Cattolicesimo democratico – 6
Il patto democratico
Dal Duecento in Europa iniziarono a svilupparsi istituzioni universitarie. Le idee correnti nella nostra Chiesa su come organizzare i regimi politici risalgono a quell’epoca, nella quale quel tema fu affrontato ragionando sugli scritti degli antichi filosofi greci Platone (vissuto tra il Quinto e il Quarto secolo dell’era antica) e Aristotele (vissuto nel Quarto secolo dell’era antica e formatosi nella scuola fondata in Atene dal primo, l’Accademia).
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Da ricerche effettuate mediante ChatGPT di OpenAi il 18AG24. Il testo che segue è però una mia rielaborazione di sintesi.
[Nota : ho effettuato verifiche dell’attendibilità delle risposte generate dall’AI (artificial intelligence- intelligenza artificiale) quando non mi convincevano. I testi tra parentesi quadre nelle risposte dell’AI di seguito trascritte corrispondono a mie correzioni. OpenAI avverte che l’argoritmo generativo di AI può generare risposte sbagliate e invita a verificare le informazioni importanti]
**Origine del termine "democrazia"**: Il termine "democrazia" deriva dal greco antico *dēmokratía*, che significa "governo del popolo". L'etimologia è (*dêmos* = popolo e *kratos* = potere o governo).
Il termine era utilizzato già nel [6º] secolo a.C. nei contesti ateniesi, soprattutto in seguito alle riforme dell’ateniese Clistène [565-492 dell’era antica] politico e riformatore. Esse furono attuate intorno al 508-507 dell’era antica e gettarono le basi per il sistema democratico ateniese.
Erodoto (484-425 dell’era antica), uno storico greco, descrisse le varie forme di governo, tra cui la democrazia, nel suo resoconto delle guerre persiane, illustrando la distinzione tra monarchia, oligarchia e democrazia. Il titolo dell’opera è **"Storie"** (in greco antico: *Historíai*). Quest'opera è anche conosciuta come **"Le Storie di Erodoto"** o semplicemente **"Le Storie"**. Si tratta di un resoconto storico suddiviso in nove libri, nei quali Erodoto descrive, tra le altre cose, le guerre persiane, così come le usanze e le culture dei vari popoli del mondo antico. Le "guerre persiane" narrate da Erodoto nell'opera "Storie" furono combattute tra le **città-stato greche** (principalmente Atene e Sparta) e l'**Impero persiano** sotto il regno dei re Dario I e suo figlio Serse I.
Questi conflitti, che si svolsero nel V secolo a.C., comprendono due grandi invasioni persiane della Grecia:
1. **Prima guerra persiana (490 a.C.)**: Questa campagna culminò nella famosa **Battaglia di Maratona**, dove le forze ateniesi sconfissero l'esercito persiano di Dario I.
2. **Seconda guerra persiana (480-479 a.C.)**: In questa fase, Serse I guidò una grande invasione della Grecia, che incluse la celebre **Battaglia delle Termopili** e la successiva **Battaglia di Salamina**, dove la flotta greca sconfisse quella persiana. La guerra si concluse con la **Battaglia di Platea** nel 479 a.C., che segnò la definitiva sconfitta dell'esercito persiano.
Questi eventi furono decisivi per la preservazione dell'indipendenza delle città-stato greche e la fine delle ambizioni persiane di espandere il loro impero verso ovest.
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Aristotele diffidava della democrazia, intesa come governo della massa, per la concreta possibilità che quest’ultima cadesse preda di agitatori sociali che facevano leva sull’emotività e sull’avidità della folla. Riteneva tuttavia che decidendo ordinatamente in molti si potessero superare i limiti individuali. Definiva politèia un regime politico di questo tipo.
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Nel pensiero di Aristotele, il termine **"politeia"** ha un significato complesso e multifacetico (il termine **"multifacetico"** descrive qualcosa che ha molteplici aspetti, sfaccettature o caratteristiche. Si usa per indicare un'entità, una persona o un concetto che può essere compreso o interpretato da diverse prospettive, ognuna delle quali rivela un lato differente della sua natura complessa e articolata). Esso può essere tradotto come "costituzione" o "forma di governo", ma racchiude in sé una serie di concetti riguardanti la struttura politica e la distribuzione del potere all'interno di una città-stato (pòlis).
Non indica solo la forma di governo, ma anche l'ordine politico e sociale che regola la vita della comunità. Nella sua opera *Politica*, Aristotele distingue tra varie forme di governo, classificate secondo il numero di governanti e il loro orientamento verso il bene comune o l'interesse personale.
La **politeia** specificamente è descritta come una forma di governo "mista" che combina elementi di democrazia e oligarchia, dove il potere è detenuto da una larga parte della popolazione (spesso i cittadini che possiedono armi e quindi sono in grado di difendere la polis). Questo sistema cerca di bilanciare l'interesse della maggioranza con il rispetto per la legge e la giustizia, cercando il bene comune piuttosto che l'interesse di una singola classe sociale.
In sintesi, la politeia di Aristotele rappresenta una costituzione equilibrata che punta a evitare gli eccessi sia della democrazia estrema sia dell'oligarchia, promuovendo invece la stabilità e la giustizia all'interno della comunità politica.
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Il pensiero di Platone è invece marcatamente antidemocratico, ritenendo egli preferibile un regime politico diretto da sapienti nel quale ogni persona fosse tenuta ad obbedire ad un capo, in ogni cosa.
Fino al Quattrocento il pensiero politico prevalente nella nostra Chiesa nel Secondo Millennio fu quello ispirato ad Aristotele, con lo sviluppo di procedure di decisione sinodale, in particolare nelle assemblee denominate concili. Dal Cinquecento si seguì l’orientamento di Platone, con una progressiva e sempre più intensa rivendicazione dell’assolutismo papale, culminata nel Concilio Vaticano 1º (1869-1870), sospeso a causa dell’invasione militare e della soppressione dello Stato Pontificio da parte degli italiani del nuovo Regno D’Italia, istituito nel 1861 sotto la dinastia sovrana dei Savoia, e mai più ripreso. Con il Concilio Vaticano 2º (1962-1965) ci si staccò dal pensiero politico dei due antichi filosofi greci, confrontandosi con il pensiero politico democratico contemporaneo, profondamente diverso.
Tuttavia il moto di riforma che si intese avviare negli anni Sessanta non ha ancora portato ad una modifica del regime politico della nostra struttura ecclesiastica, che rimane una monarchia assoluta con residui di impronta feudale, risalenti all’ordinamento ecclesiastico degli ultimi tre secoli del Primo millennio.
Attualmente l’ideologia politica che è stata proposta come base della riforma sinodale della nostra Chiesa è tratta dal pensiero di Aristotele relativo alla politéia, adattato alle esigenze del governo ecclesiastico prospettando una struttura di governo nella quale su alcune decisioni si devono poter pronunciare tutti, altre competono ad alcuni competenti, ma poi l’assenso finale alle decisioni viene dato da uno, tenendo conto degli orientamenti emersi nella consultazione di tutti e del parere espresso dai competenti. L’uno è il Papa, il cui potere rimarrebbe assoluto, com’è ancor oggi, ma anche il vescovo diocesano, il cui potere è coordinato con quello del Papa secondo il modello feudale (ampia autonomia, che però è subordinata alla decisione discrezionale e insindacabile del Papa e non può essere messa in discussione da istituzioni espressione dei governati).
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La teoria politica che si basa sul principio di distribuire le decisioni tra "tutti", "alcuni" e "uno" è radicata nella **dottrina del governo misto**. Questo concetto risale ad Aristotele e altri pensatori come Polibio e successivamente Montesquieu. Nel pensiero aristotelico, una costituzione mista o *politeia* è vista come una combinazione equilibrata di monarchia (governo di uno), aristocrazia (governo di pochi) e democrazia (governo di molti o di tutti). L'idea è che ogni elemento contrasti i difetti degli altri, producendo un sistema di governo più stabile e giusto.
Aristotele credeva che la migliore costituzione fosse quella che bilanciava i poteri tra queste diverse forze, evitando così gli estremi della tirannia, dell'oligarchia o della demagogia. Questa teoria è stata ulteriormente sviluppata da Montesquieu, che l'ha applicata al concetto di separazione dei poteri, influenzando profondamente la struttura delle moderne democrazie, come nel caso della Costituzione degli Stati Uniti.
Aristotele espone il concetto di governo misto, o *politeia*, nella sua opera **"Politica"**. In particolare, nei libri III e IV, Aristotele discute le diverse forme di governo, analizzando i vantaggi e gli svantaggi di ciascuna, e propone la *politeia* come una costituzione ideale che combina elementi di democrazia e oligarchia, cercando di bilanciare l'autorità tra "tutti", "alcuni" e "uno" per promuovere il bene comune e la stabilità politica.
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Dal documento conclusivo della prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (4-29 ottobre 2023) “Una Chiesa sinodale in missione”:
XVI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI Prima Sessione
(4-29 ottobre 2023)
UNA CHIESA SINODALE IN MISSIONE
Parte 2º, Paragrafo 12, lett. c) Il Vescovo ha un ruolo insostituibile nell’avviare e animare il processo sinodale nella Chiesa locale, promuovendo la circolarità tra “tutti, alcuni e uno”. Il ministero episcopale (l’uno) valorizza la partecipazione di “tutti” i fedeli, grazie all’apporto di “alcuni” più direttamente coinvolti in processi di discernimento e di decisione (organismi di partecipazione e di governo). La convinzione con cui il Vescovo assume la prospettiva sinodale e lo stile con cui esercita l’autorità influenzano in modo determinante la partecipazione di preti e diaconi, laici e laiche, consacrate e consacrati. Per tutti, il Vescovo è chiamato a essere esempio di sinodalità.
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Le riflessioni politiche dei filosofi Platone e Aristotele, ma specialmente quella del secondo, si basarono sull’osservazione delle vivaci dinamiche dei regimi politici delle città stato greche dopo l’instaurazione di regimi democratici.
Nel corso del Quarto secolo dell’era antica, quelle città stato caddero nell’egemonia dei Macedoni, al tempo del re Filippo II, padre di Alessandro Magno, sotto il cui vastissimo impero emerse la cultura ellenistica, espressa nel greco antico, i cui influssi erano ancora significativi in Palestina ai tempi in cui vi visse il Maestro.
Dal 343 dell’era antica, Aristotele fu precettore di Alessandro, da quando il ragazzo aveva 13 anni.
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Aristotele fu incaricato di essere il precettore di Alessandro, figlio di Filippo II di Macedonia. Questo incarico gli venne assegnato nel **343 a.C.** quando Filippo II chiese ad Aristotele di educare il giovane Alessandro, che all'epoca aveva circa 13 anni.
Aristotele trascorse [circa] tre anni a insegnare ad Alessandro a Pella, la capitale della Macedonia. Durante questo periodo, Aristotele gli impartì un'educazione comprensiva che spaziava dalla filosofia e scienze naturali alla retorica e politica. Questa formazione influenzò profondamente Alessandro, che divenne noto per il suo interesse nelle arti, nella scienza e per la sua capacità di pensare strategicamente.
La scelta di Aristotele come precettore di Alessandro fu in parte dovuta ai legami personali tra Aristotele e la famiglia reale macedone, poiché Aristotele era nato a Stagira, una città sotto l'influenza macedone, e suo padre Nicomaco era stato medico alla corte del re Aminta III, nonno di Alessandro.
I Macedoni conquistarono Atene nel **338 a.C.** dopo la Battaglia di Cheronea. Questa battaglia fu decisiva e vide Filippo II di Macedonia, padre di Alessandro Magno, sconfiggere una coalizione di città-stato greche guidata da Atene e Tebe. Sebbene Atene non fosse distrutta e mantenne una certa autonomia, divenne [di fatto] soggetta al dominio macedone. Dopo la vittoria, Filippo II stabilì la Lega di Corinto, un'alleanza di città-stato greche che includeva la maggior parte delle città-stato greche (tranne Sparta) sotto l'egemonia macedone. La Lega di Corinto segnò la fine dell'indipendenza effettiva di Atene e delle altre città-stato greche, che pur mantenendo una certa autonomia interna, erano di fatto subordinate alla volontà politica e militare di Filippo e, successivamente, di suo figlio Alessandro Magno.
L'era dei regni ellenistici iniziò con la morte di Alessandro Magno nel 323 a.C., quando il suo vasto impero fu diviso tra i suoi generali, i Diadochi, che fondarono vari regni, tra cui i principali furono:
- **Regno tolemaico** in Egitto
- **Regno seleucide** in Siria e Mesopotamia
- **Regno di Macedonia** e la **Lega Achea** in Grecia
- **Regno di Pergamo** in Asia Minore
I regni ellenistici finirono ufficialmente con la conquista romana dell'ultimo di questi regni, l'Egitto tolemaico, nel **30 a.C.**. Questo avvenne dopo la battaglia di Azio nel 31 a.C., quando Ottaviano (il futuro imperatore Augusto) sconfisse Marco Antonio e Cleopatra. Dopo la sconfitta, Cleopatra si suicidò, e l'Egitto divenne una provincia romana.
[I regni ellenistici, quindi,] continuarono a esistere, influenzati dalla cultura greca, fino a quando non furono gradualmente annessi dall'Impero Romano. L'ultima resistenza di un regno ellenistico, quello seleucide, cadde nel 63 a.C., ma la definitiva fine dell'era ellenistica si fa risalire alla caduta dell'Egitto tolemaico nel 30 a.C.
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È tuttavia molto importante essere consapevoli dei processi democratici nelle loro dinamiche iniziali, prima dell’ instaurazione di regimi democratici. Quindi della democrazia nella sua condizione di stato nascente. In particolare tenendo conto che, a differenza di ciò che accadeva nelle antiche città stato greche rette da regimi democratici, la democrazia nell’era contemporanea è un processo politico che potenzialmente coinvolge realmente tutte le persone considerate partecipi di un sistema politico.
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Nell'antica Grecia, la democrazia era un sistema di governo relativamente raro e principalmente associato ad Atene, ma non era l'unica città-stato (polis) che adottò questo tipo di regime. Ecco alcune delle principali città-stato greche e colonie che erano rette da regimi democratici:
1. **Atene**: La democrazia ateniese è la più celebre e sviluppata tra tutte. Introdotta da Clistene intorno al 508-507 a.C., la democrazia ateniese si basava su un sistema di partecipazione diretta dei cittadini maschi liberi nelle decisioni politiche.
2. **Argos**: Anche se la democrazia ad Argos era meno sviluppata rispetto a quella di Atene, questa città-stato adottò un regime democratico per un certo periodo durante il V secolo a.C.
3. **Megara**: Con una struttura politica simile a quella di Atene, Megara adottò una forma di democrazia nel V secolo a.C., benché con qualche differenza nelle modalità di partecipazione cittadina.
4. **Rodi**: Rodi, un'importante isola e città-stato, era governata da un regime democratico, soprattutto nel periodo ellenistico. La democrazia a Rodi era famosa per la sua stabilità e l'efficienza nel governo.
5. **Siracusa** (in Sicilia): Una delle colonie greche più potenti e influenti, Siracusa sperimentò periodi di governo democratico, specialmente sotto la guida di leader come Diocle alla fine del V secolo a.C.
6. **Crotone** (in Italia meridionale): Questa colonia greca fu governata da un regime democratico per diversi periodi della sua storia, noto per il coinvolgimento attivo dei cittadini nelle decisioni politiche.
7. **Tebe**: Anche se principalmente conosciuta per il suo regime oligarchico e monarchico, Tebe ebbe brevi periodi di governo democratico, specialmente nel IV secolo a.C., durante il periodo della guerra contro Sparta.
8. **Chio**: Questa isola greca adottò una forma di democrazia, con un consiglio dei cittadini che svolgeva un ruolo importante nel governo.
Va notato che la democrazia nell'antica Grecia non aveva lo stesso significato moderno. Era un sistema limitato agli uomini liberi e escludeva donne, schiavi e stranieri. Tuttavia, queste città-stato e colonie rappresentano esempi significativi di come il concetto di democrazia fosse applicato in diverse parti del mondo greco antico.
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I processi democratici moderni europei emersero sempre come forme di lotta organizzata contro regimi assolutistici, sulla base di patti aperti all’adesione di massa suscitati da organizzazioni di carattere rivoluzionario, in quanto si proponevano il rovesciamento, anche mediante azioni violente, di quei regimi.
L’adesione a un patto di quel genere differisce da una semplice manifestazione di consenso, quale può essere quella espressa in un voto elettorale o nella risposta a un sondaggio demoscopico, in quanto impegna fortemente la persona che aderisce, la quale si manifesta disposta a partecipare alla lotta anche a costo della vita e a non recedere nell’infuriare del conflitto. Per questo l’adesione a patti del genere venne anche espressa mediante rituali di giuramento o di iniziazione, e comunque mediante procedure di scrutinio di chi chiedeva di aderirvi. Questo avveniva, durante il Risorgimento italiano, anche per l’adesione ai Federati e ai Carbonari, le organizzazioni segrete rivoluzionarie per l’instaurazione di un regime democratico in un’Italia unita in un unico ordinamento politico e libera dalla dominazione straniera che promossero negli anni 1820 e 1821 i moti a cui si riferisce l’ode Marzo 1821 di Alessandro Manzoni.
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L'adesione alla Carboneria italiana nell'Ottocento seguiva procedure segrete e rituali specifici, dato il carattere clandestino dell'organizzazione. Le procedure di ammissione includevano diversi passaggi simbolici e cerimoniali, pensati per testare la lealtà e l'impegno dei nuovi membri. Ecco una sintesi delle principali fasi:
1. **Candidatura e Raccomandazione**: Un potenziale membro doveva essere presentato da un carbonaro già iniziato. Il candidato veniva raccomandato da uno o più membri, che garantivano per la sua affidabilità e per il suo impegno verso gli ideali della Carboneria.
2. **Rito di Iniziazione**: L'iniziazione era un rituale complesso e solenne che si svolgeva in un luogo segreto, spesso di notte. Durante la cerimonia, il candidato veniva bendato e sottoposto a una serie di domande per testare la sua conoscenza dei principi della Carboneria e la sua determinazione. Il rituale includeva giuramenti di segretezza e fedeltà, pronunciati davanti a simboli carbonari come l'ascia, il carbone e l'altare.
3. **Giuramento**: Dopo l'iniziazione, il candidato doveva giurare fedeltà alla Carboneria, impegnandosi a rispettare le regole dell'organizzazione e a mantenere il segreto sulle sue attività. Il giuramento era solitamente accompagnato da formule rituali e simboliche, che sottolineavano l'importanza del sacrificio personale per il bene comune.
4. **Assegnazione del Grado**: La Carboneria era strutturata in diversi gradi, ciascuno con i suoi rituali e simboli. Dopo l'iniziazione, il nuovo membro veniva assegnato a un grado iniziale, solitamente quello di "Apprendista", e con il tempo poteva avanzare attraverso i gradi successivi.
5. **Partecipazione alla Vita dell'Organizzazione**: Una volta ammesso, il carbonaro partecipava attivamente alle riunioni segrete (denominate "vendite") e contribuiva alle attività dell'organizzazione, che potevano includere complotti politici, supporto a insurrezioni, e diffusione di idee rivoluzionarie.
L'adesione alla Carboneria richiedeva dunque non solo un impegno morale e ideologico, ma anche la disponibilità a correre rischi personali significativi, dato che il tradimento poteva portare alla morte. Queste procedure erano intese a garantire che solo persone veramente dedite alla causa rivoluzionaria potessero entrare a far parte dell'organizzazione.
Il **Risorgimento italiano** è il periodo storico che si estende approssimativamente dalla fine del XVIII secolo fino alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1861, con alcuni eventi conclusivi fino al 1870. Questo movimento fu caratterizzato da una serie di eventi politici, militari e culturali che portarono all'unificazione dell'Italia, precedentemente divisa in una moltitudine di stati sovrani sotto diverse dominazioni straniere.
### Contesto e Fasi Principali del Risorgimento:
1. **Prima fase (fine XVIII secolo - 1815)**: Le idee dell'Illuminismo e della Rivoluzione Francese cominciarono a diffondersi in Italia, influenzando la nascita di movimenti patriottici e rivoluzionari. L'invasione napoleonica contribuì a diffondere ideali di libertà e nazionalismo.
2. **Seconda fase (1815 - 1848)**: Dopo il Congresso di Vienna, molti stati italiani furono restaurati sotto il controllo delle potenze straniere. In questa fase, nascono società segrete come la Carboneria e si verificano le prime insurrezioni fallite, che però mantengono vivo lo spirito nazionale.
3. **Terza fase (1848 - 1861)**: È la fase più attiva del Risorgimento, con le rivoluzioni del 1848 che videro l'Italia infiammarsi di ideali liberali e patriottici. Questa fase culmina con le guerre d'indipendenza (1848-1849 e 1859) e con la spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi (1860), che portarono all'unificazione sotto la guida del Regno di Sardegna, che diventa il Regno d'Italia nel 1861.
4. **Quarta fase (1861 - 1870)**: Anche se il Regno d'Italia fu proclamato nel 1861, la completa unificazione arrivò solo nel 1870, con la presa di Roma (e l'annessione dello Stato Pontificio) che divenne la capitale d'Italia.
Il Risorgimento fu influenzato da figure chiave come Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Camillo Benso di Cavour e Vittorio Emanuele II, e rappresenta un'epoca di trasformazione radicale per l'Italia, segnando la fine di secoli di divisioni politiche e l'inizio di una nuova fase di unità nazionale.
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Leggiamo infatti nella seconda strofa di quell’ode:
L’han giurato: altri forti a quel giuro
rispondean da fraterne contrade,
affilando nell’ombra le spade
che or levate scintillano al sol.
già le destre hanno strette le destre;
già le sacre parole son porte:
o compagni sul letto di morte,
o fratelli sul libero suol.
Va detto che l’impegno alla lotta, e la possibilità di dovervisi impegnare, sono sempre latenti nell’adesione forte al patto democratico, come espresso nell’Ode a Kesserling del professore universitario di diritto processuale civile e rivoluzionario democratico Piero Calamandrei.
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati
più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA
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L'"Ode a Kesselring" di Piero Calamandrei è un testo molto conosciuto nella letteratura italiana del dopoguerra. Scritta nel 1952, l'ode è una risposta sarcastica e indignata alla dichiarazione di Albert Kesselring, generale tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale [e comandante in capo delle forze tedesche nel teatro italiano dal 1943 fino alla fine della guerra] che affermava che gli italiani avrebbero dovuto erigergli un monumento per il modo in cui aveva condotto l'occupazione della loro patria.
Il testo dell'ode esprime il disprezzo e l'amarezza di Calamandrei verso Kesselring e verso la tragedia dell'occupazione nazista, sottolineando il dolore e le sofferenze inflitte all'Italia durante quel periodo. L'ode è un esempio di come la letteratura può servire da potente mezzo di memoria storica e di denuncia morale.
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Spesso ho sentito presentare la democrazia come una sorta di galateo istituzionale del buon cittadino, come un complesso di norme di buona creanza civica, ma in realtà è molto di più di questo e, in particolare, come si legge nel testo di Calamandrei, implica un persistente impegno popolare alla resistenza, che se non è largamente diffuso in una popolazione non consente di affermare la democraticità di un regime politico sulla base solo di procedure formali, in particolare elettorali e referendarie. L’impegno democratico, in altre parole, vive costantemente nella popolazione oltre le procedure formali e ne sorregge la credibilità, altrimenti detta legittimazione sostanziale.
L’elemento essenziale della lotta crea problemi nel progettare sviluppi democratici in una Chiesa cristiana, nella quale la possibilità di conflitti è vista come un elemento indesiderato, come una turbativa e una lesione di un corpo sociale concepito al modo di un organismo vivente. D’altra parte, per prevenire e sedare i conflitti, storicamente le Chiese cristiane, non solo quella cattolica romana, si resero lecite, giustificandole teologicamente come terapie per il corpo sociale malato, violenze politiche anche molto intense, efferate ed estese.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli