Non passerà
Se volete convincervi che le religioni non passeranno, vi consiglio di leggere di Roberto Cipriani, Nuovo manuale di sociologia della Religione, Borla 2009, ancora reperibile in commercio. C’è narrata la storia del pensiero dei sociologi sulla religione come fenomeno sociale. È un testo che è alla portata di chi ha finito le superiori da studente diligente. Le ricerche si Google possono colmare le lacune storiche e biografiche che ostacolano la comprensione dei riferimenti a persone ed epoche.
La sociologia è una scienza giovane, si formò a partire dall’Ottocento. Si è progressivamente evoluta dalla filosofia. Ora il suo metodo fa molto conto sulle statistiche e le indagini demoscopiche, ma non si riduce a questo. Rimane fondamentale l’interpretazione delle culture di riferimento delle società osservate.
Da quel testo risulta chiaro che il fatto sociale religioso è una componente essenziale delle nostre culture e non ne potremo mai fare a meno, come ritenevano ad esempio i primi Positivisti. La religione ci serve per conoscere il mondo intorno, società e natura, in modo tale che abbia un senso, e questo è l’unico modo umano per sviluppare la conoscenza, perché noi conosciamo in modo emotivo e l’emotività non ci sorregge se non ci prefiguriamo il senso di ciò che siamo e facciamo.
Per le Chiese è un altro discorso. Possono scomparire. È storicamente accaduto moltissime volte e, quindi, accadrà di nuovo.
Il tremendo terremoto che qualche giorno fa ha colpito Turchia e Siria è avvenuto in località che sono state storicamente la culla dei cristianesimi. Negli Atti degli apostoli si narra che proprio ad Antiochia, l’attuale Antakya turca, [leggi At 11,26], si iniziò a chiamare cristiani i discepoli del Maestro. Ma le nostre Chiese non manifestano più una presenza significativa laggiù: l’ambiente è stato totalmente islamizzato.
E anche la nostra Chiesa, in Europa, si è profondamente rinnovata di secolo in secolo, sostanzialmente morendo e rinascendo più volte, e questo, solo questo, le ha consentito di mantenere viva una propria tradizione. È un fatto evidente che, nonostante l’apparente uniformità dogmatica, non si crede più come nei secoli passati e nemmeno si pratica più come allora.
Così, la sociologia rassicura sul futuro della religione in un modo incomparabilmente più convincente che non la teologia. Quest’ultima, per suo statuto, è indistricabilmente legata all’ambiente ecclesiale di riferimento. Nasce e muore con esso. Così appare una mera illusione, o una petizione di principio, la pretesa di mantenere una continuità dogmatica nei secoli.
Dicono in realtà che, di secolo in secolo, si capisce sempre meglio ciò che c’era, tutto, fin dalle origini, e questo è un postulato della teologia, che altrimenti si sentirebbe disorientata, ma questo non è particolarmente evidente. Perché mai chi viene dopo dovrebbe necessariamente capire meglio di chi c’era prima. Di solito è accaduto così nelle scienze naturali, per il rapidissimo progredire delle tecnologie, che poi consentono di costruire strumenti di osservazione della realtà e di trattamento dei dati sempre più potenti. Ma ciclicamente si prendono anche delle grosse cantonate, anche se poi ci si corregge.
Stiamo ancora seguendo gli insegnamenti del Maestro o qualcos’altro? Ebbene, essi, per come ci giungono dai Vangeli che riteniamo normativi per la nostra fede, sono ancora vivi, ma c’è moltissimo altro che non risale a lui, e nemmeno agli apostoli. Praticamente tutto di come abbiamo organizzato le nostre Chiese è venuto dopo di lui, e anche molto dopo di lui.
La sinodalità diffusa e totale, come viene immaginata nel magistero dell’attuale Papa, ci è indispensabile, in Europa occidentale, per continuare a mantenere un radicamento sociale delle nostre Chiese, anche se, comunque, la religiosità sociale sempre pervaderà le nostre società. Esse, se saranno incapaci di trasformarsi sinodalmente, potrebbero effettivamente svanire da noi, al pari di quanto sta succedendo in Francia. Nel resto del mondo il problema è, per ora meno grave, ma bisogna considerare che le altre culture appaiono ancora in movimento verso quelle europee e, quindi, le nostre sono come le altre probabilmente diventeranno tra qualche decennio. In questo, a differenza che nelle scienze naturali e nelle tecnologie, non appaiono gli Stati Uniti d’America il centro del mondo.
Purtroppo le nostre teologie, a causa di molti fattori, sono drammaticamente in ritardo sul fronte della sinodalità, e così anche le nostre Chiese. Di quanto? Di due secoli, riteneva Carlo Maria Martini e lo disse, in un’intervista dell’8 agosto 2012 al gesuita Georg Sporschill e a Federica Radice Fossati Confalonieri, pubblicata sul Corriere della sera:
«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall'aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l'amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l'amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli