L’ultimo imperatore
Vivo con crescente fastidio l’impatto
mediatico di ciò che sta accadendo a duecento metri da dove lavoro, lì dove un
centinaio di vegliardi immaginano di stare scegliendo l’ultimo imperatore. Le stucchevoli
immagini del camino installato nella Cappella Sistina debordano ovunque. Sembra
che il mondo intero sia in attesa: così narrano la cosa i conduttori, per giustificare
lo spazio che gli stanno dedicando. Ormai hanno esaurito ogni argomento. L’Extra
omnes (“Fuori tutti!”) significa anche questo: relegarci, che si sia
persone religiose di quella fede o non, fuori; senza poter contare
nulla, senza quindi poterne sapere nulla, umiliati nel ruolo di semplici spettatori
del nulla, gente da contare a migliaia
se si raduna in piazza davanti al vanaglorioso chiesone vaticano. E ci si
raduna, sì, ma più che altro per
cogliere anche con il proprio telefono cellulare l’immagine della fumata
bianca, che sarà rimandata ovunque dalle potenti telecamere puntate sul
fatidico comignolo, e poter dire di esserci stati. Si è solo comparse
del circo mediatico allestito intorno all’evento.
Le
persone che mi stupiscono di più sono quelle che, interpellate dai giornalisti, dicono di esserci, sì, ma che sono non credenti. L’ateo
papista mi pare l’equivalente degli
italiani, cittadini di una repubblica e di una Unione europea repubblicana, che, alle esequie della regina inglese, si
sono presentati travestiti da sudditi devoti, con la bandiera inglese dappertutto
e via dicendo, e naturalmente il telefono cellulare puntato.
C’ero anch’io la sera di ottobre in
cui venne la fumata bianca per Wojtyla, ma lo spirito in cui si era convenuti
era molto diverso, inimmaginabile oggi. Non c’era ancora l’iperturismo, in
piazza c’era per la maggior parte gente romana.
Non c’erano i telefoni cellulari, ma c’erano macchine fotografiche anche
piuttosto efficienti, ma non le vidi usate dalla gente intorno a me. C’era l’attesa
dell’elezione del nuovo Papa, per cui, come ieri sera, si era radunata molta
gente. Fummo poi realmente spettatori di un evento storico, il primo Papa non
italiano dopo secoli. Ma si era realmente
religiosi. Si veniva dalla grandiosa esperienza del Concilio Vaticano 2°, concluso
una decina d’anni prima, e del clima di effervescente rinnovamento che ne era
seguito. Ma anche da eventi tragici accaduti proprio quell’anno, con il
rapimento e il brutale assassino di una delle più importanti personalità cattolico
democratiche italiane, Aldo Moro. Gli ultimi mesi della vita del papa Paolo 6°,
suo amico personale come ci disse nella mesta omelia della sua messa funebre a
San Giovanni in Laterano, ne erano stati pesantemente segnati. Poi l’improvvisa morte anche del suo successore, eletto da
pochissimo. L’Italia era colpita dal
terrorismo e da una crisi economica acutissima, in un tempo in cui ancora non
vi erano gli strumenti di solidarietà tra stati costituiti nell’Unione Europea.
L’inflazione era altissima. La fede era ancora assai diffusa tra la gente e
dunque nel nuovo Papa si faceva reale affidamento, dal punto di vista religioso
non come ora che dei Papi sembrano apprezzarsi solo certe caratteristiche delle
personalità, l’indole, per cui ci si contenta di trovarli buoni e prodighi
di dichiarazioni umanitarie, che in fin dei conti lasciano il tempo che
trovano. E anch’io la pensavo in quel modo. Ora non più. Sono cresciuto. Ho
conservato la fede, ma è molto diversa da allora. Ho capito che, come è
opinione di quasi tutti quelli che si occupano consapevolmente di queste cose,
l’istituzione non va bene, a prescindere
da chi la impersoni, e andrebbe riformata. Nessuno dei Papi succeduti al Concilio Vaticano
2° ha avuto però la forza di farlo, nonostante che sulla carta, secondo la
teologia e il diritto cattolici, avessero il potere di farlo. Sono apparsi come
prigionieri delle istituzioni da riformare, come anche dei costosi e boriosi palazzi
principeschi in cui tradizionalmente devono vivere confinati (anche se nulla di evangelico
vi è in questo e il vangelo potrebbe renderli liberi).
C’è meno gente religiosa in giro oggi, ci
dicono statistiche affidabili. In fin dei conti è più che altro l’immagine della sovranità che
affascina, il sentore di antico, certe spettacolari liturgie, come accade con
la Famiglia reale inglese. Ci si appaga di questo.
Eppure, per una persona cattolica, non è
indifferente chi diventa Papa. Gli ultimi Papi sono stati persone buone,
sicuramente, ma hanno preso anche decisioni discutibili con immediato riflesso
in particolare su chi vive a Roma. Negli ultimi tempi, ad esempio, ci si è
abbattuta addosso una riforma della Diocesi romana veramente pasticciata, in
particolare a detta dei giuristi (e io della materia capisco qualcosa). Ad
esempio il nuovo statuto dei Consiglio
pastorali parrocchiali è ingestibile, scritto veramente male. Al centro diocesano si è realizzato un
assurdo accentramento sulla persona del Papa, che non ha tempo di occuparsi di
tutto.
Ma c’è stato di peggio.
Dopo il Sinodo del 1985 sulla cattolicità è
sceso quello che molti hanno descritto come un lungo inverno.
Un Papa, in un discorso in Germania poco dopo
essere stato eletto, ha fatto succedere un bailamme con il mondo islamico criticandone
la fede con le parole di un antico imperatore bizantino (!). In questo, Papa
Francesco riuscì poi a rimediare, con alti e bassi naturalmente: si dimostrò
velleitaria la sua generosa pretesa di mediare dal punto di vista religioso nel conflitto israelo-palestinese.
Gli esponenti delle altre religioni coinvolte nella lotta finirono per litigare
in diretta mondiale nel corso dell’evento convocato per manifestare che le fedi
sono via di pace (cosa manifestamente contraria all’evidenza storica).
Così come con certe malattie, che dopo un po’ passano,
bisogna allora attendere, appunto, che tutto passi. Alla fine i vegliardi
sceglieranno tra di loro il nuovo Papa, quel comignolo tornerà in magazzino, per un mese sui mass media non si parlerà d’altro che del nuovo imperatore (e forse anche l’eletto per un po’ arriverà a crederci), e speriamo
che tutto quello che verrà fuori sia onorevole, e poi, pian piano, si tornerà
alla situazione di prima. Quando la tempesta papista si acquieterà potrà aver
di nuovo voce la gente di fede, che ancora c’è, perché, almeno in Italia, la
Chiesa cattolica è ancora vitale. E allora verrà il momento di riprendere a
darsi da fare.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli