Sinodalità a più livelli
Quanto conta oggi la nostra fede in Italia?
Negli ultimi anni sono stati pubblicati i risultati di diverse ricerche su questo tema. Una di esse, molto recente condotta con nuovi criteri di indagine, è quella diretta dal sociologo Roberto Cipriani, autore del Manuale di sociologia delle religioni, Borla 1997, pubblicata nel libro L’incerta fede. Un’indagine quanti-qualitativa in Italia, Franco Angeli 2021.
Per quanto in rapida discesa tra le persone più giovani, l’impatto della nostra fede sulle vite e i modi di pensare degli italiani è ancora notevole, ma la si vive in modi molto meno uniformi che nel passato. I vescovi se ne lamentano, perché la loro predicazione è poco seguita in alcuni campi e allora dicono che si è rimasti in minoranza, un piccolo resto. In altri momenti, però, in particolare quando avanzano pretese e rivendicazioni nei confronti dei pubblici poteri, sostengono che si è ancora in maggioranza. Ed entrambe le cose mi pare siano vere.
La gente, in Italia, ha cominciato ad applicare alla sua vita di fede le consuetudini democratiche che pratica nel resto della sua vita sociale. Così non accetta più di essere degradata a gregge. La questione è principalmente con l’episcopato, perché il Papato è un’istituzione troppo lontana e mitizzata per contare veramente nella base. D’altra parte l’episcopato che crede nella sinodalità, e non è il caso di quello italiano mi pare, ha bisogno di aver maggior credito tra la gente comune per potersi elevare dalla condizione umiliante di mero ceto di funzionari ecclesiastici. In Italia ancora il vescovo fa molto conto sulla copertura del potere papale, l’attuale Papa però vorrebbe vescovi più autonomi ma essi non si azzardano ad esserlo, memori del recente passato in cui diventarlo poteva significare finire in disgrazia. Così non si va avanti, si inscenano processi che rimangono più o meno a dove si era all’inizio.
In molti campi la via predicata dai vescovi è insostenibile. Il problema principale è quello della condizione femminile. L’esasperante androcentrismo imposto dalla gerarchia è particolarmente ostico a chi non è ancora molto anziano. Le donne sono pervicacemente diffamate ed emarginate. Da lì poi un’impostazione della predicazione morale sulla famiglia che è diventata inaccettabile.
In questa condizione di tensione, pensare a una sinodalità uniforme in tutti gli ambienti sociali sotto lo stretto controllo del vescovo è irrealistico. C’è da tener conto di un pluralismo che si è fatto irriducibile: solo così si riesce a proseguire.
Probabilmente la via migliore è di tenerne conto e di cominciare ad organizzare esperienze sinodali a più livelli, a seconda degli ambienti sociali di riferimento, cercando di attenuare le costrizioni di una teologia di corte che ormai è estranea ai più e che vorrebbe, ad esempio, che si fosse sinodali secondo il modello trinitario, cosa assolutamente irrealistica.
I teologi di corte, quelli che accettano di lavorare per legittimare l’autocrazia ecclesiastica corrente, di solito costruiscono problemi insolubili per poi dichiararli tali. Questo per impedire qualsiasi cambiamento, e la riforma della vita della Chiesa in senso sinodale è sicuramente un grande cambiamento.
È mai possibile che processi sinodali che vorrebbero una Chiesa più partecipata vedano sempre in cattedra solo gerarchi, clero e religiosi?
D’altra parte è anche facilmente riscontrabile che tra l’altra gente l’esigenza di sinodalità appare manifestata, almeno in Italia, solo da minoranze. È emerso chiaramente nel primo anno della fase di ascoltodel processo sinodale delle Chiese italiane. L’andazzo corrente è che si fa finta di accettare la predicazione dell’episcopato e quest’ultimo fa finta che la si segua, e così non sorgono problemi, perché ognuno continua a fare come gli pare. La vita ecclesiale, insomma, è lubrificata da una certa ipocrisia. Così la sinodalità non serve. È sostanzialmente per questo che, nella fase di ascolto del processo sinodale, le linee guida del nostro episcopato hanno raccomandato di non dialogare, ma di seguire il metodo della conversazione spirituale, secondo il quale ogni persona dice ciò che le passa per la mente e poi si prega. Dicono che sia stato molto apprezzato e questo dimostra quanto lontani si sia da una vera sinodalità.
Nell’organizzare nelle realtà di base la sinodalità è opportuno dividersi in gruppi di lavoro a seconda delle classi di età, degli interessi specifici e in particolare di quanto intensamente si senta il bisogno di sinodalità e si sia disposti a parteciparvi con continuità. Molte persone non avranno né il tempo né la voglia di impegnarvisi. Non si è ancora fatta sufficiente formazione sul tema. In particolare, le persone più giovani e quelle più anziane sono quelle che, per ragioni diverse, mostrano più carenze. Quindi: una sinodalità a più livelli, per favorirne l’inculturazione secondo le capacità di ricezione dell’ambiente sociale di riferimento. Infatti si riceve nella misura in cui se ne è capaci, secondo un antico motto, e non si può fare entrare un fiume in un bicchiere, ma, costruendo con metodo, costanza e pazienza,anche i fiumi possono essere incanalati.
Ogni attività sociale è sinodalizzabile, ma non ogni sinodalizzazione è sostenibile in tutti gli ambienti sociali. Questo se si vuole che sia reale e non solo rituale.
E la sinodalizzazione non dovrebbe essere pensata come creazione di organismi ausiliari dei preti nelle attività loro proprie, per sopperire al fatto che sono sempre di meno. In un organismo sinodale di base uno dei campi di impegno più interessanti è la progettazione di nuovi modi per svolgere le funzioni di presidenza e coordinamento, liberandosi dal modello gerarchico autocratico secondo il quale è ancora organizzato il clero, e coinvolgendo in ruoli di peso le donne.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli