Senso della realtà
Le teologie devono occuparsi di un materiale
documentario immenso che, per stessa ammissione degli specialisti, non può più
essere padroneggiato da un’unica persona. Insomma, non ci sarà più un altro
Tommaso D’Aquino a scriverne una sintesi.
Ma non c’è solo questo a complicare le cose. C’è
anche che ormai tutte le scienze, e anche le teologie le quali si sono date uno
statuto scientifico per il metodo che usano e per il fatto che i risultati del
loro lavoro sono riconosciuti come teologia se hanno l’apprezzamento di una
comunità scientifica, sono divenute interdipendenti per cui uno studioso non
deve solo cercare di avere sufficiente consapevolezza del macro-settore di
indagine in cui si colloca il suo specifico campo di impegno (ad esempio, un
teologo biblico deve essere informato della teologia dogmatica), ma anche dei
risultati principali delle scienze confinanti con esso ed anche, per molti
aspetti, di quelli di discipline molto diverse. Ad esempio, oggi nei vari campi
della teologia morale occorre tener conto dell’evoluzione delle scienze
psicologiche e anche dei risultati delle neuroscienze, che sono un ramo della
biologia a loro volta con moltissimi collegamenti con altre scienze.
Pur con tutta questa complessità, le
scienze, nel loro complesso, sono (ancora) un prodotto della mente umana. Dico
(ancora) perché i progressi nel campo dell’intelligenza artificiale potrebbero
rivoluzionare questa definizione, anche se gli specialisti nel ramo tendono a
mostrare un profilo basso perché hanno visto che è controproducente per le loro
ricerche fare diversamente. Gli esseri umani temono ancora gli dei e,
sotto certi profili, è alla costruzione di un dio che là si sta
lavorando.
Essendo un prodotto delle menti umane e di
menti che devono collaborare per superare i propri limiti, perché, nessuna
persona può sapere tutto ciò che le serve per andare avanti, la ricerca
scientifica di muove come per correnti e moti ondosi, sotto l’influsso di ciò
che si muove intorno.
Un fattore molto importante è la committenza,
vale a dire chi richiede di lavorare in un certo campo e ne paga i costi. In
particolare la formazione degli specialisti, che si fa in ambito universitario,
ne dipende. Per creare uno specialista in qualsiasi campo occorrono ormai una
ventina d’anni e lo si fa in strutture universitarie che hanno necessità di
cospicui finanziamenti, innanzi tutto per mantenere gli studiosi in formazione.
Nessuna persona ormai più divenire specialista in qualsiasi campo scientifico
chiuso nella sua stanza, con i suoi libri. In questo modo è possibile solo
diventare una persona colta, vale a dire sommariamente informata dei
risultati dei principali campi di indagine scientifica, che è molto meno di uno
specialista in un settore scientifico. La differenza tra una persona colta e una
che è scienziata specialista è che sono nella comunità scientifica delle
persone specialiste si realizzano i progressi delle scienze.
Io, ad esempio, cerco di essere una persona
colta e, nel ramo del diritto, sono un pratico, l’equivalente di un pilota di una
macchina complessa come un aeroplano rispetto a chi ha progettato e realizzato
quell’apparecchio e alle persone specialiste scienziate che hanno scoperto le
condizioni di quella tecnologia. Persone colte possono solo immaginare i
progressi delle scienze e delle tecnologie, così come gli scrittori di
fantascienza hanno immaginato il sistema informatico degli smartphone, le reti di intelligenze artificiali alle quali
ormai siamo connessi costantemente mediante
i nostri personali telefoni cellulari intelligenti (smart significa questo in inglese) e che sono
diventati parte della nostra identità.
La committenza pone dei limiti, delle
condizioni, fornisce degli obiettivi, che sono determinati a seconda del
risultato che si propone di ottenere e che, in genere, vengono determinati non
in modo scientifico ma politico. Infatti il principale problema di chi
controlla le risorse economiche, e quindi può pagare la ricerca scientifica, è
da sempre il controllo sociale, quindi il governo delle società, e questo
appunto è la politica.
Ad esempio, ciò che chiamiamo sinodalità è
principalmente un obiettivo di politica ecclesiastica.
Ecco che un patriarca latino-americano diventa
patriarca di tutte le Chiese del mondo (mondiale è più realistico di universale, tenuto
conto del peso del nostro mondo nel contesto dell’Universo) e da Roma cerca di
porre rimedio a un problema di potere che aveva fatto molto soffrire dalle sue
parti: l’assolutismo autocratico del Papato. Ha approfondito la teologia in Germania,
ma non è considerato un teologo dalla comunità scientifica teologica. Rispetto
alla teologia è solo una persona colta, ma ha la responsabilità politica anche
delle ricerche teologiche nell’ambito del cattolicesimo. Qui la ricerca non può
essere considerata libera, appunto a causa di quell’assolutismo di cui dicevo, che
spietatamente comprime la ricerca con misure disciplinari disposte da un organismo
di polizia politica, ideologica e teologica. Il rimedio attuato dal nuovo
patriarca mondiale si chiama sinodalità: un modo di fare Chiesa più partecipato
a tutti i livelli, anche se quello che veramente conta è quello dell’episcopato,
sia rispetto al centro romano che rispetto alla gente della base, ridotta a
suddita. Le due cose sono strettamente collegate: in tanto l’episcopato potrà avere
più spazio rispetto al centro romano in quanto sarà effettiva espressione della
base, ad essa vitalmente connesso. Il modello di riferimento è quello delle comunità
di base latino americane. La teologia di riferimento è una variante argentina
della teologia della liberazione, che ebbe nel domenicano peruviano Gustavo
Gutierrez Merino (del 1928) uno dei suoi primi esponenti [espose il suo pensiero
nel libro Teologia della liberazione, del 1972, al quale nelle
successive edizioni apportò delle integrazioni e modifiche. E’ disponibile
pubblicato da Queriniana, 1992]. Si tratta di una variante che, per ciò che
posso apprezzare da semplice persona che cerca di essere colta, mi pare
piuttosto confusa, per come l’ho vista esposta negli scritti del teologo argentino
Rafael Tello (1917-2002), pubblicato nel 2020 in traduzione italiana da Edizioni
Messaggero, con prefazione di papa Francesco. Ma politicamente quell’ideologia
si presenta come una forma di quello che il bolognese prof. Loris Zanatta ha
definito populismo gesuita, del quale anche il peronismo argentino e il
castrismo cubano appaiono manifestazioni (leggi, per approfondimenti, di Loris Zanatta, Il populismo gesuita:
Peron, Fidel, Bergoglio, Laterza 2020, anche in e-book). La caratteristica
politica principale di questo orientamento politico è di essere anti-democratico,
vedendo nella democrazia un imbroglio del liberalismo a danni del buon
popolo fedele. Fateci caso: negli scritti e nella predicazione di papa Francesco
mancano riferimenti positivi alla democrazia.
Organizzare una nuova politica ecclesiastica
più partecipata richiederebbe la collaborazione innanzi tutto di antropologi,
sociologi e anche psicologi, in particolare di specialisti di psicologia
sociale, oltre che di storici, per avere affidabile consapevolezza dei processi
sociali in cui ci si inserisce. Da essa dipende la possibilità di produrre dei
risultati conformi agli obiettivi e anche la loro qualità.
Tuttavia questo sembra superare il potere di
un Papa, sulla carta, ma solo sulla carta, sovrano assoluto e universale.
E, infatti, l’ordine è di lavorare solo sulla
teologia, cercando di contaminare quella europea, che è tuttora egemone, con
quella latino-americana di cui dicevo. Ai teologi, almeno a quelli cattolici, è stato vietato di fare riferimento ad altro.
Bisogna ricordare che si è ancora in un ambiente di assolutismo gerarchico
presidiato da un efferato organismo di polizia politica, che lascia poco scampo
a chi non vi si sottomette e, inserito nell’organizzazione ecclesiastica, come
prete o religioso, ne dipende per il suo mantenimento.
Questo però rende la ricerca in materia di sinodalità
poco attenta alla realtà sociale che vorrebbe rinnovare.
Come ho scritto all’inizio: nessuna scienza
oggi può, se vuole essere efficace, confinarsi in sé stessa.
Della sinodalità scrivono quindi
prevalentemente teologi, anche se la teologia, come sempre, dovrebbe venire
dopo, per legittimare qualcosa che si è già prodotto.
Quindi ne escono delle assurdità
irrealistiche come quella di proporre come modello di sinodalità addirittura la
Trinità, un sofisticato schema della teologia dogmatica ignoto alle origini
e che inizia ad manifestarsi a partire dal
pensiero dello scrittore cartaginese Tertulliano, vissuto a cavallo tra il
Secondo e il Terzo secolo, venendo poi
definito dogmaticamente nei primi Concili ecumenici ordinati da imperatori
romani e svoltisi nel Quarto e Quinto secolo a Costantinopoli e dintorni, con
il quale si cerca di rendere un’idea di una realtà soprannaturale ineffabile,
vale a dire indicibile, e quindi,
per definizione, non riproducibile. Questo metodo, di fatto, non ha
altro scopo che consentire all’assolutismo papale, che controlla la comunità
scientifica dei teologi cattolici, di mantenere da presso il controllo del
processo: questo, però, con l’obiettivo principale dei processi sinodali,
avviati, paradossalmente, proprio dall’autocrate il cui potere dovrebbe esserne
limitato.
Sinodalità non è principalmente teologia, ma
costruzione sociale che, per la sua novità, non può essere dedotta ragionandoci
sopra dall’imponente corpo di fonti proprie delle scienze teologiche. La teologia
non ci può dire come fare per
riorganizzare sinodalmente le nostre Chiesa: può solo dirci che nel sistema
della sue verità, vale a dire delle definizioni, degli asserti,
che si ritiene debbano essere condivisi per essere considerati dentro, nulla
osta. Dal punto di vista storico, per il quale però i teologi cattolici
sembrano avere molte limitazioni, certamente la sinodalità collide con molte manifestazioni
del potere ecclesiastico del passato, responsabili in grande misura di tutti
quegli orrori per i quali sbrigativamente abbiamo inscenato una liturgia di
pentimento, nella Giornata del Perdono, celebrata durante il Grande Giubileo
dell’Anno 2000.
Mario Ardigò - Azione
Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli.