INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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martedì 27 agosto 2024

Amare la democrazia - l’intervento del prof. Michele Nicoletti alla 50ª Settimana Sociale dei cattolici in Italia di Trieste

A. Sintesi, elaborata da ChatGPT di OpenAI, della conferenza Amare la democrazia nelle sfide del presente svolta dal prof. Michele Nicoletti il 4 luglio 2024 durante la 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia tenutasi a Trieste;

B. Testo integrale della conferenza di cui sopra.

C. Intervista al prof. Michele Nicoletti di a Marco Ferrando pubblicata su Avvenire on line del 25AG24

A

 Sintesi [mediante ChafGPT di OpenAI] della conferenza dal titolo Amare la democrazia nelle sfide del presente tenuta dal prof. Michele Nicoletti il 4 luglio 2024 a Trieste, durante la 50º Settimana sociale del cattolici in Italia sul tema Al cuore della democrazia [il testo completo può essere letto a questo indirizzo WEB

https://comunitaefamiglia.org/wp-content/uploads/2024/07/4.-Nicoletti_4-luglio.pdf

 

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Biografia del prof.Michele Nicoletti [elaborata con l’aiuto di ChatGPT di OpenAI e con informazioni desunte dal Web]

 

Il prof. Michele Nicoletti è un filosofo e politico italiano nato nel 1956 a Trento.

 Il prof.Nicoletti ha studiato filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove si è laureato. Ha proseguito i suoi studi presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera, dove si è specializzato. I suoi interessi di ricerca nell'ambito della filosofia politica si concentrano sul rapporto tra dimensione politica e dimensione religiosa con riguardo ad autori e correnti del '800 e del '900, in Italia e in Germania, ma anche su un più generale piano speculativo.

 Da giovane, il prof. Michele Nicoletti è stato condirettore della rivista "Ricerca" della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI). Questo ruolo è stato parte del suo impegno giovanile nella FUCI, un'organizzazione che ha avuto un ruolo significativo nella formazione intellettuale e politica di molti giovani cattolici italiani.

 Il prof. Michele Nicoletti ha fondato, negli anni ’80, con il giornalista Paolo Giuntella ed altri, l’associazione “Rosa Bianca", della quale redasse il manifesto programmatico, detto scherzosamente Decalogo tra i primi aderenti, per una nuova politica, ispirato alla resistenza cristiana al nazismo del gruppo tedesco "Die Weiße Rose" (La Rosa Bianca).

  Attualmente, il prof. Michele Nicoletti è professore ordinario di Filosofia Politica la Facoltà di Lettere e Filosofia e presso la Scuola di Studi Internazionali dell'Università di Trento.

  Dal 2013 al 2018, il prof.Nicoletti è stato deputato della Repubblica Italiana, eletto nelle file del Partito Democratico. Durante il suo mandato, ha ricoperto incarichi di rilievo, tra cui quello di presidente dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa dal 2018, posizione che gli ha permesso di promuovere i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto in Europa.

  Il prof.Nicoletti è autore di numerosi saggi e articoli su temi di filosofia politica, etica e religione, e ha partecipato attivamente a dibattiti pubblici su questioni di democrazia e diritti civili. Ha inoltre contribuito significativamente al dialogo tra laici e credenti, cercando di costruire ponti tra diverse tradizioni culturali e religiose.

  Il prof. Nicoletti stato autore, coautore o curatore di 37 libri, tra i quali (elenco da Wikipedia):

·       M. Nicoletti, La dialettica dell'Incarnazione: soggettività e storia in S. Kierkegaard, Bologna: EDB, 1983.

·       M. Nicoletti (Ed. critica a cura di), L'empatia, di E. Stein, Milano: Franco Angeli, 1986.

·       M. Nicoletti, Trascendenza e potere: la teologia politica di Carl Schmitt, Brescia: Morcelliana, 1990.

·       M. Nicoletti, La politica e il male, Brescia: Morcelliana, 2000.

·       M. Nicoletti, S. Zucal, F. Olivetti (a cura di), Da che parte dobbiamo stare: il personalismo di Paul Ludwig Landsberg, Soveria Mannelli: Rubbettino, 2007.

·       M. Nicoletti (Ed. a cura di), Angeli delle nazioni - Origine e sviluppi di una figura teologico-politica, Brescia: Morcelliana, 2007.

·       M. Nicoletti, Religion and Empire: Carl Schmitt's Kathechon between International Relations and the Philosophy of History, in International Law and Religion ed. by M. Koskenniemi, M. García-Salmones Rovira and P. Amorosa, Oxford University Press, 2017.

·       M. Nicoletti, Il governo senza orgoglio, Il Mulino, 2020.

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Il professor Michele Nicoletti, nella conferenza intitolata "Amare la democrazia nelle sfide del presente", tenuta durante la 50ª Settimana Sociale dei Cattolici a Trieste, affronta le principali sfide che la democrazia moderna deve affrontare e spiega perché è essenziale continuare a "amare" la democrazia e come tradurre questo amore in pratiche politiche concrete.

### Le Sfide alla Democrazia

Nicoletti individua diverse sfide contemporanee che minacciano la democrazia:

1. **Sfida Ambientale**: La crisi climatica richiede azioni urgenti che le democrazie, con i loro processi lenti e spesso conflittuali, faticano a implementare. Questo può rendere le democrazie meno attraenti rispetto a regimi autoritari che promettono decisioni rapide.

2. **Sfida Migratoria**: Le migrazioni globali stanno mettendo a dura prova i sistemi democratici, sollevando questioni di identità, cittadinanza e inclusione. La crescente chiusura e il nazionalismo minacciano i valori democratici.

3. **Sfida Economica**: L'equità nella distribuzione delle risorse e l'accesso alle opportunità sono fondamentali per la democrazia. Tuttavia, la disuguaglianza crescente e la mancanza di politiche redistributive rischiano di indebolire la fiducia nelle istituzioni democratiche.

4. **Sfida della Guerra**: La guerra e la violenza minacciano non solo la pace, ma anche il funzionamento delle democrazie, limitando la trasparenza e la partecipazione.

5. **Innovazione Tecnologica**: La concentrazione del potere informativo e la manipolazione delle informazioni tramite nuove tecnologie minacciano la formazione di una volontà democratica autentica.

6. **Sfida Interna**: Le democrazie soffrono anche di un'usura dei loro stessi meccanismi, con una crescente sfiducia nei partiti e nelle istituzioni rappresentative.

### Perché Amare la Democrazia?

Nicoletti sottolinea che la democrazia non è solo una forma di governo, ma una "forma di vita" che riconosce la dignità e la libertà di ogni individuo. La democrazia deve essere amata perché consente agli individui di essere soggetti liberi e uguali, promuovendo relazioni umane basate sul rispetto reciproco e sulla cooperazione.

 

### Come Amare la Democrazia?

Per sostenere la democrazia, Nicoletti propone diverse azioni concrete, tra cui:

- **Rafforzare il soggetto democratico**, promuovendo l'autonomia e il senso di responsabilità individuale.

- **Difendere i diritti fondamentali**, che devono essere garantiti per tutti, compresi i diritti sociali.

- **Rianimare la democrazia locale**, favorendo la partecipazione attiva a livello comunitario.

- **Riformare i partiti politici**, garantendo maggiore democrazia interna e partecipazione autentica.

- **Promuovere una democrazia riparativa**, che risponda alle esigenze delle persone più vulnerabili e dell'ambiente.

In conclusione, Nicoletti richiama l'attenzione sulla necessità di proteggere e promuovere la democrazia, anche di fronte alle sfide attuali, poiché essa rimane l'ideale politico capace di garantire la libertà e la dignità di ogni persona.

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Amare la democrazia nelle sfide del presente

conferenza dal titolo Amare la democrazia nelle sfide del presente tenuta dal prof. Michele Nicoletti il 4 luglio 2024 a Trieste, durante la 50º Settimana sociale del cattolici in Italia sul tema Al cuore della democrazia [il testo completo può essere letto a questo indirizzo WEB

https://comunitaefamiglia.org/wp-content/uploads/2024/07/4.-Nicoletti_4-luglio.pdf

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Biografia del prof.Michele Nicoletti [elaborata con l’aiuto di ChatGPT di OpenAI e con informazioni desunte dal Web]

 

Il prof. Michele Nicoletti è un filosofo e politico italiano nato nel 1956 a Trento.

 Il prof.Nicoletti ha studiato filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove si è laureato. Ha proseguito i suoi studi presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera, dove si è specializzato. I suoi interessi di ricerca nell'ambito della filosofia politica si concentrano sul rapporto tra dimensione politica e dimensione religiosa con riguardo ad autori e correnti del '800 e del '900, in Italia e in Germania, ma anche su un più generale piano speculativo.

 Da giovane, il prof. Michele Nicoletti è stato condirettore della rivista "Ricerca" della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI). Questo ruolo è stato parte del suo impegno giovanile nella FUCI, un'organizzazione che ha avuto un ruolo significativo nella formazione intellettuale e politica di molti giovani cattolici italiani.

 Il prof. Michele Nicoletti ha fondato, negli anni ’80, con il giornalista Paolo Giuntella ed altri, l’associazione “Rosa Bianca", della quale redasse il manifesto programmatico, detto scherzosamente Decalogo tra i primi aderenti, per una nuova politica, ispirato alla resistenza cristiana al nazismo del gruppo tedesco "Die Weiße Rose" (La Rosa Bianca).

  Attualmente, il prof. Michele Nicoletti è professore ordinario di Filosofia Politica la Facoltà di Lettere e Filosofia e presso la Scuola di Studi Internazionali dell'Università di Trento.

  Dal 2013 al 2018, il prof.Nicoletti è stato deputato della Repubblica Italiana, eletto nelle file del Partito Democratico. Durante il suo mandato, ha ricoperto incarichi di rilievo, tra cui quello di presidente dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa dal 2018, posizione che gli ha permesso di promuovere i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto in Europa.

  Il prof.Nicoletti è autore di numerosi saggi e articoli su temi di filosofia politica, etica e religione, e ha partecipato attivamente a dibattiti pubblici su questioni di democrazia e diritti civili. Ha inoltre contribuito significativamente al dialogo tra laici e credenti, cercando di costruire ponti tra diverse tradizioni culturali e religiose.

  Il prof. Nicoletti stato autore, coautore o curatore di 37 libri, tra i quali (elenco da Wikipedia):

·       M. Nicoletti, La dialettica dell'Incarnazione: soggettività e storia in S. Kierkegaard, Bologna: EDB, 1983.

·       M. Nicoletti (Ed. critica a cura di), L'empatia, di E. Stein, Milano: Franco Angeli, 1986.

·       M. Nicoletti, Trascendenza e potere: la teologia politica di Carl Schmitt, Brescia: Morcelliana, 1990.

·       M. Nicoletti, La politica e il male, Brescia: Morcelliana, 2000.

·       M. Nicoletti, S. Zucal, F. Olivetti (a cura di), Da che parte dobbiamo stare: il personalismo di Paul Ludwig Landsberg, Soveria Mannelli: Rubbettino, 2007.

·       M. Nicoletti (Ed. a cura di), Angeli delle nazioni - Origine e sviluppi di una figura teologico-politica, Brescia: Morcelliana, 2007.

·       M. Nicoletti, Religion and Empire: Carl Schmitt's Kathechon between International Relations and the Philosophy of History, in International Law and Religion ed. by M. Koskenniemi, M. García-Salmones Rovira and P. Amorosa, Oxford University Press, 2017.

·       M. Nicoletti, Il governo senza orgoglio, Il Mulino, 2020.

 

 

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  Ringrazio gli organizzatori per l’invito, molto gradito, che mi è stato rivolto a partecipare a que­sto appuntamento cosı̀ importante delle Settimane Sociali. E non solo a svolgere in questa sede alcune ri lessioni che possano essere di stimolo ai lavori di questi giorni, ma anche ad essere parte dello straordinario lavoro preparatorio, cosı̀ meditato, comunitario e partecipato. E stato ed è per me un piacere e un onore.

Il tema della settimana è “Al cuore della democrazia” e la riflessione che mi è stata affidata ha per titolo “Amare la democrazia nelle sfide del presente”. Un po’ come dire “se vogliamo andare al cuore della democrazia, dobbiamo avere la democrazia nel cuore”. Se siamo qui, la abbiamo. In questa mia riflessione vorrei cercare

1) di richiamare le principali sfide che il tempo presente lancia alla democrazia;

2) di illustrare per quali ragioni la democrazia sia da “amare”;

3) in quale modo cercare nell’oggi di tradurre in pratiche politiche questa cura per la democrazia.  

1. Le sfide del presente

Analizzando lo stato di salute delle democrazie nel mondo, emergono elementi di preoccupa­zione. Se dobbiamo paragonare il momento presente a quello della fine  del secolo e del millen­nio scorso, è facile notare la differenza, soprattutto in termini di “aspettative” nei confronti della democrazia. Dopo la caduta del muro di Berlino, il successo della democrazia come forma di governo pareva affermarsi in ogni continente. Non solo nell’Europa orientale dove ai regimi au­toritari del Patto di Varsavia si andavano sostituendo regimi liberali e democratici, ma anche in molti Paesi africani, asiatici, sudamericani e, più vicino a noi, nei tanti Paesi mediterranei toccati dalle cosiddette primavere arabe, inizialmente cosı̀ impregnate di fiducia e speranza nella de­mocrazia. Il cammino da fare nei nuovi Paesi era enorme e nei vecchi Paesi enormi erano le contraddizioni antiche e nuove, si pensi al nostro Paese, ma cresceva il numero dei Paesi che si davano un ordinamento democratico e la  fiducia nella democrazia era forte. Oggi, il numero delle democrazie nel mondo tende a decrescere e anche là dove i regimi rimangono formal­mente democratici la loro sostanza e la loro qualità democratica pare indebolirsi. E soprattutto diminuisce il favore di cui la democrazia sembrava godere. Insomma la democrazia pare in af­fanno,  sfidata da più parti. Provo a richiamare alla mente alcune di queste sfide. Esse non toc­cano solo la democrazia, ma la politica stessa e l’umanità intera, ma certo scuotono e con forza anche la democrazia. 

1.1  Esiste anzitutto una sfida ambientale. Hanno un bel dire i negazionisti che i cambiamenti cli­matici che sperimentiamo rientrano nei normali andamenti ciclici. Nel frattempo cambiano ir­reversibilmente alcuni paesaggi, risorse primarie si fanno più scarse, popolazioni intere si spo­stano perché i loro territori divengono inabitabili. L’animale umano è inquieto. Non siamo solo ragione e cuore, ma anche istinti naturali. E le antenne naturali sono in stato di allerta. Soprat­tutto quelle delle nuove generazioni che hanno sulle loro spalle il carico di rendere possibile la sopravvivenza della specie. E illusorio pensare che una tale sfida non prema sulla politica e sulla democrazia. Nel 1979 usciva il libro di Hans Jonas sul Principio responsabilità: la prima intensa meditazione etica sulla questione ambientale e sulla responsabilità nei confronti delle genera­zioni future. In quel testo Jonas, di fronte alla minaccia dell’antigenesi, esprimeva una certa sfi­ducia nella capacità delle democrazie di reagire tempestivamente alla crisi ecologica. Qualcuno arrivava a ipotizzare una dittatura ecologica illuminata per costringere le società ad assumere le scelte necessarie a garantire la sopravvivenza. Troppo contraddittorio e lento il cammino delle società liberali e democratiche. E oggi uno degli argomenti che si sente utilizzare da parte delle democrazie autoritarie è proprio quello della maggiore efficienza e rapidità nell’assumere scelte impopolari. Dall’altra parte, vi sono movimenti ecologisti radicali che di fronte alle len­tezze delle democrazie imboccano la strada di scelte dimostrative ispirate alla tradizione dell’anarchismo rivoluzionario. Dittatura da una parte, anarchia dall’altra. Se la pressione cresce e i problemi non si affrontano con determinazione, la via della democrazia rischia di apparire meno attraente. Anche se, come vedremo successivamente, è proprio sul terreno del pensiero democratico che si manifesta la maggiore vivacità di costruzioni teoriche e di pratiche politiche per rispondere alla sfida ambientale. 

1.2.  La seconda sfida è quella migratoria. La sua portata non accennerà a diminuire. È sufficiente consultare i siti dei maggiori osservatorii internazionali sugli sviluppi dei lussi demografici e migratori, incrociati con i dati ambientali sopra citati, per capire quanto radicale sia la rivolu­zione in corso nell’equilibrio mondiale con una progressiva e, pare, inarrestabile perdita di po­tere economico e politico e forse culturale da parte dei Paesi europei e occidentali. L’impatto della questione migratoria sulla vita politica e lo sviluppo delle democrazie è sotto gli occhi di tutti. Non vi è competizione elettorale che non sia profondamente influenzata da tale questione. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a dinamiche profonde di natura non solo sociale e politica ma anche antropologica. Vengono alla mente le grandi interpretazioni dei filosofi otto­centeschi sulle migrazioni. Penso a Schelling: l’umanità originariamente una si distribuisce nel globo in diverse direzioni e ogni popolo si insedia in un proprio territorio scomparendo alla vista dell’altro.  Coltiva così l’illusione di essere l’unico  popolo esistente al mondo, di essere la stessa umanità.  Le migrazioni riportano l’”altro” alla nostra vista e con ciò la consapevolezza di non essere più il tutto dell’umanità, ma solo una parte. Cosı̀, perduta l’illusione di essere gli unici, ci si rifugia nell’idea di essere “diversi” dagli altri, “eletti”, portatori di una missione spe­ciale, insomma, superiori. Di qui si sviluppano politiche di chiusura e discriminazione a cui le 

stesse democrazie sono soggette. Lo strumento chiave per il governo della inclusione/esclu­sione è la “cittadinanza”, la cui regolazione è affidata  alla legge ordinaria, dipendente dalla mag­gioranza politica del momento. 

1.3. La terza sfida è di natura economica. Il destino delle democrazie concettualmente e storicamente legato alla loro capacità di consentire un effettivo accesso a uguali opportunità di benessere e a una ragionevole equità nella distribuzione delle risorse. La grande fioritura delle democrazie nel dopoguerra con la loro espansione progressiva in direzione di sempre più ampie fasce di popolazione (dalle classi operaie e contadine, alle donne, ai giovani) era legata certamente a un ciclo economico espansivo ma anche alla loro capacità redistributiva in termini di aumenti salariali e di welfare universale. La partecipazione democratica era legata a una rivendicazione di maggiore accesso alle risorse, ma era anche legata a una capacità del sistema e a una forte volontà politica redistributiva. E appena il caso di dire che oggi, in particolare nel nostro Paese, non solo il sistema non è in grado di mantenere livelli adeguati di produttività, ma anche la vo­lontà politica appare ben lontana da quell’idea di attuazione della Costituzione repubblicana che animava la spinta riformatrice del Secondo dopoguerra. Un esempio fra tutti il tema fiscale. Alla fine degli anni Sessanta la Riforma fiscale ipotizzava aliquote fiscali altissime per i redditi più elevati alfine di mantenere le grandi costruzioni democratiche della scuola e della sanità pubblica. Oggi l’idea costituzionale stessa della progressività fiscale è considerata da alcuni inaccettabile. Si privilegia la rendita rispetto al lavoro. Cresce la povertà assoluta e il lavoro im­poverito. Non si vede nel nostro Paese nessuna seria politica economica nei confronti delle gio­vani generazioni. Si insiste inspiegabilmente su una loro sistematica precarizzazione di fronte a una crescente emorragia di giovani verso altri Paesi. 

1.4. Una quarta sfida riguarda la tensione internazionale oggi tragicamente sfociata nella guerra. Rispetto a qualche anno fa ci troviamo non solo di fronte a con conflitti sanguinosi vicino a noi, ma anche a una riabilitazione del ricorso all’uso della violenza per la risoluzione dei conflitti. Si tratta di una sfida immensa per la democrazia. Non solo perché lo stato di guerra porta con sé dinamiche politiche e istituzionali che tendono a comprimere gli spazi di trasparenza, apertura, partecipazione, ma anche perché la guerra contemporanea o anche la sola competizione esa­sperata tra potenze coinvolge settori sempre più ampi della vita umana. Si pensi al settore pro­duttivo e commerciale, nonché al settore della comunicazione informatica. E cosı̀ all’ambito della cooperazione internazionale, veicolo fondamentale dell’ideale della pace democratica. Ma non solo sul piano delle pratiche, anche sul piano del modo di intendere la democrazia l’irru­zione della guerra provoca i suoi effetti nefasti. Lo ricordava ieri il Presidente Mattarella. Ri­spetto all’idea di una democrazia internazionale in cui ogni Paese idealmente vale allo stesso modo (anche se non possiamo nasconderci l’asimmetricità delle relazioni introdotta dall’esi­stenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in cui le potenze vincitrici della Seconda Guerra mondiale detengono un potere di veto che può bloccare decisioni condivise dalla mag­gioranza degli Stati membri nell’Assemblea Generale), siamo tornati alla dottrina delle “grandi potenze” e delle rispettive sfere di influenza. Ma occorre riconoscere che l’irruzione della guerra sulla scena internazionale costringe anche le democrazie a ripensare la questione fondamentale e cruciale della “difesa” che storicamente si intreccia in modo inestricabile con la questione della partecipazione dei cittadini alla vita della comunità. 

1.4. Una quinta sfida è quella rappresentata dall’innovazione tecnologica nel campo dei mezzi di comunicazione e di elaborazione delle informazioni. La democrazia è – più di ogni altro – un ordinamento politico basato sulla conoscenza diffusa – la lotta contro l’analfabetismo politico, il conoscere per deliberare – e sulla comunicazione di informazioni e opinioni. Lo squilibrio nel possesso e nella gestione delle informazioni porta con sé enormi squilibri di potere. Lo sviluppo di tecniche comunicative basate sul potere seduttivo di parole e immagini rende complessa la formazione discorsiva della volontà. L’automatizzazione dei processi di analisi ed elaborazione dei dati tende a occultare la natura parziale e soggettiva dei processi decisionali presentandola come il frutto di scelte tecniche e neutrali (caso olandese). La questione cruciale del potere ri­mane quella indicata da Guardini: non la sua demonizzazione, ma l’individuazione di un sog­getto umano che si assuma la responsabilità del suo esercizio. Il peccato mortale non è solo il cattivo uso del potere, ma il pretendere di usarlo senza assumersene la responsabilità. 

1.5. L’ultima sfida che vorrei menzionare è una sfida interna alla democrazia e riguarda l’usura dei suoi meccanismi interni di funzionamento istituzionale (in particolare il sistema rappre­sentativo dei partiti), la riproduzione delle sue fonti di legittimazione e quindi di produzione della “fiducia” nella democrazia, la custodia di una cultura e di un’etica della democrazia. Gli esempi si potrebbero moltiplicare a partire dal nostro Paese e da molti Paesi europei. Ma forse quello più eclatante è quello degli Stati Uniti, la culla della democrazia moderna. La vicenda dell’assalto al Campidoglio con la messa in discussione, teorica e pratica, della legittimità dell’elezione di Biden da parte di sostenitori di Trump ha scosso profondamente ed è stato il segnale che crepe profonde nella democrazia si sono aperte e quel meccanismo di reciproca fiducia che sta alla base delle democrazie (richiamato dal card. Zuppi con le parole di Guardini) scricchiola. 

 E il paradosso è che anche il regime iraniano – da una prospettiva radicalmente opposta – ci ha ricordato nei giorni scorsi che la partecipazione democratica è oggi, nel mondo, il principio di legittimazione dei regimi politici. Perché altrimenti un regime che controlla tutta la vita della società dovrebbe affannarsi a mandare i suoi cittadini a votare – siano pure esse elezioni farsa – se non perché il voto dei cittadini rimane ancora il fondamentale suggello di legittimità?

2. Perché amare la democrazia?

 Se la democrazia fosse solo una forma di governo tra le altre, una procedura o una tecnica, sa­rebbe difficile dire che la dobbiamo amare. Se usiamo questa parola impegnativa è perché essa porta con sé l’idea di una forma di vita. E quella a cui prima abbiamo fatto riferimento. L’idea dell’autogoverno. L’idea della libertà intesa come il non essere schiavi. Il non essere cose di pro­prietà di altri. Ma persone aventi una dignità. E questa dignità è data dal fatto che in ciascuna persona non vi è solo una realtà di cui avere cura, perché unica e insostituibile, ma vi è una soggettività, cioè una capacità di essere soggetto, di guidare la propria vita, di affermare non solo sé stesso, ma tutto l’essere (Rosmini: “potenza di affermare tutto l’essere”). 

 Per questo la democrazia non si misura in primo luogo sull’eficienza. Ci sono altri regimi che possono essere, in determinate situazioni anche se non sulla lunga durata, più produttivi dal punto di vista economico e magari anche più capaci di fornire servizi e assistenza. Ma la demo­crazia è quella forma del vivere assieme di persone che si vogliono libere e che vogliono essere protagoniste nel determinare le scelte fondamentali della loro esistenza e il destino delle loro comunità. Quanto qui c’è dell’orgoglio greco della libertà (Socrate che non vuole andare in esilio perché fuori da Atene, in esilio, dovrebbe vivere una vita decisa da altri)! Ma quanto c’è qui della libertà cristiana. Di quella consapevolezza che le scelte fondamentali della nostra esistenza pos­sono essere prese solo nella libertà. Dio stesso, creatore della libertà umana, ne ha un sacro rispetto. Decide di far passare la salvezza dell’umanità dal “sı̀” libero di Maria. Pensate politica­mente alla potenza di questa scena: il Signore degli eserciti che si premura di raccogliere il sı̀ di una donna per fare il bene dell’umanità. E ogni società umana che viene istituita – a partire dalla famiglia fondata sul matrimonio – richiede il rispetto della libertà.  

 Per questo una democrazia “illiberale” (ce lo hanno spiegato bene il card Zuppi e il presidente Mattarella) semplicemente non è una democrazia perché nega la sua scaturigine. Se volete averne una chiara illustrazione leggete la voce Fascismo della Enciclopedia Treccani scritta da Gentile e firmata da Mussolini in cui negando la libertà della persona si finisce per negare la sua dignità infinita e si afferma che tutto il suo valore risiede nello Stato. E dove erano in quegli anni i protagonisti del movimento cattolico che sono stati ricordati in apertura di queste Settimane sociali? Sturzo in esilio, De Gasperi a Regina Coeli. 

 Perché questa libertà possa produrre un’esistenza libera dev’essere non solo proclamata ma praticata. Voluta. Esercitata. In modo serio e responsabile. 

 Ma c’è una seconda ragione per cui amare la democrazia. Perché essa ambisce a riconoscere questa dignità ad ogni essere umana e non solo ad alcuni e produce così non solo degli esseri che vogliono vivere da soggetti liberi e sovrani ma anche delle relazioni umane e sociali tra esseri che sono uguali e liberi. Ci fa sperimentare non solo il gusto della mia libertà, ma il gusto della libertà dell’altro. E questa è la cosa più dura. Guai a non capire questa difficoltà e la necessità di una pratica educativa al rispetto della libertà dell’altro, a una vera e propria ascesi. Lo scoprirci sovrani ci spinge ad essere

scoprirci dominatori non servi degli altri? “Siamo re” subito pensiamo “dunque dobbiamo comandare”. E la storia dell’umanità è storia di relazioni di dominazione tra forti e deboli, tra ricchi e poveri, tra uomini e donne, tra vecchi e giovani. La democrazia non è una forma statica ma è un perenne sforzo di democratizzazione delle relazioni sociali che costante­mente tendono a riprodurre al loro interno violenza e sopraffazione. La democrazia che noi oggi abbiamo è lo sforzo di secoli di lotte per la democratizzazione. Per secoli era considerato natu­rale che ci fossero schiavi. Era considerato naturale che le donne fossero in posizioni subordinate. Che i poveri avessero meno diritti. E così via. Non è un processo spontaneo il far sì che in una comunità in cui ci sono patrimoni diversi, lavori diversi, intelligenze diverse, ognuno abbia un uguale potere di determinare con il proprio voto la vita della comunità. E il frutto di una scelta e di una scelta complessa e impegnativa. E il frutto di innumerevoli lotte e sacri ici. Va rifatta. Dobbiamo rispiegare a noi stessi e a chi ci sta intorno l’uguale dignità di ciascuno. Il suo essere soggetto e non solo oggetto. La necessità di rispettare la libertà dell’altro. E di sperimentare, e qui sta l’elemento nuovo, che dentro questo amore per la libertà dell’altro, dentro questo desiderio di costruire una convivenza tra pari si apre una forma di vita più ricca della vita della dominazione in cui uso l’altro come un oggetto per il soddisfacimento dei miei bisogni o piaceri. E di nuovo l’amore a indicarci la strada. Chi di noi vorrebbe stare una vita con una persona che non è libera di stare con noi? Sarebbe una forma morbosa di possesso. L’amore esige la libertà, esige che io voglia e che io mi batta per la libertà dell’altro, perché solo se siamo liberi si produce una forma di vita umanamente più ricca. 

 Questa forma di convivenza tra liberi e uguali è possibile solo grazie a un uso della parola e della ragione. E la parola che stabilisce tra noi una forma di comunicazione più profonda ed è la ra­gione che ci consente di far emergere non la “mia” volontà sulla “tua”, ma una “nostra”, tutta da costruire, volontà comune. Non si tratta si sostituire il popolo o un partito al posto del re e di mantenere il rapporto di dominazione ma si tratta di perseguire un’altra forma di potere, quella dell’agire di concerto (Arendt) basata sulla libertà, sul reciproco riconoscimento, sulla comuni­cazione. Per questo la crisi della parola e la crisi della ragione sono crisi della democrazia e noi dobbiamo batterci per restituire alla parola e alla ragione il loro posto. 

3. Come amare la democrazia? 

Quali strade per una ricostruzione della democrazia. 

  • a) Ricostruire il soggetto democratico. Se l’esperienza dell’oggi è quella di un diffuso senso di insicurezza, legata a un sentimento di spossessamento di sé, di essere nelle mani di altri, di un essere espropriati delle proprie radici, del proprio futuro, della propria iden­tità, è facile la tentazione di voler offrire protezione a basso prezzo. La gente si sente insicura, dunque il nostro compito è proteggerla. Nessuno nega la necessità di proteg­gere i più deboli dal prevalere della violenza e dello sfruttamento, ma la ricostruzione del soggetto democratico si basa su un movimento opposto, ossia il rafforzamento del proprio potere di governo di sé, la capacità di pensare con la propria testa, il senso di indipendenza e la forza del carattere. Insomma, per dirla con Guardini, se ciò che i tota­litarismi vecchi e nuovi fanno è spossessare le persone di loro stesse, noi dobbiamo lavorare sul senso di auto-appartenenza, sulla costruzione di personalità indipendenti, delle silenzio, del, dell’interiorità spazio nello sé di governo ile stesse se ritrovino che relazioni e delle comunicazioni autentiche, del rispetto e del riconoscimento, del sot­trarre il proprio corpo, la propria anima, i propri dati alla dinamica della merci icazione. Qui, inutile dirlo, c’è un immenso lavoro educativo da svolgere. Ma servono anche stru­menti giuridici e pratiche sociali.
  • b) Dentro questa gelosa custodia della dimensione di mistero di ogni persona, si colloca una più vigorosa difesa dei diritti delle persone. Questo rapporto tra diritto e persona è stato espresso da Rosmini in modo lapidario. La persona non ha diritti ma è il diritto umano sussistente. La nostra passione per i diritti non è una passione per i principi astratti ma per le persone in carne ed ossa. Per questo i diritti fondamentali sono unici e Bobbio: i diritti sociali sono la precondizione per il godimento di qualsiasi altro diritto.Una per­sona senza cibo, senza casa, senza lavoro, senza accesso all’istruzione e alle cure sanitarie di quale libertà può godere? La grande battaglia del personalismo anche di ispirazione cristiana sul piano del diritto al lavoro nel ‘900 è stata quella di affermare che il rapporto di lavoro non è prendere in affitto una merce, ma entrare in relazione con una persona. Questa battaglia umanistica è ancora tutta da combattere solo a pensare alla tragedia di Satnam Singh dove abbiamo toccato l’abisso non solo dello sfruttamento ma della disumanizzazione.

Qui c’è un campo immenso per la partecipazione. C’è bisogno di recuperare una capillarità di antenne sul territorio. C’è bisogno di ascoltare i bisogni e le sofferenze. C’è bisogno essere avvocati difensori di coloro i cui diritti sono violati, la cui umanità è offesa. C’è bisogno di provvedimenti legislativi e di pratiche amministrative. C’è bisogno di provvedimenti istituzionali: pensate che l’Italia, unica tra i Paesi europei, non ha un’auto­rità indipendente a difesa dei diritti umani a cui è tenuta dalle Convenzioni internazio­nali che ha sottoscritto. Disegni di legge su disegni di legge sono naufragati.

  • c)Bisogna animare la democrazia locale. Lo vedeva con chiarezza Tocqueville. Se la demo­crazia muore nel piccolo, soffoca anche nella grande dimensione. La tradizione dei cat­tolici italiani è stata una grandissima tradizione di attenzione e impegno nelle comunità locali. Non sempre gli interventi recenti del legislatore hanno saputo valorizzare la ric­chezza di questa dimensione, ma rimangono ancora straordinari spazi di partecipazione e impegno.
  • d) Bisogna ridare vita alla dimensione deliberativa della democrazia. La democrazia non è solo elezione dei capi. È anzitutto discussione e formazione discorsiva della volontà collettiva. La democrazia come spazio di discussione reale e di decisione si sta atrofizzando schiacciata da un lato dal prevalere della tecnocrazia dall’altro dall’invadenza della vuota chiacchiera. Servirebbero in ogni realtà locale dei centri studi politici che potessero mettere a disposizione della discussione pubblica le competenze di esperti.
  • e) Bisogna battersi per una riforma dei partiti. Sono uno snodo cruciale nelle democrazie complesse. Abbiamo rimosso l'articolo 49 della Costituzione dove i partiti sono chiamati in causa come strumento per realizzare il diritto fondamentale dei cittadini alla partecipazione democratica. Non si tratta solo della necessaria democrazia interna dei partiti. Si tratta di onorare quell’espressione fortissima che l’art. 49 utilizza, ossia “determi­nare”: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. “Determinare” non signi­fica genericamente “orientare” o “influenzare”, ma significa “stabilire” in ultima istanza come fa la legge che appunto “determina”. La partecipazione politica se non è autentica partecipazione alla determinazione delle decisioni rischia rischia di produrre frustrazione e sfi­ducia. E i rappresentanti devono recuperare una consapevolezza più profonda della loro natura duale: da un lato rappresentanti di una parte che li ha votati, dall’altro rappresentanti del tutto. Qui c’è una tensione che non si risolve con provvedimenti legislativi ma con un costume di accountability [ChatGPT di OpenAI: La parola inglese **"accountability"** si riferisce al concetto di **responsabilità** o **rendicontabilità**. Indica l'obbligo di un individuo, un'organizzazione o un'autorità di rendere conto delle proprie azioni, decisioni e risultati, e di essere trasparente e responsabile di fronte a un pubblico o a un'autorità superiore.
  •  
  • In pratica, "accountability" implica che chi detiene potere o responsabilità deve essere in grado di giustificare e spiegare le proprie azioni e, se necessario, affrontare le conseguenze di eventuali errori o mancanze. Questo concetto è particolarmente importante in ambiti come la governance, la gestione aziendale, e l'amministrazione pubblica, dove la trasparenza e la responsabilità verso gli stakeholder sono fondamentali] e responsiveness ]ChatGPT di OpenAI: La parola inglese **"responsiveness"** si riferisce alla capacità o disposizione di rispondere rapidamente e in modo adeguato a stimoli, richieste o cambiamenti. Il termine può essere applicato in vari contesti:1. **Contesto personale**: Indica la prontezza e l'attenzione nel rispondere alle esigenze o alle comunicazioni degli altri. Una persona "responsive" è attenta e reattiva alle richieste o ai sentimenti degli altri. 2. **Contesto organizzativo o aziendale**: Si riferisce alla capacità di un'organizzazione di adattarsi rapidamente alle richieste del mercato, alle esigenze dei clienti o ai cambiamenti nell'ambiente esterno. 3. **Contesto tecnologico**: In ambito tecnologico, "responsiveness" si riferisce alla capacità di un sistema, software o applicazione di rispondere rapidamente agli input dell'utente. In tutti questi contesti, la "responsiveness" è considerata una qualità positiva, associata all'efficienza, all'adattabilità e alla prontezza.  ] costanti.
  • f) La democrazia deve accogliere la sfida di una democrazia “riparativa” che proviene dal mondo ambientalista. Si tratta di dare voce a chi non ha nessuno che si faccia interprete a chi non ha nessuno che si faccia interprete delle sue istanze: di persone invisibili o sommerse e anche di realtà naturali che hanno bisogno   del nostro ascolto e della nostra cura per poter sopravvivere. Non c’è politica ambientalista che si possa attuare senza partecipazione. Lo vediamo ogni volta che ci diamo da fare per gestire i nostri rifiuti o per attuare risparmi energetici: le scorciatoie dispotiche o anarchiche sono illusorie. La salvezza comune passa, qui come altrove, da una capillare e personale mobilitazione.
  • g) La sfida della democrazia si gioca in gran parte sul piano europeo e internazionale. Dob­biamo chiederci quanto spazio diamo nella nostra formazione sociale e politica alla com­prensione dei fenomeni internazionali, delle dinamiche economiche, militari, politiche che governano la pace e la guerra tra gli Stati e che sono così influenti sulla nostra vita personale e collettiva. Le chiese non possono sottrarsi a questa responsabilità. Sono tra le poche organizzazioni che hanno una storia secolare di lavoro internazionale. L’appello del card. Zuppi a una Camaldoli europea deve essere immediatamente raccolto. C’è biso­gno di nuove generazioni di credenti europei innamorati della democrazia che imparino a lavorare assieme fin da giovani studenti.
  • h) Infine le nostre energie devono essere indirizzate alla ricostruzione di un ethos demo­cratico. Dobbiamo ricostruire pratiche politiche fondate sul rispetto del senso delle parole, sulla ricerca razionale delle soluzioni più adeguate ai bisogni di tutti, su uno stile di radicale nonviolenza, sulla consapevolezza dei limiti strutturali della politica, sulla co­scienza della parzialità delle proprie proposte, sullo sforzo di comprensione delle ragioni altrui, su uno studio approfondito dei problemi a partire dalla incidenza dei fattori eco­nomici e dei rapporti di forza nella vita collettiva. E questo ethos della democrazia deve nutrirsi di determinazione non solo nella difesa delle proprie idee e dei propri valori, ma anche nella difesa appassionata della possibilità per tutti di battersi pacificamente per le proprie idee. Il bene comune è anche questa cornice di principi e di ordinamenti che consentono la libertà di tutti. Pensiamo a quanto accadde in Germania nel 1933: quadri credenti sostennero il movimento di Hitler convinti che avrebbe sostenuto i principi che loro avevano a cuore nel campo della famiglia e dell’educazione senza preoccuparsi della “cornice” generale – la Costituzione – che garantiva a tutti tutti i loro valori?

Conclusione

Eppure, nonostante queste difficoltà in cui la democrazia si dibatte, essa rimane ancora l’ideale di politica a cui aspirare e il principio dominante di legittimazione formale del potere politico. Pensate all’Iran. Nel settembre del 2022 una ragazza di 16 anni, Nika Shahkarami, è stata aggre­dita, violentata e uccisa dalle forze di polizia per aver protestato contro il regime e sognato la libertà. E con lei centinaia di ragazze e ragazzi. Si tratta di giovani che sono nati e hanno vissuto la loro intera esistenza sotto un regime autoritario. Da dove viene loro questo desiderio di li­bertà e di democrazia? Questo – politicamente parlando – è un mistero. Qui tutte le teorie de­terministiche sembrano fallire. Un regime politico controlla minuziosamente il sistema educa­tivo, il sistema informativo, il sistema politico, minaccia di morte e mette a morte chi la pensa diversamente, eppure il desiderio della libertà si riproduce. Lo stesso potremmo dire dei ragazzi della Rosa Bianca nella Germania di Hitler o dei dissidenti sovietici ai tempi di Stalin. Da dove viene fuori questo desiderio di libertà cosı̀ forte da sfidare i carri armati? Di fronte a questo mistero, noi dovremmo, per sensibilità culturale, vorrei dire per teologia della storia, essere quelli che si inchinano di fronte a questo mistero della coscienza – digitus Dei [=il dito di Dio] – che non si sa da dove, umanamente parlando, attinge tutta questa immensa forza. Noi dovremmo essere coloro che non solo per noi ma per tutti custodiscono la fede che, anche nei tornanti più bui della storia, anche nei momenti di crisi delle democrazie storiche, il desiderio della libertà e l’ideale della democrazia possano spaccare la crosta delle consuetudini e delle imposizioni. Anche nella vita politica esiste un miracolo della natività. Esiste la possibilità di un “inizio”,d un’azione prodotta da una coscienza libera. Questa è la scaturigine della democrazia.

§§§§§§§§§§

C.

Articolo

Avvenire on Line 25AG24

https://www.avvenire.it/attualita/pagine/la-politica-riscopra-il-senso-dellascolto-parte-di-qui-lalternativa-al-lead

Di: Marco Ferrardo

Nicoletti: «La politica riscopra il senso dell'ascolto»

Il filosofo ragiona sull'eredità della Settimana sociale di Trieste: «È tempo di riscoprire la dimensione architettonica dell'impegno: servono progetti e contenuti»

 

La partecipazione e l’impegno politico sono una cosa seria. L’esperienza di Trieste è stata di successo perché è stata preparata e affrontata con serietà, se questo approccio resterà intatto il percorso non potrà che dare buoni frutti». Michele Nicoletti, filosofo e ordinario presso l’Università di Trento, è stato tra i protagonisti della Settimana sociale, dove non ha esitato a parlare di riscoprire e rilanciare «l’amore per la democrazia».

Professore, dalla Settimana sociale sono trascorsi quasi due mesi: qual è il suo bilancio e quali frutti è lecito attendersi?

Quella di Trieste è stata un’esperienza particolarmente riuscita grazie alla qualità dei contributi, da quelli di apertura di Zuppi e Mattarella alla chiusura del Papa, ma anche per tutto il lavoro di preparazione, un metodo che mi aspetto che possa restare un punto fermo. Perché è il modo migliore per dimostrare che la partecipazione non è solo un tema di studio, ma un’esperienza concreta che merita di essere resa permanente.

Proviamo a chiarire: in che cosa si è caratterizzato il metodo di Trieste?

Anzitutto la serietà: qualcuno si è preso la pena di studiare come realizzare l’evento e renderlo produttivo, per consentire alla platea di non essere passiva ma intensamente protagonista. Tutto questo ha portato a un’atmosfera di ascolto reciproco e di sintonia che mi hanno colpito. Non era scontata, visto che c’è un background comune ma retroterra culturali e professionali diversi. 

Dovrebbe essere la base.

Ma non lo è. Anzi, se c’è un qualcosa che stenta a emergere tra chi fa politica è proprio la dimensione dell’ascolto, necessaria per la formazione collettiva di una volontà comune dopo una fase di confronto. 

La chiave?

L’ascolto deve essere una scelta culturale e non tattica, solo così si può rispondere a una crisi di partecipazione che, alla fine, è una crisi di attenzione. E capita anche dentro ai partiti, dove la democrazia interna spesso si esaurisce in una scelta di preferenza tra candidati che finisce per frustrare la legittima esigenza di protagonismo delle persone.

È qui che dalla crisi della politica si passa alla crisi dei partiti?

È una conseguenza: se si esalta la dimensione emotiva dell’identificazione in questo o quel leader si finisce per deludere le persone, perché la politica è complicata e i leader sono delle persone. È un errore che costa caro, perché dopo aver acceso energie, contributi e passioni ci si condanna a deluderle. C’è un gravissimo deficit interno di democrazia dei partiti a cui occorre mettere mano, a partire dall’articolo 49 della Costituzione. Su questo il messaggio di Trieste è stato chiaro. 

I cattolici come possono interrompere questa spirale?

Riscoprendo alcuni elementi tipici della storia del movimento cattolico, dove si arrivava alla politica dopo lungo esercizio di discernimento e ci si affacciava alla gestione del potere con questo stile di lavoro.

Nella sua relazione a Trieste ha toccato più volte il tema della libertà: perché i cattolici possono avere una sensibilità particolare al riguardo?

Lo spiega bene Jürgen Moltmann quando parla di rapporto tra democrazia e cristianesimo: quest’ultimo ha una dimensione anti idolatrica che lo porta a rifuggire i leaderismi, la venerazione di chi detiene il potere. È un contributo prezioso e attuale, se pensiamo all’attuale tendenza a pensare di risolvere i problemi politici riducendo tutto allá scelta del “capo”, comprimendo protagonismo e libertà dei singoli. 

I lavori di Trieste si sono sviluppati sul confine tra metodo e contenuti. Di cosa c’è più bisogno?

Di entrambi. Su quello del metodo, dopo la fine della Dc siamo arrivati a un pluralismo in cui le opzioni si sono legittimamente distribuite a destra come a sinistra, ma non c’è stata l’invenzione di luoghi in cui le persone interessate alla politica potessero confrontarsi e misurarsi con valori comuni. 

Di qui anche il deficit di contenuti.

Sì, perché non ci sono stati luoghi in cui si sono portati avanti sforzi di elaborazione di piattaforme ideali poi traducibili in scelte politiche forti e incisive.

Da dove partire?

Riconquistiamo la dimensione “architettonica” della politica, che è quella di chi agisce sulla base di un progetto, studia dove porre le fondamenta e quali spazi costruire e proteggere perché la vita umana possa fiorire. È uno sforzo che anche tra i cattolici si è perso per strada. 

E si è abbassata l’asticella.

Non facciamo che celebrare le “Idee ricostruttive” o il “Codice d Camaldoli” ma nessuno si prende la briga di scriverne uno per l’oggi. Pensiamo alle grandi questioni internazionali: abbiamo noi oggi una visione architettonica della società internazionale che vogliamo costruire e degli strumenti con cui coniugare “giustizia” e “pace”? In che modo vogliamo reagire alle violazioni del diritto e alle ingiustizie internazionali e come vogliamo rispondere al desiderio di libertà e di protagonismo dei nuovi popoli che si affacciano allá storia? Non certo, credo, rispolverando la vecchia dottrina delle “sfere di influenza” che Mattarella a Trieste ha definito come “tentazioni neo-colonialistiche e neo-imperialistiche”, ma battendoci per l’indipendenza e l’eguaglianza dei popoli e per il rispetto dei diritti delle persone.

A livello locale, come dimostra la rete di Trieste, ci sono tanti laici impegnati che vogliono riscoprire e valorizzare il loro essere cattolici. Ma si sentono anche molto soli. C’è spazio secondo lei per costruire una rete che vada oltre il prepolitico ma non sia per forza partitica?

Vedo un duplice spazio. Sul piano del pensiero, innanzitutto. Qui serve un lavoro collettivo di pensiero prima che di organizzazione. Sarebbe di grande aiuto per gli amministratori localianche perché i partiti oggi hanno scientificamente demolito al loro interno tutto ciò che si richiama al pensiero come i centri studi. E poi vedo spazi di confronto e di raccordo, che potrebbero nascere anche dal basso, a partire dall’attenzione ai diritti delle persone, cittadini e non cittadini. Gli amministratori locali, che non affrontano le questioni in modo ideologico ma sono attenti ai bisogni, perché non costruiscono dal basso una rete in cui scambiarsi buone pratiche e battaglie comuni, che possono essere conciliabili con opzioni partitiche diverse che ci sono nella natura delle cose, tanto più a livello locale?