Il mito della Chiesa bimillenaria
Si dice che la nostra Chiesa ha duemila anni: è solo
un mito, vale a dire una immaginifica narrazione semplificata degli eventi costruita
per renderne un certo senso. Si vuole dire che i ruoli ecclesiali oggi
impersonati si rifanno a quelli del passato cercando di mantenere qualche
collegamento con le ere più antiche.
Le società umane sono impersonate e rese
presenti dalle generazioni che in una certa epoca coesistono e si tramandano
ruoli sociali. Questo rende le società plastiche, in continua trasformazione.
Mediante il diritto e nel mito, e il diritto è sempre basato sul mito, si cerca
di rafforzarle nel trascorrere dei tempi e di darne una immagine di stabilità,
che però è ingannevole. Nonostante che certe generazioni accettino di impersonare
i loro ruoli sociali secondo un certo diritto ricevuto dalle precedente, lo
fanno sempre in modi diversi dal passato,
perché i contesti sociali cambiano.
E’
tuttavia possibile narrare una storia delle nostre Chiese ed esse, come risulta evidente
a chi le si accosti, è costituita dalle narrazioni dei mutamenti di quelle Chiese
nel tempo. Questa dinamica non si è mai arrestata, si può affermare che ogni Chiesa di
una certa epoca è nata e morta ed è stata
sostituita, nel trascorrere delle generazioni, da un altro tipo di Chiesa, che
in parte assume certi elementi del passato e in parte no.
Naturalmente la teologia ci racconta un’altra
storia. Fa solo il suo mestiere, che è quello di dare un’immagine di
coerenza a ciò che cambia nel trascorrere dei tempi. Se non ci si cura troppo
dei dettagli, se si guardano le cose da una certa distanza, l’insieme può anche
convincere, ma è sempre irrealistico, nella misura in cui vuole convincere del
permanere nei tempi di una stessa Chiesa nonostante l’avvicendarsi delle
generazioni.
In certi posti del mondo, si vive la Chiesa
in spazi architettonici piuttosto risalenti nel tempo, ed anche antichi. E’ il
caso di Roma. Ma si tratta solo di artifizi. Per nostra buona sorte la nostra Chiesa
non è più quella stragista che costruì, tra il Cinquecento e il Seicento, la
basilica di San Pietro. Questa edificazione avvenne in epoca di veloci
cambiamenti ecclesiali, in particolare al tempo della Riforma protestante. Anzi,
la raccolta di fondi in Europa, fatta vendendo l’immaginario, vale a dire le indulgenze,
il passaporto per il Paradiso per i vivi e i morti rilasciato dal Papato romano,
fu tra le cause delle contestazioni, anche a risvolto teologico, che diedero
motivo alla Riforma.
Lo stesso può dirsi della teologia e del diritto
delle nostre Chiese: per quanto si cerchi di rimanere immersi in narrazioni del
passato, immaginando di stare trasmettendo di generazione in generazione un
certo deposito, intatto come lo si è ricevuto dalle origini, direttamente
dal Maestro e dai suoi apostoli, la realtà è molto diversa: nulla è rimasto
invariato e tutto ciò che è stato conservato lo è stato nella misura e
nelle forme che le generazioni avvicendatesi nei secoli hanno ritenuto utili
alla costruzione sociale.
Tutto ciò ci responsabilizza. Non esiste una
Chiesa che se ne va attraverso i secoli e alla quale si può, nella propria vita,
aderire o non, e se non si decide di
aderire rimane immutata. La nostra vita, anche quando decidiamo di non aderire,
cambia l’immagine della Chiesa in un certo momento, e non solo l’immagine, ma
anche la sua sostanza.
E il clero, con i vescovi e gli altri, la
gente che è ancora legata in ordini religiosi, i cardinali elettori che
mercoledì si riuniranno per decidere chi sarà i nuovo sovrano, non sono la Chiesa,
ma solo alcune sue espressioni, come lo sono tutte le altre formazioni sociali
che animano ciò che in un certo momento storico viene considerato Chiesa.
La successione
tra un Papa e un altro manifesta le dinamiche di mutamento che attraversano
i corpi ecclesiali, che la leggenda di continuità costruita intorno al Papa
regnante maschera. In un’ottica di fede ci si dovrebbe sentire impegnati a non
esserne solo spettatrici e spettatori, ma di essere consapevoli che esse
dipendono da tutti noi che ancora confidiamo nella fede cristiana. La Chiesa
non ci è esterna, ma è come la impersoniamo.
Nei giorni scorsi ha stupito la decisione
sacrilega del presidente statunitense Trump di diffondere una sua immagine, artefatta
mediante un algoritmo di intelligenza non umana, in costumi papali. In tal modo,
quello sberleffo a ciò che di più sacro viene (ancora) considerato nella Chiesa
cattolica, egli ha inciso sull’immagine e sulla sostanza della nostra Chiesa. Ai
posteri apparirà una Chiesa che poteva essere impunemente sbeffeggiata dal capo
di Stato di una nazione che fu costruita (anche) sulla fede religiosa.
Ma non è molto diverso il risultato di molti
di coloro che (come quel buontempone)
hanno partecipato nei giorni scorsi alle esequie del sovrano morto accalcandosi
per riprendere immagini con i telefoni cellulari, addirittura nei brevi istanti,
in cui, dopo ore di fila, sostavano per qualche secondo davanti al feretro
aperto. E anche durante il mesto trasporto della salma, attraverso il centro di
una Roma domenicale, verso la basilica di Santa Maria Maggiore: facevano impressione
tutte quelle braccia alzate a levare i telefoni cellulari per scattare
fotografie del corteo funebre. I posteri diranno che si era persa la
consuetudine con la preghiera, in certe occasioni in cui essa era particolarmente
indicata.
Tutti questi costumi discutibili sono un segno
dell’evolvere dei tempi, di generazione in generazione, e delle Chiese in essi.
Papa Francesco, secondo il costume dei gesuiti,
ci invitava sempre al discernimento, alla decisione personale tra il bene e il male esaminando ciò che accade e la nostra condotta in relazione
ad esso alla luce del vangelo.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli