L’agàpe di prossimità
Le relazioni di prossimità, nelle piccole
cerchie dove si svolgono i rapporti più profondi, sono quelle che impegnano più
tempo ed energia, ma che lasciano una traccia maggiore nella vita di una
persona.
La ragione è spiegata molto bene, sulla base
anche di osservazioni sistematiche, nel libro di Robin Dunbar, Amici.
Comprendere il potere delle nostre relazioni più importanti, Einaudi 2022,
disponibile anche in eBook e Kindle.
Mio zio Achille Ardigò, sociologo, definiva
quei gruppi mondi vitali, perché da essi si ricavava il senso dell’esistenza, vale a dire l’orientamento
fondamentale della persona. La qualità di queste relazioni è molto importante
per il benessere individuale in ogni età della vita, ma, in particolare, da più
giovani e da più anziani. Ma determina anche l’efficienza sociale per la cura
degli interessi collettivi. Anni fa, nel dare raccomandazioni in questa
materia, si indicava ad esempio la cura della gente per le strade e gli arredi
urbani del quartiere in cui abitava e si faceva l’esempio della fontana in una
piazza principale.
Una parrocchia come la nostra, intorno alla
quale gravitano circa quindicimila persone, è una realtà locale ma è composta
da una vasta trama di mondi vitali, che solamente in piccola parte hanno
una loro formalizzazione istituzionale, sono quindi organizzati con una
specifica struttura con definizione degli scopi e delle regole interne.
In genere la nostra vita sociale di mondo vitale si svolge in cerchie informali di una decina di persone o poco più. Di solito si tratta di gente della stessa fascia d’età, con le stesse esigenze vitali e gli stessi problemi. Difficilmente vi possono essere relazioni di mondo vitale al di fuori delle persone coetanee che non siano anche parenti prossime.
Tutte le relazioni al di fuori di quelle di mondo
vitale richiedono di essere
formalizzate in strutture narrative mitologiche, liturgiche e giuridiche e sono
meno intense: le persone si avvicinano le une alle altre solamente per un tempo
limitato e secondo procedure definite. Il caso di questo tipo che nella parrocchia è
maggiormente rilevante è quello della partecipazione alla messa domenicale. Le
messe dei giorni feriali tendono invece a radunare una cerchia di persona che
per certi aspetti assume caratteristiche di mondo vitale.
Quando
le persone si avvicinano le une alle altre aumentano le occasioni di contrasto.
Da un lato si ha bisogno delle altre persone per fare delle cose insieme,
dall’altro le dinamiche di gruppo non sempre assecondano ciò che le singole
persone vorrebbero e vorrebbero fare.
Spontaneamente si cerca di rimanere più
vicini alle persone più simili a noi. Più si è particolari nella propria vita e
nelle proprie esigenze più è difficile associarsi ad altre persone. Questo è
uno dei problemi più gravi nell’età anziana, nella quale la gente rischia più
facilmente di rimanere sola.
Nella vita comunitaria di fede spesso si
sottovalutano i problemi che possono sorgere in questo campo e, comunque, ci si concentra sulle occasioni formali, che richiedono meno
impegno personale.
Nei giorni passati abbiamo assistito al
convergere di decine di migliaia di persone negli eventi liturgici che sappiamo:
questa è una forma di partecipazione che richiede il minimo impegno personale
ed è anche poco produttiva di relazioni profonde. Ogni persona vi partecipa da
sé sola o in cerchie molto limitate. L’effetto complessivo è potente, ma illusorio. Non ne deriva una reale rafforzamento
delle relazioni comunitarie. L’ordinamento liturgico consente di disciplinare
la partecipazione di massa. La cosa ha un effetto politico ed equivale a
una procedura referendaria: manifesta il consenso verso un certo assetto di
potere. E tuttavia va considerato come un consenso debole, scarsamente
impegnativo. Un giorno ci si è, ma non è detto che poi si accetti di ritornarci. La narrazione
dell’ingresso a Gerusalemme, in mezzo all’acclamazione della folla, contenuta
nei quattro Vangeli canonici, rappresenta un evento simile.
Paradossalmente, può essere più facile,
disponendo delle risorse giuste, organizzare un grande evento che far funzionare una parrocchia in
modo che i suoi mondi vitali si
avvinino e collaborino intensificando relazioni amicali. Questo effetto è l’agàpe, la pace
solidale, sollecita e misericordiosa che è lo specifico sociale cristiano.
Non basta la liturgia, non bastano le altre
procedure formali. Occorre produrre un reale avvicinamento delle persone e dei loro mondi
vitali.
Spesso però avvicinarsi ad altre persone risulta intollerabile per vari motivi. Relazioni troppo estese e intense non
rientrano nelle nostre capacità cognitive, per limiti biologici insuperabili
dei quali spesso non si è ben consapevoli. Di solito ci si concentra sulle
relazioni con le persone delle quali si ha bisogno a seconda delle altre età
della vita. Quando ci si avvicina, sempre si incontrano maggiori difficoltà. Di solito,
nella maggior parte delle relazioni, anche di prossimità, ci si tiene a un
livello intermedio.
Nell’intenzionalità religiosa si vorrebbe
andare oltre, specialmente in certi momenti di trasporto emotivo, che
tipicamente si manifestano nelle fasi iniziali di una relazione, quelle che vengono
anche definite di stato nascente e che corrispondono, nelle relazioni
personali, all’innamoramento. Le leggende che in genere si costruiscono
sulle maggiori personalità religiose ci presentano virtù eccezionali in questo
campo, che in genere sono ampiamente sovrastimate e non narrate
realisticamente. Poi nella predicazione queste figure vengono portate ad
esempio, ma si tratta di un esempio inarrivabile, inimitabile. Così, in queste
cose si rimane sempre con un certo senso di frustrazione.
L’agàpe di prossimità richiede non tanto organizzatori,
come i grandi eventi, ma mediatori. Il mediatore aiuta a superare le tensioni che sempre
sorgono avvicinandosi.
All’interno di un gruppo la figura del mediatore
assume le caratteristiche della
persona animatrice: agevola l’avvicinamento e la collaborazione delle
persone. Ma è molto importante anche la funzione di mediazione tra i gruppi:
serve a farli uscire dall’autoreferenzialità, a familiarizzarli reciprocamente e
a farli collaborare. Una funzione di questo tipo è attribuita al Consiglio
pastorale parrocchiale, le cui funzioni dovrebbero andare molto oltre
quelle di consulente del parroco,
come in genere viene inteso. Una buona qualità del lavoro di quel Consiglio è essenziale per lo sviluppo dell’agàpe parrocchiale,
e, in particolare, per quel complesso di relazioni a cui si si riferisce
parlando di sinodalità, una pratica che raramente si osserva nelle
parrocchie e che invece si vorrebbe ora che caratterizzasse l’intera loro vita,
coinvolgendo tutti i fedeli che vi gravitano intorno.
A parte certe caratteristiche personali che
ogni persona può manifestare e che segnalano una particolare inclinazione alla
funzione di mediazione, le capacità di
mediazione richiedono una specifica formazione, che si fa in primo luogo come
tirocinio, provando e riprovando in pratica e cercando di saperne di più informandosi, sforzandosi
di andare oltre i propri limiti. Purtroppo la formazione in questo livello, che
è un grado ulteriore rispetto a quella di base e anche a quella di secondo
livello, raramente si fa nelle parrocchie e soprattutto, quand’anche si fa, di
solito rimane a livello teorico, senza possibilità di reali tirocini.
In genere i preti svolgono anche attività
di mediazione, ma sono pochi e hanno
poco tempo residuo dalle attività ordinarie liturgiche e assistenziali. Ma
sembrano preferire fare da sé: giovani e anziani che sino sono poco abituati a far
spazio ad altre persone e spesso ne diffidano.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.