Massimo di visibilità
mediatica, minimo di influenza sociale. La necessità di un’assunzione di
responsabilità dei vescovi italiani
In Europa, salvo l’Italia, e nel resto del mondo il
Papato conta ormai poco, sia sul piano culturale, che su quello sociale e
politico. La ragione è che non vi è più motivo, né modo, di strumentalizzarlo nei conflitti che travagliano la Terra, la Terza
guerra mondiale a pezzi, secondo l’espressione di papa Jorge Mario Bergoglio
- Francesco. Non serve più a quei fini e quindi è stato marginalizzato. L’esempio
più eclatante non lo si trova in Europa, ma in Asia, nelle Filippine, una
nazione in passato caratterizzata da un vivace attivismo dei vescovi cattolici
nell’azione sociale.
L’Italia, in questo scenario, si trova in una situazione differente. Il
Papato vi ha infatti un massimo di visibilità mediatica. Questo può farsi
risalire allo stile di Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°. Ma è condizionato
fortemente dalla situazione locale, di una nazione alla quale il Papato romano è stato sempre più legato che ad altre,
venendo riconosciuto socialmente come uno dei più importanti attori politici.
La visibilità mediatica segnala che le parole del Papa hanno ancora, in Italia,
orecchie desiderose di intenderle. Che si cerca in esse? Fondamentalmente un
orientamento, in una società in cui gli altri punti di riferimento stanno
progressivamente venendo meno. A questo corrisponde però, in linea con quello che accade nel mondo, un minimo di influenza sociale. Ciò ha mandato in
crisi la democrazia italiana, che è stata storicamente organizzata e sorretta
intorno ad un partito cristiano, la cui politica era ispirata
alla dottrina sociale, e, dall’inizio degli anni ’90, cessato quel partito, caratterizzata da un marcato attivismo direttamente dei vescovi italiani, nelle stagioni della
Conferenza episcopale italiana sotto le presidenze di Camillo Ruini e Angelo
Bagnasco, rispettivamente dal 1991 al 2007 e dal 2007 al 2017.
Il politologo Gianni Baget Bozzo (1925-2009), storico del partito cristiano, profondo conoscitore
della politica italiana e prete di profonda fede, nella sua opera Il partito cristiano al potere. La DC di De
Gasperi e Dossetti, del 1974,
reperibile usato su Amazon e in
biblioteca, spiegò bene il meccanismo sociale di investitura dei politici
democristiani ancora negli anni ’70 (ma esso sopravvisse fino alla fine di quel
partito, nel 1994, anche se dalla metà degli anni ’80 quella formazione
politica andò progressivamente laicizzandosi). Esso trovava origine in un
mandato ricevuto da un vescovo, o direttamente dal Papa per i politici più
importanti. Questo si ritrova nelle biografie dei più importanti politici
democristiani e spiega, in particolare, la relazione molto intensa che vi fu,
ad esempio, tra Aldo Moro e Giovanni Battista Montini, e più tardi tra Giulio
Andreotti e Karol Wojtyla. Quest’ultima fu, ad un certo punto, piuttosto
controversa nel mondo cattolico italiano e ricordo che, durante una visita
nella vicina parrocchia degli Angeli Custodi, a piazza Sempione, il Wojtyla
subì su quel tema una plateale contestazione, quando un ragazzo, chiamato a
leggere un’intenzione nella Preghiera dei fedeli durante la Messa papale, non
lesse il testo concordato ma un appello al Papa perché si distanziasse da quel
politico.
Alcide De Gasperi ebbe momenti di tensione politica con Eugenio Pacelli
- Pio 12°, il quale lo sollecitava per un’alleanza con il Movimento sociale
italiana, fondato da reduci del fascismo storico, alle elezioni comunali di
Roma. Nel 1952 gli fu rifiutata udienza in Vaticano. Scrisse allora al nostro
ambasciatore presso la Santa Sede, perché, evidentemente, ne informasse il Papa:
«Come
cristiano accetto l’umiliazione, benché non sappia come giustificarla; come
presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, la dignità e l’autorità che
rappresento e di cui non mi posso spogliare, anche nei rapporti privati,
m’impone di esprimere stupore per un rifiuto così eccezionale e di riservarmi
di provocare dalla Segreteria di Stato un chiarimento».
In merito a quell’episodio,
Sergio Romano, scrisse sul Corriere della Sera, nel 2008 [<https://www.corriere.it/romano/08-01-07/01.spm>]:
Qualche mese dopo un alto
prelato, monsignor Pavan, fece visita a De Gasperi in Valsugana, dove passava
le vacanze, e gli accennò alla possibilità di una udienza papale, ma chiese
quale sarebbe stato in tal caso l’atteggiamento del presidente del Consiglio
[sulla questione dell’apertura alla destra]. Esiste a questo proposito un
promemoria di mons. Pavan, ritrovato da Andrea Riccardi, da cui risulta quale
fu la risposta di De Gasperi:
«Esporrei al Papa con tutta
franchezza la mia tesi:
«1) Se il Santo Padre mostra
di tenerla in considerazione, niente di meglio.
2) Se il Santo Padre — per ragioni sue proprie — non la
ritiene convincente, ma lascia libertà di scelta, essendo io profondamente
convinto della aderenza della mia tesi alla contingenza storica, agirei di
conseguenza, nella certezza di fare il bene dell’Italia e della Chiesa.
3) Se il Santo Padre decide
diversamente, in tal caso mi ritirerei dalla vita politica.
Sono cristiano,
sono sul finire dei miei giorni e non sarà mai che agisca contro la volontà
espressa del Santo Padre (...). Mi
ritirerei dalla vita politica, non potendo svolgere un’azione politica in
coscienza ritenuta svantaggiosa alla Patria e alla stessa Chiesa. In tal caso
altri mi sostituirà ».
L’udienza non ebbe luogo.
Canavero ricorda che un paio
di mesi dopo, parlando con Nenni, De Gasperi disse:
«Sono il primo presidente
del Consiglio cattolico. Credo avere fatto verso la Chiesa tutto il mio dovere.
Eppure sono appena un tollerato».
Questa situazione è rimasta sostanzialmente invariata
fino al renzismo, la corrente
politica che fa riferimento al fiorentino Matteo Renzi, il quale, formatosi
da ragazzo nell’associazionismo cattolico, iniziò a impegnarsi nella politica
senza far riferimento ad un mandato episcopale e cercandosi autonomamente la
propria base elettorale.
La dipendenza dei politici ispirati alla
dottrina sociale da un mandato episcopale si è addirittura rafforzata, dopo la fine del partito cristiano, durante
le presidenze Ruini - Bagnasco della
Conferenza Episcopale Italiana, in particolare, prima, per scoraggiare la
collaborazione e integrazione con ciò che residuava del socialismo italiano e,
successivamente, nel tentativo di indurre la politica dei valori non negoziabili originata dal magistero di Joseph Ratzinger - Benedetto 16°, per ottenere che si facesse blocco
sui temi legislativi di finanziamenti pubblici alla scuola cattolica -
finanziamenti pubblici alla Chiesa - famiglia - contraccezione e interruzione
della gravidanza - procreazione assistita - matrimonio e divorzio - fine vita.
La ragione di questo particolare assetto
politico di sostanziale dipendenza da un mandato episcopale va ricercata nell'incompleta attuazione dei principi del Concilio Vaticano 2° relativi all’autonomia
del laicato nel campo del temporale, da intendersi come il mondo
della società e della politica che, a differenza degli eterni principi di fede, è suscettibile di
adattamento e cambiamento nel procedere della storia e, quindi, dei tempi. Il laicato italiano è ancora
sostanzialmente rimasto succube del clero: nessuna iniziativa può in concreto
avere successo, anche a partire da realtà di base come le parrocchie, senza un
assenso del clero. Clero e laicato sono rimasti legati a filo doppio anche nell’azione
sociale. Una più marcata autonomia di un laico ne comporta sostanzialmente la discriminazione
e comunque l’isolamento. Non gli si dà più credito, non viene più ascoltato né consultato; gli si fa il vuoto attorno. E’ ciò che mi parve accadere a mio zio Achille Ardigò,
sociologo bolognese un tempo molto ascoltato negli ambienti cattolici, quando
ebbe delle divergenze pubbliche con l’arcivescovo Giacomo Biffi su temi dell’immigrazione.
Si lamentava di non essere più invitato da nessuna parte in ambito ecclesiale. Si cercò sostanzialmente di dimenticarlo. Capitò anche a Gianni Baget Bozzo quando fu eletto al Parlamento europeo. Problemi analoghi ebbe un altro
bolognese, Romano Prodi. Per giustificare certe sue prese di posizione
politiche si definì “cristiano adulto” e questo non fu
apprezzato tra i vescovi italiani. L’occasione fu la questione dell’astensione
al referendum del 2005 sulla procreazione assistita (legata al tema del valori non negoziabili). La Conferenza
episcopale italiana aveva raccomandato fortemente l’astensione per far fallire
la consultazione, in modo che non raggiungesse il numero minimo di partecipanti
al voto richiesto dalla Costituzione. «Sono un cattolico adulto e vado a votare», disse pubblicamente
Prodi. Adulto va inteso come autonomo, capace quindi di
autodeterminarsi individuando in coscienza sulla base dei principi le scelte
concrete in politica. Questa autonomia, almeno fino all’inizio del papato di
Jorge Mario Bergoglio, è stata intesa come indisciplina e sanzionata con l’isolamento
sociale, e a volte con un presa di distanza pubblica.
La riprova che quel legame di
dipendenza è ancora attivo in Italia la
si ha constatando che da quando, con il Papato
di Bergoglio - Francesco, sono venute meno direttive concrete, l’azione
politica dei cattolico-sociali si è
esaurita. In mancanza di un mandato, non si agisce. Naturalmente non dovrebbe
essere così nelle prospettive aperte dal Concilio Vaticano 2°. Nell’emozionante
enciclica Lo sviluppo dei popoli -
Populorum progressio, del 1967, il
papa Giovanni Battista Montini - Paolo 2° insegnò:
81. Noi scongiuriamo per primi tutti i Nostri
figli. Nei paesi in via di sviluppo non meno che altrove, i laici devono
assumere come loro compito specifico il rinnovamento dell’ordine temporale. Se
l’ufficio della gerarchia è quello di insegnare e interpretare in modo
autentico i principi morali da seguire in questo campo, spetta a loro, attraverso la loro libera iniziativa e
senza attendere passivamente consegne o direttive, di penetrare di spirito
cristiano la mentalità della loro comunità di vita. Sono necessari dei
cambiamenti, indispensabili delle riforme profonde: essi devono impegnarsi
risolutamente a infonder loro il soffio dello spirito evangelico.
E ora
sembra che il cardinale Gualtiero Bassetti, attuale Presidente della Conferenza
Episcopale Italiana, si voglia collegare a quell’appello, quando afferma, come
ha fatto lo scorso 22 maggio:
Cari amici, la fede non può essere
fumo, ma fuoco nel cuore delle nostre comunità. Credo che, con lo spirito
critico di sempre, sia giunto il momento di cogliere la sfida del nuovo che
avanza nella politica italiana per fare un esame di coscienza e, soprattutto,
per rinnovare la nostra pedagogia politica e aiutare coloro che sentono che la
loro fede, senza l’impegno pubblico, non è piena. Sono molti, sono pochi?
Ancora una volta, non è questione di numero, ma di luce, lievito e sale: ogni
società vive e progredisce se minoranze attive ne animano la vita spirituale e
si mettono al servizio di chi nemmeno spera più.
Ma il tempo stringe. Gli eventi ci
travolgeranno se si attenderà l’attuazione di una svolta nel senso indicato dal Concilio
Vaticano 2° che finora è stata ostacolata con successo. I laici italiani non si
muoveranno senza un mandato episcopale. E’ da lì, dai vescovi italiani, dalla Conferenza episcopale e dal suo Presidente, quindi, che ci si attende un’assunzione
di responsabilità. Quella che, ad esempio, orientò la Conferenza Episcopale
Italiana, richiesta a gran voce dai mezzi di comunicazione di massa italiana,
ad intervenire nel settembre del 2011, in occasione di una crisi politica tutto
sommato meno grave di quella attuale, che vede nell’angolo un Presidente della
Repubblica proveniente dalla grande tradizione politica ispirata alla dottrina
sociale.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli.