Politica-strumento e
politica-carità
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Il papa Giovanni 23°, nel 1963, firma l'enciclica Pace sulla Terra - Pacem in terris |
1. Fino al Settecento le
pronunce dei papi si rivolgevano essenzialmente al clero, ai religiosi e ai potenti della
Terra. Dall’Ottocento cominciarono a considerare come interlocutrice anche l’altra
gente. Accadde con l’emergere della democrazia come metodo di governo e, in
particolare, delle democrazie popolari, all’inizio del Novecento, quelle basate su un numero di elettori molto vasto, comprendente all’inizio tutti i maschi
adulti e poi tutti gli adulti, uomini e donne. Cercando di spiegarsi anche agli
incolti di teologia, i papi portarono questioni teologiche molto importanti
alla portata di persone mediamente istruite, che oggi arrivano a comprendere la
gran parte della gente, compresi i ragazzi che frequentano le superiori. Alcune di queste riguardano l’ambito della
politica, che è quello proprio della democrazia. Dagli anni Quaranta del
Novecento i papi hanno ragionato di democrazia, ma non sono ancora riusciti a
suscitare una teologia della democrazia,
una comprensione della democrazia che metta d’accordo i suoi principi, in ciò
in cui ciò può avvenire, con quelli della teologia. Una teologia del genere
rientrerebbe concettualmente in una teologia
della politica che si sospetta possa
divenire una teologia politica, vale
a dire una comprensione della fede che inglobi la politica come suo elemento
essenziale. Questo potrebbe aprire il campo a una teologia democratica, che immediatamente metterebbe in questione il
modo in cui si esercita il potere religioso, e in particolare l’assetto del
Papato.
Dal Quarto secolo fino a agli anni Trenta del Novecento il Papato ebbe
una concezione strumentale della politica. Il governo della società, attuato
dai prìncipi della Terra, doveva servire a mettere in condizione la Chiesa,
intesa come Papato, vescovi, altro clero e religiosi, di svolgere il proprio
ministero nella liturgia, nei sacramenti, formando e introducendo alla fede la
gente, in modo da farne un popolo-gregge guidato dai pastori, secondo l’esempio evangelico del Buon Pastore. Una volta che
fosse consentito questo, il resto della politica, ad esempio le guerre tra i
prìncipi o il modo in cui le ricchezze della società erano ripartite, non aveva
molta importanza per la Chiesa, intesa in senso limitativo come sopra
precisato. Si metteva in conto che guerre ci fossero, e che ci fossero poveri e
malati, come sempre tutto questo c’era stato, fin dai tempi biblici. Le riforme pensate in ambito religioso erano
essenzialmente rivolte alla riorganizzazione dell’apparato del clero e degli
ordini religiosi, che aggregavano monaci e monache, frati e suore.
2. Dal Secondo Millennio le
pretese del Papato verso i prìncipi della terra si fecero maggiori. La Chiesa,
intesa come apparato religioso, era stata sostanzialmente sottomessa all’imperatore romano e ai prìncipi che
nell’Europa Occidentale ne avevano sostituito il potere. Ad un certo punto il
Papato si riorganizzò invece come potere imperiale esso stesso, senza
riconoscere sopra di sé altra autorità che quella divina, della quale si
propose come unico interprete legittimato, con autorità di vicario, di plenipotenziario del Cielo in Terra. Ciò accadde a
partire dall’Undicesimo secolo. Questo generò poi, nei secoli successivi, una
serie infinita di conflitti con i prìncipi della Terra. Dal Quindicesimo secolo
essi si estesero al mondo della cultura, che si proponeva anche di riformare la società, e quindi di cambiarne la struttura
di governo e quella sociale. Nel quadro di queste controversie di tipo
culturale e sociale il Papato assunse in genere posizioni conservatrici e, in
questo, si trovò nella stessa linea dei prìncipi il cui potere era minacciato
dai moti di riforma sociale. Questi ultimi cercarono di strumentalizzare
l’azione del Papato a sostegno del proprio potere politico e il Papato cercò di
contrattare questo sostegno ricavandone vantaggi per la propria missione:
l’organizzazione del Papato sviluppò quindi una sofisticata diplomazia, che
ancora oggi viene considerata tra le migliori del mondo.
3, L’avvento dei processi
democratici, nel corso del Settecento, sorprese il Papato in quella condizione. Esso si sentì minacciato dai
processi rivoluzionari democratici allo stesso modo degli altri prìncipi della
Terra, le cui antiche dinastie monarchiche venivano progressivamente abbattute
o ridimensionate. A metà Ottocento, tuttavia, essenzialmente osservando, e
capendo, i moti popolari a sostegno del suo potere sviluppati in particolare in
Italia, nel conflitto con i moti nazionalistici tesi all’unificazione
nazionale, comprese che, in ambiente democratico, solo sviluppando una forza
popolare di massa poteva ottenere quei risultati che nei secoli precedenti
aveva raggiunto con la diplomazia. Iniziò quindi a rivolgersi al popolo
parlando di giustizia sociale, facendo forza sulle gravi sperequazioni che
affliggevano le società dominate dall’ordine liberale, in cui le masse popolari
in genere soggiacevano agli interessi dei ceti economicamente dominanti, in
particolare i grandi proprietari terrieri (tra i quali la stessa Chiesa) e gli
imprenditori ad ogni livello. Da qui sorse la dottrina sociale contemporanea del Papato, il cui primo
documento fu l’enciclica Le novità -
Rerum Novarum, diffusa nel 1891 dal
papa Vincenzo Gioacchino Pecci - Leone 13° Essa suscitò una corrispondente teologia e un pensiero sociale, nel quale si esercitarono anche i laici.
Quella dottrina indusse i laici di fede ad organizzarsi, in particolare
associandosi. Da questo associarsi scaturirono moti democratici. Il laici di
fede richiedevano più autonomia nel progettare la riforma sociale. Inizialmente
il Papato li contrastò, contestando che si potesse giungere a pensare una democrazia cristiana, vale a dire un
progetto di riforma sociale ispirato dalla fede. Questo perché comprese
precocemente che consentire quello sviluppo, in un ambiente in cui i laici
erano necessariamente più autonomi, non più nella posizione di gregge, li avrebbe portati prima o poi
ad affrontare la questione dell’organizzazione al modo di un impero religioso
della Chiesa , e quindi su temi prettamente teologici. Il Papato aveva sempre
voluto riservare solo a sé l’orientamento di ogni teologia. La tendenza a sviluppare progetti sociali di democrazia cristiana divenne particolarmente forte in Italia,
perché qui era più acuta la polemica con il nuovo Regno nazionale unitario, in
particolare con riguardo alle pretese del Papato al recupero di un proprio
stato a Roma e dintorni, del quale era stato spodestato nel 1870, con la
conquista militare di ciò che ne rimaneva da parte dell’esercito italiano. A ridosso delle prime elezioni italiane a
suffragio universale maschile (votavano tutti i maschi adulti), quelle del
1913, il Papato, attenuando un divieto che risaliva agli anni Sessanta del
secolo precedente, consentì ai cattolici la partecipazione alla politica
nazionale, ma sotto propria esclusiva responsabilità e purché non venisse
tirata in mezzo in alcun modo la religione, se non come fonte di ispirazione.
Nella stessa epoca riorganizzò l’attività sociale e politica dei laici
cattolici creando, dal 1906 l’Azione Cattolica più o meno come ancora oggi è,
con una struttura di un partito politico di massa.
4. La Prima Guerra Mondiale
(1914-1918) provocò enormi sommovimenti nelle masse popolari europee animate da
intensi processi democratici. In Russia si produsse la rivoluzione sovietica e
analoghi moti si manifestarono nel resto dell’Europa, in Italia in particolare
tra il 1919 e il 1920. Questo spinse il Papato, in Italia, all’intesa con il
regime fascista mussoliniano, che, partito da minoranze violente e oltranziste,
andava in cerca di affermazione sociale federandosi con ogni tipo di
conservatorismo sociale per consolidare il proprio potere. Avvicinandosi
l’intesa, il Papato sviluppò una nuova teologia dell’azione politica laicale,
una vera e propria teologia della
politica, insegnando che la politica doveva
essere considerata come il campo della più vasta carità, della carità
politica.
Ciò avvenne sotto il
regno di Achille Ratti - Pio 11°.
Leggiamo in un discorso
tenuto da quel Papa nel 1927 agli universitari della FUCI, la Federazione
Universitaria Cattolica Italiana:
“I giovani talora si chiedono se,
cattolici come sono, non debbano fare alcuna politica. Ed ecco che, dedicando
il loro studio ai suddetti argomenti, vengono a porre in se stessi le basi
della buona, della vera, della grande politica, quella che è diretta al bene
sommo e al bene comune, quello della polis, della civitas,
a quel pubblico bene, che è la suprema lex a cui devono esser
rivolte le attività sociali. E così facendo essi comprenderanno e compiranno
uno dei più grandi doveri cristiani, giacché quanto più vasto e importante è il
campo nel quale si può lavorare, tanto più doveroso è il lavoro. E tale
è il campo della politica, che riguarda gli interessi di tutta la società, e
che sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della
carità politica, a cui si potrebbe dire null'altro, all'infuori della
religione, essere superiore.
È con questo
intendimento che i cattolici e la Chiesa debbono considerare la politica;
poiché la Chiesa e i suoi rappresentanti, in tutti i gradi di tal
rappresentanza, non possono essere un partito politico, né fare la politica di
un partito, il quale per natura sua attende a particolari interessi, o
se pur mira al bene comune, sempre vi mira dietro il prisma di sue vedute
particolari.”
Dopo la conclusione
dell’accordo con il Regno d’Italia, rappresentato dal capo del Governo Benito
Mussolini, composto di tre documenti che componevano nel complesso quelli che
vennero chiamati Patti Lateranensi (stipulati nel palazzo del Laterano a Roma
ì’11 febbraio 1929), con l’enciclica sociale ll Quarantennale - Quadragesimo Anno, in occasione dei quarant’anni
dall’enciclica Le novità - Rerum Novarum,
il Papa spinse i laici di Azione
Cattolica a partecipare alle istituzioni sociali del regime, nel quadro della
politica-carità. Leggiamo nell’enciclica:
96. Basta poca riflessione
per vedere i vantaggi dell'ordinamento per quanto sommariamente indicato; la
pacifica collaborazione delle classi, la repressione delle organizzazioni e dei
conati socialisti, l'azione moderatrice di une speciale magistratura. Per non
trascurare nulla in argomento di tanta importanza, ed in armonia con i principi
generali qui sopra richiamati, e con quello che inibito aggiungeremo, dobbiamo
pur dire che vediamo non mancare chi teme che lo Stato si sostituisca alle
libere attività invece di limitarsi alla necessaria e sufficiente assistenza ed
aiuto, che il nuovo ordinamento sindacale e corporativo abbia carattere
eccessivamente burocratico e politico, e che, nonostante gli accennati vantaggi
generali, possa servire a particolari intenti politici piuttosto che all'avviamento
ed inizio di un migliore assetto sociale.
97. Noi crediamo che a
raggiungere quest'altro nobilissimo intento, con vero e stabile beneficio
generale, sia necessaria innanzi e soprattutto la benedizione di Dio e poi la
collaborazione di tutte le buone volontà. Crediamo
ancora e per necessaria conseguenza che l'intento stesso sarà tanto più
sicuramente raggiunto quanta più largo sarà il contributo delle competenze
tecniche, professionali e sociali e più ancora dei principi cattolici e della
loro pratica, da parte, non dell'Azione Cattolica (che non intende svolgere
attività strettamente sindacali o politiche), ma da parte di quei figli Nostri
che 1'Azione Cattolica squisitamente forma a quei principi ed al loro
apostolato sotto la guida ed il Magistero della Chiesa; della Chiesa, la quale
anche sul terreno più sopra accennato, come dovunque si agitano e regolano
questioni morali, non può dimenticare o negligere il mandato di custodia e di
magistero divinamente conferitole.
Con il senno del poi, possiamo osservare che il Papato si illuse che la riforma sociale potesse farsi per via autoritaria, mediante un potere civile di nuovo federato con la gerarchia cattolica e rispettoso verso di essa, e non per via democratica. Non sembra si sia avuta, all'epoca, sufficiente consapevolezza del fatto che la guerra rientrava nei fondamenti dell'ideologia fascista di rigenerazione popolare e si pensò che ad essa si sarebbe sostituita, ad un certo punto, il riferimento alla dottrina sociale. Si tentò, attraverso al partecipazione dei cattolici, di indurne la modifica in tal senso. Solo dalla fine degli anni '30, in particolare dopo il varo della normativa di discriminazione anti-ebraica e alle prime avvisaglie di un nuovo conflitto mondiale, ci si rese conto dell'insuccesso di tale impresa.
5. La concezione di una politica-carità fu possibile per i
contenuti di riforma sociale che da metà Ottocento furono fatti rientrare nel
campo della politica dalla dottrina sociale della Chiesa. Dagli anni
Quaranta, il Papato introdusse tra le riforme sociali della politica-carità il
perseguimento dalle pace. Questo coincise con lo sviluppo teorico, nel
magistero del Papato, della riflessione sulla democrazia, nei radiomessaggi
natalizi tra il 1941 e il 1944 del papa Eugenio Pacelli - Pio 12°. In base a
quei princìpi i laici cattolici
contribuirono in modo determinante a costruire l’Unione Europea, originata dall’iniziativa
di tre grandi stati con forte presenza cattolica, Francia, Germania e Italia, che
per settant’anni ha garantito democrazia e pace ai suoi stati membri, un
processo che di questi tempi sembra in gravissima crisi, contemporaneamente a
quella della dottrina sociale e del cattolicesimo sociale e democratico.
Lo sviluppo di una teologia della politica da
parte del Papato che riconduceva il campo della politico a quello della carità
ebbe conseguenze enormi a partire dalla fine degli anni Cinquanta, e in
particolare dopo il Concilio Vaticano 2° (1962-1965), quando fu ulteriormente
esteso il campo dell’autonomia del laici di fede nel campo che, nel gergo
teologico, viene definito il temporale, intendendo ciò che muta nel
tempo, la politica, la scienza, l’organizzazione economica e sociale, la
cultura intellettuale, per distinguerlo da ciò che, riguardando le relazioni
con il divino, è eterno, che si
vorrebbe riservare al clero e ai religiosi come campo loro proprio. Questo
perché la carità, parola che traduce
quella del greco antico agàpe,
è talmente collegata con l’eterno che è scritto che il Fondamento è agàpe. Riconosciuta autonomia ai laici nel
quadro della politica - carità ne
consegue, effettivamente ne è conseguita, una loro autonomia anche in
campo teologico.
La politica - carità espressamente divenne via di santità:
“…
il concilio ha fatto quello che, nella storia della chiesa, fino ad allora non
era stato fatto: ha espresso chiaramente quale sia la vocazione del fedele
laico, precisando non tanto il fine (la santità a cui tendere, di cui è piena,
in dottrina e in fatto, la storia della chiesa), quanto la via attraverso la
quale tendervi e giungervi.
Il fine è espresso nelle parole “Per loro
vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio” [ Lumen gentium, n. 31]. La via da percorrere è indicata, con
altrettanta chiarezza: “trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio”[Lumen Gentium n.31]
[da: Giuseppe Lazzati, La città dell’uomo – Costruire, da cristiani, la città dell’uomo a
misura d’uomo, Editrice A.V.E., 1984, pag.50]
Da qui il numero crescente di
laici che dagli anni Sessanta hanno svolto studi propriamente teologici, uomini
e donne. Ma anche la valenza propriamente teologica di diverse concezioni
politiche ispirate alla fede, come ad esempio, in Italia, quelle suscitate dal
pensiero di Giuseppe Dossetti (1913-1996), uno dei più influenti teorici della
politica italiana, che fu prima politico e poi prete e monaco. Questa fu la
situazione che si presentò a Karol Wojtyla nel 1978, quando iniziò il suo
supremo ministero religioso come Giovanni Paolo II, e quella che Joseph
Ratzinger si trovò ad affrontare nel ruolo di capo della Congregazione per la
dottrina della fede, dal 1981. Ratzinger è uno dei maggiori teologi viventi.
Aveva vissuto, prima di affrontarla da teorico, la stagione dell’inizio della
teologia della politica del papato che aveva introdotto la concezione della
politica-carità, aveva partecipato da teologo al Concilio Vaticano 2°, e da
teologo e vescovo la fase di attuazione dei deliberati conciliari. Individuò un
problema nella teologia della politica diffusa dal Papato dagli anni Venti del
secolo scorso. Cerco di proporlo in termini semplici, come me lo sono figurato
da non teologo, leggendo quello che se ne è scritto. Quella teologia pretendeva
di continuare a tenere separati Cielo e Terra, riservando il primo a clero e
religiosi e il secondo ai laici. In questo modo riusciva a mantenere il
fondamento del potere religioso del Papato, riguardo alle cose del Cielo. Nel
gergo teologico si parla dell’eterno rispetto al temporale, di ciò che necessariamente muta. Nella pratica della
politica, in particolare della riforma sociale, questa distinzione era presto
saltata, era stata superata. Il primo a farlo era stato proprio il Papato,
dando direttive precise sulle cose temporali
da un trono religioso. Nella pratica della politica-carità i laici
avevano poi ragionato di cose eterne, originando sostanzialmente teologie. Bisogna riconoscere, del resto, che la stessa
dottrina sociale della Chiesa dell’era contemporanea aveva preso origini dalla
pratica della gente di fede nella società, senza distinzione tra clero e laici,
e ciò con particolare evidenza in Italia, dove erano stati esponenti politici
di primo piano, anche dal punto di vista teorico, preti come Romolo Murri
(1870-1944), tra gli ideatori del termine democrazia cristiana, Luigi Sturzo
(1871-1959), tra i fondatori del Partito
Popolare Italiano, il primo partito
italiano ispirato alla dottrina sociale, Giuseppe Dossetti
(1913-1966), esponente politico e teorico politico di primo piano nel partito
della Democrazia Cristiana, che dal
1946 al 1994 fu il centro dell’asse politico di governo della Repubblica
italiana e molti altri. Il pensiero politico ebbe un ruolo di primo piano in
preti molto influenti nella cultura italiana come Primo Mazzolari (1890-1959) e
Lorenzo Milani (1923-1967).
6. Cercare di mantenere
separati l’ordine naturale da quello soprannaturale, conduceva ad una
marginalizzazione del ruolo del Papato, visti i vivaci fermenti che animavano
il primo nella società ad opera di laici, preti e religiosi. Del resto, collegarli più strettamente
avrebbe potuto condurre, ed in effetti aveva già iniziato a condurre, per gli
sviluppi della teologia della politica indotta dal Papato, a una teologia politica democratica che fatalmente avrebbe preso in considerazione
l’organizzazione come impero religioso del Papato, richiedendone la riforma. Il
carattere fortemente politico dell’azione del papa Karol Wojtyla - Giovanni
Paolo 2°, orientato dalla teologia della politica - carità, spingeva in quella direzione, anche se, per il suo fortissimo carisma personale, quel Papa riusciva
ancora a mantenere il controllo del processo. Era, in particolare, la teologia
dei diritti umani fondamentali, utilizzata dal Papato, sotto il Wojtyla, come
arma contro i regimi totali comunisti dell’Europa orientale, che prendeva le
mosse proprio dalla concezione che era stata all’origine delle democrazie
contemporanee, a spingere in quel senso. Ratzinger vi vide un pericolo per l’integrità
della fede, che in qualche modo sarebbe finita nelle mani della democrazia di
massa.
La teologia di Joseph Ratzinger cercò allora di riunire Cielo e Terra, Pastore e gregge,
Papato e popolo, fede e politica intorno al concetto di verità, intesa come limite generale etico, ed anche alla
politica-carità. Non la carità-agape, la riforma sociale in senso umanitario e la
pace, come criterio orientativo etico per la fede, ma la verità in senso teologico
per discriminare eticamente , anche in politica, ciò che era carità
- agape da ciò che non lo
era. Che cosa era la verità? La
domanda che Pilato, per così dire a nome di tutti i politici a venire, pose al
Maestro quando ebbe modo di interrogarlo, senza attendere la risposta. Nella teologia dei secoli seguenti, fu il
Papato che esercitò il potere di definire la verità. E anche nella proposta
teologica del Ratzinger è al Papato che deve continuare a competere, come fonte
di unità e orientamento etico del gregge. Questo a cui ho accennato è il tema centrale della grande enciclica
sociale di Joseph Ratzinger del 2009 La carità nella verità - Caritas in veritate. Era
in questione il Concilio Vaticano 2°. Ma il ragionamento prese le mosse da
altri due documenti, due encicliche papali, la Pace nella Terra - Pacem in
Terris (1963) del papa Angelo
Roncalli Giovanni 23° , e Lo sviluppo dei Popoli - Populorum Progressio (1967)
del papa Giovanni Battista Montini - Paolo 6°: la prima era stata precoce
manifestazione degli orientamenti che stavano emergendo nel concilio, la
seconda si proponeva di indurre nella società i principio del concilio chiamando
all’azione le genti della terra, credenti e non.
Mario Ardigò - Azione Cattolica
in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli