Feed back
Il feed back (espressione inglese che si pronuncia fiid bak) è il risultato di un’azione che viene studiato e utilizzato per modificare quel tipo di azione in modo da renderla più efficace, per raggiungere gli scopi che ci si propone.
Ogni persona, nelle relazioni sociali nelle quali è coinvolta, prende in considerazione i propri feed back anche se non sempre consapevolmente.
Che cosa si cerca nelle relazioni che abbiamo in società? Dipende dal contesto, ma anche dalle proprie condizioni personali, come ad esempio l’età che si ha.
Da molto giovani, ci si pensa unici. Crescendo ci si scopre invece molto simili a tutte le altre persone che vivono nel proprio ambiente sociale consueto. Insomma vogliamo più o meno tutti le stesse cose. Per sentirsi unici l’unica via è di trasferirsi, ma allora spesso i feed back diventano negativi, almeno fin quando non abbiamo imparato a vivere come usa lì. Insomma, stare con chi ci assomiglia nuoce al nostro orgoglio ma ci consente una maggiore soddisfazione. Da persone isolate si soffre: lo si si sperimenta, in particolare, da più anziani, ma può accadere anche ai più giovani, i quali ci paiono in genere di costumi piuttosto conformisti, ad esempio vestono e parlano nello stesso modo, e via dicendo. Temono l’isolamento. La natura li porta a dipendere fortemente dall’intimità con i coetanei: quindi cercano di assomigliarsi.
Nelle età di mezzo, quando non si è più tanto giovani, ma nemmeno anziani, si raggiunge un equilibrio, per cui la dipendenza dai feed back sociali è meno forte, ciò che consente una certa creatività personale con la conseguente soddisfazione, ma anche maggiore libertà (le dinamiche di gruppo possono divenire opprimenti), senza tuttavia privarsi del sostegno di un mondo vitale, vale a dire dei feed back generati dal gruppo di una trentina di persone che ci sono più intime e che ci convincono del senso della nostra vita. Sono queste le dimensioni di quelle aggregazioni di significato particolare, senza le quali soffriamo perché ci sentiamo persone isolate. L’antropologo inglese Robin Dunbar ha passato una vita a dimostrarlo sperimentalmente: il risultato delle sue ricerche lo ha esposto nel libro Amici. Comprendere il potere delle nostre relazioni più importanti, pubblicato in traduzione italiana da Einaudi l’anno scorso (disponibile anche in e-book).
Le aziende commerciali da tempo hanno imparato a tener conto dei propri feed back e li studiano per modificare le proprie strategie di mercato. Fateci caso: quando compriamo qualcosa mediante internet, spesso chiedono la nostra opinione sull’acquisto e sulla nostra soddisfazione per il servizio di vendita.
Ogni persona, però, fa qualcosa di simile anche se non sempre se ne rende conto.
Tendiamo ad allontanarci, se abbiamo alternative, dalle esperienze sociali che rimangono insoddisfacenti nonostante tutti i nostri sforzi per generare feed back positivi.
Poiché possiamo facilmente constatare che sempre meno gente viene in chiesa, probabilmente ciò è dovuto ai feed back negativi che si ricava andandoci.
Un primo problema è che l’età media di chi ci va si è fatta alta, come quella dei pastori.
Non si va in chiesa per comprare o vendere, ma alla ricerca di una realtà di mondo vitale. Quest’ultima richiede l’intimità tra le persone, per la quale i più anziani sono sfavoriti. Lo ha detto in un’intervista di qualche settimana fa il filosofo Umberto Galimberti: non si sta bene con le persone anziane e ciò accade anche alle persone anziane tra loro. Questo ostacola l’intimità che è alla base dei mondi vitali, ciò che è descritto come calore umano.
I più giovani per natura rifuggono gli ambienti popolati dalle persone anziane. Sono in fase riproduttiva e cercano le persone che sono come loro.
Un altro problema è che i miti dei quali è fatta la base della nostra complicata teologia non rendono più narrazioni emotivamente avvincenti: sono troppo formalizzati, e lo sono per di più allo scopo prevalente di legittimare delle autocrazie. Così poi la religione appare più che altro un sistema di divieti.
Anche l’elemento comunitario che dagli anni ’70, l’epoca del rinnovamento della catechesi in Italia, si è cercato di introdurre nella formazione alla fede, ha preso un connotato autoritario, perché si è pensato di impiegarlo come strumento di pressione psicologica ed emotiva per consolidare quei divieti: così anche quando si cerca di vivere in una neo-comunità formativa, l’intimità di mondo vitale ne risulta compromessa a Cisa della struttura dispotica, che soffoca e comprime. L’intimità richiede naturalezza, e quindi una certa libertà.
Infine c’è la storica e antica diffidenza verso la rivendicazione di spazi di libertà personale, per cui si cerca di indurre un tipo di spiritualità per la quale si accetti di rinunciarvi come forma di virtù, in modo da rimanere nei confronti dei pastori proprio come un vero gregge, passivi in attesa di essere condotti di qua o di là su metaforici pascoli erbosi.
Probabilmente i processi sinodali avviati nelle nostre chiese dall’ottobre 2021 erano pensati per cambiare questa situazione sfavorevole, ma sono troppo popolati da persone anziane e travagliati da divieti per riuscirci. Troppa poca libertà. Continuano i feed back negativi, che però vengono in genere ignorati da una gerarchia ecclesiastica che ormai ha il proprio tempo quasi interamente assorbito dalla propria burocrazia e dalla cura di personale e patrimonio.
Come è stato ricordato due settimane fa, nell’incontro del Meic Lazio su questi temi, prima ci hanno lasciato gli intellettuali, poi i lavoratori e i giovani, ed ora, infine, anche le donne, le più fedeli e le più bistrattate e umiliate.
È possibile reagire?
Certo, lo è.
Bisogna sinodalizzare di propria iniziativa, sperimentando.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli