Fuga
Da
“la Repubblica”, 27-10-23, pag.42
Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma, “La preghiera e l’azione”.
E’ bello vedere moltitudini che si raccolgono
per chiedere la pace, che guardano oltre ai termini dei conflitti, che vogliono
la fine delle sofferenze, ma bisogna valutare se guardare oltre non significa appiattire le differenze e fare
tutti uguali: in ogni conflitto non ci sono tutti i buoni da una parte e tutti
i cattivi dall’altra, ma certamente vi sono quelli più buoni e quelli più
cattivi. La preghiera può diventare un alibi per scaricarsi la coscienza, per
stabilire un’equidistanza inopportuna, per cancellare le valutazioni morali.
Quando dopo l’uscita dall’Egitto gli ebrei si
trovarono davanti al mare con l’esercito egiziano che premeva alle spalle per
riportare i fuggitivi in schiavitù, Mosé si mise a pregare. E dal Cielo gli
risposero: “cosa stai a gridare, parla ai figli di Israele, che partano”
(Esodo, 14,15 (*)). C’è il momento della preghiera e quello dell’azione.
(*)
10Quando ormai il faraone fu vicino, gli
Israeliti alzarono gli occhi e si accorsero che gli Egiziani li stavano inseguendo.
Allora gli
Israeliti ebbero molta paura e invocarono con grida l’aiuto del Signore. 11Dissero
a Mosè:
— Forse non c’erano tombe a sufficienza in
Egitto per condurci a morire nel deserto? Perché ci hai portati fuori
dell’Egitto? 12Quando eravamo ancora là, ti dicemmo di
lasciarci in pace. Potevamo anche continuare a servire gli Egiziani! Era meglio
per noi essere schiavi che morire nel deserto!
13Mosè rispose:
— Non temete! Abbiate coraggio e vedrete quello
che oggi il Signore farà per salvarvi. Questi Egiziani non li rivedrete mai
più! 14Il Signore stesso combatterà al vostro posto. Voi
dovrete stare tranquilli!
15Il Signore disse a Mosè: «Perché mi chiami
in aiuto? Ordina piuttosto agli Israeliti di riprendere il cammino! 16Prendi in mano il
bastone e stendilo sul mare. Così aprirai un passaggio nel mare perché gli
Israeliti possano camminarvi all’asciutto. 17Ecco, io rendo
ostinato il cuore degli Egiziani, perché li inseguano dentro il mare. Io
dimostrerò la mia gloria sconfiggendo il faraone e tutto il suo esercito, i
suoi carri da guerra e i suoi cavalieri. 18Quando avrò
distrutto carri e cavalieri del faraone, gli Egiziani sapranno che io sono il
Signore!».
19L’angelo di Dio che precedeva gli
Israeliti passò dietro al loro accampamento. Anche la nube che era davanti a
loro passò dietro 20e si collocò tra l’accampamento degli
Egiziani e quello di Israele. Durante la notte gli uni non poterono avvicinarsi
agli altri, perché la nube era oscura da una parte, mentre faceva luce
dall’altra.
21Allora Mosè stese il braccio sul mare.
Per tutta la notte il Signore fece soffiare da oriente un vento così forte che
spostò l’acqua del mare e lo rese asciutto. Le acque si divisero 22e
gli Israeliti entrarono nel mare all’asciutto: a destra e a sinistra l’acqua
era per loro come un muro. 23Gli Egiziani li inseguirono: tutti
i cavalli del faraone, i carri da guerra e i cavalieri entrarono nel mare
dietro a loro.
24Sul far del mattino il Signore dalla
colonna di fuoco e di nubi gettò lo sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise
in subbuglio. 25Frenò le ruote dei loro carri, e ne rese
difficile la guida. Allora gli Egiziani dissero: «Fuggiamo lontano dagli
Israeliti perché il Signore combatte con loro contro di noi!».
26Il Signore disse a Mosè: «Stendi di
nuovo il braccio sul mare: le acque ritornino sui carri da guerra e sui
cavalieri egiziani!».
27Mosè obbedì. Sul far del mattino il mare
tornò al suo livello normale. Gli Egiziani in fuga gli si diressero contro. Il
Signore li travolse così nel mare. 28Le acque ritornarono e
sommersero tutti i carri e i cavalieri dell’esercito del faraone che avevano
inseguito Israele nel mare: neppure uno si salvò! 29Invece gli
Israeliti avevano camminato all’asciutto in mezzo al mare, mentre le acque a
destra e a sinistra erano per loro come un muro.
30Così quel giorno il Signore salvò
Israele dalla minaccia degli Egiziani. Gli Israeliti videro i cadaveri degli
Egiziani sulla riva del mare 31e riconobbero la potenza con cui
il Signore era intervenuto contro l’Egitto. Per questo il popolo fu preso da
timore per quello che il Signore aveva fatto ed ebbe fiducia in lui e nel
suo servo Mosè.
[Esodo,
14, 10-31– versione TILC Traduzione
interconfessionale in lingua corrente]
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Oggi, 27 ottobre 2023, nella
Basilica di San Pietro si è celebrata una liturgia nella Giornata di digiuno,
preghiera e penitenza indetta da papa Francesco per la pace in Terra Santa e
negli altri luoghi del mondo straziati da guerre e violenze, per la risoluzione
di tutti i conflitti che insanguinano il mondo, dalla guerra in Ucraina a
quella in Terra Santa, senza dimenticare i tanti altri “pezzi” di quella che,
complessivamente, può essere considerata un’altra guerra mondiale in corso,
invocando di allontanare dal cuore degli
esseri umani ciò che può mettere in pericolo la pace per confermali nella
verità, nella giustizia, nell’amore per sorelle e fratelli.
Quella
che noi ancora ci ostiniamo a chiamare Terra Santa è la Palestina di
oggi, divisa politicamente, ma anche in modo molto più profondo e radicato da
barriere di odio efferato, tra lo Stato di Israele e due entità nazionali di
etnia e cultura arabe, con prevalenza della cultura a sfondo religioso islamica
ma con presenza, molto antica, anche di quella cristiana. Solo Israele è uno
stato. Nelle entità arabe sono consentite forme limitate di autogoverno. In una
di quelle entità, che governa aree dove nell’antichità sorgeva una delle
principali città dei Filistei, Gaza, si è radicato un movimento
fondamentalista armato che si propone la distruzione dello Stato di Israele, il
quale attualmente ha ancora il controllo di quelle entità arabe, in particolare di quella stanziata
in Cisgiordania, ampiamente colonizzata da popolazioni di cultura ebraica. Sabato
7 ottobre scorso gruppi armati di quel movimento fondamentalista dai territori
intorno a Gaza hanno invaso alcune aree
dello Stato di Israele limitrofe, occupando e distruggendo due comandi
militari, massacrando in modo orrendo un gran numero di civili e catturando ostaggi.
Le vittime ammontano a circa millecinquecento. Contemporaneamente sono stati
lanciati migliaia di missili balistici verso lo Stato di Israele, che sebbene imprecisi
hanno provocato danni e vittime. L’esercito israeliano nel giro di due giorni
ha ucciso o catturato gli invasori e ora sta invadendo il territorio dell’entità
araba di Gaza, che viene continuamente e duramente bombardato. Ha ordinato l’evacuazione
dell’intera città di Gaza, verso la parte sud del territorio autonomo, ma anche
quest’ultima viene bombardata. Le persone morte si stimano finora in oltre
settemila. Mancano energia elettrica, acqua potabile, cibo. Gli ospedali stanno
collassando. Circa due milioni di persone
sono in fuga e si trovano in queste
condizioni disastrose, ma senza possibilità di sottrarsi alla guerra, perché
tutti i varchi di frontiera, controllati dallo Stato di Israele e dall’Egitto,
sono chiusi.
La
suggestione di collegare la storia di oggi con gli antichi miti biblici è
forte. Ma le popolazioni che soffrono oggi la guerra in quella regione non sono
i popoli biblici. La sistemazione politica della zona è molto recente, risale
al 1948. Gli arabi palestinesi si rifanno alla storia medievale che vide il Regno
di Gerusalemme, costituito per tre secoli in quella regione dagli invasori
europei, sconfitto e abolito (1291) e gli europei respinti. Ma la popolazione
ebraica dello Stato di Israele, per quanto comprenda un gran numero di
immigrati europei, non è più europea. L’edificazione
dello Stato di Israele è stata molto di più della creazione di un nuovo
ordinamento politico: è stata vissuta come la costruzione di una nuova nazione,
compresa l’organizzazione di una neolingua, basata su quella talmudica, a partire
dall’epoca a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Gli europei,
in essi compresi quelli che colonizzarono il Nord America, sono però pesantemente
coinvolti nel conflitto sotto diversi profili. Gli Stati Uniti d’America sono
co-belligeranti e hanno fatto affluire verso la Palestina un potente apparato
navale. Il Papato romano continua a rivendicare una sorta di sovranità sui
santuari di quella regione, che chiama Terra Santa, dove l’Ordine dei Frati
minori francescani ha costituito una propria Custodia, e il nome indica la funzione assegnata a questa
struttura.
La preghiera non basta,
insegna Di Segni su basi bibliche.
L’episodio
della strage degli egiziani nel Mar Rosso mi colpì molto da bambino, quando lo
vidi rappresentato nel grandioso film I Dieci Comandamenti, diretto nel
1956 dal regista Cecil Blount DeMille, al quale assistetti una domenica pomeriggio
proprio nella nostra parrocchia, nel
teatro, dove all’epoca si faceva il cinema per i bambini del catechismo.
La Bibbia
è piena di violenza, anche estrema, in
particolare di storie di guerre, nelle parti che ricevemmo dall’antico ebraismo.
Si raccontano anche di grandi battaglie combattute dagli antichi israeliti nel
corso della conquista e occupazione di quella che chiamavano Canaan e che ora
chiamiamo Palestina, seguendo la denominazione data a quella regione nel Secondo
secolo dall’Impero romano che l’aveva occupata, dopo altre stragi
orrende.
Ma,
nell’episodio biblico del passaggio del Mar Rosso da parte degli israelilti e
della sommersione degli inseguitori egiziani, non si narra di una battaglia, ma
di una fuga. Ad un certo punto, fattisi vicini gli egiziani, gli israeliti
invocarono l’aiuto dal Cielo. C’era chi sostenne che sarebbe stato meglio
arrendersi e tornare sotto il loro dominio. Ma dall’alto venne esortazione a riprendere la marcia, quindi la fuga.
Anni fa
ascoltai in radio la predicazione del pastore Luca Baratto sul tema della fuga.
I problemi non vanno fuggiti, ma affrontati, diceva, ma aggiungeva che certe
volte la fuga è l’unico modo di salvarsi. La parola fuga non sempre è negativa,
continuava. Raccontava di una conversazione
dello scrittore Tolkien con un amico: si erano chiesti chi trovasse più
pericolosa la fuga. I carcerieri, si risposero concordi. Pier Martire Vermigli
(1499-1562), ha ricordato Baratto, vissuto in un tempo in cui la possibilità di
finire sul rogo a motivo della propria religione era molto concreta, scrisse addirittura
un saggio sul diritto alla fuga in tempo di persecuzione. La fuga, in certe
condizioni, non è un peccato di codardia, ma una specifica vocazione cristiana,
non diversa da quella che Dio ha indicato ad Abramo: “Esci dalla tua terra e
va”.
La teologia
biblica ha trasformato quella mitica fuga attraverso il Mar Rosso nella via per
fare di un popolo una nazione. Rimase, mi pare, il maggior mito fondativo,
passato poi anche come tale nella cultura religiosa dei cristianesimi. Per questi
ultimi il mito è stato però rinnovato come via per la sconfitta della morte. La
meta non è più una terra e non si tratta
più di costruire una nazione, ma di qualcosa di molto più radicale. Le persone
cristiane non hanno più terre sante, ma un destino santo.
Naturalmente
sappiamo bene che anche le popolazioni cristianizzate espressero una violenza
intensissima, addirittura genocida, assoggettarono popoli interi privandoli
delle loro terre e facendone degli schiavi. Ne fecero le spese le stesse
popolazioni ebraiche, in particolare quelle di cultura europea. Ma questo non
corrisponde alla loro mitologia religiosa. A rifletterci bene è vissuto come
peccato. La costruzione dello Stato di Israele ha assunto il significato, dopo la
fine della Seconda Guerra mondiale e la sconfitta dei persecutori nazisti e
fascisti, anche di una fuga. Si volle costruire una nazione dove le persone ebree
potesse vivere al sicuro, nella loro cultura. Purtroppo ora lo Stato di Israele
mi pare essere diventato uno dei posti meno sicuri nel mondo in cui si possa
vivere da ebrei. Ma per la sua popolazione non c’è più, mi pare, un posto dove
fuggire. Così è anche, credo, per gli arabi palestinesi. E ogni massacro sembra
preparare quello successivo. La via dello sterminio, quella seguita dagli inseguitori
egiziani nel mito biblico
Il
nemico si vantava e diceva:
“Li
inseguirò, li raggiungerò,
li
attaccherò, li sterminerò,
ci
sarà bottino per tutti;
alzerò
la spada, mi impadronirò di loro!”.
[Esodo 15,19 – Inno di Mosè – versione TILC Traduzione
interconfessionale in lingua corrente]
non conduce a nulla di buono.
Nella
cultura cristiana la preghiera è strettamente connessa all’azione, secondo il
principio benedettino Prega e fatica, Ora et labora. Possiamo
senz’altro far nostra, quindi, l’esortazione del rabbino Di Segni.
C’è chi
tra noi preferirebbe però rimanere dove e come si è. Ma c’è anche chi ricorda
che il nostro spirito è un po’ sempre quello del viandante. “Canta e cammina”
predicava Agostino di Ippona, “senza fermarti. Qui, nella speranza, canta l’alleluia della strada. Lassù, nel
possesso, canteremo l’alleluia della patria”.
E vediamo che nel mondo di oggi c’è chi massacra
e chi fugge dai massacri. Chi massacra, naturalmente, cerca di trovare buone
ragioni per continuare a farlo e le trova nella cattiveria altrui. L’animo
cristiano compiange però chi fugge e cerca di dargli protezione, rifugio,
soccorso, nello spirito della parabola del Samaritano misericordioso, e così
facendo può iniziare a convertirsi dalla violenza in cui è caduto. Questo
corrisponde a un comando del nostro Maestro. Noi italiani iniziammo a staccarci
dal fascismo massacratore quando scoprimmo la virtù del dar rifugio a chi
fugge.
Il nostro fare
non sia dunque il porre mano alle armi, ma soccorrere chi fugge. Non più
terre sante e nazioni e stati e simili come assoluti, ma solo persone umane, le
uniche alle quali non può essere negato il diritto di esistere.
Finisco
citando una bella poesia sulla fuga, come fece il pastore Baratto in quella
predicazione di cui dicevo.
CASA
Di
Warsan Shire
(traduzione
di Paola Splendore)
Nessuno
lascia la casa a meno che
la casa non sia la bocca di uno squalo
scappi
al confine solo
quando vedi tutti gli altri scappare
i tuoi vicini corrono più veloci di te
il fiato insanguinato in gola
il ragazzo con cui sei andata a scuola
che ti baciava follemente dietro la fabbrica di lattine
tiene in mano una pistola più grande del suo corpo
lasci la casa solo
quando la casa non ti lascia più stare
Nessuno
lascia la casa a meno che la casa non ti cacci
fuoco sotto i piedi
sangue caldo in pancia
qualcosa
che non avresti mai pensato di fare
finché la falce non ti ha segnato il collo
di minacce
e anche allora continui a mormorare l’inno nazionale
sotto il respiro/a mezza bocca
solo quando hai strappato il passaporto nei bagni di un aeroporto
singhiozzando a ogni boccone di carta
ti sei resa conto che non saresti più tornata.
devi
capire
che nessuno mette i figli su una barca
a meno che l’acqua non sia più sicura della terra
nessuno si brucia i palmi
sotto i treni
sotto le carrozze
nessuno passa giorni e notti nel ventre di un camion
nutrendosi di carta di giornale a meno che le miglia percorse
non siano più di un semplice viaggio
nessuno
striscia sotto i reticolati
nessuno vuole essere picchiato
compatito
nessuno sceglie campi di rifugiati
o perquisizioni a nudo che ti lasciano
il corpo dolorante
né
la prigione
perché la prigione è più sicura
di una città che brucia
e un secondino
nella notte
è meglio di un camion pieno
di uomini che assomigliano a tuo padre
nessuno
ce la può fare
nessuno può sopportarlo
nessuna pelle può essere tanto resistente
II
andatevene
a casa neri
rifugiati
sporchi immigrati
richiedenti asilo
che prosciugano il nostro paese
negri con le mani tese
e odori sconosciuti
selvaggi
hanno distrutto il loro paese e ora vogliono
distruggere il nostro
come
fate a scrollarvi di dosso
le parole
gli sguardi malevoli
forse
perché il colpo è meno forte
di un arto strappato
o le parole sono meno dure
di quattordici uomini
tra le cosce
perché gli insulti sono più facili
da mandare giù
delle macerie
delle ossa
del corpo di tuo figlio
fatto a pezzi.
voglio
tornare a casa,
ma casa mia è la bocca di uno squalo
casa mia è la canna di un fucile
e nessuno lascerebbe la casa
a meno che non sia la casa a spingerti verso il mare
a meno che non sia la casa a dirti
di affrettare il passo
lasciarti dietro i vestiti
strisciare nel deserto
attraversare gli oceani
annega
salvati
fai la fame
chiedi l’elemosina
dimentica l’orgoglio
è più importante che tu sopravviva
nessuno
se ne va via da casa finché la casa è una voce soffocante
che gli mormora all’orecchio
vattene
scappa lontano adesso
non so più quello che sono
so solo che qualsiasi altro posto
è più sicuro di qua.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli