella religione, potranno trovare composizione
le controversie tra padroni e operai, sottomettendo le questioni al giudizio di
uomini retti e competenti.
Nota: Secondo G. De Rosa, Il Movimento
cattolico in Italia, Bari,Laterza, 1979:
“La
redazione dell’enciclica leoniana fu affidata
a uomini di forte preparazione filosofica, come il gesuita Matteo
Liberatore e il cardinale Tommaso Zigliara, autori rispettivamente del primo e
del secondo schema”.
2.Contesto storico
L’enciclica viene
promulgata nell’epoca in cui veniva maturando lo scandalo politico -
finanziario della Banca Romana, un crack che negli anni seguenti
coinvolse importanti politici del tempo,
tra i quali Giovanni Giolitti (la cui figura è stata qualche volta accostata a
quella di Craxi). Al governo era Antonio Rudinì, esponente della Destra, da
poco succeduto a Francesco Crispi. Quest’ultimo aveva accentuato l’azione
repressiva verso i movimenti operai e fomentato movimenti anticlericali. Scrive
G. De Rosa in Il movimento cattolico in Italia che
“Chi
era per l’avvenire era contro i metodi di Crispi, contro le dure repressioni,
gli arresti e i processi per il moto dei Fasci siciliani, era
contro - i deplorati -, contro coloro
cioè che erano usciti compromessi
dallo scandalo della Banca Romana”
Il
Rudinì dovette fronteggiare gravi problemi della finanza pubblica, tanto che il
suo venne definito il “governo della lesina”. I laici cattolici si riunivano
nell’Opera dei Congressi (1874-1904), organizzazione che comprendeva molteplici
movimenti e associazioni originariamente a carattere caritativo-assistenziale e
poi sempre più politico (prima in senso clericale e poi in senso democratico
cristiano -v. oltre). I cattolici non
potevano partecipare alle elezioni politiche a seguito del non expedit
della Penitenzieria apostolica del marzo 1871, interpretato in senso rigoroso
dal Sant’Offizio nel giugno 1886 come vero e proprio divieto per i cattolici di
accesso alle urne. Nel 1864 il Sillabo di Pio IX, sviluppato da un’idea
del card.Pecci - il futuro Leone XIII,
aveva condannato razionalismo, democrazia, socialismo, comunismo e
liberalismo. Il governo dello Stato era espressione di forze in larga
maggioranza anticlericali. Tra gli operai avevano forte presa movimenti
antireligiosi e anticlericali di stampo anarchico e socialista. Scrive G. De
Rosa, op.cit.:
“Alle
attività dei circoli operai partecipavano gli studenti delle università che
leggevano la -Critica Sociale-,
Spencer, Ardigò e Marx”.
Per
altro l’Italia era un paese con un’economia in gran parte agricola e la Chiesa
cattolica manteneva un’influenza sulle popolazioni rurali.
Ai
tempi dell’enciclica da almeno trent’anni erano sorte associazioni cattoliche
che operava attivamente in ambito religioso-caritativo nel senso auspicato
nell’enciclica medesima. Scrive G.De Rosa, op.cit.:
“La Rerum
Novarum non fu una soluzione improvvisa e improvvisata della questione sociale,
ma il sigillo della suprema autorità a
una dottrina lentamente ma sicuramente sviluppatasi per merito dello studio e
dell’attività di dotti e ardimentosi membri della gerarchia e del laicato
cattolico ...”.
L’enciclica fu di stimolo ad alcuni laici
cattolici per iniziare un movimento più schiettamente politico centrato su “un
complesso di principi e di criteri di azione saldi e certi” che dovevano
informare la vita pubblica, movimento da Romolo Murri denominato “democrazia
cristiana”. Tale sviluppo fu per altro
osteggiato dallo stesso papa Leone XIII che nell’enciclica Graves de
communi promulgata il 18-1-1901 avvertiva che con il
termine “democrazia cristiana” non si poteva coprire
“...alcun fine politico di portare al potere
il popolo, promovendo questa forma di governo
in luogo di altre; che per tal modo, mirando al bene della plebe, e
mettendo in disparte gli interesse
delle altre classi , sembri rimpicciolirsi l’azione della religione cristiana; e che finalmente sotto la
speciosità del nome si voglia in certo
modo nascondere il proposito di
sottrarsi alle legittime autorità nell’ordine civile ed ecclesiastico ... Non sia lecito dare un senso politico alla
democrazia cristiana. Perché sebbene
la parola “democrazia”, chi guardi
all’etimologia e all’uso dei filosofi, serva ad indicare una forma di governo popolare, tuttavia nel nostro
caso, smesso ogni senso politico, non
deve significare se non una benefica azione cristiana a favore del popolo”.
Scrive G. De Rosa, op.cit.:
“Tutte le correnti democratiche cristiane
europee ricevettero impulso dalla Rerum
Novarum, si sentirono confortate nella loro azione tendente a provare
che il prete, il cattolico militante non era dalla parte del padrone e che non
avrebbe lasciato l’operaio e le
plebi rurali senza difesa”.
La Lega
dei Comunisti era stata costituita a Londra nel 1847. Il Manifesto del
partito comunista di Karl Marx e
Friedrich Engels è del febbraio 1848. Nel 1867 era uscito il primo libro de Il
Capitale di Karl Marx. Nel 1892
venne costituito a Genova il partito socialista italiano.
Scrive G. De Rosa in Il movimento cattolico
in Italia:
“In breve, con l’enciclica Rerum Novarum incominciava per il
cattolicesimo militante e per l’Opera dei congressi un’altra storia,
una storia che immetteva nelle file dell’intransigenza una carica di entusiasmo
e di vitalità ben diversa che nel passato: il movimento
sociale, fino ad allora un po’ ansimante e combattuto fra diverse tendenze, prendeva grande impetuoso slancio, sollecitato
anche dalla concorrenza socialista, che specialmente
nelle città lasciava oramai pochissimo spazio all’iniziativa dei cattolici organizzati.”
G. De Rosa, nell’opera citata, scrive che
L.Sturzo si espresse in questi termini in un discorso dal titolo Leone XIII
e la civiltà moderna pronunciato a Caltagirone il 2-8-1903:
“Destò ... gran meraviglia, quando questo
vecchio di circa 82 anni, nel 1891 pubblicò l’enciclica
Rerum Novarum sulla condizione
degli operai, e parve allora, nell’agitarsi delle
teorie che presiedono allo sviluppo di questa nuova corrente sociale, parve
quasi socialistica, e persino i governi
ancora liberali nell’anima loro borghese temettero; temettero molti, anche ecclesiastici, di questa nuova forza unita
al popolo, e dalle lontane Americhe
si volevano sconfessati i cavalieri del lavoro e dall’Austria vicina i cristiani sociali di Lueger, e dalle
nazioni latine i democratici cristiani.”
Scrive anche G. De Rosa, opera citata:
“Quando uscì la Rerum Novarum non era per nulla pacifico tra i cattolici che si
potesse invocare l’aiuto dello Stato
per la tutela dei diritti degli operai e nemmeno era pacifico quale dovesse essere il salario dell’operaio.
incertezze regnavano anche attorno al principio
della libertà di associazione...”
Scrive P. Togliatti nell’introduzione a Manifesto
del partito comunista, Roma, Editori Riuniti, 1947:
“E
che dire delle Encicliche sociali, che si cerca di contrapporre al Manifesto, come se contenessero una superiore dottrina e
più profondamente avessero esercitato la loro efficacia
negli ultimi decenni della storia contemporanea? Mancano esse, prima di tutto, di qualsiasi forza dimostrativa, sia per
l’assenza di una esatta visione dei problemi e contrasti
del mondo moderno, che non sono né quelli del mondo ebraico né del primo Cristianesimo né del Medioevo, né, per dirla in breve, della carità in
generale, sia per l’abusata gesuitica
maniera di storcere e contraffare il pensiero altrui per avere facile la polemica. Delle due parti su cui esse son
tutte costruite, la seconda, che reclama con grande
cautela provvidenze a favore dei lavori in nome dei principi della morale cattolica, mal serve a celare il gretto
contenuto di classe della prima, dove i giudizi più astiosi sul movimento ascendente delle organizzazioni operaie
e del socialismo male si nascondono
sotto un manto di cattedratica
altezzosità. La Rerum Novarum arriva, con grande
sforzo, allo scorciar le distanze di trista memoria; giudica lo sciopero uno -sconcio
grave-, e dietro alle organizzazioni a quel tempo già grandiose dei lavoratori vede i -capi occulti-, che le reggono con
criteri contrari al pubblico bene. Tutto sommato,
si tratta di documenti nei quali con troppa palese evidenza la gerarchia dirigente
della Chiesa cattolica tenta l’ultima difesa dell’ordinamento economico, politico, sociale, cui essa è oggi
legata. Lo rivela il momento stesso in cui vengono alla luce, non quando il capitalismo per aprirsi la strada e
conquistare il mondo accumula miserie,
infamie, stragi di adulti e di minorenni, ma quando i proletari, risvegliati e organizzati, sono diventati, per
l’ordinamento borghese, una minaccia immanente.”
Non
bisogna pensare che le condizioni dei lavoratori nell’industria nell’Ottocento
fossero anche lontanamente paragonabili a quelle dei lavoratori dell’industria
dei nostri giorni.
Scrive Karl Marx ne Il Capitale (Libro primo):
“Non appena la classe operaia, frastornata
dal fracasso della produzione, cominciò in qualche maniera a riaversi, dette
inizio alla sua resistenza e dapprima nel paese in cui era nata la grande industria, in Inghilterra...Solo a partire dal Factory Act del 1833 -che s’applicava alle fabbriche per la lavorazione
del cotone, della lana, del lino e della seta- data
per l’industria moderna la giornata
lavorativa normale...La legge del 1833 dichiara che la giornata lavorativa
ordinaria di fabbrica deve iniziare alle 5 e mezzo di mattina e deve aver termine alle 8 e mezzo di sera e che
entro questi limiti, entro un periodo di 15 ore,
si deve ritenere come cosa legale far lavorare degli adolescenti (vale a dire
persone tra i 13 e i 18 anni) in
qualunque momento della giornata, tenendo presente che un medesimo adolescente
non deve lavorare più di dodici ore entro una giornata, con l’eccezione di taluni casi preveduti in maniera
speciale....Si proibì il lavoro per i bambini minori di 9 anni...il lavoro dei
bambini dai 9 ai 13 anni fu ridotto ad 8 ore giornaliere. Il lavoro notturno,
ossia , stando a quella legge, il lavoro tra le 8 e mezzo di sera e le 5 e mezzo
di mattina, fu proibito per tutte le persone tra i 9 e i 18 anni... Il Factory act del 1850
ora (1867) in vigore accorda 10 ore per la giornata settimanale media,
vale a dire 12 ore per i primi 5 giorni feriali, dalle 6 di
mattina alle 6 di sera, da cui si devono però sottrarre
mezz’ora per la colazione e un’ora per il pranzo....J. Leach dichiara:-Lo
scorso inverno (1862) su 19 ragazze 6 ne
mancarono insieme a causa di malattie contratte per l’eccessivo lavoro. Per tenerle sveglie debbo strillare-.
W.Duffy:-Molte volte i bambini non
potevano tenere aperti gli occhi per la stanchezza, ma spesso non li possiamo tenere aperti neanche noi-.J.Lightbourne:-Ho
13 anni...L’inverno passato abbiamo lavorato
fino alle 9 di sera, e l’inverno prima fino alle 10. l’inverno passato piangevo
quasi ogni sera per il dolore delle
piaghe che avevo ai piedi-. G. Apsden:-Quando questo
ragazzo aveva 7 anni ero solito portarlo sulle mie spalle attraverso la neve, andando e tornando dalla fabbrica, e
lui normalmente lavorava 16 ore....molte volte mi dovevo inginocchiare per
dargli da mangiare quando stava alla macchina, giacché non doveva né
abbandonarla né fermarla-... il dott.Farre, sir A. Carlisle, sir B. Brodie, sir
C. Bell, Mr. Guthrie, ecc, insomma tutti i più importanti medici e chirurghi
londinesi avevano dichiarato nelle
loro deposizioni alla Camera bassa che periculum
in mora. Il dott. Farre s’era
espresso in maniera un po’ più brutale:-Occorre immediatamente una legislazione per la prevenzione della morte
in tutte le forme in cui essa può essere inflitta
prematuramente, e sicuramente questo (delle fabbriche) si deve ritenere come uno
dei più crudeli metodi di infliggere la morte”.