Popolo e popoli
Conclusione
Vangelo e democrazia
Gli specialisti del ramo, teologi e sociologi
in genere, osservano che nel capitolo secondo, intitolato Il Popolo di
Dio, della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le genti -
Lumen gentium, legge ecclesiastica fondamentale (in quanto dogmatica),
deliberata durante il Concilio Vaticano 2º svoltosi a Roma tra il 1962 e il
1965, e in particolare nel paragrafo 9, è posto molto
in risalto l'elemento della novità.
Ma quanto nuovo c'è?
Le novità, in genere, impensieriscono nei
nostri ambienti religiosi, perché siamo abituati a ritenere più autorevoli gli
argomenti della nostra fede in quanto antichi, in questo
recependo un modo di pensare diffuso nella civiltà mediterranea del Primo
millennio dalla quale la nostra per molti aspetti deriva. Insomma, ci
affezioniamo alle idee dei Padri, e li cerchiamo sempre. La parola dell’italiano
“Papa”, viene da un vocabolo del greco
antico, πάπας – si legge “pàpas”, che significa appunto padre. E chiamiamo padri i nostri preti. E
questo nonostante il monito evangelico:
E non chiamate
"padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre
vostro, quello celeste - καὶ πατέρα μὴ καλέσητε ὑμῶν ἐπὶ τῆς γῆς, εἷς γάρ ἐστιν ⸂ὑμῶν ὁ πατὴρ⸃ ὁ ⸀οὐράνιος·[ [si legge: kài patèra
me kalèsete umòn epi tes ges eis gar estin umòn o patèr o urànios, dove si
capisce chiaramente che dove c’è il pater- si vuole significare padre] [dal
Vangelo secondo Matteo, capitolo 23 versetto 9 – Mt 23,9 - versione in italiano CEI 2008]
E’ più forte di noi: viviamo in religione in
mezzo a una vasta schiera di padri. Da duemila anni.
Dobbiamo tener conto, però, che, nella lunga evoluzione
dell'umanità, duemila anni sono veramente poca cosa e che, comunque, essi
non sono stati caratterizzati dalla continuità, ma, a differenza delle decine
di migliaia di anni precedenti, da cambiamenti prodottisi con vertiginosa
rapidità, in particolare nell'ultimo secolo.
E poi che ciò che intendiamo parlando di vangelo
rappresentò realmente, all'epoca in cui iniziò ad essere
predicato, un modo di pensare rivoluzionario, ciò che, secondo quanto narrato
nel Nuovo Testamento, portò molto scompiglio nel giudaismo palestinese di quei
tempi e poi, infine, alla decisione dell'autorità occupante di far uccidere chi
aveva iniziato a insegnarlo e questo con una efferata esecuzione pubblica, conformemente
ai desideri dell'autorità religiose della città, perché costituisse un deterrente
per i suoi seguaci.
Tuttavia la narrazione della Luce per le
genti è nuova in particolare rispetto a quella
sviluppata dei quattro secoli precedenti, durante i quali era stato costruito
un assolutismo autocratico della gerarchia ecclesiastica, con forte
accentramento intorno al Papato romano. Sebbene i teologi del partito conciliare cerchino
di ravvisare dei precedenti antichi di questa novità portata dall’ultimo
Concilio, in particolare nei costumi e nelle concezioni sviluppate nei primi
sette secoli dell'era cristiana, in particolare nel pensiero di coloro che sono
considerati (ancora!) Padri della Chiesa, gli argomenti che portano non sono del tutto
convincenti. In realtà si tratta di sviluppi culturali che risalgono ad
un'epoca collocabile tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta del secolo scorso,
quando in Occidente si formarono le democrazie avanzate dell'Europa
occidentale, che poi orientarono gli sviluppi costituzionali anche di molti
degli stati che riuscirono, dagli scorsi anni Cinquanta, a liberarsi dal
colonialismo europeo e naturalmente di quelli che, abitati in prevalenza da
migranti europei, delle culture europee di origine mantennero le
caratteristiche.
Questa novità è particolarmente indigesta
alla gerarchia, ad ogni livello. Essa infatti è largamente pervasa da sentimenti
antidemocratici. È, ad esempio, insofferente delle istituzioni parlamentari e
mette il parlamentarismo in contrasto con il vangelo. Quindi, ad esempio, pur
volendo consultare non accettano che i consultati discutano: non
si vorrà farne un parlamento!, osservano. Con che supponenza si vorrebbe
discutere sul vangelo? Si, va beh, ma nel vangelo (purtroppo) non c’è
mica scritto tutto quello che ci serve per svolgere la missione che ci è stata affidata.
E allora?
Gli attuali processi sinodali, paradossalmente egemonizzati
dalla gerarchia ecclesiastica pur proponendosi di contenerne l'invadenza e le
pretese, risentono pesantemente di
questa impostazione, in particolare per il loro orientamento populista,
secondo il quale il popolo così come è descritto dalla teologia
cessa di essere un elemento culturale per essere considerato qualcosa esistente
in natura insieme per virtù propria e per azione soprannaturale. Il popolo come
un unico organismo, con il capo in Cielo ma i piedi sulla
Terra, e come in un organismo animale, come i nostri corpi, vivente per
dinamiche inconsapevoli per le menti che l'abitano, per cui la soluzione
migliore sarebbe lasciarlo vivere da sé, e al più cercare di guarirlo chirurgicamente
da quel male che sarebbe il dissenso individualistico.
La singola persona, infatti, lasciata a sé stessa, sarebbe sopraffatta
dalle sue tentazioni d'avidità: una corruzione dalla quale non si può guarire
se non rientrando nel grande organismo mitico del popolo, il buon popolo,
dissolvendosi in esso. Il dialogo servirebbe appunto solo a
questo. Ogni altra soluzione sarebbe illusoria perché incarcererebbe
l'individuo nel suo egoismo famelico.
Per questo si critica il parlamentarismo, il
principale strumento istituzionale del sistema di limiti ad ogni potere che
costituisce il cuore delle democrazie avanzate contemporanee. Meglio i leader
popolari i quali manifesterebbero naturale consonanza con il popolo non
adulterato dagli egoismi individualistici o di fazione. In quest'ottica,
nei parlamenti invece ognuno sostiene gli interessi particolaristici
dei suoi e l'organismo sociale ne risentirebbe negativamente, un po’ come accade nelle
assemblee condominiali, che in genere sono un'esperienza sociale sgradevole pur se indispensabile nella vita comune di un fabbricato abitato.
Parlamentarismo, e dunque anche democrazia, insomma,
non sarebbero conciliabili con il vangelo.
Ma che cosa si intende per vangelo?
Nei due millenni della nostra storia religiosa non lo si è
definito sempre nello stesso modo.
Ai tempi nostri se ne parla come di
qualcosa di non coincidente con la complicata, fantasiosa ed a tratti
efferata dottrina della fede, la cui accettazione, la si capisca
bene o non, è la condizione richiesta per non essere cacciati. In questo
ci viene richiesto di credere nella Chiesa, vale ad dire nei suo autocrati,
come se fosse voce del Cielo. Ma il vangelo sarebbe invece come il cuore delle
nostre convinzioni religiose. Quello che, appunto, il popolo potrebbe intuire,
per virtù soprannaturale pur non sapendo descriverlo con un ragionamento
ordinato.
Nel n.9 della Luce per le genti c'è una
sintesi molto efficace di ciò a cui, allora come oggi, ci si riferisce quando
si parla di vangelo.
Si scrive infatti che il Popolo di Dio
«Ha per
condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora
lo Spirito Santo come in un tempio. Ha per legge il nuovo precetto di amare
come lo stesso Cristo ci ha amati (cfr. Gv 13,34). E finalmente, ha per fine il
regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere
ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a
compimento, quando comparirà Cristo, vita nostra (cfr. Col 3,4) e - anche le
stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per
partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio - » (Rm 8,21).»
"Amare" nel senso sopra indicato traduce il
greco evangelico "agàpe", che significa "pace solidale
e misericordiosa". Di essa il Popolo di Dio deve
farsi segno e strumento. È la sua missione. Per
questo è stato costituito. Non è alla sua portata portare questo a compimento,
nel ”regno", perché esso ci verrà dall'alto, ma solo manifestarne i
segni.
La democrazia, come oggi la si concepisce (ancora) in
Italia, e in tutta l'Europa Occidentale, ha più o meno lo stesso scopo, e la si pensa in questo modo perché fortemente inculturata dal cristianesimo
democratico.
Questo movimento fu molto precoce tra i
cattolici dell'Italia settentrionale, risalendo alla fine del Settecento (ne ha
riportato belle pagine Vittorio Emanuele Giuntella, in La religione amica
della democrazia, i cattolici democratici del triennio rivoluzionario
(1796-1799), editrice Studium 1990, ancora reperibile in commercio). È
alle base della costruzione della nostra
Repubblica democratica post-fascista, riscattando in tal modo la disonorevole
compromissione del Papato, regnante il papa Pio 11°, con il fascismo mussoliniano.
La democrazia, in quel contesto ideale, è, da un lato, un
sistema di limiti ad ogni potere pubblico o privato, e, dall'altro, un sistema
per realizzare la collaborazione solidale in vista di ciò che, con un concetto
tratto dalla dottrina sociale della Chiesa, è il bene comune,
idea diversa da quella dei politici di basso livello di ricavare il più
possibile per sé e per la propria fazione dalle decisioni collettive.
Il grande principio della sussidiarietà, che i cattolici democratici
sono riusciti a inserire tra i fondamenti ideologici dell'Unione Europea, si
inquadra appunto tra quei limiti. Un altro limite importante è quello di legittimare ogni potere nella misura in cui
è servizio, e qui siamo nel pieno degli insegnamenti evangelici che
esortano a comandare come colui che serve.
Ora, l'agàpe rimane solo un concetto che lascia il tempo
che trova se non si riesce a costruirla nella società e una
gerarchia autocratica, come ci è giunta –
finora irriducibile - dalla nostra tremenda storia bimillenaria, non può riuscirci,
perché rivendicando al vertice la libertà da ogni limite, per sovrastare tutte le
resistenze, finisce inevitabilmente con il cedere alla tentazione di tenere
presente innanzi tutto l'esigenza primaria di mantenere intatto tutto quel
suo potere, e ciò non si può considerare più servizio e
neppure bene comune. L'istituzione del parlamento serve
appunto a superare questo problema e la sua peculiare caratteristica risiede
nelle sue procedure, per cui possono parteciparvi il giusto e l'ingiusto, ma, poiché nessuno può prevalere illimitatamente e indefinitivamente, neanche le maggioranze, e l'ingiustizia trova così un contenimento, allora
il risultato è vissuto come conforme a
giustizia e genera pace sociale, in particolare quando alcuni grandi valori,
che per le nostre istituzioni sono quelli scritti, anche dai cattolici
democratici, nella Costituzione repubblicana, sono sottratti alla regola della
decisione a maggioranza, come ad esempio quello di uguaglianza e l'altro della
laicità dello stato (con il quale contrasta, ad esempio, il motto
fascista Dio,Patria e Famiglia).
Fin da piccolo sono vissuto in un ambiente familiare in cui fede religiosa e impegno politico, e anche parlamentare, andavano perfettamente d'accordo. Addirittura nel partito della Democrazia Cristiana, ameno fino alla metà degli anni Settanta, ci si candidava alle elezioni in base a una sorta di mandato dei rispettivi vescovi. Un cugino di mio padre fu a lungo parlamentare della DC, ma svolgeva quell'incarico in spirito di servizio e come forma di collaborazione all'agàpe evangelica. In quell'ottica era inconcepibile una separazione, o addirittura un'opposizione, tra il vivere la missione del vangelo e il servizio parlamentare. Quest'ultimo era vissuto come esercizio dell'agàpe evangelica, o, detto con parola italiano che però non ne rende bene il senso originario, della carità.
Non in tutto il mondo si è vissuto
questa particolare esperienza politica che ha fatto dell’Europa occidentale,
che finora è riuscita a coinvolgere in misura variabile, anche quella
orientale, un qualcosa di mai visto nella storia dell’umanità di sempre. Nel
continente americano, ad esempio, solo le istituzioni del Canada le sono molto
simili.
A
lungo fummo governati in religione da un Papa venuto da lontano, dall’Europa orientale, il
quale le era estraneo. Poi da un Papa che non vi credeva più e ora di nuovo da
un altro Papa che non l’ha vissuta e che non vi crede. Questo non ha fatto bene
al cattolicesimo europeo, ma, in particolare, sta risultando esiziale per
quello italiano.
Il Popolo ritenuto strumento della missione di fede non
esiste in natura, non è un organismo biologico, ma un elemento mitico della cultura di un popolazione che va pazientemente costruito, adattato, all'occorrenza riparato, a volte riedificato, intendendosi, dialogando,
vale a dire costruendo strutture di mediazione. Perché deve essere un popolo attivo. Negli ultimi secoli lo si è ridotto invece a un popolo passivo e inerte, schiacciato da autocrazie irriducibili.
Così la gente, in Europa occidentale, si è stufata di farne parte, perché formatasi in ambienti di democrazia avanzata, rifiuta l'umiliazione che ne consegue. A che serve,
poi, tutta questa autocrazia paternalistica? Non bastano più i tanti nostri padri, quelli di oggi e i tantissimi
del passato. Dovremmo, invece, scoprire più amici.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli
uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di
questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate
ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa
quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho
udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me,
ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il
vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio
nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.
[Dal Vangelo secondo Giovanni, capitolo 15, versetti
da 12 a 17 – Gv 15, 12-17 – versione in italiano CEI 2008]
Mario Ardigò- Azione Cattolica in San Clemente papa- Roma, Monte
Sacro, Valli