Storia della nostra parrocchia e prospettive dello sviluppo di una sinodalità parrocchiale
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1. La nostra parrocchia, San Clemente papa ai Prati Fiscali, in viale Val Padana, fu istituita con decreto del Vescovo Cardinal Vicario nel 1956; due anni dopo la mia famiglia, con me bambino, arrivò a Roma, proveniente da Bologna, e nel 1959 andò ad abitare nella zona urbanistica delle Valli, in via Val di Lanzo, a due passi dal complesso parrocchiale.
Siamo una parte del più vasto quartiere Monte Sacro, edificato negli scorsi anni ’20 nella zona Nord Est di Roma, sulle rive del fiume Aniene, un affluente del Tevere. Il nostro abitato, Le Valli, risale però agli anni ’50. All’origine vi si insediarono prevalentemente famiglie di impiegati pubblici e di militari. Successivamente la composizione sociale si fece più varia. L’edilizia è fatta di grandi palazzi con molti appartamenti. La tipologia di questi ultimi ha richiamato in zona famiglie di quello che sociologicamente viene individuato come ceto medio. Fino al primo decennio del nuovo millennio la popolazione è progressivamente invecchiata, quindi con una forte presenza di ultrasessantenni nel quartiere. Successivamente, in particolare nell’ultimo decennio, hanno iniziato a stabilirvisi nuovamente molte famiglie nuove, fatte di persone giovani con figli piccoli.
La parrocchia è stata istituita, dal punto di vista del diritto canonico (il diritto della Chiesa cattolica) e del diritto ecclesiastico (il diritto pubblico italiano che disciplina la rilevanza per l’ordinamento della Repubblica Italiana di atti, enti, persone ecclesiastici), come ente ecclesiastico territoriale (esercita poteri e altre funzioni riguardo a una popolazione stanziata su un territorio esattamente delimitato); la comunità che la costituisce comprende gran parte del quartiere delle Valli, fino a piazza Conca d’Oro. Confina con le parrocchie degli Angeli Custodi, del Redentore, di San Frumenzio e della Santissima Trinità a Villa Chigi. Dal punto di vista dell’organizzazione ecclesiastica della Diocesi di Roma, è inserita nel settore Nord, affidato al vescovo ausiliare Daniele Salera, e nella 9° Prefettura. Il nostro vescovo è il Papa, ma storicamente ha avuto la collaborazione di un cardinale Vicario generale, ruolo che attualmente è ancora vacante, dopo l’improvviso trasferimento ad altro incarico del cardinal Angelo De Donatis.
Dai dati dell’ultimo censimento, le Valli sono abitate complessivamente da circa ventimila persone, buona parte delle quali rientrano nella nostra comunità parrocchiale. Di queste, stando alle statistiche in tema, un buon 80% dovrebbe potersi annoverare tra i fedeli, intesi come le persone che, all’occorrenza, fanno riferimento alla religiosità secondo le consuetudini cattoliche. Tenendo conto che, in realtà, anche la gente che abita nei primi edifici oltre piazza Conca d’Oro, prossimi alla piazza, gravita intorno alla nostra parrocchia per ragioni di comodità, anche se territorialmente fa parte della comunità parrocchiale degli Angeli Custodi, possiamo stimare in circa quindicimila le persone che gravitano intorno alla nostra comunità parrocchiale.
In base alla statistica ISTAT più recente dei praticanti (persone che vanno in chiesa almeno una volta alla settimana) che li dà al 17,5% della popolazione residente nel Lazio, nei quartieri di periferia, quella quota di popolazione dovrebbe stimarsi per il territorio parrocchiale in circa 3.500 persone, ma non è detto che tutte vengano a messa nella nostra parrocchia, anzi certamente non è così perché la frequenza regolare alle messe domenicali della parrocchia è più bassa. La chiesa parrocchiale può contenere al massimo, credo, circa 400 persone, le messe domenicali al completo sono tre, in altre due stimo la presenza della metà, dunque fa nel complesso circa 1.600 praticanti, circa la metà di quelli teorici in base alla media attribuita ad una parrocchia di periferia del Lazio. Di questo gruppo, i praticanti rafforzati, vale a dire le persone che partecipano realmente alla comunità parrocchiale, oltre a frequentarne la liturgia sono approssimativamente cinquecento, stimate in base alla consistenza dei gruppi istituiti nella parrocchia, anche come articolazioni locali di associazioni e movimenti. Infatti nella nostra parrocchia si partecipa essenzialmente in quel modo, mancando, come in genere nelle altre parrocchie, di una specifica organizzazione sinodale parrocchiale. Va detto però che le circa 250 persone che frequentano la parrocchia come aderenti a comunità del Cammino neocatecumenale mi sembrano in genere molto prese dagli impegni religiosi e sociali di quel movimento, anche con proprie messe e un proprio processo formativo e in quelle occasioni stanno tra loro.
Ai quattro incontri promossi nella primavera del 2022 nella fase di ascolto nel quadro dei processi sinodali ordinati dal Papa per le Chiese in Italia e per la Chiesa universale nell’autunno dell’anno precedente ha partecipato al massimo una cinquantina di persone, preti compresi, nei primi due. Negli altri la presenza si è ridotta a circa la metà.
Infine, i servizi parrocchiali sono resi da una cinquantina di persone, preti compresi.
I servizi comprendono anche il catechismo per la prima Comunione per circa duecento bambini, poi quello per la Cresima (circa settanta ragazzi) e la formazione per il post Cresima (circa una trentina di ragazzi), dopo la quale i più abbandonano.
Nell’ecclesiologia corrente, la comunità parrocchiale (tutta), immaginata sulla base dei principi del Concilio Vaticano 2º secondo un modello circolare e non piramidale con al vertice il parroco, dovrebbe cooperare nelle funzioni della liturgia, della formazione, della evangelizzazione e dell’azione sociale secondo le indicazioni della dottrina sociale, in spirito sinodale.
La maggioranza dei praticanti rafforzati però frequenta solo il proprio gruppo e non si è dimostrata disponibile alla sinodalità parrocchiale.
In definitiva, la cerchia comunitaria parrocchiale, che comprende le persone di riferimento che ci si aspetta di incontrare andando in chiesa, perché vedendole le si riconosce e le si associa alla parrocchia, è composta da circa una settantina di persone.
I servizi forniti nella parrocchia sono quelli liturgici, in particolare la celebrazione delle messe e degli altri sacramenti, la formazione di base per i sacramenti, una formazione di secondo livello per i ragazzi del post-cresima, l’assistenza spirituale per i malati allettati, il cosiddetto segretariato sociale per l’ascolto e l’aiuto per le persone in difficoltà, compreso quello materiale e continuativo a qualche decina di famiglie, la messa a disposizione dei locali del vasto complesso parrocchiale per le attività dei gruppi.
La partecipazione ai servizi da parte della gente libera da particolari vincoli ecclesiastici di stato viene intesa essenzialmente come ausilio al lavoro dei preti, ed è quindi priva di qualsiasi autonomia. La parrocchia, in definitiva, è ancora oggettivamente una clericocrazia egemonizzata dal parroco.
Il primo parroco, dall’istituzione, fu don Vincenzo Pezzella: lo rimase per ventisette anni. Dalla metà degli anni ’60 e fino alla fine degli anni ’70 la parrocchia ebbe il suo massimo rigoglio nel quartiere, in particolare con un numeroso gruppo-giovani animato dal vice parroco don Franco De Donno: a quel tempo mia madre, quando studiò catechetica nella vicina Università dei Salesiani, promosse e animò l’esperienza laicale delle mamme catechiste. Don Vincenzo la esonerò bruscamente alla fine degli anni ’70, per dissensi sulla sua metodologia di insegnamento appresa dai salesiani. In particolare sembra che la sua classe di catechismo facesse troppo rumore. Mia madre allora abbandonò gli studi dandosi prevalentemente alla spiritualità mariana. Nel 1983 ci venne inviato come parroco don Carlo Quieti, il quale, formatosi nelle comunità del Cammino Neocatecumenale, introdusse da noi quell’esperienza, fino ad aggregare dieci comunità, richiamando fedeli anche da altre zone della città. Don Carlo rimase tra noi trentadue anni. Nell’ultimo decennio del suo servizio, dovemmo fronteggiare una qualche disaffezione del quartiere verso la parrocchia, per un certo fondamentalismo che sembrava talvolta permearne gli orientamenti. Nell’ottobre 2015 ci venne inviato l’attuale parroco, don Remo Chiavarini, con un incarico molto preciso del vescovo, quello di indurre una rigenerazione della nostra parrocchia, recuperandone una dimensione maggiormente pluralistica, e di migliorare le relazioni vive con la gente del quartiere. Per questo lavoro gli vennero assegnati nove anni, secondo l’attuale disciplina della durata del ministero di parroco, che scadranno nel prossimo ottobre. La missione mi pare essere stata compiuta. Iniziò il suo servizio predicando che dovevamo cercare di volerci bene ed effettivamente ora mi pare diventata questa la realtà, senza rinunciare a nessuno.
Per molti anni il Consiglio pastorale parrocchiale, la cui istituzione è facoltativa per il Codice di diritto canonico ma obbligatoria a Roma fin dal decreto del Cardinal Vicario Ruini del 1994 non si era più riunito, anche per il clima talvolta non sereno che lo connotava,
Quest’anno, anche per corrispondere ai processi sinodali in corso, ha ripreso a riunirsi, ma, per quanto ne so, senza essere preceduto dalle procedure formali previste dal nuovo Statuto dato da papa Francesco nell’ottobre 2023 nel quadro di una riforma complessiva e pervasiva della struttura della Diocesi. In particolare non si è proceduto all’elezione, da parte dell’Assemblea parrocchiale, di cinque suoi membri (in totale i membri dovrebbero essere circa ventiquattro). Mi pare che sia stata invitata a parteciparvi gente che era già impegnata nei servizi parrocchiali. Per quanto ne ho saputo informalmente (non mi pare che sia stato programmato di informare la comunità parrocchiale delle attività di questo organismo), il clima nel nuovo Consiglio è stato buono e il lavoro svolto produttivo.
2. Sviluppo di una cultura sinodale in parrocchia.
La cerchia comunitaria parrocchiale, composta di una settantina di persone, è troppo piccola perché vi emergano processi propriamente sinodali, e tantomeno democratici.
L’altra gente si manifesta piuttosto clericodipendente e la gran parte sembra soddisfatta di una religiosità basata sulle liturgie celebrate dal clero e sulla spiritualità personale, praticata individualmente o nel gruppo di riferimento.
La parrocchia è governata dall’assolutismo del parroco, ma esso non viene realmente messo in discussione nella cerchia comunitaria, caratterizzata da relazioni di riconoscimento reciproco di tipo amicale, composta da una settantina di persone che realmente partecipano alla vita sociale parrocchiale, in particolare collaborando ai servizi. I problemi vengono risolti intendendosi personalmente sulla base di lunga consuetudine e stima reciproche. con metodi informali nei quali l’ultima parola viene riconosciuta al parroco, non solo sulla base dell’investitura formale, ma anche dell’affidabilità personale che gli viene riconosciuta per dottrina, cultura, competenza manageriale e moralità. Il parroco, da parte sua, esercita il suo ruolo in modo saggio, evitando brusche prevaricazioni e cercando il dialogo piuttosto che il conflitto.
L’altra parte della popolazione parrocchiale ha relazioni troppo labili con la parrocchia, e soprattutto estremamente dipendenti dai riti celebrati dai preti, per poter essere partecipe di processi propriamente sinodali.
La sinodalità, che è una forma di composizione dialogico-sacrale del pluralismo, è ora immaginata come una forma di cooperazione responsabile nel servizio ecclesiastico che escluda il conflitto (come per la verità non è storicamente mai veramente stata), sulla base di una concezione organicista della società e del suo ordinamento ricondotta alla teologia trinitaria. Come tale può essere realmente praticata solo in piccoli gruppi di mondo vitale molto coesi, nei quali però esista un reale pluralismo, e caratterizzati dalla possibilità di riconoscimento faccia a faccia: la cerchia delle 150 persone “amiche” secondo gli studi dell’antropologo inglese Robin Dunbar. Applicarla alle quindicimila o anche solo alle cinquecento che sostanzialmente sono estranee l’una all’altra, al di fuori dei gruppi di riferimento mi pare, oggi, irrealistico. E in gruppi molto più piccoli, la cerchia dei settanta, in cui si va già d’accordo, in cui insomma non si manifesta il pluralismo, mi pare superflua. Oggi i problemi che sorgerebbero dal manifestarsi del pluralismo vengono risolti o non suscitandomi o migrando verso altre parrocchie, la cosiddetta democrazia in cui si vota con i piedi.
Sarebbe possibile però lavorare per suscitare, estendere e radicare una reale sinodalità in cerchie più vaste?
È possibile pensarci, tenendo anche conto che l’attuale situazione della parrocchia, comune a molte altre a Roma, non le consente, in particolare, l’evangelizzazione al di fuori delle cerchie delle persone già evangelizzate. Per la verità non si riesce neppure a trattenere le persone giovani che formiamo per i sacramenti e nel post-Cresima. Questo è un problema molto serio, per risolvere il quale il Papa ha immaginato una Chiesa in uscita, cosa che attualmente non è realizzabile nella nostra parrocchia, per mancanza di forze. Bisognerebbe essere molti di più a cooperare.
Manca qualcosa, e per questo penso che per molte persone la nostra fede religiosa sia diventate inutile, e comunque i più non sentono la necessità di approfondirla entrando nella cerchia comunitaria parrocchiale.
L’evangelizzazione, specialmente come la si intende dagli scorsi anni Settanta quindi strettamente legata alla costruzione e allo sviluppo di una cerchia comunitaria, richiede di confrontarsi con i fatti sociali, sviluppando una specifica cultura. Non può farsi solo sulla base della storia sacra e dei riti.
Tuttavia sono insufficienti le forze e la nostra preparazione.
I vescovi italiani dal 2005 si lamentano della progressiva insignificanza del cattolicesimo in società. (nonostante l’ancora significativa capacità di influenza politica della gerarchia ecclesiastica, a cominciare dal Papato).
Le persone della parrocchia libere da particolari vincoli ecclesiastici di stato o non hanno avuto una formazione sufficiente o non sono più abituate a condividerla. E comunque manca un’organizzazione parrocchiale dove si possa farlo.
Uno sviluppo sinodale mi pare destinato al fallimento, se prima non si riabituano le persone di fede al pensiero sociale cristiano, quindi a pensare la società, della quale anche la parrocchia è espressione. Da qui si può partire, per un processo di lungo respiro. Si era cominciato qualche anno fa coinvolgendo gli operatori dell’organizzazione Immischiati! I quali tennero in parrocchia alcuni incontri sulla dottrina sociale veramente molto interessanti, anche con la proiezione di brani cinematografici. Però poi non si proseguì.
Il pensiero sociale cristiano comprende la dottrina sociale, considerata parte della teologia morale, ma la dottrina sociale non l’esaurisce, anzi vi è sempre stata tra il primo e la seconda una dialettica, che di quando in quando ha assunto anche toni drammatici fondamentalmente per le pretese della teologia, e che tuttavia, con riferimento al processo di costruzione della democrazia dell’Unione Europea, in cui i cattolici ebbero un ruolo importantissimo, si rivelò particolarmente feconda.
Il punto di partenza, dunque, potrebbe essere un laboratorio parrocchiale di pensiero sociale cristiano, non limitato alla dottrina sociale, cercando di conseguire una consapevolezza realistica della propria condizione personale all’interno della società religiosa e di quella civile, quindi formando una personale coscienza sociale. Ciò richiede di conoscere la storia, che assolutamente non fa parte dei programmi di formazione religiosa per i più, nei quali si parla in genere solo di pillole di storia sacra, alla quale si cerca di agganciare, in genere in modo non particolarmente efficace, la precettistica etica. È stato scritto che lo studio della storia è vivaio di riforma sociale e lo è perché contribuisce allo sviluppo di una coscienza sociale.
La coscienza sociale, che sarebbe inevitabilmente diversa nei vari strati di popolazione parrocchiale a secondo della condizione sociale delle persone, farebbe emergere il pluralismo e si comincerebbe ad avvertire la necessità di comporlo.
Attualmente, oltre alla liturgia corrente e alla formazione ricevuta nell’infanzia e adolescenza (di solito completamente svincolata dal corso degli studi scolastici), la religiosità delle persone si basa molto, mi pare, sullo spiritismo devozionale, in particolare quello basato su persone, santuari, luoghi e pratiche miracolanti. Una formazione e una autoformazione (mediante tirocini) continuative in materia di pensiero sociale cristiano potrebbe arricchire la formazione delle persone, rendendole capaci di corresponsabilità reale nell’azione di evangelizzazione, anche in ruoli nella comunità parrocchiale.
Concretamente, questo processo può essere avviato sulla base della facoltà riconosciuta al Consiglio pastorale parrocchiale dal nuovo Statuto romano del 2023 di costituire commissioni tematiche permanenti, con la partecipazione anche di persone diverse dai consiglieri.
Una commissione permanente per il tirocinio per l’assimilazione e lo sviluppo del pensiero sociale cristiano potrebbe programmare e organizzare gruppi parrocchiali per cercare di coinvolgere le persone in quest’attività, tenendo conto delle fasce d’età e del livello di istruzione di partenza. In questi gruppi si potrebbe anche iniziare a fare tirocinio di procedure sinodali, a partire dal metodo della conversazione spirituale, il quale sembra aver dato buoni risultati nel corso dei cammini sinodali che nel prossimo ottobre sfoceranno nella seconda sessione dell’Assemblea generale del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità.
Mario Ardigó- Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli