Cattolicesimo democratico – 12
È la religione?
Nell’espressione “cattolicesimo democratico” occorre spiegare il significato e il valore del “cattolicesimo”. Bisogna praticare la religione cattolica per essere “cattolici democratici”?
I cattolici democratici italiani hanno diretto la politica di governo della nostra Repubblica dal dicembre 1945 al maggio 1995 operando mediante il partito della Democrazia Cristiana, organizzato, d’intesa con la Segreteria di Stato vaticana, dal 1943 sulla base della sollecitazione venuta dal Papato romano mediante l’importantissimo radiomessaggio natalizio diffuso, durante la Seconda guerra mondiale, il 24 dicembre 1942, contenente il programma politico di massima per la riorganizzazione delle istituzioni del mondo per ripristinarvi e mantenervi la pace
al termine del quale si legge:
Considerazioni sulla guerra mondiale
e sul rinnovamento della società
Diletti figli! Voglia Dio che, mentre la Nostra voce arriva al vostro orecchio, il vostro cuore sia profondamente scosso e commosso dalla serietà profonda, dall'ardente sollecitudine, dalla scongiurante insistenza, con cui Noi vi inculchiamo questi pensieri, che vogliono essere un appello alla coscienza universale e un grido di raccolta per tutti quelli che sono pronti a ponderare e misurare la grandezza della loro missione e responsabilità dalla vastità della sciagura universale.
Gran parte della umanità, e, non rifuggiamo dall'affermarlo, anche non pochi di coloro che si chiamano cristiani, entrano in certa guisa nella responsabilità collettiva dello sviluppo erroneo, dei danni e della mancanza di altezza morale della società odierna.
Questa guerra mondiale, e tutto ciò che le si connette, si tratti dei precedenti remoti o prossimi, o dei suoi procedimenti ed effetti materiali, giuridici e morali, che altro rappresenta se non lo sfacelo, inaspettato forse agl'inconsiderati, ma intuito e deprecato da coloro i quali penetravano a fondo col loro sguardo in un ordine sociale, che dietro l'ingannevole volto o la maschera di formole convenzionali nascondeva la sua debolezza fatale e il suo sfrenato istinto di guadagno e di potere?
Ciò che in tempi di pace giaceva compresso, al rompere della guerra scoppiò in una trista serie di azioni, contrastanti con lo spirito umano e cristiano. Le convenzioni internazionali per rendere meno disumana la guerra, limitandola ai combattenti, per regolare le norme dell'occupazione e della prigionia dei vinti, rimasero lettera morta in vari luoghi; e chi mai vede la fine di questo progressivo peggioramento?
Vogliono forse i popoli assistere inerti a così disastroso progresso? o non debbono piuttosto, sulle rovine di un ordinamento sociale, che ha dato prova così tragica della sua inettitudine al bene del popolo, riunirsi i cuori di tutti i magnanimi e gli onesti nel voto solenne di non darsi riposo, finché in tutti i popoli e le nazioni della terra divenga legione la schiera di coloro, che, decisi a ricondurre la società all'incrollabile centro di gravitazione della legge divina, anelano al servizio della persona e della sua comunanza nobilitata in Dio?
Questo voto l'umanità lo deve agl'innumerevoli morti, che giacciono sepolti nei campi di guerra: il sacrificio della loro vita nel compimento del loro dovere è l'olocausto per un nuovo migliore ordine sociale.
Questo voto l'umanità lo deve all'infinita dolente schiera di madri, di vedove e di orfani, che si son veduti strappare la luce, il conforto e il sostegno della loro vita.
Questo voto l'umanità lo deve a quegl'innumerevoli esuli che l'uragano della guerra ha spiantati dalla loro patria e dispersi in terra straniera; i quali potrebbero far lamento col Profeta: «Hereditas nostra versa est ad alienos, domus nostrae ad extraneos» (Ier, Lam. 5,2) [trad. CEI 2008: La nostra eredità è passata a stranieri,
le nostre case a estranei]
Questo voto l'umanità lo deve alle centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento.
Questo voto l'umanità lo deve alle molte migliaia di non combattenti, donne, bambini, infermi e vecchi, a cui la guerra aerea, - i cui orrori Noi già fin dall'inizio più volte denunziammo, - senza discernimento o con insufficiente esame, ha tolto vita, beni, salute, case, luoghi di carità e di preghiera.
Questo voto l'umanità lo deve alla fiumana di lagrime e amarezze, al cumulo di dolori e tormenti, che procedono dalla rovina micidiale dell'immane conflitto e scongiurano il cielo, invocando la discesa dello Spirito, che liberi il mondo dal dilagare della violenza e del terrore.
Così viene sintetizzata la storia di quel partito nella voce Democrazia cristiana dell’Enciclopedia Treccani on line
https://www.treccani.it/enciclopedia/democrazia-cristiana/
IL PARTITO DELLA DC IN ITALIA
La ricostruzione del partito cattolico avvenne tra il 1942 e il 1943, attorno a ex dirigenti del Partito popolare (Alcide De Gasperi, Giuseppe Spataro, Mario Scelna, Pietro Campillo ecc.) e a giovani cattolici (Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti, Aldo Moro, Amintore Fanfani, Giulio Andreotti ecc.). La DC – che aderì al CLN e partecipò alla lotta di liberazione antifascista – propugnava nel suo programma la democrazia parlamentare e l’autonomia politica e amministrativa degli enti locali, mentre difendeva i valori e il ruolo della famiglia e rivendicava la libertà dell’insegnamento privato; sul piano sociale si impegnava a limitare l’accentramento della ricchezza capitalistica e a sostenere la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Partecipò ai governi Badoglio, Bonomi e Parri, finché nel dicembre 1945 fu varato il primo gabinetto De Gasperi. La DC, partito interclassista e popolare, la cui matrice cattolica si accompagnava a una visione della politica sostanzialmente laica, si configurò subito come forza di governo e di centro, costruendo la propria base soprattutto tra le masse contadine, i ceti medi e la borghesia imprenditoriale, mentre sul terreno ideologico si pose come forza avversa a ritorni reazionari e alla minaccia totalitaria del comunismo. Tendenzialmente repubblicana (I Congresso, 1946), la DC ottenne la maggioranza relativa all’Assemblea costituente; problemi interni, riguardanti le scelte della ricostruzione, e internazionali (l’inizio di una fase di tensione fra USA e URSS) spinsero De Gasperi a liquidare (1947) la formula di governo che aveva guidato i primi passi del dopoguerra, fondata sull’alleanza con socialisti e comunisti, e a inaugurare l’epoca del centrismo (1947-60). Questa scelta sortì il successo delle elezioni del 1948 che videro assegnata alla DC la maggioranza assoluta dei seggi.
Sul finire degli anni 1940, attorno alla rivista Cronache sociali di G. Dossetti si formò una corrente critica della politica degasperiana, confluita poi (dopo il ritiro di Dossetti nel 1951) nella corrente di Iniziativa democratica guidata da A. Fanfani, P.E. Taviani e M. Rumor. La seconda legislatura (1953-58) fu caratterizzata dalla prevalenza di Iniziativa democratica, sulle cui posizioni convergeva la corrente di Base (G. Galloni, G. Marcora), e sanzionata dal V Congresso (1954) che elesse Fanfani segretario. Nel 1958 Fanfani formò un governo DC-PSDI che suscitò la spaccatura della sua corrente e opposizioni interne tali che egli fu costretto a dimettersi dalla presidenza del Consiglio e anche dalla segreteria del partito. I nuovi equilibri interni (era nata la corrente dorotea, sostenitrice del partito come asse politico centrale e riequilibratore dei rapporti politici e sociali, facente capo a Rumor, A. Segni, F. Piccoli ecc.) portarono alla segreteria di A. Moro (1959), anch’egli convinto dell’esaurimento della politica centrista ma meno propenso di Fanfani a forzare i tempi. Il varo del centrosinistra era stato preparato nell’VIII Congresso (1962), e, nel 1963 Moro formò il primo governo organico di centrosinistra. Le elezioni del 1968 segnarono uno scacco per il centrosinistra. L’instabilità politica (6 governi nel 1968-72) era accentuata da quei fenomeni – dal movimento degli studenti all’‘autunno caldo’ – che, segnalando un profondo bisogno di rinnovamento nella società civile e politica, contribuirono a minare il quadro politico; nuovi fermenti segnavano la fine del collateralismo politico-religioso, per cui alla DC era tradizionalmente riconosciuta la rappresentanza del mondo cattolico. La strategia della DC in questi anni non fu univoca: se l’XI Congresso (1969) affiancò al segretario Piccoli il presidente B. Zaccagnini, espressione delle aspirazioni di rinnovamento, alle presidenziali del 1971 i parlamentari della DC preferirono, al candidato ufficiale Fanfani, G. Leone, eletto con l’appoggio della destra, per giungere infine alla liquidazione del centrosinistra e alla riedizione del centrismo (1972-73). Al XII Congresso (1973), un accordo tra le correnti sancì la riedizione del centrosinistra e la segreteria Fanfani, che utilizzò la ricostituita unità interna nella perdente campagna referendaria per l’abrogazione della legge sul divorzio (1974). Con la segreteria Zaccagnini (1975) riprese vigore la linea di Moro, descritta come ‘strategia dell’attenzione’ verso il PCI, che uscì confermata dal XIII Congresso (1976). Nelle elezioni politiche anticipate del 1976 il 34,4% di preferenze avuto dal PCI (la DC ottenne il 38,8%) imponeva un’accelerazione del confronto fra i due maggiori partiti italiani. La soluzione concordata furono i 2 governi monocolore Andreotti (luglio 1976-marzo 1979) detti di ‘solidarietà nazionale’: il primo con l’astensione di PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI, e il secondo – inaugurato il giorno del rapimento di Moro da parte delle Brigate rosse, 16 marzo 1978 – con il voto favorevole di PCI, PSI, PSDI, PRI e Democrazia nazionale. Con la crisi del secondo governo di solidarietà nazionale si chiuse il periodo dell’attenzione verso il PCI. In via di esaurimento il terrorismo, dopo la pubblicazione di documenti sulla loggia massonica P2 (1981) fu sollevata dall’opposizione, specie comunista, la ‘questione morale’, cioè la critica di gravi distorsioni dei meccanismi del potere interpretate come conseguenza del mancato ricambio della classe di governo.
La DC cedette nel giugno 1981 la presidenza del Consiglio con i governi Spadolini, e il congresso del 1982 elesse segretario C. De Mita, esponente della sinistra, col mandato di ‘moralizzare’ alcuni settori del partito e renderlo più permeabile alle trasformazioni della società. Nelle elezioni anticipate del 1983 la DC arretrò vistosamente (32,9%), ed emerse come contestatore dell’egemonia democristiana il PSI, cui la DC lasciò la guida del governo (gabinetti Craxi, 1983-87). De Mita fu confermato alla segreteria nel 1984 e nel 1986 e dal 1988 fu anche presidente del Consiglio, ma al congresso del 1989 una maggioranza a lui sfavorevole (e meno ostile verso il PSI) guidata da G. Andreotti, A. Gava e A. Forlani, elesse quest’ultimo alla segreteria. Nel 1991, con il passaggio all’opposizione del PRI, emersero nuovi fermenti anche nel mondo politico tradizionalmente legato alla DC. Le elezioni politiche anticipate del 1992 videro la DC scendere ancora al 29,7%.
Alla fine degli anni Ottanta del 20° sec. conobbe una crisi politica che si saldò a quella generale della cd. prima repubblica. Fu quindi travolta da tangentopoli e infine (1994) si frantumò in una serie di formazioni minori (PPI, CCD, UDC, Democrazia cristiana ecc.).
Quand’ero al liceo, chiesi a mio padre, il quale aveva partecipato alla fondazione della Democrazia Cristiana bolognese, se per essere democristiani fosse indispensabile essere di religione cattolica e praticarla e mi rispose di no: la Democrazia Cristiana era un partito politico e bastava condividerne l’orientamento politico e i progetti politici concreti, che comprendevano un complesso di riforme molto incisive. Diverso è il caso del cattolicesimo democratico che è un modo di essere cristiani attivi nel mondo mediante la politica. Tuttavia la fede cristiana si situa ad un livello più profondo e intimo e l’essere cattolici democratici è solo un modo tra tanti di esprimerla in concreto, cercando di suscitare l’agàpe nella società. La religione, vale a dire l’espressione collettiva della fede, mediante riti, condivisione di formule definitorie e concezioni formali, altre pratiche agàpiche e il riferimento a una struttura istituzionale ecclesiastica, sta nel mezzo, comprende una dimensione politica, perché si manifesta in una dimensione sociale che deve essere governata, ed è strumento al servizio della fede cristiana ma non l’esaurisce. Così, non basta praticare la fede nella religione, se si vuole averne un’esperienza profonda, ma occorre viverla, che è altra cosa.
Questo per chiarire che essere cattolici democratici non è l’unico modo possibile di praticare la religione cristiana cattolica e nemmeno l’unico modo di vivere la fede cristiana, anche se per essere cattolici democratici è indispensabile essere persone cristiane. Questa convinzione è proprio alla base del cattolicesimo democratico, e in particolare della sua caratteristica democratica: si può essere persone cristiane in tanti modi, ma ciò che veramente conta come manifestazione sociale della fede è il risultato agapico, l’agàpe che si suscita. Purtroppo nella nostra religione non la si è sempre pensata così e si è preteso che si potesse essere cristiani solo in un certo modo e questo ha prodotto violenze di incredibili efferatezza ed estensione.
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Ricerche ChatGPT 25AG24
Il termine **agàpe** deriva dal greco antico ἀγάπη (*agápē*), che significa "amore". Nella lingua greca antica, **agàpe** era uno dei quattro termini principali utilizzati per descrivere l'amore, insieme a **éros** (amore passionale), **philia** (amore fraterno o amicale), e **storgè** (affetto naturale o familiare).
L'etimologia del termine non è completamente chiara, ma alcuni studiosi suggeriscono che possa derivare dalla radice verbale ἀγάω (*agáō*), che significa "accogliere con affetto" o "onorare con affetto". Nel contesto del Nuovo Testamento cristiano, il termine **agàpe** è stato adottato per descrivere l'amore divino e altruista, distinto dalle altre forme di amore più umane e condizionate.
Questo utilizzo specifico nell'ambito cristiano ha contribuito a fissare il significato di **agàpe** come l'amore incondizionato e universale che Dio ha per l'umanità, e che gli esseri umani dovrebbero riflettere nelle loro relazioni reciproche.
Il concetto di **agàpe** nella teologia cristiana rappresenta una forma di amore profondo, incondizionato e altruista, che è radicato nei Vangeli e nella Bibbia in generale. Questo termine greco è usato per descrivere un amore che va oltre i sentimenti personali, orientato al bene degli altri senza aspettarsi nulla in cambio.
### Fondamento nei Vangeli
Nei Vangeli, **agàpe** è il termine usato per descrivere l'amore di Dio per l'umanità e l'amore che i cristiani sono chiamati a mostrare verso Dio e verso il prossimo. Un esempio fondamentale si trova nel Vangelo di Giovanni, dove si dice: "Dio è amore" (*agàpe*) e "Chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio" (1 Giovanni 4:7-8). Questo passaggio sottolinea come l'agàpe sia l'essenza stessa di Dio e della sua relazione con l'umanità.
In Matteo 22:37-39, Gesù riassume l'intera Legge in due comandamenti: amare Dio con tutto il cuore e amare il prossimo come se stessi. Qui, l'amore di cui si parla è l'agàpe, che implica un impegno totale e disinteressato nei confronti degli altri, che riflette l'amore divino.
### Caratteristiche dell’Agàpe
L'agàpe è caratterizzato da:
1. **Incondizionalità**: L'amore agàpe non dipende dalle azioni o dai meriti di chi lo riceve. È donato gratuitamente e senza aspettative.
2. **Altruismo**: L'agàpe si esprime attraverso il servizio e il sacrificio per il bene degli altri, come riflesso dell'amore di Cristo per l'umanità.
3. **Permanenza**: Diversamente dalle altre forme di amore che possono mutare, l'agàpe è costante e immutabile, proprio come l'amore di Dio.
### Applicazione Pratica dell’Agàpe
In pratica, l'agàpe si manifesta nell'amore che i cristiani sono chiamati a dimostrare verso tutti, inclusi i nemici. Questo amore si esprime attraverso atti di gentilezza, perdono, e compassione. Ad esempio, nella parabola del Buon Samaritano (Luca 10:25-37), il Samaritano mostra agàpe prendendosi cura di un uomo ferito, senza alcun obbligo e senza aspettarsi nulla in cambio. Questo esempio illustra come l'agàpe vada oltre i confini etnici, religiosi e sociali.
Un altro esempio di agàpe è il sacrificio di Cristo sulla croce, che rappresenta l'atto supremo di amore incondizionato e altruista per l'umanità.
### Conclusione
In sintesi, l'agàpe nella teologia cristiana è l'amore supremo e incondizionato che Dio nutre per l'umanità e che i cristiani sono chiamati a riflettere nelle loro vite quotidiane. È un amore che non si basa su sentimenti, ma su decisioni e azioni concrete per il bene degli altri, senza aspettarsi nulla in cambio.
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All’origine dell’idea di agàpe cristiana [parola originata dal greco antico che in italiano viene tradotta di solito con amore o carità, parole che tuttavia non ne rendono bene il senso] vi è l’immagine di un lieto convito al quale tutte le persone, senza esclusione, sono ammesse, e agàpe può essere anche resa come pace solidale e misericordiosa.
Il cattolicesimo democratico è un modo di esprimere la fede cristiana cercando di produrre in società l’agàpe partecipando democraticamente al governo della società, quindi mediante la politica. Questo connota in senso agàpico la sua pratica democratica. Da notare che la democrazia, in sé, non comprende necessariamente l’agàpe, come la storia chiaramente dimostra. La fraternità che c’è nel motto della rivoluzione democratica francese di fine Settecento “Libertà, Eguaglianza, Fraternità” non è la fraternità agàpica cristiana, ma quella che si crea tra combattenti, anche se in Italia, per l’influsso culturale ancora molto sensibile del cattolicesimo democratico, quando si parla di democrazia la si intende ricca di valori agapici al modo del cattolicesimo democratico.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli