Libertà
Definiamo libertà la
condizione nella quale una persona o un
gruppo possono decidere tra varie alternative di pensiero e d’azione senza
dover subire totalmente imposizioni di altre persone o gruppi o di un certo
ordine sociale in cui sono inclusi.
Gli esseri umani sono
viventi sociali: le alternative di pensiero e d’azione tra le quali ritengono di
dover scegliere sono sempre socialmente definite. Questo le rende plausibili.
Non è quindi realistico pensare a una libertà assoluta. La libertà è
sempre relativa e precisamente relativa
ad un certo contesto sociale.
Gli esseri umani sono
organismi: le facoltà decisionali dipendono dalle loro dinamiche mentali e
queste ultime sono un prodotto fisiologico che si genera prima che se ne sia coscienti ed in modo
inconsapevole. La persona non è mai libera rispetto a questa fisiologia.
La libertà degli esseri
umani è, infine, limitata dalla natura in cui sono immersi e dal grado di dominio
che su di essa riescono ad ottenere, che ai tempi nostri è molto maggiore che
nell’antichità ma comunque non assoluta.
Non è mai realmente
esistita e non esiste una persona che sia libera da quei condizionamenti. Una
condizione di libertà assoluta può quindi essere soltanto immaginata. Sono
possibili solo vari gradi di
libertà, a seconda dei contesti sociali.
Quando si sostiene
che l’essere umano è stato creato libero, intendendo una libertà assoluta, si propone una condizione solo immaginaria. Di
questo occorre essere sempre consapevoli, come anche del fatto che, nelle
spiegazioni, può essere utile far riferimento a condizioni immaginarie per semplificarle.
Nei ragionamenti filosofici, teologici e giuridici vi si ricorre spesso.
Nella narrazione
biblica del mito di Adamo ed Eva, queste due prime persone, immaginate
come progenitrici della successiva umanità, ci sono presentate come già
inserite in un ordine sociale in un tempo precedente ad ogni contesto sociale
diverso da quello interpersonale a tu per tu. Una stranezza, che però non viene
avvertita come tale, proprio perché la nostra esperienza è appunto sempre quella
di una condizione di libertà relativa.
Nel Settecento, lo scrittore
inglese Daniel Defoe [dəˈfoʊ/ si legge: de-FOU], nel romanzo Robinson Crusoe [kruːsoʊ =CRÙ-so], immaginò la vita di un naufrago su un’isola deserta per ventotto anni, gli ultimi quattro vissuti con un uomo indigeno da lui salvato
dai cannibali e chiamato “Venerdì”. Secondo Defoe, un uomo in quella condizione
avrebbe continuato a determinarsi secondo l’ordine sociale della civiltà di
appartenenza, nonostante la solitudine. L’ordine sociale è profondamente interiorizzato
nella nostra psiche di viventi sociali. Solo
nella vita sociale può realmente cambiare, come accadde a Marco Polo quando,
nel Duecento, si recò in Cina, in un mondo in cui le civiltà non erano
globalizzate come ai tempi nostri.
Cambiando il contesto ambientale e sociale
cambiano le condizioni sociali di libertà. Questo accade nello sviluppo storico
delle civiltà, ma anche passando da un sistema sociale di plausibilità ad un altro
spostandosi da una regione all’altra del pianeta.
Nei sistemi politici
altamente evoluti del mondo contemporaneo le condizioni di libertà sono definite
anche da un complesso sistema normativo formale, con atti normativi pubblici e privati deliberati secondo procedure legali, indispensabile per mantenere una cooperazione
sociale che consenta di sostenere la vita di un’umanità divenuta numerosa come mai prima d’ora. Tuttavia la plausibilità sociale di gran parte delle alternative
di fronte alle quali si trovano gli esseri umani dipendono ancora da consuetudini
e rapporti di forza informali.
Nella predicazione
cattolica contemporanea, ma in fondo in quella di tutti i tempi fin dai primi
sviluppi comunitari dei cristianesimi, la libertà è presentata come un problema,
in particolare come la fonte del peccato.
Questo si è accentuato
particolarmente nell’età moderna, dal Cinquecento europeo, quando, con gli sviluppi
di civiltà cominciarono ad affermarsi come socialmente plausibili alternative diverse
dal passato e corrispondenti ai nuovi modi di convivenza. La gerarchia
cattolica, che dal Dodicesimo secolo, si era sempre più accentrata su un
modello di Papato imperiale assolustico, vi reagì molto violentemente.
Dal Seicento si andò
affermando socialmente, tra le popolazioni europee, uno stile di vita secondo
il quale le persone reclamavano spazi di libertà più ampi, in particolare
quanto ai propri beni, al loro lavoro, al pensiero e alla sua espressione e all’associarsi
per i fini più diversi, e in particolare, per partecipare al governo pubblico. Questo
portò a contestare l’organizzazione dei sistemi politici ricevuti dalla
tradizione passata e che escludevano o limitavano fortemente quelle libertà. Tra
di essi vi era quello della gerarchia ecclesiastica cattolica. Questi sistemi
politici tradizionali erano stati sacralizzati secondo il sistema
mitologico cristiano. Sacralizzato significa che qualcuno o qualcosa viene
presentato come voluto da un dio, quindi intangibile al massimo grado. Queste
nuove pretese di libertà vennero quindi combattute come sacrileghe, aprendo così
un problema anche religioso.
La nuova condizione
di libertà che si venne affermando e che, progressivamente, da metà Ottocento venne reclamata da strati sempre più estesi di
popolazione, venne anche definita, quanto all’aspetto della persona, come libertà
di coscienza, che si ritiene strettamente connessa con la dignità
sociale della persona.
Nel 1864, con l’enciclica
Con quanta cura - Quanta cura del
papa Pio 9°, la libertà di coscienza venne condannata; con la Dichiarazione Della
dignità umana – Dignitatis humanae del 1965, solo un secolo dopo, venne
invece riconosciuta. Questo a conferma
che gli ordinamenti di plausibilità sociale evolvono con l’evolvere delle
civiltà di riferimento e che questo accade anche nelle religioni, e anche nella nostra Chiesa, nonostante le
pretese di eternità di certi sistemi
valoriali.
Il dibattito in corso
sulla sinodalità ecclesiale, vista come un principio di riforma
ecclesiale basata sul riconoscimento della dignità delle persone di fede e non
solo come un metodo di procedura decisionale, riguarda anche questi problemi.
Se guardiamo al
contesto evangelico e, in particolare al ministero pubblico del Maestro, ci
accorgiamo facilmente che esso era connotato da un certo blando anarchismo,
rispetto all’ordine sociale del giudaismo all’epoca corrente, ma in fondo anche
rispetto al potere imperiale imposto dagli occupanti romani. Questa
condizione è stata sempre storicamente rivendicata da molti riformatori religiosi cristiani rispetto alle
gerarchie ecclesiastiche, e anche, ad esempio, dai movimenti politici di cristianesimo
democratico rispetto agli ordinamenti sociali che intendevano riformare.
Nella vita pubblica
delle democrazie occidentali evolute si cerca di rendere il tema delle libertà
materia di un dibattito pubblico improntato a criteri di egualitarismo e ragionevolezza, quindi riconoscendo alle
persone quella condizione di dignità sociale che corrisponde alle idee
affermatesi nella modernità europea. Nella nostra Chiesa questo è ammesso in
limiti angusti, posto che si ritiene che, alla fine, debba prevalere il
criterio di selezione dell’autorità gerarchica. Di fatto questa pretesa è ampiamente
disattesa dalle popolazioni di fede europee, che, sui vari dilemmi morali
e politici che si presentano, si determinano secondo coscienza. La teologia
morale, del tutto ragionevolmente, pone l’esigenza che quest’ultima sia sufficientemente
informata. Purtroppo le tecniche di condizionamento sociale delle masse,
che, originate nel marketing, per orientare i consumatori, da una decina
d’anni sono sempre più impiegate nella
propaganda politica, vanno contro questa esigenza. Costituiscono quindi limitazioni
alla libertà sociale delle quali spesso si rimane inconsapevoli, perché
agiscono sulla mente al di sotto del livello di consapevolezza. Si parla allora
di persuasori occulti.
La libertà di coscienza
richiede, quindi, di essere esercitata non nel chiuso del proprio sé personale
ma in un ambito dialogico, cercando di chiarirsi realisticamente le situazioni
e di prospettare il senso e i pro e i contro delle alternative plausibili. Questo
è, ad esempio, il modo di procedere nei processi giudiziari. Ma è anche quello
che viene proposto, da parte dei cristiani democratici, per la sinodalità
ecclesiale.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma,
Monte Sacro - Valli