Politica, carità,
verità
1. L’altro giorno ho scritto
della crisi terminale del cattolicesimo sociale e di quello democratico. Il
secondo è derivato storicamente dal primo, a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Il cattolicesimo democratico si propone di migliorare la società nel senso
indicato dalla dottrina sociale mediante il metodo e i valori democratici. Sia
il cattolicesimo sociale che quello democratico sono espressioni culturali
della religione: sono modi di essere religiosi. Dietro la loro decadenza si
scorge quella della dottrina sociale, il vasto complesso di insegnamenti del
Papa e del vescovi in materia sociale, vale a dire su come organizzare la
società secondo valori di fede. Essa sembra non trovare più credito nella
gente, anche in quella che dichiara di aderire alla religione. La ragione credo
sia in questo: essa non è mai stata storicamente autoreferenziale, non è nata
da Magistero, ma è stata organizzata teologicamente a partire da un pensiero
sociale che si andava formando tra i fedeli e che invocava l’impegno in
società. Quest’ultimo si è andato inaridendo nel corso degli anni Novanta del
secolo scorso. Da qui la progressiva irrilevanza della stessa dottrina sociale. Il motivo? Lo si è contrastato, prima criticandone alcune
manifestazioni e poi apertamente, sospettandolo di indisciplina e addirittura,
talvolta, di eresia. Quindi poi non si è più ritenuta importante la formazione
dei laici in quel campo tesa a mantenerli creativi, capaci di interloquire con
la società del loro tempo escogitando, nel dialogo con le altre sue componenti,
soluzioni nuove. Si è ritenuto, invece, che, per amore della verità, ci si
dovesse limitare ad attenersi alle istruzioni del Magistero, secondo lo schema
che venne insegnato e praticato a partire dagli anni Venti fino a quelli Sessanta del
Novecento, quello nel quale, in particolare, l’autonomia, la libertà, dei laici era limitata al campo dell’esecuzione di direttive superiori. Si tratta di un
orientamento che deve farsi risalire al regno religioso di Karol Wojtyla - Giovanni
Paolo 2°, durato dal 1978 al 2005, ma che trova il suo più importante teorico
in Joseph Ratzinger - Benedetto 16°, il quale dal 1981 fu tra i principali, se
non il principale, collaboratore del Wojtyla, il Papa santo, come lo chiama
Ratzinger nei suoi scritti più recenti, e poi, dal 2005 al 2013, suo
successore. Esso ha comportato una rivisitazione degli orientamenti dati alla
Chiesa dal Concilio Vaticano 2°, quello che ebbe al centro del suo lavoro la
riflessione sul popolo di Dio e sul ruolo dei laici di fede nel mondo (non
solo nella Chiesa). L’ultimo Concilio confermò il valore religioso del lavoro
dei laici nel mondo per trasformare la società del loro tempo e riconobbe loro
spazi di autonomia che mai erano stati loro accordati:
“…
il concilio ha fatto quello che, nella storia della chiesa, fino ad allora non
era stato fatto: ha espresso chiaramente quale sia la vocazione del fedele
laico, precisando non tanto il fine (la santità a cui tendere, di cui è piena,
in dottrina e in fatto, la storia della chiesa), quanto la via attraverso la
quale tendervi e giungervi.
Il fine è espresso nelle parole “Per loro
vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio” [ Lumen gentium, n. 31]. La via da percorrere è indicata, con
altrettanta chiarezza: “trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio”[Lumen Gentium n.31]
[da: Giuseppe Lazzati, La città dell’uomo – Costruire, da cristiani, la città dell’uomo a
misura d’uomo, Editrice A.V.E., 1984, pag.50]
L'animazione cristiana dell'ordine temporale
7.
Quanto al mondo, è questo il disegno di Dio: che gli uomini, con animo
concorde, instaurino e perfezionino sempre più l'ordine delle realtà temporali.
Tutto ciò che compone l'ordine temporale,
cioè i beni della vita e della famiglia, la cultura, l'economia, le arti e le
professioni, le istituzioni della comunità politica, le relazioni
internazionali e così via, la loro evoluzione e il loro progresso, non sono
soltanto mezzi con cui l'uomo può raggiungere il suo fine ultimo, ma hanno un
valore proprio, riposto in essi da Dio, sia considerati in se stessi, sia
considerati come parti di tutto l'ordine temporale: « E Dio vide tutte le cose
che aveva fatto, ed erano assai buone » (Gen 1,31). Questa loro
bontà naturale riceve una speciale dignità dal rapporto che essi hanno con la
persona umana a servizio della quale sono stati creati. Infine piacque a Dio unificare in Cristo Gesù tutte le cose naturali e
soprannaturali, « affinché egli abbia il primato sopra tutte le cose» (Col 1,18).
Questa destinazione, tuttavia, non solo non priva l'ordine delle
realtà temporali della sua autonomia, dei suoi propri fini, delle sue proprie
leggi, dei suoi propri mezzi, della sua importanza per il bene dell'uomo,
ma anzi ne perfeziona la forza e il valore e nello stesso tempo lo adegua alla
vocazione totale dell'uomo sulla terra.
Nel corso della storia, l'uso delle cose
temporali è stato macchiato da gravi manchevolezze, perché gli uomini, in
conseguenza del peccato originale, spesso sono caduti in moltissimi errori
intorno al vero Dio, alla natura dell'uomo e ai principi della legge morale:
allora i costumi e le istituzioni umane sono stati corrotti e non di rado
conculcata la stessa persona umana. Anche ai nostri giorni, non pochi, ponendo
un'eccessiva fiducia nel progresso delle scienze naturali e della tecnica
inclinano verso una specie di idolatria delle cose temporali, fattisi piuttosto
schiavi che padroni di esse.
È compito di tutta la Chiesa aiutare gli
uomini affinché siano resi capaci di ben costruire tutto l'ordine temporale e
di ordinarlo a Dio per mezzo di Cristo.
È compito dei pastori enunciare con chiarezza
i principi circa il fine della creazione e l'uso del mondo, dare gli aiuti
morali e spirituali affinché l'ordine temporale venga instaurato in Cristo.
I laici devono assumere il rinnovamento dell'ordine temporale come
compito proprio e in esso, guidati dalla luce del Vangelo e dal pensiero
della Chiesa e mossi dalla carità cristiana, operare direttamente e in modo
concreto; come cittadini devono cooperare con gli altri cittadini secondo la
specifica competenza e sotto la propria responsabilità; dappertutto e in ogni
cosa devono cercare la giustizia del regno di Dio.
L’ordine
temporale deve essere rinnovato in modo che, nel rispetto integrale delle leggi
sue proprie, sia reso più conforme ai principi superiori della vita. cristiana
e adattato alle svariate condizioni di luogo di tempo e di popoli. Tra le opere di simile apostolato si
distingue eminentemente l'azione sociale dei cristiani. Il Concilio
desidera oggi che essa si estenda a tutto l'ambito dell'ordine temporale, anche
a quello della cultura.
[Dal Decreto sull'apostolato dei laici L'apostolato - Apostolicam actuositatem]
2. Quell’orientamento del Magistero, ma in
termini estremamente più limitati quanto all’autonomia dei fedeli soggetti ai
papi e ai vescovi, risale alla fine degli anni Venti del Novecento. Fu esplicitato
per la prima volta da un papa riferendosi all’attività politica, presentata
come campo della più vasta carità, da
Achille Ratti - Pio 11°, il Papa dei Patti
lateranensi. Usò questa espressione nel 1927 in un discorso tenuto ai dirigenti della
Federazione Universitaria Cattolica Italiana, del quale sono riuscito a trovare
uno stralcio sul WEB:
“I giovani talora si
chiedono se, cattolici come sono, non debbano fare alcuna politica. Ed ecco
che, dedicando il loro studio ai suddetti argomenti, vengono a porre in se
stessi le basi della buona, della vera, della grande politica, quella che è
diretta al bene sommo e al bene comune, quello della polis,
della civitas, a quel pubblico bene, che è la suprema lex a
cui devono esser rivolte le attività sociali. E così facendo essi
comprenderanno e compiranno uno dei più grandi doveri cristiani, giacché quanto
più vasto e importante è il campo nel quale si può lavorare, tanto più doveroso
è il lavoro. E tale è il campo della politica, che riguarda gli
interessi di tutta la società, e che sotto questo riguardo è il campo della più
vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire
null'altro, all'infuori della religione, essere superiore.
È con questo
intendimento che i cattolici e la Chiesa debbono considerare la politica;
poiché la Chiesa e i suoi rappresentanti, in tutti i gradi di tal
rappresentanza, non possono essere un partito politico, né fare la politica di
un partito, il quale per natura sua attende a particolari interessi, o
se pur mira al bene comune, sempre vi mira dietro il prisma di sue vedute
particolari.”
L’esperienza del fascismi europei, dagli anni Venti del Novecento, e
della Seconda guerra mondiale convinse il Papato, sotto il regno religioso di
Eugenio Pacelli - Pio 12°, il quale fu Papa dal 1939 al 1958, della necessità di stimolare maggiormente l’autonomia
del laicato di fede nello sviluppare un nuovo ordinamento mondiale secondo il
metodo e i valori democratici, cercando, nel dialogo, l’intesa con tutta l’altra
gente che componeva le società umane. Questo nuovo orientamento, che sostanzialmente
ribaltava la posizione del Papato nei confronti della democrazia espressa all’inizio
del Novecento, fu contenuta in una serie di importantissime pronunce del Pacelli
diffuse in una serie di radiomessaggi natalizi dal 1941 al 1944, l’ultimo dei
quali espressamente dedicato al problema
della democrazia. In esso, nel periodo più duro e sanguinoso della Guerra
mondiale si legge:
«Inoltre — e questo è forse il punto più importante —, sotto il
sinistro bagliore della guerra che li avvolge, nel cocente ardore della fornace
in cui sono imprigionati, i popoli si sono come risvegliati da un lungo
torpore. Essi hanno preso di fronte allo Stato, di fronte ai governanti, un
contegno nuovo, interrogativo, critico, diffidente. Edotti da un'amara esperienza,
si oppongono con maggior impeto ai monopoli di un potere dittatoriale,
insindacabile e intangibile, e richieggono un sistema di governo, che sia più
compatibile con la dignità e la libertà dei cittadini.
Queste moltitudini, irrequiete, travolte dalla guerra fin negli strati
più profondi, sono oggi invase dalla persuasione — dapprima, forse, vaga e
confusa, ma ormai incoercibile — che, se non fosse mancata la possibilità di
sindacare e di correggere l'attività dei poteri pubblici, il mondo non sarebbe
stato trascinato nel turbine disastroso della guerra e che affine di evitare
per l'avvenire il ripetersi di una simile catastrofe, occorre creare nel popolo
stesso efficaci garanzie.
In tale disposizione degli animi,
vi è forse da meravigliarsi se la tendenza democratica investe i popoli e
ottiene largamente il suffragio e il consenso di coloro che aspirano a
collaborare più efficacemente ai destini degli individui e della società?
È appena necessario di ricordare che, secondo gl'insegnamenti della
Chiesa, «non è vietato di preferire governi temperati di forma popolare, salva
però la dottrina cattolica circa l'origine e l'uso del potere pubblico », e che
« la Chiesa non riprova nessuna delle varie forme di governo, purché adatte per
sé a procurare il bene dei cittadini » (Leon. XIII Encycl. «Libertas »,
20 giugno 1888, in fin.).
Se dunque in questa solennità, che
commemora ad un tempo la benignità del Verbo incarnato e la dignità dell'uomo
(dignità intesa non solo sotto il rispetto personale, ma anche nella vita
sociale), Noi indirizziamo la Nostra attenzione al problema della democrazia,
per esaminare secondo quali norme deve essere regolata, per potersi dire una
vera e sana democrazia, confacente alle circostanze dell'ora presente; ciò
indica chiaramente che la cura e la sollecitudine della Chiesa rivolta non
tanto alla sua struttura e organizzazione esteriore, — le quali dipendono dalle
aspirazioni proprie di ciascun popolo, — quanto all'uomo, come tale, che, lungi
dall'essere l'oggetto e un elemento passivo della vita sociale, ne invece, e
deve esserne e rimanerne, il soggetto, il fondamento e il fine.»
[Il testo di tutti i radiomessaggi
è disponibile su http://w2.vatican.va/content/vatican/it.html]
La massima estensione dello
spazio di autonomia sociale e politica riconosciuto ai laici di fede, quelli ai
quali spettava di animare la società secondo valori di fede, fu
raggiunta dopo il Concilio Vaticano 2°. I fermenti sociali dei quali anche i
fedeli erano partecipi apparvero disordinati e la gerarchia, ad un certo punto,
temette di perderne il controllo. Essi,
negli anni Settanta, coincisero con una profonda rivisitazione della catechesi,
per renderla conforme agli orientamenti dell’ultimo Concilio. E’ in questa fase
che iniziò il regno religioso di Karol Wojtyla che propose una forma di
organizzazione dell’azione sociale del laicato, basata sull’esperienza polacca
di resistenza ad uno dei regimi comunisti totalitari che dominavano all’epoca l’Europa
orientale finita nel dominio dell’Unione sovietica, che sembrava poter fare
ordine nelle sperimentazioni che si andavano facendo. Nel corso degli anni
Ottanta quella proposta sociale si saldò con l’orientamento teologico espresso
da Joseph Ratzinger, il quale dalla Congregazione per la dottrina della fede lo
diffuse con autorità: nell’insieme quegli orientamenti costituirono la nuova disciplina
religiosa del Papato che effettivamente raggiunse, almeno in Italia, lo scopo
che ci si era prefissi di attuare, vale a dire una maggiore uniformità delle
esperienze sociali ispirate alla fede. Questo anche se non mancarono elementi
di tensione tra la posizione del Wojtyla e
quella del Ratzinger, come si può capire dal brano della lettera del
Ratzinger al filosofo Marcello Pera che ho riportato l’altro giorno:
«[…] la questione dei diritti umani
ha acquisito un posto di grande rilievo nel Magistero e nella teologia
postconciliare solo con Giovanni Paolo II. Ho l’impressione che, nel Papa
Santo, questo non sia stato tanto il risultato di una riflessione (che pure in
lui non mancò) quanto la conseguenza di un’esperienza pratica. Contro la
pretesa totalitaria dello Stato marxista e dell’ideologia sulla quale si
fondava, egli vide nell’idea dei diritti umani l’arma concreta
capace di limitare il carattere totalitario dello Stato, offrendo in
tal modo lo spazio di libertà necessario non solo per il pensiero della singola
persona, ma anche e soprattutto pe la fede dei cristiani e per i diritti della
Chiesa. L’immagine secolare dei diritti umani, secondo la formulazione data nel
1948 [anno in cui, precisamente il 10 dicembre 1948, a Parigi, l’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite deliberò la Dichiarazione Universale dei
Diritti Umani (delibera n.217A)- nota mia], gli
apparve evidentemente come la forza razionale contrastante con la
pretesa onnicomprensiva, ideologia e pratica, dello Stato fondato sul marxismo.
[…] Se non m i sbaglio, Giovanni Paolo II ha concepito il suo impegno a favore
dei diritti umani in continuità con l’atteggiamento che ebbe la Chiesa antica nei
confronti dello Stato romano. Effettivamente il mandato del Signore di fare
suoi discepoli tutti i popoli aveva creato una situazione nuova nel
rapporto tra religione e Stato. Non c’era stata sino ad allora una religione
con pretesa di universalità. La religione era una parte essenziale
dell’identità di ciascuna società. Il mandato di Gesù non significa
immediatamente esigere un mutamento nella struttura delle singole società. E
tuttavia esige che in tutte le società sia data la possibilità di accogliere il
suo messaggio e di vivere in conformità ad esso. Ne consegue in primo luogo una
nuova definizione soprattutto della natura della religione: essa
non è rito e osservanza che ultimamente garantisce
l’identità dello Stato. E’ invece riconoscimento (fede) e precisamente
riconoscimento della verità».
[ da una lettera
inviata da Joseph Ratzinger il 29-9-14 al filosofo Marcello Pera, esponente del
centro-destra italiano e presidente del Senato italiano dal 2001 al 2006, a
commento delle bozze di un suo libro, poi uscito nel 2015 con il titolo Diritti
umani e cristianesimo. La Chiesa alla prova della modernità. Il testo è ora
incluso nella raccolta di testi scelti Liberare la Libertà,
pubblicata quest’anno dall’editore Cantagalli, con una prefazione di papa Francesco]
La questione teorica fu posta al centro dell’importante enciclica sociale di Joseph
Ratzinger - Benedetto 16° Carità nella
verità - Caritas in veritate, del 2009.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in
San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli